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Un sibilo di seta cremisi

Un losco! Greyson aveva l’impressione di avere un pezzo di cartilagine in bocca. Non poteva sputarlo, e non poteva nemmeno inghiottirlo. Poteva solo continuare a masticare, sperando di riuscire a ridurlo in qualcosa di digeribile.

I loschi rubavano, ma non la facevano mai franca. Lanciavano minacce, ma non le mettevano mai in pratica. Bestemmiavano, trasudavano arroganza come muschio, ma non erano altro che questo: un cattivo odore. Il Thunderhead impediva loro di compiere azioni malvagie, e svolgeva così bene quel compito che i loschi avevano rinunciato ormai da tempo a commettere crimini più gravi di piccole illegalità, atteggiamenti di tracotanza e recriminazioni.

L’Interfaccia dell’Autorità aveva un ufficio dedicato per intero a trattare con loro, perché i loschi non erano autorizzati a comunicare direttamente con il Thunderhead. Erano sempre in libertà vigilata e dovevano incontrarsi a intervalli regolari con dei referenti. I più recalcitranti erano affidati a un ufficiale di pace personale che li sorvegliava ventiquattro ore su ventiquattro. Il programma aveva avuto successo, come dimostrava il fatto che molti loschi avevano sposato i loro ufficiali di pace e si erano rimessi sulla retta via.

Greyson non riusciva a immaginarsi in mezzo a quella gente. Non aveva mai rubato nulla. A scuola, avevano giocato a fare i tipi loschi, ma era per ridere, una cosa da bambini, che era finita presto.

Greyson ebbe un assaggio della sua nuova vita ancora prima di arrivare a casa. Non avevano ancora lasciato l’Accademia dei Nimbus che la publicar su cui era salito gli fece una ramanzina.

«Tenga presente che ogni tentativo di vandalismo determinerà la sospensione istantanea della corsa e la conseguente espulsione sul marciapiede.»

Greyson si immaginò un seggiolino eiettabile che lo lanciava in cielo. Avrebbe riso al pensiero, se una vocina interiore non gli avesse sussurrato che poteva anche essere possibile.

«Non si preoccupi. Sono già stato espulso una volta oggi, e mi è bastato.»

«Perfetto» rispose la macchina. «Mi comunichi la destinazione evitando di usare un linguaggio offensivo, per favore.»

Sulla strada di casa, si fermò al mercato, ricordandosi che il frigorifero era vuoto da due mesi. In fila per pagare, la cassiera lo guardò con diffidenza, come se stesse per intascarsi un pacchetto di gomme. Anche le persone in coda si mostrarono fredde nei suoi confronti. L’aura di pregiudizio era palpabile. “Chi può mai scegliere una vita simile?” si chiese. Eppure, c’era qualcuno che lo faceva. Un suo cugino era diventato losco per scelta.

«È liberatorio non doversi più preoccupare di niente e di nessuno» gli aveva confessato il cugino. Buffo, visto che gli avevano impiantato chirurgicamente delle catene metalliche ai polsi, una modifica corporea molto di moda tra i loschi. Alla faccia della libertà.

E non erano solo gli sconosciuti che lo trattavano in modo diverso.

Una volta arrivato a casa, dopo aver messo in ordine le poche cose che si era portato in Accademia, si sedette e inviò un messaggio agli amici per informarli che era tornato e che le cose non erano andate come aveva sperato. Greyson non era mai stato il tipo di persona che coltiva amicizie intime. Non aveva mai aperto il suo cuore né rivelato le sue più profonde vulnerabilità a nessuno. Il Thunderhead era lì per quello, dopotutto. Il che voleva dire che ora non aveva più nessuno. I suoi amici sparivano nei momenti difficili. Amici per convenienza.

Non gli rispose nessuno, e Greyson si meravigliò che bastasse così poco per rimuovere il sottile velo dell’amicizia e far apparire la verità. Alla fine, ne chiamò alcuni. La maggior parte lasciò scattare la segreteria. Quelli che risposero lo fecero per sbaglio, non rendendosi conto che era lui a chiamare. Sui loro schermi, ora il suo nome appariva associato alla categoria di “losco”, per cui mettevano fine alla conversazione in fretta, nel modo più gentile possibile. Nessuno arrivò al punto di bloccare le sue telefonate, ma dubitava che sarebbe riuscito a mettersi in contatto con qualcuno. Almeno finché la grande L rossa non fosse stata eliminata dal suo profilo.

Ricevette però messaggi da persone che non conosceva.

“Amico” scrisse una ragazza, “benvenuto nel branco! Ubriachiamoci e andiamo a rompere qualcosa.” La foto mostrava una testa rasata a zero e un pene tatuato sulla guancia.

Greyson chiuse il computer e lo lanciò contro il muro. «E questo non è rompere qualcosa?» gridò alla stanza vuota. Magari quel mondo perfetto offriva un posto a tutti, ma il suo posto non era nello stesso universo della ragazza con il pene tatuato sulla guancia.

Recuperò il computer che, nonostante fosse in pessime condizioni, funzionava ancora. Di sicuro, un drone era già in viaggio con un nuovo modello, sempre che i dispositivi informatici dei loschi venissero sostituiti automaticamente.

Si collegò di nuovo alla rete, eliminò tutti i messaggi in entrata, perché provenivano da loschi che gli davano il benvenuto, e in preda alla frustrazione scrisse un messaggio al Thunderhead.

“Come hai potuto farmi questo?”

La risposta fu immediata. Diceva: “ACCESSO NEGATO ALLA CORTECCIA COSCIENTE DEL THUNDERHEAD”.

Mentre pensava che quella giornata non potesse andare peggio, la Compagnia si presentò alla sua porta.

Madame Curie e Madame Anastasia non avevano prenotato all’hotel Grand Mericana di Louisville. Andarono direttamente alla reception e venne loro assegnata una stanza. Le cose funzionavano così: le falci non avevano mai bisogno di fare prenotazioni, prendere biglietti o fissare appuntamenti. Negli hotel, ottenevano sempre la migliore suite disponibile e, se erano al completo, ne appariva una come per magia. A Madame Curie non interessava la migliore. Chiese la camera con due letti più modesta che avevano.

«Quanto resterete?» domandò l’addetto. Si era sentito nervoso e agitato fin dal momento in cui le aveva viste avvicinarsi. Faceva saettare lo sguardo da una all’altra, come se staccare gli occhi da una delle due per un solo secondo potesse risultargli fatale.

«Resteremo finché non decideremo di andarcene» rispose Madame Curie, prendendo la chiave. Citra gli rivolse un sorriso per tranquillizzarlo, prima di allontanarsi.

Rifiutarono l’aiuto del fattorino e si portarono i bagagli da sole. Non appena ebbero messo piede nella suite, Madame Curie era già pronta per uscire. «A parte le nostre preoccupazioni personali, abbiamo una responsabilità. C’è della gente che deve morire. Spigolerai con me oggi?»

Citra era sorpresa che Marie fosse in grado di lasciarsi alle spalle così presto l’attentato e di tornare a occuparsi della vita normale.

«Veramente, devo completare una spigolatura del mese scorso.»

Madame Curie sospirò. «Il tuo metodo ti fa lavorare il doppio. È lontano?»

«Appena un’ora di treno. Rientrerò prima che sia buio.»

Madame Curie si accarezzò la lunga treccia, osservando la giovane falce. «Potrei venire con te, se vuoi. Potrei spigolare da quelle parti.»

«Non ti preoccupare, Marie. Bersaglio in movimento, giusto?»

Per un istante pensò che la sua mentore volesse insistere, ma non lo fece. «Bene. Tieni gli occhi ben aperti, e se vedi qualcosa che ti sembra anche lontanamente sospetto, avvertimi subito.»

Citra sapeva che l’unica da sospettare al momento era lei stessa, perché aveva mentito sulla sua destinazione.

Nonostante l’ammonimento di Madame Curie, non poteva certo dimenticare il ragazzo che aveva salvato loro la vita. Aveva già fatto una ricerca su di lui. Greyson Timothy Tolliver. Aveva circa sei mesi più di lei, anche se sembrava più giovane. Dal suo passato non risultava nulla degno di nota, sia in senso positivo sia in senso negativo. Nulla di insolito: quel ragazzo era come la maggior parte della gente. Viveva, tutto qui. La sua esistenza non presentava né meriti né demeriti. O almeno così era stato fino a quel momento. In un solo giorno, la sua vita tiepida e mite si era animata parecchio.

Quando aveva letto la sua storia, l’avviso lampeggiante “losco” si era sovrapposto agli occhi innocenti della sua foto e le aveva strappato una risata. Quel ragazzo era losco quanto poteva esserlo un lecca-lecca. Viveva in una modesta casa di Higher Nashville. Due sorelle all’università, decine di fratellastri più grandi con cui non aveva rapporti e genitori assenti.

Quanto alla sua tempestiva apparizione sulla strada, le dichiarazioni del giovane erano già pubbliche, e Citra poté prenderne visione. Non aveva motivo di dubitare della sua parola. A parti invertite, lei avrebbe fatto lo stesso.

Dato che non era più uno studente Nimbus, avrebbe potuto contattarlo e fargli visita senza infrangere la legge. Non sapeva bene cosa avrebbe ottenuto incontrandolo, ma era sicura che, se non lo avesse fatto, il pensiero della morte di quel giovane avrebbe continuato a perseguitarla. Forse, voleva solo assicurarsi che fosse stato rianimato. Era così abituata a vedere la luce spegnersi per sempre negli occhi delle persone che probabilmente aveva bisogno di ricevere la prova concreta che fosse vivo.

Arrivata nella via, scorse un mezzo della Suprema Guardia, l’élite delle forze di polizia della Compagnia, parcheggiato davanti a casa del ragazzo. Per un istante fu sul punto di andarsene perché, se gli ufficiali della Suprema Guardia l’avessero vista, di sicuro Madame Curie sarebbe venuta a sapere che si era recata in quel luogo. Preferiva evitare di prendersi una bella lavata di capo.

Si convinse però a restare ripensando all’esperienza che aveva avuto con la Suprema Guardia. A differenza degli ufficiali di pace, che rispondevano al Thunderhead, la Suprema Guardia era agli ordini diretti della Compagnia, il che voleva dire che aveva molta più libertà di azione. Fondamentalmente, le falci potevano fare quello che volevano.

La porta era aperta ed entrò. Nel soggiorno, Greyson Tolliver era seduto su una sedia a schienale diritto, sotto la sorveglianza di due guardie ben piazzate. Aveva i polsi legati con lo stesso tipo di braccialetti in acciaio che le avevano messo quando era stata accusata dell’omicidio di Maestro Faraday. Una delle guardie aveva in mano un aggeggio che Citra non aveva mai visto prima. L’altra parlava al ragazzo.

Citra sentì dire all’uomo: «… naturalmente, se dirai la verità, non ti accadrà nulla». Si era persa, però, le spiacevoli minacce che aveva rivolto al ragazzo.

Tolliver non sembrava ferito. Era un po’ spettinato e aveva l’aria rassegnata ma, a parte questo, stava bene. Fu il primo ad accorgersi di lei, e in quell’istante, una scintilla gli illuminò lo sguardo e lo riscosse da quello stato triste e passivo, come se la sua rianimazione si fosse completata solo nel momento in cui aveva constatato che anche lei era ancora viva.

Le guardie seguirono lo sguardo del ragazzo e la videro. Citra si affrettò a prendere la parola.

«Che succede qui?» chiese nel suo tono altezzoso da Madame Anastasia.

Per un istante, le guardie si fissarono in preda al panico, poi si fecero subito servili.

«Eccellenza! Non sapevamo che sarebbe venuta. Stavamo interrogando il sospettato.»

«Non è un sospettato.»

«Sì, eccellenza. Ci scusi, eccellenza.»

Si avvicinò al ragazzo. «Ti hanno fatto del male?»

«Non ancora» rispose lui, poi indicò con il mento l’aggeggio che aveva in mano la guardia più alta, «ma hanno usato quella cosa per disattivare i miei naniti analgesici.»

Citra non sapeva nemmeno che esistesse un oggetto del genere. Allungò la mano in direzione della guardia. «Me lo dia.» Vedendolo esitare, alzò la voce. «Sono una falce e lei è al mio servizio. Me lo consegni o le farò rapporto.» L’uomo non accennò a obbedire.

In quell’istante, entrò in gioco un nuovo elemento. Una falce uscì da un’altra stanza. Doveva essere stata lì ad ascoltare fin dall’inizio, valutando il momento opportuno per farsi avanti. Con un tempismo perfetto, colse Citra in contropiede.

Lei riconobbe subito la veste. Un sibilo di seta cremisi al suo passaggio. I tratti del viso erano delicati, quasi femminili, il risultato di così tanti ringiovanimenti che la struttura ossea sembrava essersi consumata, come sassi di fiume erosi dallo scorrere incessante dell’acqua.

«Maestro Costantino. Non sapevo che fosse stato incaricato dell’indagine.» L’unica buona notizia della sua presenza lì era che, se stava investigando sull’attentato ai danni suoi e di Marie, allora non era a caccia di Rowan.

Costantino le rivolse un sorriso educato ma inquietante. «Buongiorno, Madame Anastasia. Lei è una boccata di aria fresca in questa faticosa giornata!» Pareva un gatto che avesse messo all’angolo la preda e che si apprestasse a giocarci. Non aveva proprio idea di cosa pensare di lui. Come aveva detto a Rowan, Maestro Costantino non era una delle terribili falci del nuovo ordine che uccidevano per piacere. Non era nemmeno della vecchia guardia, che considerava la spigolatura una missione nobile, quasi sacra. Come la sua veste di seta rossa, era scivoloso e liscio, e si schierava con chiunque gli convenisse. Se questa caratteristica lo rendesse imparziale o pericoloso per l’indagine, Citra non avrebbe saputo dirlo, perché ignorava da quale parte stesse.

Comunque, aveva una presenza formidabile, che la metteva in soggezione. Poi, si ricordò di non essere più Citra Terranova, ma Madame Anastasia. Ricordarlo la trasformò, e trovò il coraggio di tenergli testa. Ora il suo sorriso le pareva più calcolatore che intimidatorio.

«Mi rallegra constatare che si interessa alla nostra indagine. Ma avrei preferito che ci avesse comunicato il suo arrivo. L’avremmo accolta con un rinfresco.»

Greyson Tolliver era ben consapevole che per lui Madame Anastasia si stava gettando sotto le ruote di un veicolo in corsa, perché era chiaro che Maestro Costantino era pericoloso quanto una scheggia impazzita. Greyson sapeva ben poco della struttura e della complessità della Compagnia, ma era evidente che, affrontando una falce anziana, Madame Anastasia si stava mettendo in gioco in prima persona.

Nonostante tutto, aveva una presenza così imponente che Greyson si chiese se in realtà fosse molto più vecchia di quanto appariva.

«Lei sa che questo ragazzo ha salvato la mia vita e quella di Madame Curie?» domandò a Costantino.

«In circostanze sospette.»

«Gli infliggerà una punizione corporale?»

«E se anche fosse?»

«Allora, devo ricordarle che la tortura è una pratica contraria ai principi della Compagnia, e per questo chiederò al conclave di adottare un provvedimento disciplinare nei suoi confronti.»

L’espressione impassibile sul viso di Maestro Costantino svanì per un istante. Greyson non sapeva se fosse un bene o un male. Costantino fissò per un attimo Madame Anastasia prima di rivolgersi a una delle guardie.

«Sia così gentile da ripetere a Madame Anastasia cosa vi ho ordinato di fare.»

La guardia lanciò un’occhiata a Madame Anastasia, ma Greyson notò che non riuscì a sostenerne lo sguardo per più di un secondo.

«Ci ha ordinato di ammanettare il sospetto, di disattivargli i naniti analgesici e di minacciarlo con diverse forme di sofferenza fisica.»

«Esatto!» esclamò Maestro Costantino, poi si voltò verso Anastasia. «Vede? Non abbiamo commesso nessun abuso.»

Greyson era indignato quanto Madame Anastasia, ma non osò esprimersi.

«Nessun abuso? Ha intenzione di picchiarlo finché non le dirà quello che vuole sentirsi dire.»

Costantino sospirò e si rivolse alla guardia. «Cosa vi ho detto di fare nel caso in cui non aveste ottenuto alcun risultato? Vi ho forse detto di mettere in pratica le minacce?»

«No, eccellenza. Avremmo solo dovuto avvertirla se non avesse cambiato la sua versione dell’accaduto.»

Costantino allargò le braccia in un gesto di beata innocenza. Le ampie maniche rosse della veste sembravano le ali di un uccello di fuoco pronto a divorare la giovane falce. «Ecco, vede? Non c’è mai stata nessuna intenzione di fare del male al ragazzo. Ho scoperto che in questo mondo senza dolore, la semplice minaccia della sofferenza basta a indurre un colpevole a confessare. Ma questo giovane insiste a confermare la sua versione nonostante le minacce più terribili. Sono quindi convinto che stia dicendo la verità e, se mi avesse consentito di terminare l’interrogatorio, lo avrebbe appurato lei stessa.»

Greyson aveva la netta sensazione che tutti potessero percepire il sollievo attraversarlo come una scarica elettrica. Costantino era sincero? Non era in grado di giudicare. Le falci, per lui, erano imperscrutabili. Vivevano su un piano superiore, oliando gli ingranaggi del mondo. Non aveva mai sentito di una falce che infliggeva intenzionalmente altre sofferenze a parte quelle della spigolatura ma, solo perché lui non lo aveva mai sentito, non voleva dire che non fosse possibile.

«Sono una falce con il senso dell’onore e condivido i suoi stessi ideali, Anastasia. Quanto al ragazzo, non è mai stato in pericolo. Sebbene ora sia tentato di spigolarlo solo per farle un dispetto.» Rimase qualche secondo in silenzio, per lasciar sedimentare le sue parole. Il cuore di Greyson saltò un paio di battiti. Madame Anastasia, che era arrossita di rabbia, impallidì. «Ma non lo farò, perché non sono un uomo che porta rancore.»

«Che tipo di uomo è, allora, Maestro Costantino?» chiese Anastasia.

Le lanciò le chiavi delle manette. «Il tipo che non dimenticherà tanto presto ciò che è accaduto qui oggi.» Se ne andò con un fruscio della veste, seguito dalle sue guardie.

Quando furono usciti, Madame Anastasia si affrettò a togliere le manette a Greyson. «Ti hanno fatto del male?»

«No» ammise lui. «Come ha detto, erano solo minacce.» Ma, ora che era tutto finito, si rese conto che non stava meglio rispetto a prima che arrivassero. Il suo sollievo fu presto rimpiazzato dalla stessa amarezza che lo aveva afflitto da quando l’Accademia dei Nimbus l’aveva messo alla porta.

«A ogni modo, perché è qui?» le chiese.

«Volevo ringraziarti per quello che hai fatto. Ti è costato molto.»

«Sì» ammise Greyson. «È vero.»

«Quindi, in ragione di ciò, ti offro un anno di immunità. È il minimo che possa fare.»

Citra gli porse la mano. Greyson non aveva mai ricevuto l’immunità. Non era mai stato così vicino a una falce prima di quella settimana d’inferno, tantomeno all’anello di una falce. Risplendeva anche nella luce diffusa della stanza, ma il centro era stranamente scuro. Si accorse che voleva continuare a guardarlo, ma non desiderava in alcun modo accettare l’immunità che gli veniva concessa con l’anello.

«Non la voglio.»

La risposta la sorprese. «Non essere stupido, tutti vogliono l’immunità.»

«Io non sono tutti.»

«Taci e bacia l’anello!»

Citra era irritata, e lui ancora di più. Era dunque quello il prezzo del suo sacrificio? Un biglietto gratuito temporaneo per sfuggire alla morte? La vita che avrebbe voluto fare era sfumata, a che serviva cercare di prolungarla?

«Forse voglio essere spigolato. Insomma, tutto ciò per cui valeva la pena vivere mi è stato tolto. A che scopo, allora, continuare a vivere?»

Madame Anastasia abbassò l’anello. Si fece seria. Troppo seria. «Bene. Allora, ti spigolerò.»

Greyson non se l’aspettava. Poteva farlo, se voleva. Poteva farlo prima che lui avesse la possibilità di fermarla. Non voleva baciare l’anello, ma non voleva nemmeno essere spigolato.

Avrebbe voluto dire che l’unico scopo di tutta la sua vita era stato farsi investire dall’auto delle due falci. Doveva continuare a vivere, il tempo di crearsi uno scopo ben più ambizioso. Anche se non sapeva proprio quale.

Madame Anastasia scoppiò a ridere. Stava ridendo proprio di lui. «Se solo potessi vedere la tua faccia!»

Ora toccava a Greyson arrossire, non per la rabbia, ma per l’imbarazzo. Forse non aveva ancora finito di autocommiserarsi, ma non avrebbe certo voluto farlo davanti a lei.

«Prego. Ecco, mi ha ringraziato, io ho accettato i suoi ringraziamenti. Ora può andare.»

Lei non si mosse. Greyson non se l’aspettava proprio.

«È vero quello che dici?» chiese.

Se un’altra persona glielo avesse domandato, sarebbe potuto esplodere, scavandosi il proprio cratere. Così le disse quello che voleva sentire. «Non so chi ha messo gli esplosivi. Non faccio parte del complotto.»

«Non hai risposto alla mia domanda.»

Madame Anastasia attese, pazientemente. Non lanciò minacce, non gli fece promesse. Greyson non sapeva se poteva fidarsi di lei, ma si rese conto che non gli importava più. Era stanco di dissimulare e dire mezze verità.

«No. Ho mentito.» Ammettendolo, si sentì libero.

«Perché?» Madame Anastasia non sembrava arrabbiata, solo curiosa.

«Perché era meglio per tutti.»

«Tutti, meno che per te.»

Lui alzò le spalle. «Non sarebbe cambiato nulla per me, qualsiasi cosa avessi detto.»

Madame Anastasia accettò la sua spiegazione e si sedette di fronte a lui, fissandolo a lungo. La cosa non gli piacque. Lei era ancora una volta su un piano superiore, assorta nei suoi pensieri segreti. Chissà quali macchinazioni passavano per la testa di un’assassina socialmente accettata.

Madame Anastasia annuì. «È stato il Thunderhead. Sapeva del complotto, ma non poteva avvertirci. Aveva bisogno di una persona di fiducia che se ne occupasse. Qualcuno che prendesse nota dell’informazione e agisse di sua iniziativa.»

Greyson si meravigliò per la perspicacia: era stata l’unica a capirlo.

«Anche se fosse vero, non glielo direi.»

Lei sorrise. «Non vorrei che lo facessi.» Continuò a fissarlo, con un’espressione gentile, ma che denotava anche un po’ di rispetto. Addirittura! Una falce che mostrava rispetto per Greyson Tolliver!

Madame Anastasia si alzò per uscire. Lui si rattristò nel vederla andare via. Restare solo con la sua L lampeggiante e i suoi pensieri disfattisti non gli andava proprio.

«Mi dispiace che ti abbiano affibbiato il marchio di losco» gli disse prima di allontanarsi. «Ma, anche se non puoi parlare con il Thunderhead, puoi sempre accedere a tutte le sue informazioni. Siti web, banche dati: tutto, a parte la sua coscienza.»

«A che serve se non ho più una mente a guidarmi?»

«Hai sempre la tua mente» gli fece notare lei. «Varrà pure qualcosa.»

Thunderhead
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