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La magia del Natale

DOPO aver passato ore seduta in macchina ieri, e aver fatto commissioni insieme a Simon per tutto il giorno oggi, è bello adesso starsene raggomitolata sul divano a Brookline. A casa mia. Devo cominciare a chiamarla così. Questa è anche casa mia. Mi sono fatta dare un passaggio da Esben e Kerry e abbiamo impiegato un’eternità ad arrivare, perché nevicava e le strade erano un disastro. Simon mi scriveva ogni quarto d’ora per assicurarsi che non fossi morta. Capisco come mai fosse nervoso, soprattutto da quando ha scoperto che l’auto di Esben non è esattamente nuova e non ha tutti i requisiti di sicurezza che mio padre vorrebbe. Nonostante il viaggio sia stato lungo, mi sono divertita con Esben e Kerry e non stavo più nella pelle all’idea di rivedere Simon.

Oggi abbiamo iniziato lo shopping al supermercato: ne siamo usciti con due carrelli pieni perché Simon ha in programma di preparare un sacco di prelibatezze e dolci. Ha promesso di insegnarmi alcune ricette di base e spero proprio di imparare a cucinare qualcosa di commestibile. Poi siamo andati al centro commerciale e lui ha insistito per comprarmi dei vestiti nuovi, compresi alcuni apposta per Natale e Capodanno. Non solo io non ho protestato, ma mi sono pure divertita. Mi è piaciuto lasciarmi regalare cose tanto belle e ancor di più stare con lui. In particolare, però, mi è piaciuto sgattaiolare via per acquistargli la statua a forma di renna che aveva adocchiato. Davanti al suo sguardo meravigliato, mi è scappato un sorriso, perché sapevo che sarebbe stata benissimo con la sua collezione di decorazioni natalizie.

Non mi sono infastidita per le canzoncine nel centro commerciale, non ho sclerato per la folla e non ho rivissuto nessun trauma infantile quando abbiamo bevuto una cioccolata calda alla menta che pareva il simbolo stesso delle vacanze. Devo ammettere che è stata una serie di esperienze nuove e molto gradevoli. Simon ha provato a convincermi a scattare una foto con Babbo Natale, ma c’è un limite a tutto.

In questo momento, avvolta in una coperta di ciniglia color mogano nel nostro lussuoso salotto, mi godo lo spettacolo di Simon che impreca tentando di districare i fili di lucine per l’albero. Pur sapendo che è irraggiungibile, invio a Steffi un selfie in cui ho il broncio perché lei non è qui con me e una foto divertente di Simon frustrato. Al diavolo le crociere e la loro connessione wi-fi su cui non si può mai contare! Queste settimane senza parlarci o scriverci mi stanno uccidendo, in ogni caso sono felice per le sue avventure amorose in alto mare.

«Vuoi permettermi di aiutarti, per favore?» Più volte mi sono offerta di dargli una mano con le luci, però Simon insiste che io debba starmene seduta con la mia cioccolata a rilassarmi. «Mi sento già in colpa perché mi hai aspettato per addobbare l’albero. È il 19 dicembre!»

«Certo che ti ho aspettato, sciocchina. Avrei dovuto comprare delle luci nuove oggi mentre eravamo fuori, ma a questo punto è una battaglia che devo vincere con le mie forze.» Scuote come una furia il groviglio che ha in mano e, tutt’a un tratto, i fili si liberano. «Uh, che strano.» Mi lancia un’occhiata. «È un miracolo di Natale!»

Gli faccio la linguaccia.

«Allora, visto che sei entrata nello spirito natalizio, hai portato un po’ di fortuna. Che te ne pare?» Tra il cappello da Babbo Natale, la camicia verde acceso e la cravatta rossa è ridicolo e meraviglioso al contempo. «A proposito, è bello vederti così felice per le feste quest’anno. C’entra Esben?» mi chiede con un sorriso.

«Forse», ammetto. «Ma non dipende solo dal fatto di avere un ragazzo. Lui mi ha mostrato quanto bene c’è nel mondo. E, in un certo senso, come lasciarmi alle spalle il passato.» Mi stringo ancora di più nella coperta. «Diciamo che ero bloccata.»

«Lo so, è comprensibile. Hai avuto una vita dura.»

Lo osservo mentre districa uno dei pochi nodi rimasti. «Scusami, Simon.»

Lui si interrompe e alza lo sguardo. «Per cosa?»

«Per non… per non essere stata migliore.»

«Migliore?»

«Per non essere stata una figlia migliore.»

Lascia perdere le luci e si siede sul divano accanto a me. «Allison, non dire mai più una cosa simile.»

«Non ti penti mai di avermi adottato? Il tuo ragazzo ti ha lasciato per causa mia. Lui avrebbe voluto adottare un bel bambino, non un’adolescente scontrosa.» A questo punto, gli rivolgo una domanda che non gli ho mai fatto prima. «Come hai fatto a sapere di me? Un giorno mi hanno semplicemente informata che c’era un potenziale padre adottivo che voleva incontrarmi, dopodiché io e te abbiamo parlato per un’ora, durante la quale ti ho ammorbato con la mia noiosa e deprimente compagnia, ma poi mi hanno detto che mi volevi. Non ho mai capito perché.»

«Oh, Allison, tesoro… Innanzitutto, Jacob era uno stronzo. Era una di quelle relazioni… sai, in cui ti ritrovi in trappola e non ti preoccupi nemmeno di tirartene fuori. Quindi sono felice che se ne sia andato. È la cosa migliore che mi sia mai capitata, dopo di te.» Mi rivolge un sorriso caloroso. «Stammi a sentire: sì, l’idea era di adottare un bambino, però poi nell’ufficio per le adozioni c’era una parete ricoperta di tantissime fotografie, di piccoli che avevano bisogno di una famiglia.»

«Un po’ come le foto dei ricercati che appendevano una volta nell’ufficio dello sceriffo.» Mi stringo sempre più nella coperta. «Solo che noi non eravamo ricercati da nessuno.»

«Sì, proprio così, per quanto sia ingiusto e sconcertante. Comunque, mentre guardavo quelle fotografie, mi sono ritrovato a riflettere su diverse cose. La prima è che ero terribilmente ingenuo, perché non immaginavo quanti fossero i ragazzini in affido. La seconda, che mi ha colpito molto più della prima, è che uno di quei ragazzini apparteneva a me: tu. Solo in quell’istante ho capito che non avevo bisogno di un bambino piccolo, che per me non era importante preparare biberon, vedere i primi passi o ascoltare le prime parole, l’asilo, la scuola elementare…» Si appoggia allo schienale del divano e accavalla le gambe. «Non avevo bisogno di quelle cose. Desideravo diventare padre, ma essere padre significa farlo per tutta la vita, non soltanto con un neonato.»

Inclino la testa e giocherello con la frangia della coperta. «C’era anche la mia foto?»

«Certo», risponde. «Ognuna aveva una didascalia con le informazioni principali, compreso da quanto tempo erano in affido. Quando sono arrivato alla tua, ho letto che lo eri da più di sedici anni. Ho letto anche che adoravi leggere, che eri un’ottima studentessa e… non so, qualcos’altro. Non è dipeso tanto da quelle notizie, quanto da come mi sono sentito osservando la tua foto. È una di quelle cose che non si possono spiegare. Ho avvertito un legame e, lì su due piedi, ho capito che volevo essere tuo padre. Sono rimasto davanti alla tua foto così a lungo che alla fine Jacob è dovuto venire a cercarmi.»

«E l’idea non gli è piaciuta per niente…»

«Già, e lui non è più piaciuto a me», risponde Simon con aria di sfida, poi mi sorride.

«Non è vero.»

«E va bene, non ha smesso di piacermi da un giorno all’altro, ma mi è stato chiaro che tra di noi c’era qualcosa che non funzionava. Lui non provava affatto ciò che provavo io. Allora ho dovuto fare una scelta: ho scelto te e me stesso. Era l’opportunità che mi serviva per capire che io e Jacob eravamo una coppia davvero male assortita. Volerti adottare è stata la decisione più facile che abbia mai preso, anche se ovviamente ero terrorizzato al pensiero di non piacerti o che tu non volessi vivere con un uomo gay. Il giorno che ti ho incontrato, mi sarò cambiato almeno dieci volte. Ti avevo comprato un sacco di cose, poi mi sono sembrate tutte delle cavolate e le ho lasciate a casa. Se le avessi trovate brutte, avresti potuto credere che sarei stato il padre peggiore del mondo.» Pare in imbarazzo. «Ero molto nervoso, perché io invece sapevo per certo di essere tuo padre. Certe cose le sai e basta, giusto?»

Quattro mesi fa, avrei potuto obiettare, ma non oggi. «Già. Mi dispiace di non averlo capito allora. Mi dispiace di non aver intuito subito che eri mio padre.»

«È tutto a posto, tesoro. Sarebbe stato aspettarsi troppo.»

Cominciano a bruciarmi gli occhi. «Però adesso lo so. Davvero.» Lui mi cinge con un braccio e, d’istinto, mi giro e lo stringo forte. «Ti voglio bene, Simon.»

Il suo abbraccio è sicuro e paterno, e mi fa sentire protetta. «E io voglio bene a te, Allison. Tantissimo.»

«Giusto perché tu lo sappia», aggiungo, «mi sei piaciuto un sacco appena ti ho conosciuto. Eravamo d’accordo sul fatto che Jane Austen è perfetta e che entrambi detestiamo gli zoo, e tu mi hai detto che odi la frutta essiccata, tranne i mirtilli rossi.»

«Ed è ancora così. Perché mai bisogna rovinare in quel modo della frutta perfetta? Però non c’è niente al mondo che possa battere i mirtilli rossi in un’insalata di rucola con qualche pezzetto di formaggio erborinato.» Appoggia il mento sulla mia testa. «E avevamo in comune la passione per i film degli anni Ottanta, per i tramonti da cartolina e per il rumore delle onde che si infrangono sulla spiaggia. È scattato qualcosa tra di noi. Sei stata mia figlia fin dal primo momento.»

«Mi avevi comprato delle cose per convincermi a venire a vivere con te?»

Ridacchia. «Per quanto sia imbarazzante, sì.»

«Per esempio?»

«In realtà, le ho ancora, se ti va di vederle.»

«Sul serio?» Scatto a sedere e lo guardo in faccia. È proprio da Simon conservare questo tipo di cose. «Mi piacerebbe.»

Dopo qualche minuto, torna dal suo studio con una scatola.

Mentre la apro, mi osserva in preda a un tale nervosismo che scoppio a ridere. «Non preoccuparti. Anche se ci fosse qualcosa di strano qui dentro, non ho intenzione di scaricarti.»

«Abbi comunque pietà di me. Ero ansioso all’epoca. E pure adesso, direi.»

Come prevedibile, è piena di cose che avrei adorato: tre braccialetti d’argento di Tiffany, una confezione regalo di profumi di Calvin Klein, un cappello e una sciarpa di cachemire e una trousse di lucidalabbra. Infine, tiro fuori un libro su Wonder Woman e due bracciali come quelli dell’eroina.

«Sono stupidi, vero?» chiede Simon.

«Niente affatto. Neanche per sogno.» Non riesco a staccare gli occhi dai bracciali. «Come facevi a sapere che mi piaceva Wonder Woman?»

«Ho pensato che avessi deviato diversi proiettili in vita tua e che probabilmente fossi dura come l’acciaio.»

«Non ero così dura», ribatto sottovoce. «Mi avrebbero fatto comodo questi bracciali.»

«Certo che eri dura, e lo sei ancora. Soltanto che adesso sei più felice.»

Ha ragione. «Sono regali meravigliosi.» Sono commossa e non so che altro dire.

Simon mi accarezza la schiena e mi dà un rapido abbraccio. «Pronta per mettere le luci sull’albero, ragazzina?» Batte le mani. «Addobbiamolo per bene, okay?»

Sale su una scala e comincia a sistemare le luci, mentre io reggo un capo e glielo allungo a mano a mano che procede. «Allora, visto che non vuoi che ti compri una macchina», fa una breve pausa per darmi il tempo di alzare gli occhi al cielo, cosa che faccio prontamente, «che ne dici di scrivere una letterina per Babbo Natale?»

Per me è una richiesta enorme, perché di solito non gli chiedo nulla. Per accontentarlo, però, rifletto un attimo. «Hai presente le lenzuola che mi hai regalato quando sono tornata all’università? Mi piacciono un sacco e non mi dispiacerebbe averne delle altre.»

«‘Non mi dispiacerebbe averne delle altre.’ Ho preso nota. Poi?»

«Magari una nuova cover per il telefono.»

«Segnata anche questa. Altro?»

Prima di rispondergli, finiamo con le luci. «Magari quest’estate potremmo fare una vacanza?»

«Certo. Tu, Steffi e io? Cos’avevi in mente?»

«Solo io e te», lo correggo.

«Mi piacerebbe molto. Dove possiamo andare? A Martha’s Vineyard? A Cape Cod? A Nantucket? Negli Hamptons?»

Non riesco a trattenere una risata. «Non c’è bisogno di andare in un posto così esclusivo. Sarebbe bello stare al mare, ma in una casa piccola. Niente di troppo caro, okay?»

«Allora affitteremo un cottage di lusso», ribatte lui con un sorriso. «Bolliremo aragoste ogni sera e sporcheremo di sabbia tutta la casa dopo aver trascorso le giornate in riva all’oceano.»

«C’è un’altra cosa», aggiungo, con un pizzico di ansia. «Te ne avevo già parlato, ma… Esben potrebbe venire a cena?»

«Non mi sembra un regalo di Natale, ma assolutamente sì.» Il suo entusiasmo è palpabile. «Qualsiasi sera andrà bene. Oh, potrei preparare un vassoio di stuzzichini a base di salmone affumicato e le uova ripiene… e poi filetto alla Wellington e trifle per dessert!»

«Io… stavo pensando a qualcosa di più informale.»

«Oh, certo. Allora vada per spaghetti e sugo pronto», replica lui, fingendo di mettere il muso.

«Okay, okay. Prepara pure una cena da gourmet e sfoggia tutte le tue doti in cucina. E ci servirà del vino. Sarà meglio.»

«Perché? Sei nervosa all’idea che il tuo vecchio incontri il tuo ragazzo?»

«Un pochino», confesso.

«Non devi, lo adoro già. Chiunque riesca a renderti tanto felice mi piacerà. E adesso addobbiamo come si deve questa casa per fare buona impressione su di lui!» Attraversa il salotto e prende una delle tre scatole con le decorazioni. «Mettiamoci al lavoro!»