Judith Cochrane si sedette alla piccola scrivania di fronte alla finestra che dava sulla cella di Saif Rahman Yasin. Anche quel giorno era seduto sul letto. Teneva in grembo un blocco e una matita. Vedendo il suo avvocato, si avvicinò alla finestra e sedette sullo sgabello, portando con sé la carta e la matita.
Sorrise e con un cenno del capo sollevò il ricevitore del telefono rosso sul pavimento.
La Cochrane lo salutò: «Buongiorno».
«Molte grazie per avermi fatto ricevere della carta e una matita.»
«Nessun problema. Era una richiesta ragionevole.»
«Be’, per me è molto importante. Gliene sono grato.»
La Cochrane proseguì: «La sua richiesta di habeas corpus è stata rifiutata. Ce lo aspettavamo, ma non potevamo non tentare questa mossa».
«Non mi sorprende. Non credevo certo che mi lasciassero andar via.»
«Ora farò richiesta alla corte di permetterle…»
«Sa disegnare, signorina Cochrane?»
Non era sicura di aver capito bene. «Disegnare?»
«Sì.»
«Be’… no. Non molto.»
«A me piace. Per un breve periodo ho studiato arte in Inghilterra, all’università, poi ho continuato come passatempo. Di solito disegno opere architettoniche. Mi affascina molto il design degli edifici di tutto il mondo.»
Judith non capiva dove volesse andare a parare. «Magari posso farle avere della carta di qualità migliore, oppure…»
Ma Yasin scosse la testa. «Questa va bene. Nella mia religione, è peccato ritrarre il volto di qualsiasi individuo.» Alzò la matita come per chiarire il punto. «Ma solo se lo si fa per nessuna ragione particolare. Non è peccato se lo si fa per ricordare un volto per qualche ragione importante.»
«Capisco» rispose la Cochrane, pur continuando a non cogliere il senso della conversazione.
«Mi piacerebbe mostrarle alcuni dei miei lavori e poi, magari, potrei insegnarle qualcosa su quest’arte.» L’Emiro prese dal blocco quattro fogli che aveva già staccato. Li tenne sollevati, uno per volta, verso lo spesso vetro antiproiettile. Aggiunse: «Judith Cochrane, se vuole occuparsi del mio caso, se la sua organizzazione ha qualche interesse nel mantenere la sua nazione nei limiti delle sue stesse leggi, allora dovrà copiare queste immagini. Se lavora sulla sua scrivania con la penna, posso guardarla e aiutarla. Possiamo fare una lezione di disegno qui e ora».
Judith Cochrane osservò con attenzione i disegni. Erano gli schizzi di quattro uomini. Non li riconobbe, ma non aveva dubbi: dovevano essere persone reali e da quanto erano dettagliati e accurati i ritratti chiunque li avesse già visti non avrebbe certo fatto fatica a identificarli.
«Chi sono?» chiese. Temeva di sapere già la risposta.
«Sono gli americani che mi hanno rapito. Stavo camminando per le strade di Riyad. Sono sbucati fuori dal nulla. Il più giovane, questo con i capelli scuri, mi ha sparato. Il più anziano, quest’altro, era il loro capo.»
Gli uomini dell’FBI potevano vederla tramite la telecamera a circuito chiuso dietro di lei, l’avvocato lo sapeva. Se la stavano guardando anche in quel momento, ed era certa che lo stessero facendo, avrebbero visto che l’Emiro le mostrava i disegni. Non c’era alcuna ragione di lanciare l’allarme, ma attese con nervosismo che la porta dietro di lei si aprisse.
«Ne abbiamo già parlato a lungo. Non posso discutere di questo con lei.»
«Ma è il mio legale, no?»
«Certo, tuttavia…»
«Judith Cochrane, non ho alcun interesse ad aiutare il governo degli Stati Uniti a organizzare una farsa per convincere il mondo che sono colpevole. Se non posso raccontare nemmeno a lei cosa è successo, allora…»
«C’è un regolamento a cui dobbiamo attenerci.»
«Un regolamento imposto dai suoi avversari. È chiaro che intendono… qual è l’espressione che usate voi? Mischiare le carte.»
«Parliamo della sua alimentazione.»
«Non parlerò della mia alimentazione. È halal, per un musulmano è lecito mangiare. A parte questo, non mi importa di nulla.»
La Cochrane sospirò, ma si rese conto che l’uomo stava ancora mostrando i disegni e lei li stava ancora guardando. Suo malgrado, chiese: «Sono della CIA? Militari? Le hanno detto per chi lavorano?».
«No, ma immagino siano della vostra Central Intelligence Agency, ma questo deve scoprirlo lei.»
«Non posso farlo.»
«Può mostrare questi disegni ad altre persone. Ce n’erano altri, ma questi quattro sono quelli che ricordo meglio. L’anziano, il capo; il giovane che mi ha sparato; lo straniero basso con gli occhi cattivi e il giovane con i capelli cortissimi. C’era un altro uomo, uno con la barba, ma non sono riuscito a disegnarlo con precisione. Sono venuto a contatto con altre persone, ma indossavo sempre un cappuccio, oppure portavano maschere. Non ho visto alcun volto dopo questi. Fino a quando ho incontrato lei.» Sollevò di nuovo i disegni. «Questi uomini sono impressi nella mia memoria. Non li dimenticherò mai.»
La Cochrane voleva saperne di più. Che sia maledetto l’accordo con il Dipartimento di Giustizia!
«Va bene» rispose. «Mi ascolti con attenzione. Sto tentando di ottenere un’apertura attraverso la quale possiamo scambiarci documenti. Ma non potrò portare via nulla, per cui magari posso portare della carta carbone in tasca o qualcosa del genere. Posso copiare i suoi disegni e poi restituirglieli.»
L’Emiro replicò: «Ci lavorerò ancora: aggiungerò qualche dettaglio scritto sotto le immagini. Altezza, età, qualsiasi cosa io riesca a ricordare».
«Bene. Non so come potrò utilizzare queste informazioni, ma posso chiedere in giro.»
«Lei è la mia sola speranza, Judith.»
«La prego, mi chiami Judy.»
«Judy. Mi piace.»
L’avvocato guardò ancora i quattro fogli di carta. Non sapeva di stare fissando i volti di Jack Ryan Junior, Dominic Caruso, Domingo Chavez e John Clark.
La vita alla Hendley Associates stava tornando alla normalità dopo l’operazione di Parigi. La maggior parte degli impiegati erano al lavoro alle otto. Una breve riunione nella sala conferenze alle nove, poi ognuno sarebbe tornato alla sua scrivania per una giornata di indagini, analisi, pesca nelle torbide acque del mondo cibernetico per trovare i nemici dello Stato che vi si annidavano.
Gli analisti setacciavano il flusso dei feed, applicavano analisi dei pattern e dei link ai dati, sperando di accedere a informazioni fondamentali sfuggite all’intelligence ufficiale americana, o di sfruttare informazioni trovate dai servizi segreti attraverso modalità precluse alle agenzie troppo burocratiche.
Gli agenti trascorrevano il tempo a testare gli equipaggiamenti per le operazioni sul campo, addestrandosi ed esaminando i dati in cerca di potenziali missioni.
Due settimane dopo gli avvenimenti di Parigi, Gerry Hendley irruppe nella sala conferenze con quindici minuti di ritardo. I suoi agenti e analisti più importanti erano già lì, così come Sam Granger. Quando entrò, tutti stavano sorseggiando caffè e chiacchierando.
«Ci sono novità interessanti. Ho appena ricevuto una chiamata inaspettata, da Nigel Embling.»
«Chi?» chiese Driscoll.
«Un ex agente del MI6 a Peshawar, in Pakistan» rispose Chavez.
Ora Driscoll ricordava. «Sì, l’anno scorso ha aiutato te e John quando eravate sulle tracce dell’Emiro.»
Clark aggiunse: «Esatto. Mary Pat Foley ci aveva suggerito di parlare con lui».
Hendley annuì. «Ma ora ci ha contattato con una pista interessante. Ha un informatore all’interno dell’ISI. Un maggiore che sospetta un imminente colpo di Stato. Vuole l’aiuto delle potenze occidentali per sventarlo.»
«Merda» mormorò Caruso.
«E secondo voi, il maggiore chi addita come responsabili?»
Gli uomini intorno al tavolo si guardarono. Infine Jack chiese: «Rehan?».
«Proprio lui.»
Chavez fischiò. «E perché questo maggiore ha parlato dei suoi sospetti a Embling? Sa che Nigel è una spia?»
«Immagino di sì, o quanto meno lo sospetta. In realtà Nigel non è una spia. Non più. Il MI6 non lo ascolta e teme che la CIA sia intralciata dalle politiche dell’amministrazione di Kealty.»
«Benvenuti nel nostro mondo» mormorò Dominic Caruso.
Gerry sorrise, ma aggiunse: «Così Nigel si è rivolto a Mary Pat e le ha chiesto di parlare con gli agenti che ha incontrato lo scorso anno».
«Quando si parte?» domandò Clark.
Gerry scosse la testa. «John, tu devi prenderti un altro paio di settimane prima di tornare al lavoro sul campo.»
Clark scrollò le spalle. «Be’, sta a te decidere, certo, ma io non ho nessun problema.»
Chavez dissentì. «Ti stai rimettendo bene, ma non c’è da scherzare con una ferita d’arma da fuoco. È meglio se resti qui. Basterebbe una banale infezione a metterti fuori gioco in un batter d’occhio.»
«Sentite, sono troppo vecchio per fare il macho» ribatté John. «Ammetto di essere intorpidito e dolorante. Ma sono sicuro di essere in grado di volare a Peshawar a prendere un tè con Embling e il suo nuovo amico.»
Sam Granger chiuse la questione. «Stavolta non andrai, John. Potrai renderti utile anche qui. Abbiamo nuove attrezzature da testare. Ieri sera sono arrivate videocamere di sorveglianza telecomandate; vorrei sapere cosa ne pensi.»
Clark annuì, rassegnato. Granger era un superiore e John, come la maggior parte dei veterani, comprendeva la necessità della gerarchia, che fosse d’accordo o meno con la decisione.
«Questo Embling cosa sa del Campus?» volle sapere Driscoll.
«Niente, a parte il fatto che non seguiamo i “canali ufficiali”. I suoi amici del MI6 si fidano di Mary Pat e lei si fida di noi. Inoltre, John e Ding gli hanno fatto una buona impressione lo scorso anno.»
Ding sorrise: «Abbiamo tirato fuori il meglio di noi».
Tutti risero.
Granger continuò: «Stavolta manderò Sam Driscoll. È un’operazione per un uomo solo: va’ laggiù e incontra questo maggiore dell’ISI; valuta lui e la sua storia. Senza prendere nessun impegno. Ascolta soltanto cosa offre. Nel nostro mondo non possiamo contare ciecamente su nessuno, ma Embling è solido come una roccia. È stato parte dei giochi per mezzo secolo, dunque suppongo che sappia come snidare la disinformazione. Potrebbe essere una buona opportunità: più scopriremo su Rehan, meglio sarà».
La riunione si concluse poco dopo, ma Hendley e Granger chiesero a Driscoll di trattenersi un momento. «Sei d’accordo sulle disposizioni che abbiamo dato?» gli domandò il capo operativo del Campus.
«Assolutamente.»
«Passa al centro di supporto e ritira i documenti, le carte di credito e i contanti.» Granger strinse la mano di Driscoll e proseguì: «Ascolta. Sai già quello che sto per dirti. Peshawar è un posto pericoloso, e lo diventa ogni giorno di più. Tieni gli occhi aperti ventiquattro ore su ventiquattro, okay?».
Sì, Sam Driscoll lo sapeva già, ma apprezzò la sua preoccupazione. «Certo, capo. Il mio ultimo viaggetto in Pakistan è stato un delirio. Non ho intenzione di ripetere l’esperienza.»
Driscoll aveva attraversato il confine più di un anno prima ed era tornato con una grave ferita alla spalla e una serie di lettere da scrivere ai genitori degli uomini che non ce l’avevano fatta.
Granger annuì pensieroso. «Se l’ISI sta pianificando un colpo di Stato, un americano che se ne va in giro a fare domande attirerà molta attenzione. Incontra Embling e la sua fonte e poi torna qui, okay?»
«Ricevuto» rispose Sam.