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Sto solo cercando di respirare

DA quando frequento l’università, non ho mai saltato una lezione, nemmeno una in due anni. E adesso salto quella di Psicologia sociale di mercoledì. Sono tentata di saltare pure quella successiva, ma sarebbe eccessivo e un po’ strano persino per me. E poi, perderne due probabilmente mi manderebbe ancora più in ansia rispetto alla prospettiva di uscire dalla mia stanza. Inoltre, dato che non ho fatto colazione e neppure pranzato, ho una fame da lupi. È tutta la mattina che sento bussare alla porta, quindi mi infilo le cuffie e mi rintano nella solita app di rumore bianco.

In un momento di tregua, mi accorgo di avere poco tempo prima della lezione e decido di fare una puntatina al ristorante greco dove ho pranzato con Simon. In mezzo a tutti quei falafel, non potrà succedermi niente di brutto. Almeno, è ciò che mi dico.

Sono a metà del vialetto, quando un ragazzo con un giubbotto da motociclista e una tracolla alza la mano per darmi il cinque. «Complimenti!»

È proprio quello che temevo. Poca convinta, lo imito, quasi incapace di muovermi tanto sono infelice, ma lui mi batte il cinque ed esulta.

«Forte il video», commenta.

«Oh, grazie.»

Ritrae la mano, mi rifila una calorosa pacca sulla schiena e, con uno strano saluto, prosegue per la sua strada.

Uno è andato, chissà quanti ne restano. Non potrei detestare di più questa giornata.

Proprio davanti al ristorante greco, cado in un’imboscata da parte di tre ragazze.

«Sei la tipa nel video con Esben!» esclama una.

«Bacia da dio, vero? Devi dircelo! È bravo, vero?» mi domanda una rossa dai capelli vaporosi con una ridicola aria sognante.

La terza sembra quasi incazzata. «Perché te ne sei andata? Cavolo, se fossi stata al tuo posto, gli avrei strappato i pantaloni all’istante!»

«Allora», riprende la prima in tono confidenziale, «state insieme? Sei tornata da lui dopo?»

Questo è un incubo. «Cosa? No! Non stiamo insieme!», rispondo sulla difensiva. Sii gentile. Sii gentile! ricordo a me stessa, poi mi schiarisco la voce. «Sono molto contenta che il video vi sia piaciuto, ma ora vado a mangiarmi qualche falafel

Mi giro e, con uno strattone, apro la porta del ristorante. Non appena mi guarda in faccia, il signore greco che prende l’ordinazione si illumina. «Ehi! Ma sei tu!» Chiama il personale dalla cucina. «Eccola! È lei!» Davanti alla loro gioia, avvampo.

Pago il più in fretta possibile e vado a sedermi. Dopo appena un boccone, due ragazze del mio corso di Psicologia si piazzano davanti al mio tavolo, strillando: «È stato talmente fantastico che ho pianto!» e «Com’è stato?» A quel punto mi alzo, butto il cibo ancora intatto e corro via.

Va avanti così per tutta la giornata ma, grazie al cielo, la lezione è piuttosto complessa e mi ci immergo per un’ora. Pur non staccando gli occhi dal blocco degli appunti, mi sento addosso quelli dei miei compagni. Finito il corso, per cena compro un panino alla caffetteria del campus e mi rintano nel dormitorio.

Giovedì non va meglio. Comincio seriamente a pensare che resterò intrappolata per sempre in questo vortice infernale e sarò costretta ad abbandonare gli studi e a trasferirmi in qualche posto isolato senza accesso a internet. Vivrò in una capanna e raccoglierò bacche per sopravvivere. Torno a considerare le infinite possibilità offerte da Amazon; potrei ordinare tutto ciò di cui avrò bisogno. Sì, è fattibile. Potrei riuscirci.

Ora di venerdì, sono decisamente furiosa. Fremente di rabbia ma stoica, vado a lezione di Psicologia sociale. Nonostante la gente abbia capito che deve girarmi alla larga per via delle vibrazioni che emano, continuo a essere troppo osservata per i miei gusti. Quando Esben entra e scruta l’auditorium, tutti si voltano verso di lui. Non appena mi vede, fa per raggiungermi con un’espressione allegra e speranzosa. Quindi gli piacciono il contatto visivo e la comunicazione non verbale? Bene, perché ci so fare anch’io. Gli lancio un’occhiata talmente carica di odio che si blocca all’istante. Il chiacchiericcio intorno a noi si interrompe ma, in questo momento, non me ne frega niente che tutti vedano la mia reazione. Sul viso di Esben leggo preoccupazione, poi confusione e, infine, dispiacere. Io però non cambio espressione e, appena arriva il professore, distolgo lo sguardo da Esben e non lo considero più. Senza nemmeno una parola, ho fatto capire a lui e ai presenti quello che dovevo.

Ecco fatto. È finita.

Grazie al mio atteggiamento da dura, resto al riparo da ulteriori commenti e sopravvivo anche alla lezione successiva. Ritiro l’ennesimo pacco da parte di Simon e mi avvio verso il dormitorio senza essere importunata.

Ora che mi sono fatta valere e ho troncato la tragedia del video dovrei stare meglio, invece sto da schifo. Decisamente da schifo. Ho avuto quello che volevo, no? Niente Esben, niente legami, nessuno che cerchi di parlarmi. Ho ristabilito l’ordine nel mondo.

Dovrei sentirmi molto meglio di così.

Mentre sono assorta in questi pensieri, una voce familiare mi chiama per nome. «Allison! Era ora! Sono venticinque minuti che sono qui seduta e mi scappa la pipì da morire.»

Sollevo di scatto la testa e mi blocco. Il cuore è già più leggero e il senso di vuoto scompare all’istante. «Steffi!»

Sui gradini del dormitorio, c’è la mia migliore amica, che sembra una rockstar, con indosso quei pantaloni di pelle rossa e la canottiera nera. Accanto a lei c’è un piccolo trolley. Non so se scoppiare a piangere o a ridere.

Lei si alza e allarga le braccia. «Vieni dalla mamma!»

Le corro incontro e la stringo forte. «Cosa ci fai qui? Oddio!»

«Cosa… ci faccio… qui? Be’, in questo momento, sto cercando… di respirare…»

La lascio andare e indietreggio, ridendo. «Scusami.»

Lei si ravvia i capelli e mi appoggia le mani sulle spalle. «Devo. Fare. Pipì.»

«Okay, okay!» Apro la porta, la accompagno in bagno e poi nella mia stanza, tempestandola di domande.

«Sul serio, che cosa ci fai qui? Non posso crederci!» Travolta da una gioia sincera, sistemo in automatico il nuovo pacco sopra agli altri nella stanza vuota. Quando mi giro, Steffi mi sta scrutando con una strana espressione. «Che c’è?» le chiedo.

Accenna alle mie spalle. «Ehm, stai giocando a Jenga a grandezza naturale? Cosa diavolo sono quei pacchi?»

«Oh.» In effetti, ha ragione. La pila è un po’ strana da vedere. «Me li ha mandati Simon.»

«Capisco.» Mi rivolge un sorriso incuriosito. «Ne riparliamo dopo. Non mi sono mica fatta un volo notturno fino a Boston e poi un milione di ore in una macchina a noleggio solo perché sei diventata un’accumulatrice compulsiva.»

Ci sediamo sul divano. «Allora, cosa ci fai qui? E perché non me l’hai detto?»

«Volevo fosse una sorpresa.»

Sono sbalordita che sia qui davanti a me. «Ma come hai fatto a permetterti il biglietto aereo e la macchina?»

«Grazie alla borsa di studio, hai idea di quanti soldi ricevo per comprare i libri? Troppi. Non ho la minima intenzione di acquistare tutti i manuali del programma. Sai com’è, la metà delle volte li usiamo per un giorno solo. Quindi ho barattato dei volumi superflui con un bel viaggio.»

«Sono contenta che tu l’abbia fatto.» La abbraccio di nuovo. «E devi mangiare. Sei tutta pelle e ossa.»

«E tette! Non dimenticarti le tette!» Batte il petto contro il mio, strappandomi una risata.

«Non potrei mai dimenticarle», la rassicuro. «Non vedo l’ora di ascoltare i tuoi racconti! Hai fame? Cosa ti va per cena?»

«Tequila», annuncia.

«E se ci aggiungessimo anche qualcosa di un po’ più sostanzioso?»

«Forse. Ci devo pensare.»