8

In nessun caso

Greyson Tolliver amava il Thunderhead. Come la maggior parte della gente, del resto. Come avrebbe potuto essere altrimenti? Non c’era astuzia in lui, né malizia, né secondi fini, e sapeva sempre cosa dire. Era contemporaneamente in tutti i computer del mondo. Era in tutte le case, era la mano invisibile, compassionevole, posata sulla spalla di ciascuno. E, anche se poteva rivolgersi a più di un miliardo di individui nello stesso momento senza affaticare la propria coscienza, riusciva a illudere ogni singola persona di essere l’esclusiva destinataria della sua attenzione.

Il Thunderhead era il migliore amico di Greyson. Principalmente perché lo aveva cresciuto. I suoi genitori erano “genitori seriali”. Adoravano l’idea di avere dei bambini, ma detestavano crescerli. Greyson e le sue sorelle erano la quinta famiglia del padre e la terza della madre. I due si erano presto stancati di questa nuova prole e, quando avevano iniziato a evitare le loro responsabilità di genitori, il Thunderhead era intervenuto. Aveva aiutato Greyson con i compiti, gli aveva spiegato come comportarsi e cosa indossare al suo primo appuntamento e, anche se non aveva potuto essere presente fisicamente alla consegna dei diplomi, lo aveva fotografato da ogni angolo possibile e gli aveva fatto trovare un buon pasto quando era tornato a casa. Greyson non poteva dire lo stesso dei suoi genitori, che erano partiti per un tour gastronomico in PanAsia. Non si erano scomodate nemmeno le sorelle. Frequentavano entrambe università diverse, ed era la settimana degli esami finali. Gli avevano fatto capire chiaramente che pretendere che assistessero alla consegna del diploma era un atto di puro egoismo da parte sua.

Ma il Thunderhead era lì per lui, come sempre.

«Sono molto orgoglioso di te, Greyson.»

«Ha detto la stessa cosa agli altri milioni di diplomati del giorno?» gli aveva chiesto.

«Solo a quelli di cui sono davvero fiero» aveva risposto il Thunderhead. «Ma tu sei più speciale di quanto pensi.»

Greyson Tolliver non si considerava una persona speciale. Non c’era nulla che dimostrasse che fosse al di sopra degli altri. Aveva creduto che il Thunderhead volesse solo consolarlo, come era solito fare. Il Thunderhead, invece, diceva sempre ciò che pensava.

Nessuno aveva obbligato né convinto Greyson a dedicare la sua vita al servizio del Thunderhead. Era stata una sua scelta. Aveva desiderato a lungo lavorare per l’Interfaccia dell’Autorità come agente Nimbus. Non lo aveva mai confessato al Thunderhead, per paura che lo respingesse o che gli facesse cambiare idea. Quando alla fine aveva presentato domanda all’Accademia midmericana dei Nimbus, il Thunderhead si era limitato a dire: «Mi fa piacere». Poi, lo aveva messo in contatto con altri adolescenti che avevano inclinazioni simili nel suo quartiere e altrove.

L’esperienza con quei ragazzi si era rivelata lontana dalle aspettative. Li aveva trovati a dir poco noiosi.

«È così che mi vede la gente?» aveva chiesto al Thunderhead. «Sono noioso come loro?»

«Non credo. Sai, molti vengono a lavorare per l’Interfaccia dell’Autorità perché non hanno la creatività per trovarsi un mestiere davvero stimolante. Altri si sentono impotenti e hanno bisogno di sperimentare il potere in questa forma indiretta. Sono gli insipidi, i barbosi, che alla fine diventano gli agenti Nimbus meno produttivi. Sono rari quelli come te, il cui desiderio di servire è un tratto del carattere.»

Il Thunderhead aveva ragione: Greyson voleva servire, e non aveva secondi fini. Non puntava al potere o al prestigio. Certo, gli piaceva l’idea di indossare l’elegante divisa grigia e la cravatta celeste che portavano tutti gli agenti Nimbus, ma non era quello il motivo della sua scelta. Il Thunderhead aveva fatto così tanto per lui che voleva sdebitarsi in qualche modo. Non riusciva a immaginare una vocazione più alta che essere il suo rappresentante, aiutarlo a proteggere il pianeta e lavorare per il progresso dell’umanità.

Mentre le falci si creavano o si distruggevano dopo un anno di apprendistato, la qualifica di agente Nimbus richiedeva una formazione che ne prevedeva cinque. Quattro di studio, seguiti da uno di lavoro sul campo per conseguire la specializzazione.

Greyson era pronto a dedicarsi a cinque anni di preparazione, ma appena due mesi dopo aver iniziato gli studi presso l’Accademia midmericana dei Nimbus, scoprì che gli avevano messo i bastoni tra le ruote. Il suo piano di studi, che doveva comprendere storia, filosofia, teoria informatica e diritto, all’improvviso era vuoto. Per qualche misteriosa ragione, tutti i suoi corsi erano stati soppressi. Era stato un errore? Come poteva essere accaduto? Il Thunderhead non commetteva errori. Forse, rifletté, gli orari dei corsi erano preparati da mani umane e potevano essere soggetti a errori. Così, si diresse alla segreteria della scuola, sperando di andare a fondo della questione.

«No» rispose il segretario, senza sorpresa né compassione. «Nessun errore. Qui dice che lei non è iscritto a nessun corso. Però, c’è un messaggio nel suo fascicolo.»

Il messaggio era semplice ed esplicito. Greyson Tolliver doveva presentarsi seduta stante alla sede locale dell’Interfaccia dell’Autorità.

«Perché?» chiese, ma il segretario si limitò ad alzare le spalle e a guardare la persona in coda dietro a Greyson.

Sebbene il Thunderhead in se stesso non avesse necessità di una sede di lavoro, i suoi colleghi umani sì. In ogni città, in ogni regione, c’era un ufficio dell’Interfaccia dell’Autorità, dove migliaia di agenti Nimbus erano occupati a prendersi cura del mondo, e facevano bene il loro lavoro. Il Thunderhead era riuscito a realizzare qualcosa di unico nella storia dell’umanità: una burocrazia che funzionava davvero.

Gli uffici dell’Interfaccia dell’Autorità, o IA, come veniva comunemente chiamata, non erano arredati in modo ricercato e non erano nemmeno particolarmente austeri, ma si armonizzavano con l’architettura circostante. Infatti, si indovinava spesso quale fosse l’edificio dell’IA locale, perché era quello che si integrava meglio nell’ambiente.

A Fulcrum City, la capitale della MidMerica, la sede dell’IA era un’imponente costruzione di granito bianco e vetro blu scuro. Con sessantasette piani, raggiungeva l’altezza media dei grattacieli del centro. Una volta, gli agenti Nimbus midmericani avevano cercato di convincere il Thunderhead a realizzare un edificio più alto per fare colpo sulla popolazione e addirittura sul mondo.

«Non ho bisogno di fare colpo su nessuno» aveva risposto il Thunderhead agli agenti Nimbus delusi. «E se pensate che l’Interfaccia dell’Autorità debba essere più visibile, forse avreste bisogno di riconsiderare le vostre priorità.»

Subito rimessi in riga, gli agenti Nimbus midmericani erano tornati al lavoro con la proverbiale coda tra le gambe. Il Thunderhead era il potere senza superbia e la sua totale incorruttibilità aveva rincuorato gli amareggiati agenti Nimbus.

Una volta superata la porta girevole, Greyson si sentì fuori posto nell’atrio di marmo lucido, dello stesso color grigio chiaro degli abiti che lo circondavano. Lui non aveva un abito. Portava quello che più ci si avvicinava: pantaloni un po’ sgualciti, una camicia bianca e una cravatta verde sempre sbilenca, nonostante cercasse ogni volta di raddrizzarla.

Quella cravatta gli era stata regalata dal Thunderhead qualche mese prima. Si domandò se per caso all’epoca sapesse già che sarebbe stato convocato a quella riunione.

Una giovane agente che lo aspettava alla reception lo salutò. Era cordiale e vivace, e si mise a stringergli la mano con un vigore un po’ eccessivo. «Ho appena iniziato l’ultimo anno di formazione sul campo. A quanto ne so, è la prima volta che una matricola viene convocata al quartier generale.» Mentre parlava, continuava a stringergli la mano. Greyson era a disagio e si chiese cosa fosse peggio, se assecondarla o liberarsi dalla stretta. Alla fine, ritrasse la mano facendo finta di doversi grattare il naso.

«Lei deve aver fatto qualcosa di molto buono o di molto brutto» commentò la ragazza.

«Io non ho fatto un bel niente» si ribellò, anche se era chiaro che lei non gli credeva.

L’agente lo accompagnò in un salone accogliente, con due poltrone in cuoio dallo schienale alto, una libreria di classici e ninnoli dozzinali. Al centro, spiccava un tavolino con un vassoio d’argento pieno di biscotti e una brocca, sempre d’argento, d’acqua ghiacciata. Era la classica “sala delle udienze”, destinata a essere usata nei casi in cui era necessario un tocco umano come tramite per parlare con il Thunderhead. Greyson ne fu turbato, perché lui parlava sempre direttamente con il Thunderhead. Non riusciva a capire di cosa potesse trattarsi.

Qualche minuto dopo, un agente Nimbus snello, che sembrava già stanco anche se la giornata era appena iniziata, entrò presentandosi come “agente Traxler”. Apparteneva alla prima categoria di cui gli aveva parlato il Thunderhead: quella dei privi di ispirazione.

Si sedette di fronte a Greyson e si mise a fare conversazione. «Immagino che abbia trovato facilmente il posto, bla bla bla», «Prenda un biscotto, sono buoni, bla bla bla.» Greyson era sicuro che dicesse le stesse cose a tutti quelli che riceveva.

«Ha idea del motivo per cui è stato convocato?»

«No.»

«Lo immaginavo.»

“Allora perché me lo chiede?” pensò Greyson, ma non osò dirlo ad alta voce.

«Lei è stato convocato perché il Thunderhead desidera che io le ricordi le regole della nostra agenzia per quanto riguarda la Compagnia delle falci.»

Greyson si sentiva offeso, e non si sforzò nemmeno di nasconderlo. «Conosco le regole.»

«Sì, ma il Thunderhead desidera che io gliele ripeta.»

«Perché non lo fa lui stesso?»

L’agente Traxler emise un sospiro esasperato. Probabilmente sospirava spesso in quel modo. «Come ho detto, il Thunderhead desidera che lo faccia io

Non c’era verso di uscirne. «Va bene, allora» si arrese Greyson. Poi, rendendosi conto che la sua frustrazione era virata verso l’insolenza, si affrettò a fare marcia indietro. «La ringrazio per il suo personale interesse nella faccenda. Consideri compiuta la sua missione.»

L’agente Traxler si allungò per prendere il tablet. «Ripassiamo le regole?»

Greyson inspirò a fondo e trattenne il fiato, per timore che gli uscisse un urlo. Che cosa aveva in testa il Thunderhead? Una volta tornato nella sua stanza, avrebbe avuto una lunga conversazione con lui. Non aveva problemi a discuterci. Lo facevano regolarmente. Certo, il Thunderhead l’aveva sempre vinta, anche quando perdeva, perché Greyson sapeva che lo faceva di proposito.

«Clausola numero uno della separazione tra falci e Stato…» iniziò Traxler, e andò avanti per almeno un’ora, controllando di tanto in tanto se Greyson lo stava ascoltando. «Mi segue?» e: «Ha sentito?». Greyson annuiva, assentiva o, quando riteneva che fosse necessario, ripeteva parola per parola quello che Traxler aveva letto.

Quando l’agente Nimbus ebbe finito, invece di mettere via il tablet, estrasse due immagini. Gliele mostrò e disse: «Ora, un quiz». Greyson riconobbe subito la prima, Madame Curie, grazie ai lunghi capelli argentei e la veste color lavanda. La seconda era una ragazza della sua età. A giudicare dalla veste turchese, doveva essere anche lei una falce.

«Se il Thunderhead avesse legalmente la possibilità di farlo, avvertirebbe Madame Curie e Madame Anastasia che la loro vita è in pericolo. La minaccia che incombe su queste due donne esclude ogni possibilità di rianimazione. Se il Thunderhead o uno dei suoi agenti le avvisasse, quale clausola della separazione tra falci e Stato si violerebbe?»

«Ehm… clausola numero quindici, paragrafo due.»

«In realtà è la clausola numero quindici, paragrafo tre, ma ci è andato abbastanza vicino.» Appoggiò il tablet. «Quali sono le conseguenze per uno studente dell’Accademia dei Nimbus se mette al corrente le due falci di questa minaccia?»

Greyson non rispose subito; al pensiero delle conseguenze, gli si gelò il sangue. «Espulsione dall’Accademia.»

«Espulsione a vita» sottolineò Traxler. «Lo studente non potrà mai più fare domanda per entrare all’Accademia dei Nimbus né a nessun’altra.»

Greyson lanciò un’occhiata ai biscottini. Era contento di non averne mangiati, perché avrebbe potuto vomitarli in faccia a Traxler. Eppure, si sarebbe sentito molto meglio se lo avesse fatto. Si immaginò il viso sciupato dell’agente gocciolante di vomito. Per poco l’immagine non gli strappò un sorriso. Per poco.

«Allora, le è ben chiaro che non può avvertire, in nessun caso, Madame Anastasia e Madame Curie della minaccia?»

Greyson si strinse nelle spalle, senza convinzione. «Come potrei avvertirle? Non so nemmeno dove vivono.»

«Abitano in una residenza piuttosto famosa, chiamata la Casa sulla cascata. L’indirizzo è facile da trovare» rispose l’agente Traxler; poi ripeté, come se Greyson non lo avesse sentito già la prima volta: «Se le avverte della minaccia, di cui ora lei è a conoscenza, ne subirà le conseguenze che abbiamo discusso». Detto questo, l’agente Traxler andò subito a prepararsi per un’altra udienza, senza neppure salutarlo.

Era notte quando Greyson rientrò al dormitorio dell’Accademia. Il suo compagno di stanza, un ragazzo entusiasta quasi quanto la giovane agente Nimbus che gli aveva stretto la mano con forza, non la smetteva di parlare. Greyson avrebbe voluto prenderlo a schiaffi.

«Il professore di etica ci ha chiesto di analizzare dei casi giudiziari dell’età mortale. Mi è toccato il caso di Brown contro la Commissione scolastica, o qualcosa del genere. E il professore di teoria digitale mi ha chiesto di scrivere un tema su Bill Gates, non la falce, quello vero. E non ti dico filosofia.»

Greyson lo lasciò blaterare, ma smise di ascoltarlo. Preferiva ripassare mentalmente tutto quello che era successo all’IA ancora una volta, come se potesse cambiare qualcosa. Sapeva cosa si aspettavano da lui. Il Thunderhead non poteva infrangere la legge. Ma lui sì. Certo, come l’agente Traxler aveva sottolineato, le conseguenze sarebbero state gravi, se l’avesse fatto. Maledisse la sua coscienza perché, essendo la persona che era, come avrebbe potuto non avvertire Madame Anastasia e Madame Curie, qualunque fosse stato il prezzo da pagare?

«Ti hanno dato dei compiti, oggi?» gli chiese il suo compagno di stanza chiacchierone.

«No» rispose secco. «Al contrario.»

«Fortunato te.»

Eppure, Greyson non si sentiva affatto fortunato.

Thunderhead
p000_cover.xhtml
toc.xhtml
p001_il-libro.xhtml
p002_l-autore.xhtml
p003_frontispiece.xhtml
p004_half-title.xhtml
p005_parte-01.xhtml
p006_parte-01_01.xhtml
p007_capitolo-01.xhtml
p008_capitolo-01_01.xhtml
p009_capitolo-02.xhtml
p010_capitolo-02_01.xhtml
p011_capitolo-03.xhtml
p012_capitolo-03_01.xhtml
p013_capitolo-04.xhtml
p014_capitolo-04_01.xhtml
p015_capitolo-05.xhtml
p016_capitolo-05_01.xhtml
p017_capitolo-06.xhtml
p018_capitolo-06_01.xhtml
p019_capitolo-07.xhtml
p020_parte-02.xhtml
p021_parte-02_01.xhtml
p022_capitolo-08.xhtml
p023_capitolo-08_01.xhtml
p024_capitolo-09.xhtml
p025_capitolo-09_01.xhtml
p026_capitolo-10.xhtml
p027_capitolo-10_01.xhtml
p028_capitolo-11.xhtml
p029_capitolo-11_01.xhtml
p030_capitolo-12.xhtml
p031_capitolo-12_01.xhtml
p032_capitolo-13.xhtml
p033_capitolo-13_01.xhtml
p034_capitolo-14.xhtml
p035_parte-03.xhtml
p036_parte-03_01.xhtml
p037_capitolo-15.xhtml
p038_capitolo-15_01.xhtml
p039_capitolo-16.xhtml
p040_capitolo-16_01.xhtml
p041_capitolo-17.xhtml
p042_capitolo-17_01.xhtml
p043_capitolo-18.xhtml
p044_capitolo-18_01.xhtml
p045_capitolo-19.xhtml
p046_capitolo-19_01.xhtml
p047_capitolo-20.xhtml
p048_capitolo-20_01.xhtml
p049_capitolo-21.xhtml
p050_capitolo-21_01.xhtml
p051_capitolo-22.xhtml
p052_capitolo-22_01.xhtml
p053_capitolo-23.xhtml
p054_parte-04.xhtml
p055_parte-04_01.xhtml
p056_capitolo-24.xhtml
p057_capitolo-24_01.xhtml
p058_capitolo-25.xhtml
p059_capitolo-25_01.xhtml
p060_capitolo-26.xhtml
p061_capitolo-26_01.xhtml
p062_capitolo-27.xhtml
p063_capitolo-27_01.xhtml
p064_capitolo-28.xhtml
p065_capitolo-28_01.xhtml
p066_capitolo-29.xhtml
p067_parte-05.xhtml
p068_parte-05_01.xhtml
p069_capitolo-30.xhtml
p070_capitolo-30_01.xhtml
p071_capitolo-31.xhtml
p072_capitolo-31_01.xhtml
p073_capitolo-32.xhtml
p074_capitolo-32_01.xhtml
p075_capitolo-33.xhtml
p076_capitolo-33_01.xhtml
p077_capitolo-34.xhtml
p078_capitolo-34_01.xhtml
p079_capitolo-34_02.xhtml
p080_capitolo-35.xhtml
p081_capitolo-35_01.xhtml
p082_capitolo-36.xhtml
p083_capitolo-37.xhtml
p084_capitolo-38.xhtml
p085_parte-06.xhtml
p086_parte-06_01.xhtml
p087_capitolo-39.xhtml
p088_capitolo-39_01.xhtml
p089_capitolo-40.xhtml
p090_capitolo-40_01.xhtml
p091_capitolo-41.xhtml
p092_capitolo-41_01.xhtml
p093_capitolo-42.xhtml
p094_capitolo-42_01.xhtml
p095_capitolo-43.xhtml
p096_capitolo-43_01.xhtml
p097_capitolo-44.xhtml
p098_capitolo-44_01.xhtml
p099_capitolo-45.xhtml
p100_capitolo-45_01.xhtml
p101_capitolo-46.xhtml
p102_capitolo-47.xhtml
p999_copyright.xhtml