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Motociclisti e ondate

OGNI secondo del volo è stata una sofferenza. L’atterraggio a Detroit è stato soltanto un ulteriore passo verso la morte di Steffi e non ho mai smesso di tremare.

Mangio qualcosa al terminal, o almeno credo. Esben è andato a prendere dei caffè, quindi chiamo Steffi.

Risponde quasi all’istante, ed è un enorme sollievo. «Mi hai fatto diventare una celebrità.»

«Oh, giusto. Mi dispiace. Scrivere un post era l’unico modo… Ci serviva una mano, Steff. Tra le vacanze di primavera e…»

«Adoro questa situazione», mi interrompe lei. Dal suo tono capisco che sta sorridendo, e la forza nella sua voce è una vera e propria sorpresa. «Che figata. Sto… sto seguendo i post e i commenti. È stupendo. Sono bellissima nella foto.»

Scoppio a ridere di cuore. «Già. Sei sempre bellissima.»

«Non al momento, quindi fa’ finta di niente quando mi vedrai.»

«Certo.» Controllo l’ora. «Il nostro aereo per Chicago parte tra poco. Devo chiudere per capire cosa faremo per il prossimo volo. Ti avviso appena ne troviamo uno, okay?»

«Okay. Sto morendo di fame. Magari Rebecca può portarmi qualcosa da In-N-Out Burger. Un bell’hamburger e un milkshake alla fragola sarebbero il massimo. Devo chiederglielo.»

«Hai… hai fame?»

«Una fame da lupi. Ho dormito un po’ e mi sento molto meglio. Al tuo arrivo, devi assolutamente provare In-N-Out Burger. Ti farà impazzire. Ehi, lo sapevi che un sacco di gente mi sta taggando su Facebook e Twitter? Li ho riattivati da poco e ci sono un mucchio di ragazzi in affido davvero carini e un miliardo di gente malata di cancro che fa il tifo per me. È una cosa incredibile, eh? Quanto mi piace questa storia.»

«Okay.» Sono un po’ confusa. «Tesoro, c’è Esben con il caffè. Devo chiedergli se ha parlato con Kerry.»

«Va bene. Ringrazialo per avermi fatto diventare una star. Voglio delle foto di tutto, okay? E dei video. Postali, oppure me li mostri quando sei qui. Non voglio perdermi niente. Non vedo l’ora di vederti. Ti voglio così tanto bene, e mi sei mancata. Dovrai raccontarmi di te ed Esben, ma direi che le cose vanno alla grande.» Parla talmente in fretta che fatico a seguirla. «Oh, e puoi farmi un favore? Esben riesce a farmi scrivere un tweet da Colton Haynes? È proprio un bel ragazzo. Oh! Oppure da Norman Reedus! O da Dave Grohl! Lo sai che adoro gli uomini più grandi. Dio… ma te lo immagini? Sono sexy da morire.»

Scoppio di nuovo a ridere. «Come vuoi.»

«Vado a ordinare almeno cinque hamburger adesso. Ciao, Allison. Ci sentiamo presto!»

Chiudo la conversazione e guardo Esben. «Ehm.»

«Che cosa c’è?»

«È strano. Steffi è… più allegra. Telefono a una delle sue infermiere.»

«Ci imbarchiamo tra poco, sbrigati.»

Jamie mi risponde quasi subito. «Allison», mi saluta in maniera calorosa. «Steffi mi ha dato il tuo numero. Stavo giusto decidendo se chiamarti o meno.»

«Ho appena parlato con Steffi e… sembra piena di energie. E affamata. E addirittura piuttosto contenta. È un buon segno? So che non può migliorare, ma…»

Segue un attimo di silenzio. «Capita», mi spiega l’infermiera. «L’ho visto un mucchio di volte. I pazienti provano una ventata di energia, un po’ di euforia, una specie di scarica di adrenalina. Può durare qualche ora oppure un giorno o anche di più, però no, mi dispiace doverti dire che non è un buon segno. Significa… significa che la fine si sta avvicinando.»

«Oh. Okay.» Intontita, mi metto in fila per imbarcarmi.

«Per ora si sente bene, ed è emozionatissima all’idea di incontrarti. Concentriamoci su questo. È bello vederla tanto felice.»

«Okay», ripeto. «Può tenerla d’occhio?»

«Certo, te lo prometto. Io e Rebecca resteremo qui tutta la notte. Entrambe teniamo molto a Steffi e stiamo facendo il possibile perché sia a suo agio.»

«Grazie. È importante per me. Devo andare, Jamie. Ci stiamo imbarcando e atterreremo a Chicago intorno alle dieci.»

«Seguiamo i vostri spostamenti online. Ce la farete.»

Insieme a Esben, mi avvio ai nostri posti sul secondo volo.

«Ti prego, fa’ che ci sia il wi-fi. Fa’ che ci sia il wi-fi», continua a dire lui.

«Novità da Kerry o Jason?» domando, mentre appoggio la testa al finestrino.

Esben recupera il cartoncino con le informazioni dal vano portaoggetti del sedile e, questa volta, sorride. «Non ancora, ma c’è il wi-fi. Perché non provi a dormire un po’? Al tuo risveglio, avrò qualcosa per te.»

Sono troppo stanca e stressata per oppormi, quindi gli cedo il mio caffè. Di sicuro ha intenzione di rimanere online durante il volo e la caffeina servirà più a lui che a me. «Dormire mi farà bene. Esben?» Mi scappa un sorriso. «Steffi vorrebbe ricevere un tweet da Dave Grohl e da qualche altro vip.»

«Ah sì?» Ride. «Vedrò cosa riesco a fare.»

«E poi…»

«Che cosa c’è, tesoro?»

Giro il viso e lo guardo dritto negli occhi. «Sei sorprendente.»

Mi accarezza una guancia con il dorso della mano. «No. Il mondo è sorprendente. Te l’avevo detto che la gente è perlopiù buona. E avevo ragione.»

«Non lo avevo capito…» Sono davvero senza parole. «Non avrei mai immaginato…»

«Lo so», concorda. «Nonostante le cose meravigliose a cui ho assistito in vita mia, questa le supera tutte. Forse è il lato positivo.»

«Già», dico, convinta. «È così.»

Non appena il comandante annuncia che abbiamo raggiunto l’altitudine di crociera, sprofondo in un sonno senza sogni, e ne sono grata. Mi sveglio soltanto quando Esben mi scuote con delicatezza e mi accorgo che siamo già atterrati.

«Ascolta», mi sussurra. «La hostess sta parlando di te e Steffi.»

Mi sfrego gli occhi. Nella parte anteriore della cabina, c’è una donna con il microfono in mano che incrocia il mio sguardo. «Questa canzone è per Allison e Steffi. L’intera compagnia aerea augura amore e pace a loro e ai nostri passeggeri. Siamo con voi.»

Con una voce dolce e bellissima, comincia a intonare Amazing Grace.

Esben mi stringe una mano. Altri passeggeri si uniscono a lei e, piano piano, mi rendo conto che tutti stanno cantando e resto quasi senza fiato. Il mio cuore scoppia di dolore e gioia allo stesso tempo. Sono intimidita dall’umanità e dall’affetto che questi perfetti sconosciuti mi stanno dimostrando. So che è un momento importante e che in futuro vorrò rivederlo, perciò chiedo a Esben di girare un video e lui mi accontenta.

Scesi dall’aereo, vado in bagno e mi sciacquo il viso con l’acqua fredda. Non piangerò adesso. Mi sto asciugando le mani, quando sento la voce di Esben. «Allison? Dobbiamo andare. Subito!»

Mi sbrigo e comincio a corrergli dietro senza fare domande.

«Dobbiamo arrivare all’aeroporto di Midway, che è a tre quarti d’ora da qui», mi spiega. «Il nostro volo parte tra cinquantacinque minuti.»

«Oh, no.»

«Bisogna muovere il culo.» Facciamo lo slalom tra i viaggiatori diretti al nastro trasportatore. «Però abbiamo un passaggio, e penso che ti piacerà.»

Frustrata dalle dimensioni di questo aeroporto, ho l’impressione di impiegare un’eternità prima di arrivare nella zona del ritiro bagagli. D’un tratto, Esben si blocca e scruta la folla con lo sguardo.

«Cosa stiamo cercando?»

Piegato in due per riprendere fiato, ride e mi indica un punto. «Dio, è una cosa da pazzi, ma guarda là.»

Un uomo con un completo elegante e un cappello da autista regge un cartello con i nostri nomi.

«Una limousine? Quello è l’autista di una limousine?» È una follia.

«Puoi dirlo forte», conferma Esben. «Andiamo.»

L’uomo ci stringe rapidamente le mani. «Sono Leon. Mi hanno permesso di parcheggiare qui davanti, ma solo per cinque minuti. Sbrighiamoci.»

Usciamo e raggiungiamo la limousine bianca. Anche dopo esserci lasciati alle spalle l’aeroporto, non riesco a credere a ciò che sta succedendo. Nell’abitacolo risuona musica dance a tutto volume, è un vero e proprio sovraccarico sensoriale. I sedili in pelle nera sono scivolosi, ci sono luci colorate sul soffitto, due bottiglie di champagne e… dei reggicalze intorno al collo delle bottiglie.

«Leon?»

«Sì, signora?»

«La limousine era stata prenotata per qualcos’altro questa sera?»

«Per un addio al nubilato, signora. La futura sposa vi ha ceduto la prenotazione.»

«È stato molto generoso da parte sua», rispondo. «La ringrazi da parte nostra, per favore!»

Esben mi mostra il telefono. «Puoi farlo tu stessa. Ha usato l’hashtag con te e Steffi e ci ha augurato buon viaggio.»

Rispondo al tweet con un selfie sulla limousine. È stato davvero un gesto bizzarro e dolce da parte di quella ragazza. Dopodiché, invio un video a Steffi con me sdraiata sui sedili e la didascalia: Stiamo andando a Midway in grande stile!

Mi arriva subito la sua risposta.

Cavolo! L’ho appena letto online. Riesco a malapena a stare dietro a tutti i commenti. Bevi un po’ di champagne per me!

«Quindi abbiamo dei biglietti per Los Angeles?» m’informo.

«Sì. Una coppia di sposini ci ha ceduto i loro posti. Sono fantastici.» Sospira per la felicità. «Ti sembrerà incredibile, ma il pilota ci aspetterà ai controlli di sicurezza e ci aiuterà a superarli. Non può attendere oltre un certo limite, però, quindi avremo i minuti contati.»

«Non posso credere che stia funzionando.» Sono ancora sotto choc.

«Lo so, non ci credo nemmeno io.»

Siamo partiti da più di mezz’ora quando Leon parla dal sedile del guidatore. «Signore? Signora? Abbiamo un problema.»

La macchina rallenta fino a fermarsi. Intorno a noi si vedono solo le luci rosse dei freni.

Senza nemmeno lasciarmi il tempo di dire qualcosa, Esben è già online. Non appena finisce di scrivere, mi guarda. «Prega.» Poi apre il tettuccio e fa capolino con la testa.

«Che cosa fai? Esben!» Mi alzo anch’io e mi trovo davanti l’orrendo ingorgo. «Cavolo, no. No, non adesso. Ti prego.»

«Forza. Forza. Forza.» Lancia un’occhiata alle macchine dietro di noi.

«Che intenzioni hai? Siamo bloccati. Siamo bloccati.» Mi passo le mani sul viso. «Dovremo… sperare nel prossimo volo.»

«Il nostro è l’ultimo per stasera.»

«Oddio.»

«E lo prenderemo», ribatte lui, cocciuto. «Aspetta e vedrai.»

Le auto dietro di noi si fondono in un tutt’uno. Non arriveremo mai da Steffi. Il rumore dei clacson è assordante e la marea infinita di luci deprimente. Sento il rombo di qualche grosso motore, ma non controllo nemmeno di cosa si tratta.

«Guarda là!» urla Esben eccitato. «Guarda là!»

Quattro motociclisti dall’aria minacciosa accostano accanto alla limousine. «Voi dovete essere Allison ed Esben. Abbiamo saputo che vi serve un passaggio.»

Sono uomini sulla cinquantina, la barba grigia, vestiti di jeans e pelle, stivaloni e bandane sulla testa. E tatuaggi ovunque. Nonostante sia sera, indossano gli occhiali da sole.

«Oh, cielo», commenta Esben.

«Devi assolutamente pubblicare una foto. È pazzesco», gli dico, ridendo. «Altrimenti Steffi non ce lo perdonerebbe mai.»

«Venite o no?» Il primo motociclista allunga un casco.

«Eccoci!» Rientro di scatto nell’abitacolo. «Grazie, Leon. Grazie mille.» Apro la portiera e raggiungo l’uomo, che aspetta con il motore su di giri. Esben scuote la testa, rassegnato e divertito.

«Pronta?» mi domanda in tono burbero il mio nuovo autista. «Tieniti forte, bellezza. Prenderemo la corsia d’emergenza e potrebbe essere un tantino rischioso.»

Salgo sulla moto e mi aggrappo alla vita mastodontica dell’uomo. «Okay. Come ti chiami?»

«Non importa.» Dà gas per l’ennesima volta. «Si parte.»

Travolta da un’ondata di paura, chiudo gli occhi per un attimo. Andiamo decisamente a gran velocità, ma mi conforta che quest’uomo abbia il pieno controllo del bolide mentre sfreccia accanto alle auto immobili. Senza questi motociclisti, non saremmo mai arrivati a Midway. Mai.

Abbiamo appena superato la zona in cui il traffico riprende a scorrere, quando alle nostre spalle risuona una sirena.

«Ci siamo!» urla il motociclista trionfante e accelera. «Reggiti bene, signorina!»

Oddio.

Siamo inseguiti da una moto della polizia.

Affrontiamo una curva e, davanti a noi, compare l’ingresso dell’aeroporto. Inchiodiamo con la sirena ancora nelle orecchie, sebbene a una certa distanza.

«Va’!» mi sprona il motociclista. «Va’, va’, va’!»

Scendo al volo e, prima che mi sia tolta il casco, è sparito.

«Dobbiamo muoverci. Allison! Subito!» mi dice Esben sul marciapiede di fianco a me.

Corriamo insieme nel terminal. Non abbiamo il tempo di pensare a quanto è appena accaduto e riusciamo a salire sul volo per Los Angeles per un pelo. Una volta atterrati, viene a prenderci un autista Uber fuori servizio che ci accompagna direttamente al Cedars-Sinai. Tutto è filato liscio. Fin troppo. Forse, in segreto speravo che l’ennesimo problema ritardasse l’inevitabile, però ora siamo qui e sono investita dalla tristezza.

Dopo ore di caos, eccoci. La macchina si ferma davanti all’ingresso e resto incredibilmente commossa dallo spettacolo che ho davanti agli occhi.

All’entrata dell’ospedale ci sono una trentina di persone. Alcune reggono una candela e altre cartelli con la scritta #allisonesteffi, oppure #fanculoalcancro, o ancora #miglioriamiche. Alcune hanno fiori, animali di peluche o palloncini. In silenzio, emanano una dolcezza e un amore tali che, mentre le superiamo e riceviamo abbracci e parole affettuose, non so come comportarmi. Soprattutto però, questo è un cerchio di serenità. Questa gente è venuta a proteggere Steffi dal dolore.

«Puoi scattare una foto per Steffi? Vorrà vedere questa scena.» Sono quasi stordita. L’amore che ci è stato dimostrato oggi è incommensurabile. E nessuno vuole essere ringraziato, né è alla ricerca di attenzione per averci permesso di arrivare fin qui. Ogni singolo commento che ho visto oggi è stato dettato soltanto dal cuore. Entro, barcollando un pochino. «Fai una foto», ripeto.

«Certo», mi accontenta Esben. «È bellissimo.»

Non appena varchiamo le porte d’ingresso, mi faccio coraggio e mi preparo per l’imminente incontro.

Tuttavia, non sono preparata a imbattermi nelle due persone che mi chiamano per nome dalla sala d’attesa. Quando ci raggiungono, ho il respiro corto e fremo di rabbia, una rabbia che riesco a malapena a tenere sotto controllo.

«Cosa diavolo ci fate voi qui?» sbotto. «Come osate? Come osate

«Allison», esordisce la donna, con le lacrime agli occhi. Stava per abbracciarmi, ma alle mie parole si è bloccata. «Abbiamo letto online di Steffi. Eravamo a San Diego e siamo venuti non appena l’abbiamo saputo.»

«Speravamo di…» sta per dire l’uomo.

«Cosa speravate? Cosa speravate di fare di preciso, eh?» Manca poco che mi metta a urlare.

«Che cosa sta succedendo? Chi sono queste persone?» Esben mi afferra per un braccio, preoccupato.

«Cal e Joan Kantor», rispondo.

«I genitori affidatari di Steffi?» chiede lui, incredulo.

«Sì, quelli che l’hanno sbattuta fuori di casa il giorno in cui ha compiuto diciotto anni», commento con freddezza.

«Aspetta, cosa?» interviene Cal. «È questo che ti ha raccontato?»

Joan si porta una mano alla fronte. Pare distrutta quanto me. «Oh, Cal…»

Il marito le stringe la mano e, prima di parlare, tenta di ricomporsi. «Allison, non è così che è andata. Per niente…»

«Cosa significa?» Nella mia mente scatta qualcosa e avverto un nodo allo stomaco.

«Non l’abbiamo sbattuta fuori di casa», prosegue lui, sforzandosi di non piangere. «Non avremmo mai fatto una cosa del genere.»

«Ma lei mi ha detto…» Non posso crederci. Eppure ci credo. «Mi ha detto che voi non la volevate. Non a lungo termine. Che le cose non funzionavano.»

«Buon Dio», commenta Joan, scuotendo la testa.

«Aveva paura», sussurro. «Aveva troppa paura per fidarsi di voi. È così, vero? Oh, Steff…»

«Avremmo dovuto capirlo», interviene Joan, e dalla voce traspare il suo strazio. «Diamine, avremmo dovuto capirlo. Ma lei era talmente risoluta, ostinata e sicura. Ci ha spiegato educatamente che non voleva essere adottata ed è stata chiarissima al riguardo. Abbiamo rispettato la sua scelta, anche se abbiamo provato a convincerla. Abbiamo fatto il possibile, però…»

Termino la frase al posto suo. «Però non si può convincere Steffi a fare qualcosa se lei non vuole. E lei non ha mai voluto essere dipendente da nessuno. Non ci riesce.» Lo so fin troppo bene. Avrei dovuto intuire che sarebbe stato lo stesso con Cal e Joan.

«Già. Allison, noi le volevamo bene allora e gliene vogliamo adesso. Per noi è come una figlia.» Cal fa una smorfia. «Sarà sempre nostra figlia. Sempre.»

«Vi credo.»

A pezzi. È così che mi sento, perché ora alla malattia di Steffi si è aggiunto un ulteriore, tragico tassello.