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A fallire era stato il popolo tedesco. Avevano dimostrato di avere scarsa volontà, di non meritare il capo che gli avevano mandato. Schiacciato sul retro di una Kübelwagen che tornava sbatacchiando verso il suo Paese ingrato, Böhm si sentiva circondato proprio da quel tipo di generali e alti ufficiali senza spina dorsale che avevano tradito il Führer. Era crudele che militari onesti come il comandante Schultz fossero stati uccisi, mentre uomini come questi, deboli e vili, sopravvivessero. Le loro medaglie tintinnavano ai sobbalzi del mezzo che procedeva lento.
Assurdo viaggiare in quelle condizioni. A Berlino avrebbe potuto essere d’aiuto, invece si ritrovava con i superstiti di due battaglioni cenciosi, costretti a muoversi a passo d’uomo e di sei Panzer. Come avevano fatto a vincere, gli Alleati? Come era possibile che inglesi e americani non avessero capito che i loro interessi coincidevano con quelli della Germania? Era chiaro che dovevano coalizzarsi per sconfiggere i cospiratori giudeo-marxisti che avevano conquistato la Russia, e invece quelle nazioni, di un buon ceppo razziale, si erano alleate con un branco di slavi subumani. Era disgustoso, deludente, scandaloso. Come erano riusciti a sopravvivere, a combattere, costretti a scavare fra i cadaveri in cerca di armi? Niente di quello che aveva imparato studiando psicologia a Cambridge con le migliori menti della sua generazione lo aveva preparato alla loro capacità di soffrire. Tutto il suo sapere lo indirizzava a pensare che i francesi, trattati dai tedeschi fino all’ultimo con tolleranza, avrebbero dovuto accettarli e festeggiarli; che gli inglesi, con il loro rispetto per la buona educazione e l’ampiezza di vedute riguardo all’eugenetica e alla purezza della razza, avrebbero dovuto associarsi con loro fin dall’inizio. E invece non lo avevano fatto.
Immaginò la propria reazione se gli fosse mai capitato di incontrare uno dei generali tedeschi che avevano il comando all’Est; gli avrebbe sputato in faccia, strappato le spalline, spiaccicato il patetico e indegno cervello per strada.
Stava fissando un colonnello sulla panca di fronte, immaginandoselo col cervello in poltiglia con un fremito di piacere – l’ira lo aveva almeno distratto dalla ferita alla guancia che rifiutava di rimarginarsi – quando all’improvviso il colonnello tossì e dall’angolo della bocca gli uscì un rivolo di sangue. Sembrò prima sorpreso, poi risentito come la vittima di un piccolo affronto, quindi si accasciò in avanti e Böhm vide il foro di proiettile nel telone.
La camionetta si fermò con un sobbalzo e si sentì il sibilo dei proiettili. Qualcuno gridava degli ordini. Ignorando i compagni Böhm saltò giù dal mezzo.
«Riparatevi, soldati!» gridò alla fanteria confusa che si rendeva conto soltanto ora, offuscati com’erano tutti dalla spossatezza, di essere sotto tiro. Cominciarono a sparpagliarsi scappando via dalla strada, ma gli argini erano ripidi, i fossati poco profondi.
«Riparatevi dietro i mezzi! Guardate da dove arrivano gli spari prima di rispondere al fuoco.»
A un metro da lui un sergente che portava la sua squadra fuori dalla linea del fuoco si beccò un proiettile in gola; lo superò barcollando, mentre cercava di fermare il sangue con la mano. Böhm si scostò di lato per evitare lo spruzzo arteriale.
Dietro, a un centinaio di metri, sentì una raffica di mitragliatrice e vide tre corpi contorcersi nel fossato. Corse fino alla testa della colonna, dove il capocarro e il colonnello responsabile di quella ritirata così mal gestita stavano litigando davanti agli uomini.
«Che cosa diavolo state facendo?» chiese Böhm in tono tagliente. «Perché ci siamo fermati?»
Il capocarro gli fece il saluto militare. «Il colonnello insiste che dobbiamo contrattaccare, signore, e soccorrere i feriti.»
Böhm si voltò verso il colonnello. Mento sfuggente, capelli scuri. Di famiglia povera. Non sarebbe mai stato accettato nelle SS.
«Questa è un’imboscata, colonnello. Mai lasciar scegliere al nemico il terreno su cui battersi. Procediamo il più in fretta possibile verso il paese. Le forze alleate sono un giorno dietro di noi, dobbiamo attraversare questo ponte prima che gli uomini della Resistenza lo facciano saltare, se vogliamo avere la speranza di partecipare alla difesa della nostra madrepatria.»
Il colonnello arrossì. «Non scapperò davanti a un branco di contadini male armati!»
Un rombo improvviso dietro di loro fu seguito dall’eco del lancio di un razzo. Si girarono, proteggendosi gli occhi, mentre l’autocarro al centro della colonna esplodeva.
«A quanto pare i contadini hanno anche dei bazooka, colonnello» sbottò Böhm.
L’altro gli diede le spalle. «Avanti!» gridò. «Andiamo avanti, subito in paese!»
Il capocarro si arrampicò sul Panzer e Böhm lo sentì ripetere urlando lo stesso ordine per radio.
La colonna si mise in moto con urgenza. Uno dei carri armati al centro della colonna cominciò a spingere di lato l’autocarro che bruciava, mentre gli uomini, con i vestiti e i capelli già in fiamme, lottavano per scendere. Avanzarono altri carri armati e camion con i fanti che procedevano accanto. Böhm seguì il colonnello sull’automobile dello Stato maggiore. Il colonnello gli lanciò un’occhiataccia, ma aspettò che Böhm chiudesse la portiera prima di ordinare al suo uomo di partire.
Denden era in cima al campanile da prima dell’alba, lo sguardo fisso sulla piazza silenziosa. C’era abbastanza spazio: la strada da Montluçon vi arrivava attraversando le valli boschive in direzione sud per poi sfociare nella piazza del mercato circondata da solidi edifici a tre piani in pietra, con i frontoni di legno e muratura. Al piano terra c’erano le facciate dei negozi, drogheria, macelleria e ferramenta, e i bar. Tutti chiusi. La tipica facciata modesta del municipio dava sul margine nord della piazza, i gradini consunti da generazioni che li avevano battuti per registrare nascite, matrimoni e morti, per ottenere documenti e tessere annonarie. Quel giorno la porta era chiusa a chiave.
In posizione arretrata rispetto alla piazza, c’erano i laboratori e le case degli artigiani e degli operai tessili, che via via si diradavano per lasciare posto a piccole fattorie. La cittadina era circondata da frutteti. La chiesa, ricostruita in pietre chiare più o meno un centinaio di anni prima da un ex allevatore di maiali locale divenuto imprenditore ferroviario, occupava l’angolo a nordest della piazza. Le autorità religiose e quelle secolari, spalla a spalla, con la strada maestra in mezzo e sopra il ponte, si associavano rispettosamente per vegliare sulla popolazione.
Quando Denden puntò il binocolo a nord vide Gaspard e Rodrigo che controllavano le cariche lungo il bel ponte di pietra sul fiume. Era un fiume ampio per quella regione. Anche il ponte era stato costruito dall’allevatore di maiali, un dono per sostituire quello antico e stretto che aveva servito il paese per tre secoli. Era l’unico ponte rimasto nel raggio di trenta chilometri su cui potesse passare un carro armato.
L’allevatore di maiali, nella sua lungimirante generosità, aveva creato il bersaglio ideale.
Nancy aveva mandato gli uomini a far evacuare i civili appena ricevute le ultime indicazioni da Londra. Ma non tutti se n’erano andati. Il sindaco, che per due anni aveva chiuso un occhio sulle attività della Resistenza nella zona, aveva insistito per ottenere un fucile e una postazione, e convinto una decina di gendarmi a seguirlo. Era agli ordini di Tardivat, riparato dietro i sacchi di sabbia all’angolo del municipio. Altri abitanti erano rimasti a guardia delle loro proprietà, e alcune giovani donne si erano offerte volontarie per curare i feriti al castello, o nel municipio. Il resto della popolazione, però, non sapendo che cosa avrebbe ritrovato della propria vita a fine giornata, aveva radunato i figli, preso tutta l’acqua e il cibo che riusciva a trasportare ed era salito in collina.
Denden fu il primo a vedere la colonna grazie al luccichio su un parabrezza in fondo alla valle. Piano piano entrò nel suo campo visivo. Contò cinque carri armati, e deglutì. Cinque grosse rogne. Cazzo. Anche i soldati di fanteria sembravano marciare in buon ordine. Aveva sperato di trovarli in condizioni peggiori. Porca puttana, erano tantissimi.
Prese la fiaschetta e bevve un lungo sorso.
«Jules, riferisci al feldmaresciallo Wake i seguenti dettagli, ti dispiace?» Sbrodolò una lunga lista di valutazioni, il numero dei soldati, dei camion e dei carri armati. «Poi sarà meglio che ti trovi un posto.»
Era tipico di Nancy aver assegnato a Jules il ruolo di tramite tra loro. Aspettando la comparsa del convoglio nella valle non avevano parlato molto, solo sciocchezze un po’ impacciate. Però Denden aveva notato che Jules cominciava a ammorbidirsi, aveva colto una nota di rammarico nella sua voce. Era già qualcosa, anche se lo faceva soffrire, e di questo era grato a lui e a Nancy.
Jules si alzò. «Buona fortuna, Denis» disse. Fino a poco prima lo aveva sempre chiamato capitano Rake.
«Anche a te, Jules» rispose Denden. «Stammi bene.» Jules si precipitò giù dalla scala a chiocciola del campanile senza aggiungere altro, e Denden si ritrovò a battere un paio di volte le palpebre per schiarirsi la vista.
Fece appena in tempo a vedere la colonna arrestarsi con un sobbalzo a circa un chilometro dal centro.
«No, no...» disse piano. «Correte da mamma e papà, tesorucci.»
Un’improvvisa visione sfocata di fiamme. René era riuscito ad arrivare in prima posizione con i suoi giocattoli. Bene.
«Forza, venite in centro» ripeté Denden. «È pericoloso là fuori, vero, tesorucci? Forza.»
Passò un minuto, e la colonna si mosse di scatto in avanti, questa volta accelerando. Denden posò gli occhiali e prese una bandiera – a essere precisi i resti a brandelli del cuscino di seta rossa di Nancy recuperato dall’autobus e legati a un bastone – e la ficcò tra le feritoie della finestrella del campanile.
Nancy aveva fissato quel maledetto campanile per un’ora, prima di sentire il botto dell’esplosione e il rumore lontano della sparatoria. Poi, la bandiera rossa.
«Ci siamo, ragazzi» gridò.
L’uscita dalla piazza tra la chiesa e il municipio era bloccata da un muro di sacchi di sabbia... a ovest era sorvegliata da un reparto agli ordini di Tardivat, a est dai suoi uomini. Appoggiò il suo Lee-Enfield in cima al muro di sabbia e si inumidì le labbra, assaporando il dolce aroma di V come Vittoria di Elizabeth Arden.
Non erano stupidi. Un carro armato entrò per primo nella piazza, il rombo del motore assordante, inverosimile rispetto alla piazza. Alla sua ombra c’era una marea di soldati di fanteria. Uno dei protégé di René si alzò in piedi a ovest del ponte e ne colpì la scia con il bazooka, mentre gli altri offrivano fuoco di copertura, e la fanteria sotto tiro dovette correre al riparo. La carica esplose, gettando due soldati in aria, ma il carro armato continuò ad avanzare con grande strepito.
«Cazzo!» Vicino a lei, Juan sparava e ricaricava continuamente. «Com’è possibile che si muova ancora?»
Nella piazza arrivò un secondo carro armato, e si accostò al primo. Per un momento i due mostri rimasero fermi a circa trecento metri da loro. Sbucò un nuovo nugolo di fanti. Si spinsero avanti ma Nancy scommise che non avrebbero bombardato la loro posizione per non impedirsi il passaggio da quella strada e dal ponte. Non per questo, però, avrebbero rifiutato di battersi.
Il protégé di René si alzò di nuovo in piedi.
«Buona fortuna» sussurrò Nancy. Ricarica, scegli il bersaglio, spara. Lei abbatté un sottufficiale, che segnalava agli uomini di andare a mettersi davanti al carro armato. L’uomo cadde e fu schiacciato.
Una corrente d’aria, poi l’esplosione del bazooka. Guardò la carica rimbalzare sotto il Panzer e esplodere, accecandola. Quando fu in grado di vedere di nuovo, vide che il mezzo si era fermato e dalla torretta usciva del fumo nero; si aprì il portello e due uomini spuntarono, mezzo soffocati. Ne ammazzò uno. Il primo Panzer stava ancora puntando dritto su di loro e la piazza si riempiva di soldati che sparavano protetti dai mezzi corazzati all’incrocio del mercato.
Per quanti ne ammazzassero, altri continuavano ad arrivarne, e il grosso del reparto, guidato dal primo carro armato, puntava inesorabilmente sulla loro postazione. Tra le loro file comparvero degli spazi vuoti.
«Ritiratevi!» urlò Nancy, e cambiando il fucile con il Bren sparò brevi raffiche controllate. I tedeschi dovevano aver ormai mandato drappelli di rinforzo nelle vie secondarie per prenderli alle spalle, ma per impedirglielo a lei erano rimasti soltanto pochi fucili nascosti nelle case lontane dalla piazza.
Juan incespicò e cadde, ferito alla spalla.
Nancy guardò a ovest. Anche Tardivat si stava ritirando. I tedeschi si accalcarono sui sacchi di sabbia che li proteggevano e quei cocciuti bastardi dei maquisard cominciarono a combattere corpo a corpo. Nancy afferrò Juan per il colletto, tirandolo indietro, senza smettere di sparare e colpire chi le stava di fronte. Sembrava quasi una seduta di addestramento. Suoni e luci, l’istinto, la mente cosciente svuotata dal rumore. Il cingolato li aveva quasi raggiunti e il terzo stava penetrando rumorosamente nella piazza.
Juan le gridò: «VAI!»
Nancy lasciò andare il colletto e corse all’angolo della chiesa senza voltarsi. Dannazione, stavano arrivando dalle strade laterali. Tirò la porta del campanile. Un sergente, la faccia butterata di cicatrici, le si avvicinò all’improvviso dal lato nascosto alla sua visuale, e la mitragliatrice si inceppò. L’uomo la attaccò. Lei lasciò il Bren penzolante dalla cinghia, estrasse il pugnale e fece un passo di lato affinché lui finisse proprio sulla lama che stava per squarciargli la gola.
Poi Nancy entrò dalla porta e imboccò la scala a chiocciola. Scivolò, gli scarponi erano coperti del sangue di Juan, le mani di quello del tedesco, poi ricominciò a salire. Il rumore era assordante; il carro armato espulse una granata che esplose in mezzo ai sacchi, sollevando nuvole di terra e scuotendo le fondamenta della torre.
Nancy salì faticosamente fino alla botola che si apriva nella torretta, senza più fiato, i muscoli in fiamme. Denden la stava aspettando con il binocolo in mano. Si voltò.
«Giù!»
Senza riflettere lei si appiattì sulle assi polverose e sconnesse. Denden sparò due colpi di pistola. Nancy sentì un rantolo e si girò in tempo per vedere un soldato che la sovrastava, sul davanti della giacca si stava allargando una grande macchia scura e umida. Il cuore le sobbalzò nel petto e con un calcio allo stinco lo fece rotolare giù dalla scala, poi chiuse la botola con violenza. Come aveva fatto a non sentirlo?
«Bloccala!» le gridò Denden.
Muoviti, Nancy. Afferrò il sacco di sabbia che Jules e Denden avevano trascinato sulla torre all’alba e lo spinse sopra la botola.
«Finalmente soli» disse Denden con un sorriso sghembo.
Lei gli prese il binocolo. «Grazie.»
Lui non rispose. Si limitò ad annuire e tornò a guardare la piazza. Nancy avvicinò il binocolo agli occhi cercando di abbracciare tutta la scena. Sotto di lei c’erano i corpi dei partigiani abbandonati sui sacchi.
«Forza, Gaspard, figlio di puttana che non sei altro» borbottò stringendo il binocolo fino a quando le nocche le diventarono bianche. Gli uomini di Gaspard erano sparsi su entrambi i lati dell’accesso al ponte verso la cittadina. L’ultima linea di difesa.
«Forza. Fallo saltare.»
Böhm e il colonnello avevano abbandonato l’auto e preso posizione su un alto pendio a ovest del paese. Gli ufficiali subalterni si arrampicavano sugli argini, o si allontanavano seguendo gli ordini del colonnello.
Il colonnello era di ottimo umore. «Un tentativo piuttosto raffazzonato di tenere il ponte» disse. «Un colpo di bazooka fortunato, e uomini coraggiosi, naturalmente, però male armati e in numero insufficiente. Penso di dover ringraziare lei per questo, vero, Böhm?»
Il maggiore non rispose, continuando a seguire l’azione con il binocolo.
«Se non sbaglio» proseguì il colonnello come se Böhm non avesse capito, «è stato lei a preparare quel raid riuscitissimo vicino a Chaudes-Aigues. Un’operazione perfetta. Li ha dispersi ai quattro venti. Pare che avessero un bisogno così disperato di rifornimenti che una donna è andata a Châteauroux a cercare una radio nuova!»
Böhm abbassò il binocolo e lo guardò. «L’ha trovata?»
Il colonnello scrollò le spalle. «Credo di sì, ma secondo la gente del posto non può avercela fatta a uscire dal paese. Non lo sapeva?»
«Da quando gli Alleati hanno invaso il Sud, le comunicazioni si sono praticamente interrotte» rispose lui. Possibile che parlasse di Nancy Wake? A Montluçon gli era sembrata fuori di sé. Troppo, per riuscire con le sue moine a percorrere tutta quella strada con una radio sulla schiena. Non poteva essere lei.
«Faranno saltare il ponte» disse.
Il colonnello rise educatamente. «Ma no, no. Se avessero esplosivi sufficienti lo avrebbero già fatto saltare prima del nostro arrivo! La difesa troppo debole dimostra che non sono in grado.» Piegò la testa di lato. «E in caso contrario, noi potremmo comunque costruire un sistema di attraversamento adeguato nel giro di mezza giornata. Di uomini ne abbiamo abbastanza, e anche di legname! Qui il fiume è relativamente poco profondo.»
I pensieri giravano vorticosi nella mente di Böhm. Se fosse stata lei a procurarsi la radio...
«Quando è stato che questa donna ha preso la radio?»
«Il rapporto è arrivato una settimana fa. Ah!»
«Cosa?» Böhm cambiò posizione al binocolo.
«Quel piccolo sbuffo sul ponte... I poveracci hanno abbastanza esplosivo da aprire una busta. Il ponte è intatto e stanno correndo a mettersi in salvo.»
Böhm guardò un gruppetto di uomini attraversare il ponte di corsa, seguiti dalle forze tedesche sempre più numerose. Un solo francese cadde e finì sulla strada.
Il colonnello alzò il tono della voce. «Rimettiamoci in moto, voglio l’intera colonna oltre quel ponte in mezz’ora. Avanzate decisi. Controllate se il danno al carro armato è riparabile e tornate a farmi rapporto.»
Böhm se lo sentiva nel sangue. Un senso di disagio. Perlustrò la piazza, le postazioni dei sacchi poco difese, la patetica carica sul ponte. Non erano nemmeno riusciti a collocarla dove avrebbero avuto la possibilità di fare un vero danno. Come se non volessero nemmeno provarci. Il raid alla base della Wake era stato un successo, un grande successo, benché si fosse aspettato di trovare un migliaio di uomini e invece i cadaveri fossero meno di cento.
Come se non volessero nemmeno provarci...
Qualcosa attirò la sua attenzione, una bandiera tra le feritoie del campanile.
«È una trappola!»
L’espressione del colonnello rivelò un educato scetticismo. I tedeschi si riversarono nel centro del paese, senza più sparare, con le armi abbassate. Due Panzer erano sul ponte, gli altri tre aspettavano il loro turno nella piazza. Una squadra di tecnici stava esaminando quello danneggiato. Nella piazza. Böhm sentì una stretta allo stomaco. I Panzer potevano sparare con un raggio di 180 gradi, ma erano vulnerabili, se ai piani superiori degli edifici intorno ci fossero stati uomini con altri bazooka.
«Ordini ai suoi di andarsene. Ritirata!» gridò Böhm in faccia al colonnello.
Troppo tardi.
Nancy guardò Gaspard far saltare la carica finta e scappare; l’uomo vicino a lui cadde. Maledizione. Maledizione. Maledizione.
«Nancy! Funziona!»
Denden la tirò per il braccio e lei puntò di nuovo il binocolo sulla piazza. Adesso era stipata di soldati. Due Panzer si stavano dirigendo sul ponte, con la fanteria che gli rifluiva intorno.
«Aspetta!» disse lei.
«Ma Nancy...»
«Aspetta, Denden.»
Il secondo Panzer si mise in moto in direzione del fiume mentre il quinto e l’ultimo entravano nella piazza. Dietro c’erano i Kübelwagen che bloccavano la strada.
«Adesso!»
Denden si buttò sulla fune della campana e il profondo clangore attraversò tutta la cittadina.
E si scatenò l’inferno.
Le finestre al terzo piano che circondavano la piazza si spalancarono di colpo e i maquis che stavano aspettando dentro aprirono il fuoco sui soldati tedeschi ammassati. Nello stesso momento esplose il ponte, una serie di deflagrazioni che fecero tremare la torre, e li ricoprirono di polvere. Denden gridò di gioia. Un enorme zampillo di terra e pietra salì verso il cielo, e una nuvola soffocante si riversò sulla piazza.
Mentre l’aria diventava meno polverosa sopra il fiume, Nancy vide che il ponte non c’era più. Due carri armati giacevano sul fianco nel letto del fiume, travolti dalla corrente impetuosa e circondati da uomini che lottavano. Gaspard sparava sui tedeschi in acqua dal suo fortino in fondo all’argine. I pochi che erano riusciti ad attraversare avevano già abbandonato le armi e, le mani alzate, erano troppo spaventati per aiutare i commilitoni.
Denden strillò di nuovo. Intorno ai tre Panzer esplosero raffiche di bazooka. Una torretta girò su se stessa e colpì la macelleria al piano terra. L’edificio crollò, sgretolandosi nella piazza, proprio dove erano stipati i fanti tedeschi. Cominciarono a gridare al capocarro. Poi, quando altri due razzi lanciati dai bazooka centrarono il carro armato sull’altro lato della piazza, gli uomini indietreggiarono compatti come un’onda. Dalle fenditure nella corazzatura usciva fumo. A quel punto René aveva raggiunto la seconda posizione.
Le grida erano sempre più forti. I soldati si lanciavano contro i muri, scagliando a terra i fucili come se gli bruciassero nelle mani. Altri si buttarono a terra. Nancy guardò a sud. Fournier era in fondo alla colonna a radunare gli sbandati e i camion che ancora non erano riusciti a entrare in paese. Lo riconobbe dall’andatura. Teneva il Bren stretto al petto, il fucile sulla schiena, e stava chiacchierando con l’uomo che gli camminava accanto. I soldati sbandati tenevano tutti le mani in alto e le loro armi erano sparse in disordine sul ciglio della strada.
«Basta così.» Fu un sussurro. Poi Nancy batté le palpebre e scosse la testa. «Denden, basta così. È finita.»
Lui bloccò la fune della campana e i rintocchi cessarono. Da burrasca qual era stata lo scontro a fuoco diventò una leggera increspatura del vento. Poche ultime detonazioni. Poi il silenzio. Spostarono il sacco dalla botola e Nancy scese la scala a chiocciola lentamente, in modo impacciato. Le caviglie avevano ricominciato a sanguinare e solo ora il dolore trovò il modo di attraversare il suo cervello annebbiato. Nella piazza non aveva individuato nessun uomo della Gestapo di sua conoscenza. Erano forse sulle camionette? O i servizi segreti si erano sbagliati? Dio, come odiava passare continuamente dal dubbio alla speranza.
Denden la seguì. Ignorarono il corpo sulla scala e quello vicino alla porta e uscirono nella piazza, voltando le spalle al fiume. Tardivat stava già separando gli ufficiali dalla truppa, ordinando ai suoi di recuperare le armi tedesche. I partigiani si riversarono dalle case, le armi puntate sui soldati accovacciati. Tardivat li raggiunse.
«Congratulazioni, feldmaresciallo Wake» disse.
Nancy abbracciò con lo sguardo la scena, i corpi, alcuni maquisard, e molti, molti di più della fanteria tedesca caduti sul campo di battaglia. Ancora nessuna traccia di uomini della Gestapo. Quanto era durato? Tre minuti? Cinque?
«Quando li avrete disarmati, penserete alla sepoltura» disse. «Il sindaco ce l’ha fatta?»
Tardi annuì.
«Bene. Chiedigli dove andrebbero sepolti. Metti gli ufficiali nelle celle della gendarmeria o portali al castello...»
«Nancy! Dietro di te!» La voce di Fournier.
Lei si girò di scatto. Un maggiore. Era comparso all’improvviso dal fiume come un brutto fantasma, la pistola spianata, e si trovava a tre metri da lei. Allora è qui che morirò, pensò Nancy. Grazie a Dio sono riuscita a vedere questi bastardi sconfitti, prima.
Un solo sparo. Sussultò, ma non provò dolore. Che l’idiota fosse riuscito a non centrarla da tre metri? No. Il suo occhio destro era scomparso. Cadde in avanti, morto ancora prima di toccar terra. Nancy sentì il rumore di un centinaio di armi che venivano puntate, otturatori che rientravano... i maquis stavano prendendo di mira i prigionieri tremanti, e lei corse in avanti a mani alzate.
«No!» gridò. «Ragazzi, sto bene! Guardatemi. Ce l’abbiamo fatta!»
Era tutto sul filo del rasoio. I francesi erano pieni di rabbia; non c’era uno solo di loro che non avesse visto bruciare la fattoria di un amico, o perso un familiare. Sapevano tutti delle donne e dei bambini uccisi, avevano visto la brutalità feroce della Gestapo in quegli ultimi mesi. Però, no. Non così. Non potevano sconfiggere i tedeschi e dopo diventare come loro.
Nancy si arrampicò in cima a un carro armato dove tutti potevano vederla.
Forza. Solo una volta ancora. Trova le parole. Allargò le braccia in un ampio gesto.
«Uomini del maquis! Ascoltatemi! Questi tedeschi sono vostri prigionieri. Avete vinto, vi siete conquistati la liberazione. La Francia è libera. Le truppe che hanno occupato il vostro Paese sono ai vostri piedi, implorano pietà. Siate uomini!» Ascoltatemi. Vi prego, per tutto ciò che vi è sacro, vi prego di ascoltare. Doveva essere il giorno della vittoria, un giorno da festeggiare, non un massacro di prigionieri di cui vergognarsi negli anni a venire. «Ascoltatemi! Siate migliori dell’uomo qualunque! Siate i maquisard della Resistenza francese.»
Uno. Due. Poi lentamente, uno alla volta, abbassarono le armi. Alla sua destra un soldato tedesco che aveva al massimo diciassette anni scoppiò a piangere, e un altro più adulto che aveva guardato nella canna del fucile di un partigiano lo cinse alle spalle. Adesso la bocca dell’arma era puntata lontano.
Nancy si guardò intorno, verso l’altra sponda del fiume, da dove era venuto il colpo che le aveva salvato la vita. Vide Gaspard, il fucile al suo fianco. Alzò la mano in un saluto.