Il funeralista
Il funeralista è un presenzialista dei funerali.
Che il defunto sia una persona nota, o famosa, non ha importanza. Ciò che conta - nella scelta delle "sue" esequie -sono le parole usate da amici e parenti per l'ultimo saluto che legge nei necrologi aprendo il giornale la mattina; oppure i soprannomi dei morti, sui manifesti funerari che gli sembrano sempre tanto eleganti. Si appassiona a una cerimonia affollata, durante la quale si impegna a esaminare le espressioni di pena dei presenti; o per contro ama essere una persona in più a una funzione poco frequentata, mosso da un intristito senso di protezione.
Se per caso incrocia un corteo per strada vi si aggrega. Il corteo accresce di molto il fascino della partecipazione a un funerale - prepara il terreno alla compenetrazione.
Tutte queste ragioni sono contenute e superate da una più grande e più profonda spinta: l'estetica. Al funeralista piacciono proprio, i funerali. Li trova belli. Il silenzio profumato d'incenso, la luce corposa delle candele, la cura dolorosa, la formalità decorosa, la solennità.
Ogni tanto si trastulla con l'idea di dar vita a una società che fornisca comparse per esequie. E col tempo ci si potrebbe specializzare. Semplici comparse per fare numero, comparse parlanti - cosa che ne farebbe dei veri e propri interpreti da funerali. Un progetto ambizioso.
Che è rimasto tale però, perché in fondo non lo ha mai convinto del tutto. La sua è una dedizione, disinteressata e personalissima; e, per questo motivo, deve essere lui stesso a darle forma e ad averne riguardo. E lo fa senza travalicare i limiti del rispetto e della discrezione: mai una parola di troppo, nulla che possa essere scambiato per una presa in giro. Non si finge amico né parente, non esprime il proprio cordoglio ai familiari, non si lascia andare a commenti con le altre persone presenti. Parla solo se interrogato, e sempre mantenendosi vago e distaccato. Compìto.
Tuttavia, desidera ardentemente essere notato. Di più: essere notato è il suo scopo.
Tanti anni addietro, all'epoca dei suoi primi funerali, si era accorto che il semplice piacere dell'assistervi si amplificava sino a trasformarsi in un brivido di puro godimento quando si rendeva conto che la sua presenza era stata registrata.
Ma i canoni del suo essere "registrato" sono rigidi: notato, per il funeralista, significa notato - semplicemente. Intercettato, insomma, sia pure per caso da uno sguardo distratto che vaga per la chiesa, e che giusto per un attimo si posa su di lui. Mentre non potrebbe ritenere valida la propria partecipazione se venisse smascherato - ossia se si scoprisse che la sua presenza non è né casuale né giustificata dalla conoscenza del defunto; e neppure se venisse messo sotto torchio sino a screditare la bontà e le ragioni del suo intervenire. Tutto ciò che si concede, e comunque di rado, è qualche semplice formula di rito. Non vuole eccedere, ma nemmeno eccedere in sobrietà - perché equivarrebbe a farlo per clamore.
Il funeralista prende nota di tutti i funerali a cui partecipa, e delle reazioni che provoca. All'inizio i resoconti erano vaghi, ma col tempo ha preso ad aggiungere precisazioni e notizie che un giorno forse si riveleranno utili. Questa raccolta infatti - questo curriculum mortis, come lo chiama tra sé - è diventato uno strumento per affinare il proprio stile, per non incorrere in errori commessi in passato, per giocare a trovare coincidenze e legami tra le cerimonie. Per riassaporare quel poco di felicità che riesce a distillare per sé.
Indossa abiti molto semplici, sobri e raffinati, ma senza trascurare alcuni dettagli. Le cravatte larghe con il nodo grosso, i colletti arrotondati delle camicie, i pantaloni con il risvolto, le giacche leggermente avvitate. La sua divisa. Il tocco finale è la brillantina con cui cerca di tenere in ordine il ciuffo che gli cade sulla fronte e che gli conferisce un'aria leggermente azzimata.
Il funeralista è impiegato in una compagnia di assicurazioni, e la necessità di presentarsi in ufficio vestito decorosamente gli ha sempre fatto gioco in caso di esequie dell'ultimo minuto. Ultimamente le cose non vanno tanto bene alla compagnia, e così l'orario di lavoro del funeralista è stato ridotto permettendogli di dare una bella botta al suo curriculum mortis.
"16 aprile 2006. Chiesa di san Ubaldo, ore 10. Defunto: Angelo Raffaele.
"Non potevo proprio perdermelo.
"Una signora deve avermi scambiato per qualcun altro. O forse era così disperata che non le importava chi fossi. Oppure è stato perché ai funerali ci si sente spesso parte di un unico, comune dolore. Fatto sta che mi ha pianto addosso. Ha fatto giusto in tempo a buttarmi la faccia sul petto, e a soffocare un singhiozzo contro il bavero della giacca. E poi giù a piangere.
"Non so se questo possa considerarsi esser notato, ma certo non può nemmeno rientrare nelle partecipazioni anonime."
"8 novembre2006. Cappella delle Carmelitane, ore 12,30. Defunto: Franco; non conosco il cognome perché sono venuto a conoscenza del funerale passando davanti alla cappella, e il prete - come è consuetudine - si è riferito a lui solo come al 'nostro fratello Franco'.
"Non sapevo se entrare, c'era pochissima gente, sette o otto persone al massimo. Assai meno rispetto ad alcune cerimonie che pure mi avevano fatto venir voglia di aggregarmi per evitare che fossero troppo sguarnite. Così me ne sono restato immobile sulla soglia per un po'. Ma più restavo lì impalato, e più questo avrebbe potuto compromettere la mia partecipazione; dovevo decidere. A convincermi, infine, è stata la cappella, che mi piace molto. Le cui opere d'arte, in ultima ipotesi, se proprio la mia presenza fosse risultata altrimenti indifendibile, avrebbe potuto essere anche la mia difesa.
"Ho trovato molto strana quella scarsa partecipazione. La Cappella delle Carmelitane è certamente un luogo intimo, raccolto, non adatto ai bagni di folla; ma quel deserto mi è parso comunque sospetto.
"A ogni buon conto, vedermi mi hanno visto di sicuro. E non sono stato costretto a spiegare nulla. Se hanno fatto congetture su di me, o dato per scontato che fossi lì per caso, non posso saperlo né è affar mio. Dunque resta che ho partecipato.
* Ipotesi sulla scelta della chiesa: i signori erano di fuori, e la cappella è stata suggerita dall'impresario delle pompe funebri, da un impiegato comunale o da un conoscente di qui."
"3 febbraio 2002. Chiesa di santa Patrizia, ore 12. Defunta: Giovanna Dorso.
"Stesso giorno. Chiesa di sant'Eustachio, ore 16. Defunto: Paride Orsini, detto il Ferroviere.
"Il primo funerale era in lista, nel secondo sono incappato mentre passeggiavo: il cognome del signor Orsini ricordava quello della signora Dorso, e l'idea di assistere nello stesso giorno a due funerali in cui ci fosse un rimando così significativo, quasi l'incrociarsi di blasoni nobiliari ispirati a una stessa belva, mi ha solleticato assai.
"Mi sono chiesto se il soprannome del signor Orsini derivasse dall'essere stato davvero un ferroviere (in tal caso, non capisco però perché mai sia detto il Ferroviere, e non lo sia semplicemente), o invece da qualche aneddoto (e in tal caso, vorrei tanto conoscerlo).
"Non c'è molto altro da aggiungere. Solo che sono da conteggiare entrambi: posso dire con assoluta certezza d'esser stato notato in tutte e due le occasioni, senza che questo abbia comportato problemi o domande tendenziose. "
"4 febbraio 2005. Chiesa Maggiore, ore 15. Defunto: Rosario De Ponti.
"È stata una partecipazione catastrofica. Molto imbarazzante. Mi guardavano tutti. Era un funerale parecchio affollato, e io mi sono tenuto in disparte. Alcuni si davano di gomito, si lanciavano occhiate, scambiavano commenti. Non dico ci sia stato addirittura un brusio al mio indirizzo, ma è stata davvero una situazione incresciosa.
"A un certo punto un ragazzo si è mosso dalla prima fila, ed è venuto a chiedermi se conoscessi suo padre. L'esser pronto a simili evenienze, avere un accurato catalogo di risposte plausibili, non sono valsi a nulla: quell'insistente attenzione nei miei confronti mi aveva disturbato, e così la risposta non è stata pronta né disinvolta. Ho titubato, farfugliato, ho risposto che ero entrato lì per caso, che avevo sentito il bisogno di un luogo appartato. Ma mi avevano visto entrare a cerimonia iniziata, e una chiesa in cui si celebra un funerale non è il posto più adatto per raccogliersi in solitudine.
"Il ragazzo, a ogni modo, non ha ribattuto. Si è limitato a dirmi: 'Capisco. La saluto, allora,' ed è tornato al proprio posto.
"Sono andato via confuso, e di malumore.
"Da una ricerca sul nome non è risultato nulla. Forse i parenti hanno scoperto che il defunto possedeva un'attività di cui non erano a conoscenza in società con qualcuno, e hanno pensato che io fossi il socio misterioso; oppure il congiunto era gay e io potevo essere l'amante; o ancora, il defunto doveva dei soldi a un usuraio, e hanno temuto che fossi il creditore e mi trovassi li per riscuotere; o al contrario, che fossi qualcuno che gli doveva del denaro.
"Ma l'ipotesi che mi affascina di più è che il morto fosse un malvivente, che appartenesse a un clan, a una cosca, oppure a una setta. Anche quel ragazzo poteva in realtà esserne un membro, e non essere il figlio.
"Mi incanta l'idea di un gruppo così chiuso da identificare immediatamente l'estraneo. Ma ciò non toglie che debba privare il mio elenco di un funerale tanto interessante; e questo mi secca molto."
"29 giugno 2004. Chiesa dei santi Pietro e Paolo, ore 11. Defunto: Pietro Paolo Corti.
"Un funerale il cui defunto porta lo stesso nome della chiesa, e che per giunta si celebra lo stesso giorno in cui vengono onorati entrambi i santi. Straordinario. Pietro Paolo, poi, non è nemmeno un nome troppo comune, nella versione dei due nomi separati.
"A parte questo, poco da dire. Sono stato notato."
Il funeralista conserva i resoconti in una vecchia cassetta di latta, che il tempo ha deformato e un po' sconnesso, così che deve sempre darle qualche colpetto di assestamento e imprimerle una certa pressione per richiuderla. A dispetto del suo abbigliamento rigoroso, questa raccolta è disorganica e caotica: i fogli sono di misure diverse, indistintamente bianchi, a righe o a quadretti; alcuni spillati ad altri perché per certi funerali gli appunti estremamente particolareggiati si sommano a più riprese, o collegano due diverse cerimonie senza alcun apparente motivo. Ma quando apre la cassetta e vi sprofonda le mani, gli sembra che tutto fili liscio, come se leggesse un romanzo una pagina dopo l'altra, in perfetta e accattivante sequenza.
Ora che il funeralista è andato in pensione, partecipare ai funerali è diventato il suo impegno principale, oltre allo star seduto ai giardinetti ad aspettare le rondini in primavera, ad ascoltare le civette all'alba, a guardare i cani - che si sanno adeguare a tutte le ore e a tutte le stagioni. Ed è proprio mentre se ne sta lì, a lasciar passare il tempo su una panchina, che i crucci salgono in superficie. Gli dispiace che tutto finisca con lui, che non ne resti traccia. Ha addirittura considerato la possibilità di una pubblicazione che narri regole e magia della sua attività ma poi, con maggior convinzione e realismo, ha deciso di darle un futuro. Con al fianco un assistente, qualcuno cui donare il proprio sapere, da forgiare e istruire, che possa diventare il suo successore, sarebbe diverso.
Sì, sarebbe decisamente diverso. E, anzi, una sfida straordinaria.
Forse non è troppo tardi.
Una mal trattenuta frenesia accompagna la sua ricerca. Per trovarlo, sceglie di affidarsi a un annuncio: ma deve essere esplicito o ambiguo? Non deve esporlo troppo e intanto aiutarlo a sondare il terreno con discrezione.
Gli piacerebbe tanto scrivere qualcosa tipo: "Cercasi comparsa per funerali. Preferibilmente maschio, giovane, e con libertà di movimento. Necessarie discrezione e serietà; astenersi curiosi e perditempo. No stipendio; rimborso eventuali spese, formazione". Sì, un annuncio chiaro lo attrae fortemente. Ma altrettanto forte è la paura che qualcuno, leggendolo, possa collegarlo alle sue trascorse - e ancor più quelle a venire - partecipazioni, vanificando le une e le altre. O addirittura denunciarlo, anche se il funeralista non sa proprio di quale reato potrebbero accusarlo. In fondo non c'è nulla di illegale in ciò che fa.
Nonostante i dubbi - che non lo hanno abbandonato neppure ad annuncio pubblicato - si è risolto per quello esplicito. Male che vada, lo prenderanno per uno scherzo.
Si immagina alle prese con un piccolo funeralista (è l'unica occasione in cui rimpiange di non avere un figlio), da plasmare e smussare; ne limerebbe le imperfezioni, gli svelerebbe tutti i segreti e i trucchi che hanno fatto di lui un funeralista pressoché perfetto.
Quando cominciano ad arrivare le telefonate in risposta all'annuncio, il funeralista decide di concentrare tutti i colloqui (quattro) nella stessa giornata. È troppo impaziente. Ha cura, però, di fissare gli appuntamenti ben lontani l'uno dall'altro, così che gli aspiranti funeralisti non si incontrino. Non devono assolutamente vedersi: se riuscisse a trovare quello giusto - cosa che è fortemente intenzionato a fare - non vuole che gli altri tre siano mai in grado di riconoscerlo, e di metterne a repentaglio l'anonimato.
Il giorno dei colloqui il funeralista è nervoso. E se tra i quattro pretendenti non ci fosse quello giusto? Se non fosse in grado di riconoscerlo e lo scartasse? O se, al contrario, fosse lui alla fine a rinunciare? Se fosse costretto a tentare un secondo incontro? Se... Se... Se...
I primi tre candidati non lo convincono, e quando comincia a temere di dover rinunciare, eccolo comparire. Il quarto. Quello giusto. Indossa un pantalone di panno e una polo. Certo, è lontano dall'abbigliamento che dovrà avere in servizio, ma lo stile si intuisce chiaramente. E poi l'espressione del volto, comunicativa e partecipe, ma composta. Anche le sue ragioni sono salde, e cosi il tono della voce. Con parole vibranti ma non superficialmente entusiastiche, ha elencato tutti i perché della propria passione e alla fine ha aggiunto l'elemento decisivo:
"So bene che per partecipare a un funerale senza esservi invitato né coinvolto è sufficiente entrare in chiesa e star lì in silenzio. Ma non è questo quello che desidero. Io voglio la sintonia. Una sintonia individuabile di volta in volta per ogni cerimonia, ma che sia pure un approccio che si assomigli sempre, perfetto per ogni funerale del mondo.
"Voglio tutto questo. Però quell'approccio e quella sintonia io ancora non li conosco. Ne percepisco la necessità, ma impacci, disagi e tensioni non mi permettono di abbandonarmi al piacere."
Il funeralista per poco non si è commosso. Poi, recuperata la lucidità, si è limitato a chiedergli come ha scoperto la propria attitudine. Lui ha dato una risposta semplice, quasi banale. Quando, ancora ragazzino, veniva portato a qualche funzione funebre si accorgeva di non angosciarsi né annoiarsi affatto. Anzi, a differenza di tutti i suoi coetanei, e anche degli adulti, si sentiva bene, era curioso, misurava il ritmo della funzione, si godeva le pause. Era arrivato persino a sperare che ci fossero trapassi per i quali la sua presenza fosse inevitabile.
E poi una volta era accaduta una cosa che lo aveva turbato. Era morto un vecchio zio della madre, un uomo conosciuto e amato, e al termine della cerimonia - particolarmente riuscita, dolorosa ed elegante - ecco una lacrima. Il piacere che aveva provato era stato a un passo dall'estasi, ma lo aveva pure imbarazzato, lasciando immediatamente il posto alla convinzione che non avrebbe dovuto e potuto succedergli mai più.
Aveva tentato qualche partecipazione a esequie che non gli appartenevano, ma lì l'impreparazione nell'approccio e la difficoltà nella sintonia si rivelavano fastidiose.
Segue un periodo di intenso studio. Qualche appunto scritto, e molte esercitazioni pratiche - che mettono in profonda crisi il funeralista (preoccupato e contrariato dal dover partecipare in coppia a certi funerali), ma che nonostante ciò ritiene fondamentali. Osservando il suo allievo da una certa distanza, scopre difetti e imprecisioni, ma anche disinvolture e delicatezze.
Nota l'impeccabile posizione delle mani, appoggiate sulle cosce come se le tenesse abbandonate, ma composte invece in una posizione plastica. Al contrario l'eccessiva rigidità nella postura diventa argomento di un'intera lezione: "Devi tenere il busto ritto, mio caro, ma allo stesso tempo le spalle rilassate. Così da avere un portamento signorile, ma non legnoso".
Trova incantevole il modo in cui si pettina quando è in servizio, con i capelli dietro le orecchie; e le sue polo, sempre pulite e stirate (ma poi ha apprezzato quando finalmente si è deciso a sostituirle con delle camicie bianche). Mentre ha dovuto lavorare non poco sull'impassibilità: è portato, non c'è alcun dubbio, ma le emozioni sono ancora troppo intuibili. Lo ha addirittura sorpreso a un passo da uno smaccato sorriso nel sentire il prete sbagliare il nome del defunto per tre volte di seguito.
Una sera il funeralista chiama il suo giovane secondo, e gli comunica che è arrivato il momento in cui comincerà a partecipare da solo alle cerimonie. È pronto, il funeralista ne è convinto. Gli ha trasmesso le proprie conoscenze, lo ha guidato e ispirato. Tutto andrà per il meglio. Gli dice di annotare l'appuntamento: martedì 16 aprile, ore 12, chiesa del Sacro Redentore. Ogni cosa è definita. Eppure, appena prima di salutarlo, è preso da una leggera ansia e torna a verificare certi dettagli - le mani come si tengono? Come ti segni entrando in chiesa, Croce distesa, Croce contratta? Poi lo rassicura e con le stesse parole rassicura anche se stesso.
Il 16 aprile, diligentemente, il giovane si prepara. Si guarda un'ultima volta allo specchio, controlla di essere perfettamente in ordine, e scende di casa per tempo: non deve arrivare tardi e perdersi la cerimonia, ma non può presentarsi in anticipo ed essere subito notato.
"Noi funeralisti dobbiamo muoverci a piedi," gli ha detto una volta il vecchio funeralista, "non possiamo rischiare che il traffico o i ritardi dei mezzi pubblici ci intralcino. Per quanto distante possa essere il luogo delle esequie, bisogna raggiungerlo sempre con le proprie gambe. Sapessi quanto ho camminato, ragazzo mio."
La chiesa non è molto distante da casa sua, quel tanto che gli permette di lasciare per strada la sana tensione per la sua prima prova ufficiale. Cammina a ritmo regolare, le tracce di sudore sono ovviamente bandite. Cerca di godersi l'aria fresca di quella giornata luminosa, e fa dei respiri profondi perché quell'aria gli arrivi al cervello, sgravandolo da ogni altro pensiero che non siano le esequie che lo aspettano.
Arriva finalmente alla chiesa. Sopra l'ingresso, come di consuetudine, è montato l'annuncio incorniciato da una doppia fascia nera.
SE N'È ANDATO BARTOLO DESSÌ, DETTO IL FUNERALISTA.
LE ESEQUIE IN QUESTA CHIESA, ALLE ORE 12.
Al funerale c'era un uomo che non conoscevo; sobrio, appena appena elegante, con un ciuffo scolpito dal gel, che però si ostinava a cadergli sulla fronte.
Avrebbe potuto essere uno passato di lì per caso, se non fosse rimasto tutto il tempo della funzione, seguendola attentamente. Ho addirittura pensato che potesse essere l'amante di mia moglie, ma è stato uno di quei pensieri che non riesci a non fare, che non sei abbastanza veloce da disinnescare in quella frazione di secondo nella quale li riconosci. Che poi non era per niente il suo tipo; e io ero troppo provato per affliggermi con un'idea tanto sgradevole.
Mi trovo a fare congetture inedite su di lei. È come se cercassi, con quelle congetture, di riempire il vuoto che ha lasciato. Non riesco a rassegnarmi al fatto che lei non abbia più sostanza, così illazioni e fantasie le danno un'altra vita, nella quale io posso muovermi, mettere le mani, una vita che mi appartiene e non può sfuggirmi come ha fatto la sua persona.
Mi tocca riordinare le sue cose.
Le nostre figlie vorrebbero aiutarmi, ma glielo consentirò solo in un secondo momento. Prima voglio eliminare tutto ciò che imbarazzerebbe mia moglie, e ciò che della madre potrebbe imbarazzare loro. Il fatto che non ci sia più non esaurisce la sua dignità, il suo diritto all'intimità, al rispetto dei suoi pudori, al controllo dell'immagine da dare di sé - anche se attraverso il mio discrimine.
Lo so, anch'io rischio di imbattermi in piccole verità nascoste che potrebbero turbarmi, ma è diverso: noi ci siamo scelti, sarà meno grave se succederà con me.
Queste ricognizioni tra i suoi oggetti, questo indulgere in supposizioni, si rivelano spesso una trappola. Mi convinco di scoprire segreti anche nelle cose più banali, per poi rendermi conto che ho davanti semplicemente la sua vita.
Il suo pennello per il fard, un po' spelacchiato. Il modo in cui sistemava la biancheria intima, disponendola per modelli, con quelli più raffinati conservati in fondo al cassetto. L'ordine delle bottiglie di olio e di aceto - che noi abbiamo sempre usato in diverse qualità - di cui io non mi sono mai accorto. Le pasticche per l'alito.