Clark sedeva sul retro di una farmacia CVS nel quartiere di Sandtown della parte occidentale di Baltimora. Era un quartiere malfamato della città, funestato dal crimine e dal degrado, ma in quel momento era anche un buon nascondiglio.
Seduti intorno a lui c’erano persone del posto, in gran parte anziani e malati, in attesa con le loro ricette. John si teneva la giacca stretta intorno al collo e il cappellino tirato sugli occhi; dava l’idea che fosse molto raffreddato, ma serviva anche per coprire i suoi tratti somatici nel caso qualcuno lo stesse cercando.
Clark conosceva Baltimora: da giovane aveva percorso quelle strade. Allora era stato costretto a fingersi un senzatetto, mentre seguiva gli spacciatori colpevoli di aver violentato e poi ucciso la sua ragazza, Pam. Aveva ammazzato molte persone lì a Baltimora, tutte quelle che meritavano di morire.
Era entrato nell’Agenzia più o meno in quel periodo. L’ammiraglio Jim Greer l’aveva aiutato a coprire le sue azioni a Baltimora per farlo lavorare con la Special Activities Division. Ed era stato più o meno nello stesso periodo che aveva incontrato Sandy O’Toole, che in seguito era diventata Sandy Clark, sua moglie.
Si chiese dove si trovasse lei in quel momento, ma non l’avrebbe chiamata. Sapeva che sarebbe stata sorvegliata, ed era certo che Ding si sarebbe preso cura di lei.
Al momento doveva concentrarsi sul suo piano.
Dopo la sua fuga a Emmitsburg, era stato di sicuro emanato un BOLO, un «Be on the look-out order», trasmesso a tutte le forze dell’ordine della zona: avrebbero fatto in modo che chiunque, dalla polizia stradale ai detective specializzati nel campo del crimine organizzato, avesse avuto la sua foto e la sua descrizione, nonché l’ordine di arrestarlo in caso di avvistamento. Inoltre, Clark non aveva dubbi che l’FBI stesse impiegando le sue enormi risorse per dargli la caccia.
Nel posto in cui si trovava si sentiva piuttosto al sicuro, semimascherato e senza dare nell’occhio, ma sapeva che non ci avrebbero messo molto tempo a individuarlo.
Sebbene si trovasse insieme alle altre persone nella farmacia, non aveva una ricetta. Stava guardando gli specchi sul retro del negozio, controllando se qualcuno l’avesse seguito.
Per dieci minuti rimase a guardare, in attesa.
Non vide nulla.
Poi comprò un telefono usa e getta, vagando nel negozio mentre lo toglieva dalla confezione e lo accendeva. Digitò un SMS di due righe per Domingo Chavez. Non aveva modo di sapere se anche lui fosse sotto sorveglianza, o quale fosse la portata di tutta quella storia, per cui aveva evitato di contattare sia il suo partner sia il Campus dal momento in cui aveva scoperto di essere ricercato dall’FBI. Ma lui e Chavez avevano stabilito un codice di comunicazione, nel caso uno dei due potesse essere intercettato.
Un gruppo di teenager afroamericani rumorosi, dall’aspetto spavaldo entrò nel reparto in cui si trovava Clark: tacquero immediatamente. Gli rivolsero un lungo e intenso sguardo, come predatori di fronte a una possibile preda. Clark stava armeggiando con il nuovo telefono, ma si fermò, fissando a sua volta i sei ragazzi giusto per far capire che aveva notato la loro presenza e il loro interesse. Fu abbastanza per indurre i giovani teppisti a cercare polli più facili da spennare, e John tornò alla sua occupazione.
Ricevette un SMS: Ore 21. BWI Okay?
John annuì, poi digitò: Okay.
Tre minuti più tardi camminava verso nord su Stricker Street, rimuovendo nel frattempo la batteria dal telefono. Gettò via la tazza di caffè vuota, il telefono e la batteria in un tombino, e continuò a camminare.
Qualche secondo prima delle nove, quella sera, Domingo Chavez si trovava sulla rampa buia di fronte al Maryland Charter Aviation Services. Una pioggia fredda cadeva su di lui, bagnando la visiera del suo berretto da baseball. La giacca a vento lo proteggeva dall’acqua, ma non dal freddo.
Cinquanta metri alla sua sinistra, il Gulfstream G550 della Hendley Associates era parcheggiato, pronto al decollo, sebbene al momento non avesse compilato nessun piano di volo. Il capitano Reid e il primo ufficiale Hicks sedevano nella cabina di pilotaggio, mentre Adara Sherman preparava la cabina dei passeggeri; non avevano idea di quale fosse la destinazione.
Ding guardò il suo orologio Luminox. I tubi pieni di gas trizio scintillavano nel buio, in quel punto appena fuori dal cerchio luminoso prodotto dall’aereo a cinquanta metri di distanza.
Le nove in punto.
In quel momento una figura comparve nell’oscurità. Clark indossava una giacca nera col cappuccio e non aveva bagagli. Sembrava un assistente di terra dell’aeroporto.
«Ciao, Ding» salutò con un cenno.
«Come te la cavi, John?»
«Sto bene.»
«Giornata lunga?»
«Nulla che non mi sia già successo centinaia di volte. Ma di solito non mi accade nel mio Paese.»
«Sono un mucchio di stronzate.»
«Sfondi una porta aperta. Ci sono novità?»
Chavez scrollò le spalle. «Poche. La Casa Bianca ti sta usando per arrivare a Ryan. Non abbiamo idea se sappiano del Campus o del tuo lavoro con la Hendley Associates da quando sei fuori dall’Agenzia. L’incriminazione è scritta, ma nessuno parla. Se anche qualcuno sa o sospetta dell’esistenza del Campus, gli uomini di Kealty tengono la bocca cucita. Si comportano come se si trattasse di un caso irrisolto a cui qualcuno ha dato una spolverata ed è venuto fuori il tuo nome.»
«E la mia famiglia?»
«Sandy sta bene. Stanno tutti bene, non preoccuparti. Penserò io a loro, e se qualcuno verrà a cercarmi, i Ryan si occuperanno della questione. Ti mandano tutti il loro affetto e sostegno.»
Clark annuì, avvistando tra le luci un getto di vapore che proveniva dalla APU, la Auxiliary Power Unit.
Ding fece un cenno verso il Gulfstream. «E Hendley ha mandato questo. Vuole che tu ti nasconda.»
«Non voglio nascondermi.»
Chavez rifletté. «Avrai bisogno di aiuto, comunque.»
«No, Ding. Devo sbrigarmela da solo. Tu devi restare con il Campus. Stanno succedendo troppe cose. Troverò il responsabile di tutto questo da solo.»
«Capisco che tu voglia proteggere l’azienda, ma lasciami venire con te. Cathy Ryan penserà a Sandy mentre saremo via. Siamo una buona squadra tu e io: hai bisogno di me per guardarti le spalle.»
Clark scosse la testa. «Lo apprezzo molto, ma il Campus ha più bisogno di te. Il ritmo operativo è troppo serrato perché possano fare a meno di entrambi. Troverò il modo di farmi vivo se avrò bisogno di una mano.»
A Chavez l’idea non piaceva. Avrebbe preferito aiutare l’amico. Ma acconsentì. «D’accordo, John. Il 550 ti porterà dovunque tu voglia andare.»
«Hai un passaporto pulito per me?»
Ora Ding sorrise. «Certo. Più di uno. Ma a bordo c’è anche qualcos’altro in caso avessi bisogno di una copertura, per entrare in una zona senza lasciare tracce.»
Clark comprese. «Il capitano Reid sa tutto?»
«Sì, ed è d’accordo. La signorina Sherman si occuperà di tutto.»
«Sarà meglio che vada, allora.»
«Buona fortuna, John. Dovunque tu vada non dimenticarlo mai: basterà una parola e correrò da te. Hai capito?»
«Sì, e ti ringrazio.» Si strinsero la mano e si abbracciarono. Qualche secondo più tardi, John Clark si diresse verso il Gulfstream mentre Domingo Chavez lo guardava allontanarsi nella pioggia.
Il Gulfstream della Hendley Associates volò a Bangor, nel Maine. Non era la destinazione finale, ma servì come scalo di servizio, per rifornirsi di carburante e aspettare il pomeriggio seguente, quando avrebbero lasciato il Paese alla volta dell’Europa. John Clark non scese dall’aereo, mentre l’equipaggio prese alloggio in un hotel dove trascorsero il resto della serata e la mattina seguente.
Il piano di volo originale mostrava Ginevra come destinazione, ma l’avrebbero corretta durante il viaggio. I controlli doganali della partenza, a Bangor, erano filati lisci come l’olio, sebbene la faccia di Clark fosse stata mostrata più volte in tutti i telegiornali nelle ultime ventiquattro ore: i baffi finti, la parrucca e gli occhiali spessi l’avevano reso completamente diverso dall’uomo apparso in televisione.
Alle cinque del pomeriggio del mercoledì, il G550 decollò sulla pista 33, virò verso nordest e iniziò il lungo volo sopra l’Atlantico.
Clark aveva trascorso la giornata a bordo, a rintracciare informazioni sul suo obiettivo. Dal computer portatile controllò mappe, orari dei treni, il meteo, l’elenco telefonico, e una lista infinita di impiegati tedeschi federali, statali e municipali. Cercava un uomo, un uomo che avrebbe benissimo potuto essere morto, ma che sarebbe stato cruciale per scoprire chi lo aveva preso di mira.
Il sessantaquattrenne ex Navy SEAL dormì per qualche ora durante il volo, finché aprì gli occhi e vide i capelli corti e biondi e il sorriso gentile di Adara Sherman.
«Signor Clark? Ci siamo.»
Lui si sedette e guardò fuori dall’oblò, non vedendo nulla a parte le nuvole sotto di loro e la luna al di sopra.
«Com’è il tempo?»
«Le nuvole sono circa a 2400 metri. La temperatura esterna è di −1°.»
Clark sorrise. «Dovrò vestirmi pesante, allora.»
La Sherman ricambiò il sorriso. «Direi proprio di sì. Posso portarle una tazza di caffè?»
«Sì, grazie.»
La donna si voltò per raggiungere la cucina di bordo. Per la prima volta Clark capì quanto fosse preoccupata per quanto stavano per fare.
Quindici minuti più tardi, il capitano Helen Reid parlò nell’interfono. «Ci troviamo a 2700 metri. Inizio depressurizzazione.»
Quasi subito Clark avvertì una fitta alle orecchie e alle cavità nasali, mentre la cabina veniva depressurizzata. Clark si era già vestito, mentre la Sherman indossò il suo cappotto di lana pesante a doppio petto mentre sedeva sul divano accanto a lui. Fu attenta ad abbottonarlo completamente e ad agganciare la cintura, assicurandola poi con un doppio nodo. Era un cappotto alla moda di DKNY, ma sembrava un po’ strano così stretto intorno al suo corpo.
Mentre infilava le mani nei guanti gli chiese: «Quand’è stata l’ultima volta che è saltato giù da un aereo, signor Clark?».
«Salto giù dagli aerei da prima che tu nascessi.»
«E quando ha iniziato a evitare le domande difficili?»
Clark rise. «Più o meno da quando ho iniziato a saltare. Lo ammetto. Non lo faccio da un po’. Credo si possa descrivere come cadere giù da un albero.»
Rughe di preoccupazione si disegnarono intorno agli occhi della Sherman, dietro agli occhiali. «È come cadere da un tronco alla velocità di 190 chilometri, a duemila metri da terra.»
«Immagino di sì.»
«Vuole rivedere la procedura?»
«No, ho capito. Apprezzo la tua cura per i dettagli.»
«Come va il braccio?»
«Non è tra i miei dieci problemi principali al momento, quindi direi che è a posto.»
«Buona fortuna, signore. Parlo a nome di tutto l’equipaggio: ci chiami in qualsiasi momento, se dovesse aver bisogno d’aiuto.»
«Grazie, signorina Sherman, ma non posso coinvolgere nessun altro nella mia missione. Spero di rivedervi quando sarà tutto finito, ma non userò l’aereo durante l’operazione.»
«Capisco.»
Il capitano Reid parlò ancora dall’interfono. «Cinque minuti, signor Clark.»
John si alzò con fatica. Fissata al petto teneva una piccola borsa di tela. Conteneva un portafogli con dei contanti, un marsupio, due serie di documenti falsi, un telefono con un caricabatterie, una pistola SIG calibro .45 con silenziatore, quattro caricatori di proiettili a espansione e un taglierino.
Attaccato alla sua schiena, invece, aveva un paracadute MC-4 Ram Air.
Il primo ufficiale Chester «Country» Hicks uscì dalla cabina di pilotaggio e strinse la mano di John. Insieme Hicks, Clark e Adara si spostarono sul retro della cabina. Lì la Sherman sollevò il piccolo sportello interno della stiva, da cui si accedeva al vano bagagli. La Sherman e Hicks si agganciarono a grosse cinghie di tela attaccate ai sedili, poi si calarono, uno alla volta, nel piccolo scompartimento. Avevano spostato tutti i bagagli nella cabina, assicurandoli ai sedili durante il volo, per cui avevano abbastanza spazio per muoversi, anche se in ginocchio.
Adara si spostò sulla destra del portellone esterno, mentre Hicks si posizionò sulla sinistra. Clark rimase nella cabina dell’aereo, poiché lo spazio era già abbastanza angusto con due corpi stipati nel piccolo ambiente. Si inginocchiò e attese.
Un minuto più tardi, il primo ufficiale Hicks guardò l’orologio. Fece un cenno alla Sherman, poi i due tirarono lo sportello verso l’interno. La botola era grande soltanto 90 per 96 centimetri, ma era molto difficile da aprire. Lo sportello esterno era allo stesso livello della fusoliera, appena sotto il motore sinistro, e la corrente d’aria creava un risucchio che i due membri dell’equipaggio nella stiva dovettero combattere con la forza bruta. Infine tirarono lo sportello, con uno stridio, mentre il vento freddo della notte sferzava l’interno dell’aereo. Quando il portellone fu all’interno, lo fecero scivolare come una piccola bascula da garage; questo lo fece aprire verso l’esterno.
Il motore di sinistra era soltanto a qualche metro di distanza e creava un rumore assordante; dovettero gridare per sentirsi.
Il capitano Reid aveva fatto scendere il velivolo sotto la coltre di nubi mentre si avvicinavano all’aeroporto di destinazione, Tegel, a Berlino. La terra sotto di loro era nera, con qualche sprazzo di luci qua e là. Il villaggio di Kremmen, a nordovest di Berlino, era il centro abitato più vicino, ma Clark e la Reid avevano scelto una zona di lancio a ovest di quel punto, perché c’erano molti campi aperti circondati da una foresta che sarebbe stata praticamente deserta di mercoledì notte.
Clark tenne gli occhi puntati su Hicks, nella stiva di fronte a lui. Quando il primo ufficiale alzò lo sguardo dall’orologio e indicò Clark, John iniziò a fare il conto alla rovescia da venti. «Milleventi. Millediciannove. Millediciotto…»
Si girò, carponi, e iniziò a indietreggiare verso la stiva. A «milledieci», sentì le mani di Adara e Chester stringersi intorno alle cinghie del paracadute; le punte dei suoi stivali erano appena fuori dall’aereo. Il capitano Reid aveva rallentato a circa centoventi nodi, ma il rumore dei motori e la pressione del vento sulle sue gambe erano molto forti.
A «millecinque» – Clark dovette gridare molto forte perché gli altri sentissero – Hicks lasciò la presa sull’imbracatura e la Sherman fece lo stesso, aggiungendo una breve stretta alla sua spalla.
A «milletre», indietreggiò ancora nel vento scuro e freddo. Faceva fatica, ma mettere avanti prima i piedi, o procedere sul sedere o sulla schiena, avrebbe aumentato la possibilità che il paracadute si impigliasse all’interno dell’aereo.
«Milleuno. Go!» Clark si spinse fuori dall’aereo; sentì subito il fianco destro sbattere contro la soglia del portellone esterno, ferendogli le costole. Ma cadde liberamente giù dal Gulfstream che procedeva rapido nella notte verso le luci di Berlino in lontananza, lasciando indietro John Clark a volteggiare su se stesso, capovolgendosi verso i campi di grano, gelidi per l’inverno, circa duemila metri sotto di lui.