Jack Ryan Junior trascorse la mattinata alla sua scrivania della Hendley Associates, a leggere le relazioni redatte da Melanie Kraft del National Counterterrorism Center. L’analisi di Melanie si occupava della recente ondata di attentati in India; ipotizzava che tutte le diverse cellule coinvolte avrebbero potuto essere gestite dallo stesso comandante operativo.
Ryan si sentiva un po’ in colpa poiché stava, per così dire, spiando il lavoro della ragazza con cui usciva, ma la vergogna era superata dalla consapevolezza di avere un incarico fondamentale da svolgere. La spirale di violenza riconducibile a Rehan, sia nel Waziristan del nord sia a Dubai, faceva capire agli uomini del Campus quanto fosse pericoloso e disperato. Ora, esaminando le analogie riscontrate da Melanie tra le recenti carneficine provocate da attentatori suicidi in tutta l’India, Ryan poteva immaginare che il generale dell’esercito pakistano Riaz Rehan, il direttore dello spionaggio all’estero dell’ISI, potesse essere il personaggio cui Melanie si riferiva chiamandolo Forrest Gump in una mail inviata a Mary Pat Foley.
Jack avrebbe voluto portarla a pranzo in quel preciso istante e dirle tutto, poterla aiutare a colmare le lacune della sua analisi e ottenere da lei informazioni in grado di rispondere alle domande che lui e il Campus avevano riguardo agli obiettivi principali.
Ma raccontare a Melanie del suo lavoro al Campus era proibito.
Il suo telefono squillò; allungò la mano senza distogliere lo sguardo dallo schermo. «Ryan.»
«Ehi, ragazzo. Mi serve un favore.» Era Clark.
«John? Cristo santo! Stai bene?»
«Me la cavo. Ma mi serve un aiuto veloce.»
«Dimmi tutto.»
«Devi cercarmi informazioni su una spia russa di nome Kovalenko.»
«Russa? Okay. FSB, SVR o intelligence militare?»
Clark rispose: «Non lo so. Ricordo un Kovalenko del KGB, negli anni Ottanta, ma quel tipo sarà già fuori dai giochi da molto tempo. Potrebbe essere un parente, o potrebbe trattarsi soltanto di una coincidenza».
«D’accordo. Cosa vuoi sapere su di lui?» Ryan scriveva freneticamente mentre parlava.
«Ho bisogno di sapere dove si trova. Dove si trova fisicamente, intendo.»
«Ricevuto.» Ryan pensò che se Clark voleva trovare quel Kovalenko, era probabilmente per saltargli alla gola. Quel russo è un uomo morto.
«E qualunque altra cosa tu riesca a trovare sul suo conto» aggiunse John. «Brancolo nel buio, quindi mi accontento di qualsiasi cosa.»
«Metterò insieme una squadra ed esamineremo i dati della CIA e quelli open source; scopriremo ogni minima informazione disponibile sul suo conto. C’è lui dietro alle calunnie sul tuo conto?»
«C’entra qualcosa, ma non so se sia il reale mandante.»
«Mi richiami?»
«Tra tre ore?»
«D’accordo. Abbi fiducia.»
Un minuto e mezzo dopo la chiamata di Clark, Ryan aveva organizzato una conferenza con una decina di impiegati della Hendley Associates, inclusi Gerry Hendley, Rick Bell, Sam Granger e altri. Bell mise insieme una squadra per raccogliere informazioni su quella spia russa, e tutti si misero immediatamente al lavoro.
Non ci volle molto perché realizzassero che Clark aveva ragione riguardo alla parentela: il Kovalenko che cercava era il figlio di quello attivo ai tempi del KGB. Oleg, il padre, era in pensione, ma ancora vivo, e Valentin, il figlio, era adesso un assistente rezident del SVR a Londra.
A soli trentacinque anni ricopriva un ruolo di alto livello, d’accordo, ma nessuno riusciva a spiegarsi perché era collegato a un’operazione dei russi contro John Clark.
Poi gli analisti iniziarono a setacciare il traffico della CIA cercando informazioni su Valentin Kovalenko. Di norma non passavano il loro tempo a rintracciare diplomatici russi, per cui la trovarono un’attività piuttosto rilassante. Kovalenko non era rintanato in una caverna del Waziristan, diversamente da molti obiettivi del Campus. La CIA aveva informazioni, la maggioranza delle quali ottenute tramite il Security Service del Regno Unito, conosciuto anche come MI5, sul suo appartamento londinese, sui luoghi in cui andava a fare la spesa, persino sulla scuola frequentata dalla figlia.
Ben presto fu ovvio agli analisti che l’MI5 non seguiva Kovalenko tutti i giorni. Le informazioni attestavano un viaggio da Heathrow all’aeroporto di Mosca-Domodedovo, dove era rimasto due settimane in ottobre, ma poi aveva fatto ritorno a Londra.
Ryan iniziò a porsi domande sul padre di Valentin, Oleg Kovalenko. Clark aveva detto di conoscere quell’uomo, sebbene non sembrava nutrire dei sospetti sul coinvolgimento di quel vecchio nella sua situazione attuale. C’erano già molti brillanti analisti a lavorare su Valentin pertanto decise che non aveva senso dedicarcisi anche lui: anche a costo di non arrivare a niente, lui si sarebbe concentrato su Oleg.
Per la mezz’ora successiva lesse informazioni sull’ex spia del KGB nell’archivio della CIA, in particolare riguardo alle missioni in Cecoslovacchia, nella Germania dell’Est, a Beirut, in Danimarca. Jack Junior faceva parte di quel mondo solo da qualche anno, ma quell’uomo non vantava una gran carriera, almeno se paragonata ad altre biografie di spie russe che aveva letto.
Dopo aver scavato nel passato dell’uomo, Jack inserì il suo nome in un database del Dipartimento della Sicurezza Interna: gli avrebbe rivelato eventuali viaggi internazionali dell’uomo nei Paesi occidentali.
Ne risultò uno solo. Il Kovalenko più anziano era volato a Londra con la Virgin Atlantic all’inizio di ottobre.
A trovare suo figlio?, si chiese Jack.
Se si trattava di una riunione di famiglia, era stata maledettamente breve. Soltanto trenta ore di permanenza nel Paese.
La durata del soggiorno lo insospettì. Tamburellò con le dita sulla scrivania per un momento, poi chiamò Gavin Biery.
«Ehi, sono Jack. Se ti do il nome di uno straniero e le sue date di permanenza in Inghilterra, puoi risalire alle sue carte di credito e farmi una lista di transazioni eseguite mentre era nel Regno Unito? In questo modo potrei provare a rintracciare i suoi movimenti.»
Jack sentì Biery fischiare dall’altro capo del filo. «Accidenti. Forse» rispose.
«Quanto ci vorrà?»
«Almeno un paio di giorni.»
Ryan sospirò titubante. «Okay.»
Biery iniziò a ridere. Che razza di tipo, pensò Ryan.
Ma solo finché Gavin non proseguì: «Ti sto prendendo in giro, Jack. Posso trovarti quelle informazioni in una decina di minuti. Mandami via mail il nome di quel tipo e tutto ciò che sai sul suo conto; inizierò a lavorarci subito».
«Perfetto.»
Dieci minuti più tardi, il telefono di Ryan squillò. Rispose con un: «Cosa hai trovato?».
Gavin Biery decise di soprassedere, avvertendo l’impazienza nella voce di Jack. «Ecco qua. Era a Londra, su questo non c’è dubbio. Ma non ha pagato un hotel, né noleggiato una macchina o qualcosa del genere. Solo qualche regalo, e un paio di altre spese.»
Ryan sospirò, frustrato. «Quindi qualcun altro gli ha pagato il viaggio?»
«No, il biglietto aereo lo ha comprato lui, compare nell’estratto conto. Ma una volta a Londra, deve essere stato ospitato.»
«Okay… temo non mi servirà a molto.»
«Cosa speravi di trovare?»
«Non lo so. Era solo un tentativo. Mi chiedevo se questo viaggio non potesse avere qualche collegamento con Clark. Pensavo che se fossi riuscito ad analizzare i suoi movimenti nelle trenta ore in cui si è fermato a Londra, avrei potuto farmi un’idea…»
«So dove ha alloggiato.»
«Davvero?»
«Ha comprato una scatola di sigari nel negozio di souvenir del Mandarin Oriental alle 19:56, poi una tavoletta di cioccolata Cadbury nello stesso posto alle 8:22 del mattino seguente. A meno che quel negozio non gli fosse piaciuto davvero tanto, è ragionevole dedurre che abbia alloggiato lì per la notte.»
Jack rifletté. «Puoi guardare tutte le prenotazioni per quella notte?»
«Già fatto. Nessun Oleg Kovalenko.»
«Valentin Kovalenko?»
«Nemmeno.»
«Quindi è stato qualcun altro, e non suo figlio, a pagare la stanza. Possiamo ottenere una lista di tutte le carte di credito che hanno pagato una camera per quella notte?»
«Certo. Ti richiamo tra cinque minuti?»
«Sarò alla tua scrivania fra tre» replicò Ryan.
Ryan si presentò alla scrivania di Biery con il suo computer portatile e lo aprì mentre avvicinava una sedia al guru dell’informatica. Biery gli porse un foglio stampato: esaminarono la lista di tutti coloro che avevano prenotato una stanza.
Nemmeno Ryan sapeva cosa stesse cercando con precisione, dunque era praticamente impossibile farsi aiutare da Gavin. A parte il nome «Kovalenko», che Biery aveva già detto di non aver trovato, o l’altamente improbabile scoperta del nome «Edward Kealty», non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe potuto attirare la sua attenzione.
Avrebbe voluto essere insieme a Melanie, maledizione. Avrebbe trovato un nome, una pista, qualcosa.
E poi, dal nulla, Jack fu colto da un’illuminazione. «Vodka!» gridò.
Gavin sorrise. «Amico mio, sono le 10:15. Al massimo puoi concederti un Bloody Mary…»
Ryan non stava ascoltando. «I diplomatici russi in visita alle Nazioni Unite a New York finiscono sempre nei guai per aver bevuto la vodka dai minibar.»
«Chi lo dice?»
«Non lo so, l’ho sentito dire. Potrebbe trattarsi di una leggenda metropolitana, ma guarda questo tipo.» Cliccò su una foto sul suo computer che mostrava Oleg Kovalenko a vent’anni. «Non puoi negarlo: ha la faccia di uno che ci andava giù pesante.»
«Ha quel grosso naso rosso, ma cosa c’entra con il suo viaggio a Londra?»
«Cerca una stanza con l’addebito del minibar, o il conto di un bar collegato a una stanza.»
Biery iniziò a digitare sulla sua tastiera; fece un cenno d’assenso. «O il servizio in camera. In particolare gli alcolici.»
«Esatto» confermò Ryan.
Gavin iniziò a confrontare gli addebiti con carta di credito con le stanze che avevano ordinato il servizio in camera o qualcosa dal bar. Trovò qualche possibilità, poi altre. Infine si concentrò su una voce. «Okay, ci siamo. Qui c’è una stanza pagata da una carta American Express Centurion la cui titolare risulta essere Carmela Zimmern.»
«Okay. Quindi?»
«Quindi sembra che la signora Zimmern, nella sua unica serata al Mandarin Oriental, si sia fatta portare due porzioni di caviale di storione, quattro bottiglie di vodka finlandese e tre film porno.»
Ryan guardò la ricevuta digitale sul portatile di Gavin. Quando vide i tre «addebiti per intrattenimento in camera» rimase stupito.
«Come sai che si trattava di porno?»
«Sono stati visti tutti nel giro di un’ora. Forse Oleg saltava le parti dialogate.»
«Oh» fece Ryan. Stava cominciando a mettere insieme i pezzi. Osservò i nomi sul foglio. «Aspetta un secondo. Carmela Zimmern ha prenotato anche la suite presidenziale per la stessa notte. Costa quasi seimila dollari. Quindi Kovalenko era nell’altra stanza? Può essere andato a Londra per vederla?»
«Sembra plausibile.»
Merda, pensò Jack. Chi è questa Carmela Zimmern?
Cercarono il nome su Google senza trovare nulla. O meglio, c’erano diverse Carmela Zimmern. Una era una quattordicenne del Kentucky, una giocatrice di lacrosse, e un’altra una trentacinquenne madre di quattro figli, di Vancouver, amante del lavoro a uncinetto. Le esaminarono entrambe, ma nessuna delle due sembrava poter spendere grandi somme negli hotel a cinque stelle, intrattenendo spie russe in Inghilterra.
«Posso risalire al suo indirizzo tramite la carta di credito» suggerì Biery, iniziando a premere tasti sul suo computer.
Mentre lavorava, Jack Ryan Junior si chinò sul suo laptop, leggendo qualunque cosa riuscisse a trovare su donne di nome Carmela Zimmern sui social network o siti internet dove ci fossero informazioni disponibili a tutti. Nel giro di un minuto, esclamò: «Cristo santo!».
«Cosa?»
«Ce n’è una che lavora per Paul Laska.»
«Quel Paul Laska?»
«Proprio lui. Carmela Zimmern, quarantasei anni, vive a Newport, Rhode Island, e lavora per il Progressive Nations Institute.»
«È la nostra donna. L’indirizzo è di Newport.»
«Interessante. Il PNI di Laska ha sede a New York.»
«Sì, ma Laska vive a Newport.»
«Quindi lavora a stretto contatto con quel vecchio bastardo.»
«Così sembrerebbe.»
Quando Clark richiamò, la telefonata fu trasmessa dagli altoparlanti della sala conferenze del nono piano. C’erano tutti; alcuni stavano ancora meditando su quanto avevano appena trovato Ryan e Biery.
«John, sono Ryan. Qui ci sono tutti.»
«Ciao, gente.» I presenti salutarono Clark, uno alla volta.
Lui esitò prima di parlare. «Dov’è Driscoll?»
A rispondere pensò Hendley. «È in Pakistan.»
«Ancora?»
«È prigioniero. Si trova nelle mani degli uomini di Haqqani.»
«Bastardi. Maledizione!»
Gerry intervenne. «Ma stiamo seguendo una pista per tirarlo fuori dai guai. Non tutto è perduto.»
«Embling? Parli di lui?»
«Embling è morto, John. Ucciso da Riaz Rehan.» Hendley lo disse a bassa voce.
«Cosa diavolo sta succedendo?» chiese Clark.
«È complicato» rispose Gerry, cercando di chiudere l’argomento. «Ma ci stiamo lavorando. Adesso veniamo a te. Come stai?»
Clark sembrava stanco, arrabbiato e frustrato allo stesso tempo. «Starò meglio quando avrò risolto questo casino. Scoperto nulla su Kovalenko?»
Hendley guardò Jack Junior e lo invitò a prendere la parola.
«Sì. Valentin Kovalenko, trentacinque anni. È nel SVR, assistente rezident a Londra.»
«E si trova a Mosca?»
«No. C’è stato a ottobre, ma solo per un paio di settimane.»
«Merda» esclamò Clark. Dalla reazione, Ryan immaginò che Clark si trovasse proprio a Mosca.
«C’è di più, John.»
«Va’ avanti.»
«Il padre di Kovalenko, Oleg. Come hai detto tu, era nel KGB.»
«Roba passata, Jack. Deve avere ottant’anni, ormai.»
«Sì, in effetti, ma ascolta un momento. Questo tipo non si muove mai dalla Russia. Intendo, mai per quanto riguarda gli archivi del Dipartimento della Sicurezza Interna. Ma a ottobre è andato a Londra.»
«Per vedere suo figlio?»
«Per incontrare Paul Laska, a quanto pare.»
Ci fu una lunga pausa. «Quel Paul Laska?»
«Sì» replicò Ryan. «È presto per dirlo, ma riteniamo possano essersi conosciuti nella ex Cecoslovacchia.»
«Okay» fece Clark in tono confuso. «Continua.»
«Subito dopo il viaggio a Londra di Oleg, Valentin corre a Mosca per due settimane. Torna a Londra e qualche giorno dopo piovono dal cielo le accuse a tuo carico.»
Clark aggiunse ciò che sapeva. «Quando era a Mosca, Valentin ha mandato una squadra di sicari per raccogliere informazioni sul mio conto da una fonte citata nel mio dossier del KGB.»
«Strano» commentò Caruso, rimasto in silenzio fino a quel momento. «Se lavora per il SVR, perché non ha mandato la gente della sua organizzazione?»
Clark ebbe subito la risposta. «Voleva usare intermediari per proteggere se stesso e la sua agenzia.»
«Quindi è stato Laska a parlare di te a Valentin?» chiese Ryan.
«Così pare.»
Ryan era confuso. «E Laska ti conosce… come?»
Fu Sam Granger a rispondere. «Laska è a capo della Progressive Constitution Initiative, il gruppo di legali che difende l’Emiro. In qualche modo deve aver indicato Clark e Laska ha orchestrato il contatto russo per non rendere nota la vera fonte, ovvero Saif Rahman Yasin.»
Hendley si passò le dita tra i capelli grigi. «L’Emiro può aver descritto Clark ai suoi avvocati. E loro, in qualche modo, possono essersi procurati una foto dalla CIA.»
«Quindi Paul Laska e i suoi uomini stanno usando i russi. Una loro versione personale di un’operazione sotto falsa bandiera» concluse Clark.
«Ma perché i russi dovrebbero assecondarlo?» chiese Chavez.
«Per ostacolare la presidenza di Ryan, o magari stroncarla sul nascere.»
«Dobbiamo inchiodare Laska» intervenne Caruso.
«Neanche per idea» rispose Hendley. «Non operiamo in America contro cittadini americani, neanche se sono dei deviati figli di puttana come lui.»
Nella stanza ebbe inizio una pacata discussione, con Caruso e Ryan da un lato e il resto degli uomini dall’altro. Chavez ne restò fuori per la maggior parte del tempo.
Clark interruppe il dibattito. «Sentite, capisco e rispetto le vostre posizioni. Da parte mia, proverò a ottenere altre informazioni che potrebbero tornarci utili, poi farò rapporto.»
«Grazie» replicò Gerry Hendley.
«C’è un altro problema.»
«Di cosa si tratta?»
«C’è una squadra sulle mie tracce. Non sono né russi né americani, ma francesi. Uno di loro è morto a Colonia. Non l’ho ucciso, è stato un incidente. Ma dubito che i suoi compari siano disposti ad ascoltare la mia versione dei fatti.»
Gli uomini nella sala conferenze si guardarono per un momento. Avevano sentito tutti la notizia riguardante la morte di un francese, avvenuta presumibilmente per mano di John Clark. Ma se Luc Patin faceva parte di una squadra che stava dando la caccia a Clark, evidentemente nella vicenda era coinvolto qualcun altro. Infine Rick Bell propose: «Proveremo a scoprire di chi si tratta. Magari possiamo scavare nel background del morto in modo molto più approfondito di quanto abbiano fatto i media internazionali. Cercheremo di capire per chi lavorava».
Clark rispose: «Magari. Non sarebbe male sapere con chi ho a che fare. Okay. Devo andare. Voi concentratevi sul salvataggio di Sam».
«Lo faremo» assicurò Chavez. «Sii prudente, John.»
Quando Clark riagganciò, Dominic si rivolse a Domingo: «Ding, tu sei quello che conosce il signor C. da più tempo. Non sembrava stanco?».
Chavez si limitò ad annuire.
«Per quanto ancora potrà andare avanti? Quanti anni ha? Sessantatré, sessantaquattro? Merda. Ha più del doppio della mia età e io ho ancora i postumi degli eventi delle ultime settimane.»
Chavez scosse la testa guardando un punto lontano. «Non importa ora valutare quanto il suo corpo potrà ancora sopportare.»
«Perché no?»
«Perché se fai quello che fa John, prima o poi, avrai una morte rapida. Uno dei proiettili che ha mancato la sua testa per un maledetto mezzo secolo alla fine lo colpirà. E non parlo del graffietto di Parigi.»
Caruso concordò. «Secondo me abbiamo tutti una data di scadenza, visto il lavoro che facciamo.»
«Sì, ogni missione è una scommessa.»
La riunione si stava sciogliendo, ma la sala conferenze era ancora piena, quando la luce che segnalava una chiamata in entrata si accese di nuovo sul telefono al centro del tavolo.
Fu lo stesso Hendley a rispondere. «Sì? Bene, mi passi la chiamata.» Hendley guardò gli uomini in piedi nella stanza. «È al Darkur.»
Premette un pulsante per far sentire la telefonata dagli altoparlanti. «Buongiorno, Mohammed. Sta parlando con Gerry, e gli altri sono in ascolto.»
«Bene.»
«Mi dia buone notizie.»
«Sì, abbiamo trovato il vostro uomo. Si trova ancora nel Waziristan del nord, in una struttura cinta da mura nella città di Aziz Khel.»
Chavez si chinò sulla scrivania. «Cosa avete intenzione di fare?»
«Ho in programma un raid in quell’edificio. Non ho chiesto un’autorizzazione ufficiale perché non voglio rischiare che l’informazione venga passata ai suoi carcerieri. Ma l’operazione di salvataggio avrà inizio entro tre giorni.»
«Come avete fatto a individuare quella struttura?» chiese Chavez.
«L’ISI la conosce perché viene usata come prigione per le persone che Siraj Haqqani fa rapire.»
Chavez annuì. «Quanti sgherri pensi che ci siano?»
Il maggiore al Darkur tacque all’altro capo del filo. «Quanti cosa?»
«Scusa. Quanti uomini di Haqqani? Quanta resistenza incontrerete…»
Una pausa più lunga. «Non credo vi piacerà sapere la risposta a questa domanda.»
Chavez scosse la testa. «Preferisco avere cattive notizie piuttosto che nessuna. È una cosa che ho imparato da un mio amico.»
«Il tuo amico è molto saggio. Mi dispiace non potervi dare una notizia confortante. Ci aspettiamo di trovare non meno di cinquanta combattenti di Haqqani acquartierati nel raggio di cento metri dal punto in cui tengono Sam prigioniero.»
Chavez guardò Jack e Dom. Entrambi annuirono. «Mohammed, vorremmo raggiungerti al più presto.»
«Eccellente. Avete già dimostrato il vostro valore a Dubai. Potreste aiutarmi moltissimo anche questa volta.»
Dopo la telefonata con il maggiore dell’ISI, i tre agenti del Campus tornarono a sedere al tavolo, insieme a Hendley e Granger.
Era chiaro che Jack, Dom e Ding volevano andare in Pakistan e partecipare al raid nella struttura in cui, secondo l’ISI, Sam Driscoll era tenuto prigioniero dalla Rete Haqqani.
Hendley non avrebbe voluto mandarli, ma mentre peroravano la loro causa capì di non poterli privare dell’opportunità di salvare l’amico.
Gerry Hendley aveva perso la moglie e tre figli in un incidente d’auto; in più l’anno precedente Brian Caruso era rimasto ucciso nel corso di una missione del Campus da lui stesso avallata, e tutti i membri della squadra risentivano dell’accaduto.
Gerry voleva riavere Sam sano e salvo.
«Ragazzi. Al momento, che ci piaccia o no, Clark è da solo. Lo sosterremo da qui, in tutti i modi possibili, se si metterà in contatto con noi per richiedere aiuto.
«Questa opportunità di andare a riprenderci Sam sembra un’operazione molto rischiosa. Ma non potrei più guardarmi allo specchio se non vi concedessi la possibilità di andare a salvarlo. Sta a voi tre.»
Chavez rispose: «Andremo a Peshawar a parlare con al Darkur. Mi fido di lui. Potrà metterci in contatto con gli uomini che guideranno la spedizione, sarà già un progresso… non possiamo chiedere altro, giusto?».
Hendley acconsentì a lasciarli andare, ma sapeva non si sarebbero limitati a tastare il terreno. Dai loro sguardi capì che quei tre si sarebbero lanciati in prima fila; si chiese come avrebbe potuto guardarsi ancora allo specchio se non fossero più tornati.