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John Clark non era esperto di pesca; riconosceva di aver molto da imparare. In un paio di occasioni era riuscito a prendere qualche trota arcobaleno e bruna nel torrente del vicino, ma le correnti e i ruscelli della sua fattoria fino a quel momento gli avevano procurato solo frustrazioni. Il vicino gli aveva assicurato che anche nella sua proprietà c’erano buone possibilità di pesca alla trota, ma un altro abitante del luogo lo aveva contraddetto: nei piccoli corsi d’acqua come quelli nella sua fattoria, quelle che venivano chiamate trote erano in realtà cavedani di ruscello, membri della famiglia dei ciprinidi. Potevano crescere fino a raggiungere i trenta centimetri ed essere abbastanza combattivi quando erano presi all’amo da ingannare i pescatori dilettanti, illudendoli di avere a che fare con una trota.

John decise di procurarsi un libro sulla pesca e di leggerlo quando ne avesse avuto il tempo, ma per quel pomeriggio rimase lì da solo nel ruscello del vicino con indosso gli stivaloni, gettando la canna con l’esca nelle acque calme, per poi ripetere il procedimento, molte volte.

Gli sembrava di pescare con la mosca, a parte per il fatto che non aveva preso un accidenti di niente.

Per quel pomeriggio John si arrese, riponendo la canna un’ora prima del tramonto. Sebbene non fosse riuscito ad allettare alcun pesce con la sua esca, era stata tutto sommato una buona giornata. La sua ferita stava guarendo, si era goduto qualche ora di aria fresca e solitudine e, prima del pomeriggio di relax, aveva dato una mano di vernice alla camera da letto. Un’altra passata nel weekend e poi avrebbe potuto portarci Sandy: se avesse approvato avrebbe potuto continuare e imbiancare il salotto.

Ma soprattutto, non gli avevano più sparato, né aveva dovuto uccidere nessuno o darsi alla fuga per salvarsi la pelle.

Sì, una buona giornata.

John ripose l’attrezzatura da pesca, guardò il cielo grigio e si chiese se fosse quella la vita del pensionato.

Afferrò la scatola portaesche e la canna, scacciò quel pensiero e inspirò la brezza fresca che scendeva dal monte Catoctin, a ovest. Per tornare alla fattoria ci sarebbe voluta una scarpinata di una mezz’ora buona attraverso i boschi. Iniziò a camminare verso est, arrampicandosi sulle pietre che dal ruscello conducevano a un sentiero.

La fattoria di John si trovava nella contea di Frederick, a ovest di Emmitsburg e a meno di due chilometri dal confine con la Pennsylvania. Lui e Sandy avevano cercato una proprietà rurale da quando erano tornati dall’Inghilterra. Quando un compagno della marina, che si era ritirato in un piccolo allevamento da quelle parti per produrre formaggio con sua moglie, aveva parlato a John di un cartello VENDESI di fronte a una piccola fattoria di una cinquantina di acri, lui e sua moglie erano andati a dare un’occhiata.

Il prezzo era equo, poiché la casa aveva bisogno di qualche lavoretto, e Sandy, che aveva sempre sognato di vivere in campagna, se n’era innamorata a prima vista, così avevano firmato il contratto la primavera precedente.

Da allora John era stato troppo impegnato con il Campus per fare altro a parte guidare fin laggiù durante i rari giorni liberi, per occuparsi di qualche lavoretto di manutenzione e pescare. Di tanto in tanto con lui andava anche Sandy. Avevano visitato insieme Gettysburg, a pochi chilometri di distanza, e speravano di potersi concedere presto un weekend ad Amish Country, nella vicina contea di Lancaster.

E quando fossero andati in pensione, si sarebbero stabiliti lì definitivamente.

O quando Sandy fosse andata in pensione, si corresse Clark facendosi strada attraverso un fitto boschetto di arbusti sempreverdi che ricoprivano la collina vicino al piccolo ruscello.

John aveva comprato quella proprietà per trascorrere lì i loro anni migliori, ma non si faceva illusioni: lui non era una di quelle persone destinate a godersi il loro viale del tramonto. Non avrebbe vissuto abbastanza da andare in pensione e dedicarsi a produrre formaggio finché il suo corpo avrebbe cominciato a risentire degli acciacchi dell’età.

No. John Clark immaginava che per lui tutto sarebbe finito in maniera molto più improvvisa.

Quando il proiettile gli aveva attraversato il braccio doveva essere circa la cinquantesima volta che rischiava la vita. Quindici centimetri più all’interno e quella pallottola da 9 millimetri sarebbe finita dritta in un polmone, soffocandolo a morte con il suo stesso sangue prima che Ding e Dom avessero fatto in tempo a portarlo giù in strada. Dieci centimetri più a sinistra e gli avrebbe perforato il cuore: non sarebbe nemmeno riuscito a uscire dall’attico. Mezzo metro più in alto e il proiettile gli si sarebbe conficcato nella nuca: sarebbe morto come Abdul bin Mohammed al Qahtani, crollato nell’ascensore dell’Hôtel de Sers.

John era certo che, prima o poi – e i suoi «poi» si stavano esaurendo – sarebbe morto in missione.

Quando era molto giovane, era stato un Navy SEAL in Vietnam e aveva lavorato nel MACV-SOG. Per anni, Clark e altri suoi colleghi avevano vissuto a un passo dalla morte. Si era trovato sul filo del rasoio in svariate occasioni. Proiettili che gli avevano sfiorato il viso, esplosioni che avevano conficcato schegge letali nei corpi di uomini vicinissimi a lui, elicotteri che si sollevavano nell’aria a centocinquanta metri da terra prima di decidere che quel giorno non avevano più voglia di volare. A quei tempi, i faccia a faccia con la morte gli avevano procurato continue scariche di adrenalina. Lo avevano reso così maledettamente felice di essere vivo che, come molti altri suoi colleghi, era diventato dipendente di quella droga chiamata pericolo.

John chinò la testa sotto il ramo basso di un giovane pioppo mentre camminava, attento a non far impigliare la canna da pesca tra gli alberi. Sorrise un po’, pensando a quando aveva ventidue anni. Era passato così tanto tempo.

Il proiettile che lo aveva quasi ammazzato su quel tetto di Parigi non somigliava alle emozioni da capogiro provate quando era un giovane SEAL in Vietnam. Né lo riempiva di timore e paura. No, John non si era rammollito con gli anni. Era diventato più fatalista. La pallottola in Francia e la fattoria nel Maryland avevano molto in comune.

Gli dicevano che, in un modo o nell’altro, prima o poi quella folle corsa sarebbe finita.

John scavalcò la staccionata a sudovest della sua proprietà. Una volta entrato nel suo possedimento, attraversò un boschetto di pini, dove il declivio di una collina conduceva in una piccola valle, in cui si snodava un torrente da nord a sud, dalle parti della recinzione.

Guardò l’orologio: erano le 16:15. In quel punto il cellulare non prendeva; per cui, nelle tre ore trascorse da quando aveva deciso di andare a pescare, era stato irraggiungibile. Si chiese quanti messaggi avesse ricevuto in segreteria sul telefono di casa; ripensò al passato, ricordando con nostalgia gli anni in cui non c’erano ancora i cellulari e non si sentiva colpevole per una passeggiata nel bosco.

Stare da solo nelle zone selvagge del Maryland gli fece pensare alla solitudine nel sudest asiatico. Sì, era passato molto tempo, ma non così tanto per chi c’era stato. Le piante erano diverse nella giungla, ovviamente, ma la sensazione era la stessa. Gli era sempre piaciuto stare a contatto con la natura; cosa che di sicuro non era avvenuta spesso negli ultimi anni. Magari una volta che il ritmo operativo del Campus fosse tornato a un livello ragionevole, avrebbe potuto trascorrere un po’ più di tempo là fuori nei boschi.

Un giorno gli sarebbe piaciuto portare suo nipote a pescare; ai bambini piaceva, no?

Attraversò il suo ruscello, procedendo nell’acqua alta fino al ginocchio: indossare gli stivaloni da pesca quel pomeriggio era stata una gran bella idea. L’acqua di sorgente era ghiacciata e più profonda del solito. La corrente non era molto rapida: proprio per questo aveva guadato il torrente in quel punto invece che un centinaio di metri più a monte, dove grosse pietre piatte sporgevano di qualche centimetro in superficie per tutta la larghezza del corso d’acqua, creando un ponte naturale ma sdrucciolevole. Ma quel giorno Clark non ebbe problemi ad attraversare il ruscello, e nemmeno a guadare una pozza più profonda creata da una depressione delle rocce calcaree: l’acqua non gli arrivava oltre la vita.

John oltrepassò il corso d’acqua camminando su un letto di erbacce che spuntavano dalle pietre, ma a un certo punto si fermò.

Aveva notato qualcosa brillare nell’acqua, riflettendo i raggi del sole al tramonto come acciaio.

Che cos’è?

In quel punto, circondata da una macchia di erba che sbucava dall’acqua alta fino al ginocchio, c’era una sostanza vischiosa rosea che seguiva la direzione della corrente; alcune goccioline si staccavano dal resto e continuavano a galleggiare.

A differenza di molti veterani del Vietnam, Clark in genere non aveva flashback. Aveva fatto così tante cose nei quarant’anni trascorsi da allora che quel periodo non era stato più traumatico di molte esperienze successive. Ma proprio in quel momento, guardando la sostanza vischiosa appiccicarsi all’erba, ripensò al Laos degli anni Settanta. Laggiù, con una squadra di guerriglieri Montagnard, aveva attraversato un ruscello non molto più profondo di questo, sotto un’antichissima foresta pluviale. Aveva notato una sostanza nera che si trascinava a valle; osservandola meglio, lui e gli altri avevano capito che si trattava di miscela olio-benzina. Poi erano tornati a monte e un raccordo del sentiero di Ho Chi Minh li aveva condotti sulle tracce di un gruppo di soldati dell’esercito regolare del Vietnam del nord che avevano perso uno scooter nella forte corrente mentre cercavano di attraversare il torrente. Avevano ripescato il motociclo, ma l’olio era comunque colato nell’acqua e li aveva traditi.

Clark e la sua squadra di guerriglieri Montagnard erano riusciti a prendere il nemico alle spalle.

Guardando la sostanza vischiosa di fronte a lui, Clark non poté fare a meno di ripensare al Laos. La toccò con le dita e poi le avvicinò al naso.

L’inconfondibile odore di lubrificante per armi gli riempì le narici. Pensò persino di poterne determinare la fattura. Era Break-Free, la sua marca preferita.

Si voltò di scatto per guardare a monte.

Cacciatori. Non poteva vederli, ma non aveva dubbi: avevano attraversato la passerella naturale un centinaio di metri più a nord, approssimativamente nell’ultima mezz’ora. Nella sua proprietà c’erano cervi dalla coda bianca e tacchini; a quell’ora del pomeriggio ce ne sarebbero stati in abbondanza. Ma non era stagione di caccia e la recinzione di Clark era posizionata maledettamente bene. Chiunque si trovasse nella sua proprietà stava infrangendo un gran numero di leggi.

John continuò a camminare, attraversando il resto del torrente, poi individuò il sentiero che dai boschi conduceva ai campi intorno alla sua casa. Sapendo di non essere solo lì tra gli alberi, la sua passeggiata nella foresta gli ricordò ancora di più i tempi del sudest asiatico.

Gli venne in mente che sarebbe dovuto uscire dal bosco, attraversando i pascoli, per raggiungere la fattoria. Se c’erano in giro dei cacciatori, soprattutto di quelli che si introducevano nelle proprietà abusivamente e uccidevano la selvaggina fuori stagione, allora, pensò John, non era da escludere il rischio di beccarsi il secondo colpo d’arma da fuoco nel giro di un mese.

E stavolta non sarebbe stata la pallottola di una pistola 9 millimetri. Sarebbe stato il proiettile di una carabina, o di un fucile da caccia.

Cristo, pensò Clark. Prese dagli stivaloni la SIG che teneva sempre con sé e la puntò sul sentiero polveroso ai suoi piedi; avrebbe sparato un colpo per segnalare la sua presenza.

Ma si fermò prima di premere il grilletto.

No. Non era sicuro del perché, ma non voleva avvisare nessuno della sua presenza. Naturalmente non lo preoccupava il fatto che un gruppo di cacciatori di tacchini potesse puntargli contro un’arma. Ma non conosceva quella gente né le sue intenzioni, o quanto Jack Daniel’s avessero bevuto durante la loro battuta di caccia, quindi decise di seguirli. Si allontanò dal sentiero appena percorso per poter prendere alle spalle i cacciatori, immaginando i loro movimenti nel bosco. Gli ci volle un po’ per individuare le loro tracce. Maledisse la luce a chiazze sotto gli alberi. Infine trovò le impronte che avevano attraversato un sentiero più piccolo.

Dopo alcune centinaia di metri, cominciò a intuire quale traiettoria avessero seguito; era strana. Che fossero a caccia di cervi o tacchini, lasciare il sentiero in quel punto non aveva molto senso. La selvaggina sarebbe stata nei campi, più vicino alla casa. Perché avrebbero dovuto muoversi furtivamente tra gli alberi, a cinquanta metri dal margine del bosco?

Perse le tracce a qualche metro di distanza, quando il tramonto e i rami dei sempreverde sopra di lui iniziarono a bloccare ogni minima fonte di luce.

Clark posò la scatola portaesche, si inginocchiò e si mosse con cautela verso il limitare degli alberi. Fu attento a tenersi basso, protetto da un grosso abete canadese.

Quando raggiunse i pascoli, guardò l’erba, aspettandosi di vedere a est delle figure vestite di color arancio.

Ma non c’era nulla.

Scrutò l’orizzonte verso la fattoria, un centinaio di metri verso nord, ma non vide nessuno neanche in quella direzione. Scorse invece un gruppo di otto cervi dalla coda bianca, che brucavano l’erba dei campi tra il punto in cui si trovava e la fattoria. Erano piccole femmine e giovani esemplari, nulla che avrebbe potuto interessare un cacciatore.

Il cervello di Clark cominciò a elaborare in fretta tutti i dati a sua disposizione. Il tempo che l’olio Break-Free aveva impiegato per scendere a valle dal ponte naturale sul ruscello fino al punto in cui l’aveva trovato, guadando il piccolo corso d’acqua. Il tempo che i cervi avrebbero trascorso lontano dai pascoli, se i cacciatori li avessero attraversati.

Non gli ci volle molto a capirlo: i cacciatori dovevano essere lì, nei boschi insieme a lui.

Ma dove?

John Clark non era un cacciatore, non di animali a ogni modo, per cui ricorse ancora alla sua esperienza nel Vietnam. Una collina si alzava nella parte meridionale del pascolo davanti a lui, alla sua destra. Era la postazione ideale per un cecchino: era possibile ottenere una copertura perfetta di tutta l’area. Magari un cacciatore avrebbe fatto lo stesso…

. Laggiù, a cinquanta metri dal punto in cui si trovava Clark, un lampo di luce balenò da un vetro, prima che il sole tramontasse completamente.

Poi vide gli uomini. Non erano cacciatori, poteva vederlo anche da dove si trovava. Indossavano ghillie suit, tute mimetiche fatte di fasce intrecciate di tessuto verde e marrone per simulare foglie ed erba secca. Sembravano due cumuli di foglie dietro un fucile nascosto solo parzialmente e dotato di un mirino telescopico.

E le lenti erano puntate sulla fattoria.

«Ma cosa diavolo…?» sussurrò Clark tra sé.

Uno degli uomini era bagnato. Non ci voleva un brillante investigatore per capire cosa fosse successo. Gli osservatori avevano percorso il bosco, attraversando il ruscello a un centinaio di metri a nord da dove Clark l’aveva guadato; l’uomo con la tuta zuppa doveva essere scivolato sulle rocce piatte, bagnandosi insieme al fucile calibro .308. L’olio lubrificante dell’arma avrebbe impedito che arrugginisse, ma la sostanza aveva anche tradito la presenza della squadra.

Ma perché sono il loro obiettivo?

Clark pensò che sarebbe potuto tornare indietro fino alla casa del vicino. Ci sarebbe voluta almeno mezz’ora, ma lì avrebbe potuto chiamare le autorità e contattare qualcuno dell’ufficio dello sceriffo della contea di Frederick, che si sarebbe occupato dei due cecchini. Ma questo avrebbe attirato fin troppa attenzione su di lui, suscitando domande sul motivo per cui un paio di uomini con addestramento militare e fucili molto potenti si trovassero sulla sua proprietà.

Oppure avrebbe potuto occuparsi della faccenda da sé. Sì, era l’unico modo. Pensò alla strada da percorrere una volta tornato tra gli alberi: sarebbe andato verso sud, dietro alla collina, per sorprendere i due uomini alle spalle.

Ma non attuò il suo piano. In lontananza, vide alcuni grossi veicoli neri, cinque in tutto, che si dirigevano verso la casa. Procedevano rapidi, senza annunciare la loro presenza con i fari; Clark rimase a guardarli come ipnotizzato.

A un centinaio di metri di distanza, i grossi SUV circondarono la sua proprietà. Solo allora furono abbastanza vicini da permettergli di vedere che sui pianali dei veicoli in corsa c’erano uomini con giubbotti antiproiettile neri, attaccati alle sbarre sul tetto dei furgoni con una mano, e con fucili d’assalto M4 nell’altra.

Non riusciva a leggere la scritta bianca sul retro delle uniformi e dei giubbotti, ma l’equipaggiamento e le tecniche erano inconfondibili.

Clark chiuse gli occhi e abbassò la fronte sulle foglie fresche. Sapeva chi stava facendo irruzione dalla porta principale e da quella posteriore della fattoria.

Era una squadra di SWAT dell’FBI.

Rimase immobile e guardò l’FBI sfondare la porta sul retro, poi lanciarsi all’interno con uno schieramento tattico.

Nel giro di qualche secondo il leader della squadra annunciò che la casa era pulita, e gli uomini tornarono all’esterno.

«Figli di puttana» mormorò John ritraendosi, tornando al riparo del bosco. Lì si tolse gli stivali da pesca e li nascose sotto un mucchio di foglie e aghi di pino. Non si preoccupò di farlo con eccessiva cura: non aveva dissimulato le sue tracce mentre camminava fin lì attraverso il bosco, e stava per lasciarne altre nella direzione opposta. Quando gli uomini dell’FBI fossero arrivati al limitare degli alberi, avrebbero trovato la prova che qualcuno era stato lì durante il loro blitz, per poi fuggire.

Dopo aver nascosto gli stivali, Clark si voltò, si alzò e iniziò a correre ripercorrendo il sentiero, cercando di porre la maggiore distanza possibile tra sé e gli uomini che lo seguivano. Doveva scoprire cosa stesse succedendo prima di pianificare la mossa successiva.

Mentre correva, più di ogni altra cosa, desiderò che il suo cellulare avesse campo. Aveva il sospetto, sempre più fondato, di essersi perso un paio di chiamate importanti mentre era a pescare.

Inizio


Il giorno del falco
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