Graziosa
"La nostra piccola Graziosa se ne è andata. La saluteremo mercoledì alle 15" recitava l'invito, cui era allegata la cartina stradale per raggiungere il luogo delle esequie: una chiesetta di campagna, un piccolo cubo bianco spruzzato a calce, sul quale il sole riverberava scaldando la luce tutto intorno, circondato da uno spiazzo di ghiaia e più in là da campi fioriti.
Graziosa era morta inarcando la schiena, come se stesse sgranchendosi; ed emettendo un suono simile a un respiro mozzato - cosa che probabilmente era stato. Poi i suoi occhi grandi e bagnati si erano chiusi per sempre.
Lo sconforto dei suoi cari fu tutt'uno con il desiderio di organizzare per lei il più bello dei funerali.
L'Incaricato delle pompe funebri - un uomo tarchiato, infossato nel divano del soggiorno, le stringhe delle scarpe slacciate - mostrò ai parenti di Graziosa un copioso book fotografico, che raccoglieva le immagini di alcune delle cerimonie più riuscite. Lasciò che lo sfogliassero in silenzio, limitandosi a fissare assorto il vuoto.
"Sapete," li interruppe repentino e deciso con voce mielosa e sognante, che risultava vagamente accondiscendente ma, non si poteva negare, anche assai partecipe, "i nostri servizi sono richiesti in tutto il mondo. Una volta, per un coccodrillo, dovemmo volare fino in Africa. E che fatica, che intralcio quella coda: grossa, pesante, così poco flessibile. Davvero una specie difficile da gestire. Però poi fu una gran soddisfazione."
"E non potete immaginare, " proseguì enfaticamente, strofinandosi le unghie con un lembo della giacca, "che meraviglia l'ultimo saluto a una povera cucciolata di anatroccoli. Quelle bestiole facevano una pena tremenda. Non si è mai capito quale fosse stata la causa del decesso; probabilmente un virus. Sistemammo le piccole bare aperte e in fila, una dietro l'altra: sembrava proprio che seguissero la mamma. Che tenere creature. Peccato, però, che mancasse, la mamma. Sarebbe stato molto più scenografico se ci fosse stata anche lei, lì davanti, a guidare ancora i suoi cuccioli; ma, l'una viva e le altre morte, non sarebbe stato appropriato. Pensammo anche a una bara che ne avesse la sagoma, magari rivestita di piume che ne riproducessero il manto, ma non era adeguatamente suggestiva e rischiava di risultare posticcia, arrangiata. Le pensammo tutte, davvero. Compreso uccidere l'anatra madre e fare il funerale anche a lei. Ma poi ci parve eccessivo." L'Incaricato sospirò, e fece una smorfia a metà tra la delusione e il disappunto.
"Alla fine fummo straordinariamente fortunati: mentre ero lì a scervellarmi, chiamò in agenzia una signora. La loro anatra domestica era morta e i figli erano in preda a una crisi isterica. Non volevano saperne di lasciare andar via la bestiola, così lei aveva pensato che se avesse organizzato un piccolo addio sarebbe stato tutto più facile.
"Fu un attimo, un guizzo, una eccelsa operazione di sintesi," esplose l'Incaricato, con un fremito nella voce che sembrò scuotergli tutto il corpo, "e l'idea era pronta: avremmo unito i due funerali! Si trattava solo di rimandare di qualche ora, al massimo di un giorno; e naturalmente di sapere se le famiglie sarebbero state d'accordo. Certo, bisognava sbrigarsi: i piccoli cominciavano a star lì da un bel po'.
"Fu un successo straordinario. Anche i bambini, inizialmente disperati, erano molto eccitati. La loro prima esperienza con la morte si era trasformata in un'avventura specialissima.
"Non vorrei dilungarmi troppo," disse con simulata cautela l'Incaricato, mentre sorseggiava il caffè, "ma devo assolutamente raccontarvi come andò a finire."
Ai familiari di Graziosa non sfuggì l'intento promozionale di tutto quello sfoggio di successi e complicanze funerarie; eppure il trasporto che metteva in alcuni racconti, e quegli occhietti che si allargavano sorridenti al ricordo di certi episodi, erano la prova che quell'uomo era mosso da un impulso genuino per il proprio lavoro. In ogni caso, non sfuggì loro neppure che della piccola Graziosa non aveva ancora fatto parola, e non riuscirono a dissimulare una leggera impazienza.
Ma l'Incaricato non era tipo da lasciarsi cambiare il copione, così fece finta di nulla e, passandosi un dito sulla piega dei pantaloni, proseguì: "Quando mi consegnarono il fagotto che conteneva l'anatra, capii immediatamente che non sarebbe stato un lavoro semplice: aveva un piumaggio pezzato, scuro e lucido, assai diverso da quello degli anatroccoli, che erano quasi monocolori e pure un po' sbiaditi; e anche il grado di disfacimento era differente. Insomma, non ero certo che la composizione d'insieme per la quale ci eravamo decisi potesse essere esteticamente gradevole. Alla fine dovetti optare per le casse chiuse. Il feretro principale era già stato realizzato, in base alle forme della vera madre degli anatroccoli, cosa che ci agevolò molto, pur costringendoci a qualche aggiustamento dell'ultimo momento perché la morta era ben più grassa. Però io cerco di non lasciare nulla al caso, e mi informai sul suo peso, per consentire al nostro artigiano di regolarsi almeno orientativamente. Così bastò ridurre di qualche millimetro lo spessore del legno, perché le calzasse come un abito di sartoria.
"Le bare furono adagiate tutte su un unico piano, allestito in modo da suggerire uno specchio d'acqua: una stoffa argentata drappeggiata per bene, e ninfee sparse qui e là. Tutto intorno, canne e arbusti. La scena fu di grande impatto.
"La proprietaria dell'anatra rimase così contenta che in seguito ci chiamò anche per un pappagallo di non ricordo quale specie rara, un'iguana, e poi un pitone. Quei ragazzini alzavano il tiro un animale dopo l'altro".
Davanti al dispiegarsi di quelle esotiche, macchinose, imprevedibili invenzioni, i parenti di Graziosa pensarono che l'organizzazione del funerale della loro cagnolina sarebbe stata ben poca cosa; tanto più che non avevano esigenze molto particolari.
Eppure non fu indolore decidere che posizione dovesse avere Graziosa nella bara: la soluzione più logica sembrava metterla stesa su un fianco, anche se quelle zampe tese e rigide non convinsero nessuno; d'altro canto, piegargliele sotto il corpo facendola sembrare accucciata, era troppo innaturale, e sarebbe equivalso a farle una violenza, a provocarle un ingiusto sforzo, a lasciarla in tensione per l'eternità. Non le avrebbero mai fatto una cosa simile.
Preferirono dunque la versione sul fianco, chiedendo però che le zampe fossero avvicinate un po' al corpo, perché non sembrasse buttata lì come un sacco di patate. Chiesero anche che le venissero disposti accanto la sua copertina e il suo pupazzo preferito, mancante di un paio d'arti e del naso.
Sulla piccola cassa sarebbe stata inchiodata l'incisione con il suo nome.
"Consentitemi di suggerire," disse l'Incaricato, mentre rimetteva a posto la cravatta sulla fila di bottoni della camicia, "la realizzazione di biglietti di partecipazione. Ce ne sono di veramente belli, e poi danno maggior rilievo all'evento, e restano come ricordo. Inoltre, credo che la piccola Graziosa, se posso permettermi di chiamarla per nome, debba entrare in chiesa per ultima, come una sposa."
Investiti da quel torrente di parole, e scossi dal dolore lacerante e recente, i familiari di Graziosa si fecero guidare arrendevoli e dissero di sì praticamente a tutto: biglietti, entrata da matrimonio, addobbi e bouquet, musiche, posto al cimitero degli animali, e persino bomboniere. Tra l'altro, ascoltando i racconti dell'Incaricato, si erano convinti che per organizzare quel funerale fosse assolutamente necessario seguire criteri, cliché, canoni. Perché fosse corretto, ortodosso, perché non sfigurasse.
Anche la chiesa fu suggerita dall'Incaricato - con tanta immobile determinazione da risultare praticamente una sua scelta. Alle pareti numerosi dipinti rappresentavano scene con animali. C'erano un serpente con Adamo ed Eva, un serpente schiacciato da una Madonna, e un altro ancora avviluppato ai piedi di un Gesù; c'era Gesù con le pecorelle, un angelo che appariva a una ragazzina circondata da vitelli; e ovviamente un san Francesco, con lupi, uccellini e scoiattoli. Ma anche - e questo doveva essere il risultato della sconsacrazione della cappella - una riproduzione del bue Api, una mandria di cavalli al galoppo in una prateria, e un gruppo di beagle impegnati in una battuta di caccia alla volpe.
Poco prima delle quindici cominciarono ad arrivare i cani, insieme ai loro familiari.
Una processione discontinua, ma rispettosa e formale.
Collari e guinzagli neri erano d'ordinanza, ma non mancavano eccentricità, guizzi, femminee esuberanze.
Carlotta indossava un cappottino nero con strass.
Violetta aveva un micro-boa di peluche.
Giardo invece aveva detto no al collare, e portava un semplice fiocco nero. Abbastanza rigido da non dare l'idea di essere uno di quei foularini frou frou, ma nemmeno troppo da sembrare uno stupido papillon.
Jack e Russell, una simpatica coppia di Jack Russell, erano uniti da un doppio guinzaglio che faceva pensare alla pettorina di un abito tirolese.
Adelaide, che aveva partorito da poco, partecipò insieme ai suoi cuccioli, in una cesta approntata per l'occasione: la cingeva elegantemente un nastro nero e dello stesso colore erano il cuscino e il panno che la copriva. Considerato che Adelaide e i piccoli erano corvini, il gruppo non passò inosservato.
E c'era anche Palla, una gatta rossiccia, che era stata la migliore amica non-cane di Graziosa.
Erano state vicine di casa. Ancora cucciole si erano piaciute subito, e avevano fatto amicizia attraverso i rampicanti che separavano le loro terrazze. Erano più o meno coetanee e Palla ebbe modo di riflettere sull'aspettativa di vita inscritta nel suo destino felino. "Vero è," pensava, "che Graziosa è stata uccisa da un tumore, ma comunque non era più giovanissima. E potrei avere un tumore anch'io, per quel che ne so. A Graziosa lo hanno diagnosticato solo alla fine. Ma è stata una fortuna. Pensa che accanimento - è così che si dice, no? per quanto suoni sconveniente. Ti aprono, ti chiudono, ti iniettano veleni. Finisce che ti cadono tutti i peli, e non guadagni un giorno di vita. Meglio campare quel che è destino, ma tutti interi."
L'unica consolazione di Palla era che Graziosa non aveva sofferto quanto aveva temuto. Aveva dei fastidi, delle fitte, i dolori si facevano via via più intensi - ma lei aveva retto bene. Gli animali, si sa, sopportano il dolore assai meglio degli uomini. Gli animali sono pazienti. "E Graziosa, paziente, lo era particolarmente," ricordò ancora Palla, con tenerezza, "solo le ultime ore sono state davvero difficili, ma a quel punto sapeva che stava per lasciare questa terra. "
Quando la chiesa fu quasi piena, e il colpo d'occhio all'altezza delle aspettative, la piccola Graziosa fece il suo ingresso trionfale. L'idea della sposa aveva solleticato a tal punto la creatività dell'Incaricato che la bara era stata interamente ricoperta da gerbere bianche, semplici e nerborute; e, attaccato dietro, uno sbuffo di tulle.
L'agenzia disponeva anche di un settore celebranti: uomini e donne istruiti per muovere gli animi con discorsi coinvolgenti.
E infatti, che fosse frutto di una reale cinofilia o di una grande professionalità, il discorso dell'officiante toccò le corde più delicate. Di tutti: uomini e animali. Si rivolse soprattutto alle bestiole, che occupavano le prime file, e poi ai loro accompagnatori, che - a parte la famiglia di Graziosa - si erano tenuti rispettosamente defilati.
Disse che non aveva avuto la fortuna di conoscere Graziosa da viva, ma che aveva imparato ad amarla attraverso i racconti dei suoi cari.
"Aveva quell'aria incuriosita che rende innocenti e vivaci i vostri musi," continuò il celebrante, rivolgendosi direttamente agli animali, "e che ci fa credere che ogni cosa possa sorprendervi. Poi, quella pacatezza che avete nello sguardo, e nel respiro, ci ricorda in ogni momento quanto siete solidi. Voi siete l'equilibrio perfetto tra ingenuità e saggezza.
"Se qualunque sciocchezza sembra farvi felici, un animo attento non può non accorgersi della vostra disarmante vulnerabilità, di quel vuoto che vi portate dentro e fa mancare l'aria a chi lo riconosce."
La funzione volse al termine, ma il feretro fu lasciato in chiesa ancora un po', come in una camera ardente posticipata, così che tutti quelli che lo desideravano potessero avvicinarsi a Graziosa e restare da soli con lei qualche istante.
Non si sarebbe potuto sperare in una giornata più bella. Il sole era abbagliante ma mite. Poco distante scorreva un ruscello - l'acqua era limpida e fredda, irresistibile per l'affollato corteo canino.
Fu organizzato anche un rinfresco: ossa di pelle di manzo, al prosciutto di Parma e al tacchino; orecchie secche di maiale; snack e bastoncini al pollo e all'agnello; e grandi scodelle comuni per l'acqua, quasi piscine in miniatura.
Per gli accompagnatori c'erano vino rosso fresco e frizzantino, e tarallini al pepe e al peperoncino, alla farina di mais e alle noci, alle olive e alle nocciole.
Quando oramai non si poteva più rimandare, i presenti si disposero in processione dietro la bara.
Arrivati al piccolo camposanto, ci fu l'ultimo saluto.
Graziosa se ne andava. Definitivamente.
All'atmosfera quasi festosa che aveva caratterizzato la giornata subentrò un silenzio irreale che avvolse tutto e tutti. Poi, come il suono improvviso della tromba ai funerali militari, si levò un unico e prolungato lamento. Giardo, che per tutto il tempo della tumulazione aveva tenuto il capo chino, lo alzò lentamente, emettendo un suono insieme stridulo e profondissimo. Pianse disperato, soffrendo per non saper lacrimare e svelando, in quel lungo e straziante guaito, il suo amore per Graziosa.
La cerimonia non poteva concludersi meglio svelando.
Agli invitati fu consegnata la bomboniera: un pupazzo di gomma con le fattezze della defunta per le bestiole, e lo stesso - ma in terracotta - per gli accompagnatori.
Se ne andarono tutti. Anche gli addetti delle pompe funebri, dopo aver caricato sul furgoncino l'attrezzatura, i cibi avanzati, qualche gioco lasciato in giro dai cagnolini.
Tutti. Tranne l'Incaricato.
Il cielo volgeva allo scuro, la temperatura al fresco, e l'Incaricato alla depressione. Era così ogni volta, dopo un funerale che lo aveva soddisfatto. Sentiva un'insopportabile mancanza.
Rivoltando le tasche della giacca, per far cadere la terra che il vento alzatosi verso sera vi aveva depositato, l'Incaricato passeggiò trascinando i piedi tra le lapidi del piccolo cimitero. Gli piaceva fare quel giro, e guardare compiaciuto le tombe, di cui si era occupato lui stesso. Quando arrivò nei pressi della cancellata nera le cui sbarre terminavano in punte dorate, notò un passerotto morto. Il piumaggio leggerissimo, il capo così piccolo da sembrare un accenno sul corpicino abbandonato.
L'Incaricato valutò con rapidità che cosa fare. Avrebbe dovuto portarlo con sé e organizzargli un funerale come si conveniva, ma avrebbe potuto anche improvvisarne uno su due piedi.
Guardava il passerotto e intanto considerava quanto la giornata era stata pesante e gli impegni che ancora lo attendevano. Cominciò a provare una sensazione di confuso dispetto. A fronte della cura con cui svolgeva il proprio servizio, quel corpicino era semplicemente squassante. Da dove veniva? Perché proprio lì?
A ogni modo, non poteva certo lasciarlo lì: incrinava l'ordine. Allora si chinò leggermente, lo prese con due dita, varcò il cancello, lo gettò tra l'erba alta, e se ne andò.
È passato quasi un anno da quando è morta mia moglie. E la morte, per me, non è ancora arrivata.
Sono talmente concentrato sui miei più piccoli gesti, sulla mia ricerca di staticità, sull'immagine di me defunto, che ho trascurato di vivere. Non è neppure un grande crimine per uno della mia età. Eppure all'improvviso sento che non è giusto. Mia moglie al mio posto farebbe tante di quelle cose. E non sto parlando di lanciarsi con il paracadute o imparare il karate, di fare il giro del mondo in mongolfiera o immergersi con gli squali. No, sto parlando di scegliere il menu per la cena, telefonare alle nostre figlie, vedersi invecchiare cercando lo stesso d'essere ancora una signora carina.
Le sto facendo torto. Sto facendo torto a tutti quelli che sono morti e che moriranno prima di me. E forse anche a quelli che moriranno dopo, comunque.
Perché se è vero che vivere è fisiologicamente morire, che ogni giorno vissuto è un passo verso l'ultimo, è vero anche che in mezzo c'è il bello. Anche un solo sguardo in più vale la pena. E credo che adesso mia moglie guarderebbe volentieri.