Quarantotto
Vito Quadroni morì a casa sua un venerdì pomeriggio. La famiglia lo vegliò fino al giorno seguente. Poi, visto che per celebrare il funerale avrebbero dovuto attendere il lunedì, Vito Quadroni fu trasferito all'agenzia di pompe funebri.
Lui non si dispiacque né censurò quella scelta, gli sembrò sacrosanto che non volessero o potessero tenere troppo tempo un morto in casa.
Così aspettò serenamente il lunedì, e le proprie esequie. Dopo la tumulazione fu convocato in un ufficio ampio e spoglio, che gli ricordò un seggio elettorale - soprattutto per una vecchia cattedra di formica usata come scrivania e piazzata in fondo alla stanza. Dietro la cattedra sedeva una signora dai capelli rosso violaceo e il naso aquilino. Si era sfilata gli stivaletti beige col tacco - che aveva appoggiato sotto degli scaffali carichi di faldoni - e aveva calzato delle vecchie ciabatte. Si rivolse a Quadroni in tono annoiato: "Si stenda lì e cominci. Da bravo".
Lì erano dei lettini simili a barelle, ma molto confortevoli, la cui intimità era tutelata da paraventi realizzati con un materiale all'apparenza e impalpabile, ma che isolava perfettamente gli ambienti, rendendoli riservati e silenziosi.
Si mise comodo e si tirò addosso la coperta, il cui lembo inferiore era attaccato al bordo del lettino in modo da non lasciare mai scoperti i piedi.
Da morto, Vito Quadroni - e con lui, presumeva, tutti gli altri defunti - aveva facoltà di creare un documento col solo pensiero: ciò che ricordava ed elaborava come racconto veniva memorizzato in forma definitiva, e fissato su fogli che si ammonticchiavano su un tavolinetto bianco a fianco del lettino.
Iniziò.
"Mi chiamo Vito Quadroni, e sono morto venerdì scorso, nel pomeriggio.
"Sino a più o meno la stessa ora del giorno seguente la mia famiglia mi ha tenuto con sé. Poi, visto che per celebrare il funerale abbiamo dovuto attendere oggi, mi hanno trasferito alle pompe funebri.
"Io non mi sono dispiaciuto né ho censurato questa scelta, mi è sembrato sacrosanto che non volessero tenermi troppo tempo in casa.
"Anche se ero defunto, i miei sensi erano svegli come prima: vedevo con gli occhi - come se fossero aperti - e sentivo con le orecchie. Eppure c'era qualcosa di diverso. Era tutto, non so, più nitido. E vedere e sentire le persone senza che loro sapessero che potevo vederle e sentirle, mi ha fatto fare qualche interessante scoperta.
"Mentre mi passavano accanto, per esempio, potevo leggere in loro l'imbarazzo di lasciarsi sfuggire una parola o un gesto inopportuni, una risata inopportuna, persino un'espressione, o un movimento inopportuno. Inopportuno per me. Per il morto. Mi domando cosa mai possa essere inopportuno per un morto, se non - appunto - l'essere morto.
"Eppure ho avuto più d'una prova. Uno dei tanti cugini, che era seduto al capezzale, si è versato addosso il caffè: 'E che cazzo,' ha esclamato gettando uno sguardo afflitto a mia nipote, che era ancora lì con il vassoio in mano, 'è la seconda volta che mi macchio oggi!'. La moglie e la sorella lo hanno squadrato con aria di rimprovero, e poi hanno allungato il mento verso di me, per ricordargli che si trovavano vicino a un defunto. Lui ha fatto una faccia contrita e ha borbottato delle specie di scuse, pure al mio indirizzo.
"Quand'ero vivo si erano rivolti a me senza tante cerimonie, e cazzo era forse l'intercalare più frequente tra di noi. Come è possibile avere più rispetto d'un morto che d'un vivo? E cosa cambia che io sia morto? Non sono mica diverso solo perché me ne sto andando al Creatore. Ammesso, poi, che ci sia lui dall'altra parte."
Trasportato dal pensiero che si stava avvicinando il momento in cui avrebbe finalmente scoperto cosa c'era dopo, Quadroni si fermò e voltò la testa in direzione della signora - come se si aspettasse di poterle strappare una rassicurazione, un'anticipazione. Ma lei, impegnata a spiegare a un nuovo arrivato la trafila della redazione del documento, gli fece un gesto spiccio con la mano, per invitarlo a continuare.
E Vito Quadroni continuò.
"Il giorno che sono morto, lo sapevo benissimo che sarebbe successo. Non fu un'intuizione, una suggestione, no: fu una consapevolezza. Ricordo perfettamente anche il momento in cui è accaduto. Stavo salendo in macchina, e ho sentito distintamente: 'Tu oggi muori'. Non si trattava di un diversivo scaramantico o di una frase scaricatami addosso da chissà quale meccanismo ansioso. Ho capito subito che era proprio una comunicazione di servizio: io quel giorno sarei morto.
"Mi sono guardato intorno. Chissà se le persone che mi camminavano accanto frettolosamente avevano avuto la stessa rivelazione, o se qualcuno di loro vedesse in me il segno della mia.
"Forse - mi sono detto - era il caso di tornare a casa, e trascorrere con mia moglie il tempo che mi restava. Chiamare i miei figli, farmi portare i nipoti, chiudere il conto in banca o intestarlo a mia moglie (così mi sarei risparmiato anche le tasse di successione), andare al mare. Ma al tempo stesso avevo salda in me la sensazione di aver sottoscritto una specie di patto ineludibile, al momento della rivelazione: non potevo cambiare nulla. Era una mia scelta, eppure si presentava come l'unica valida, l'unica che mi fosse possibile fare.
"Non ho avuto timore, non mi sono agitato, non mi sono nemmeno arrabbiato. Era giusto così. Sarebbe troppo comodo altrimenti. Se avessimo la possibilità di sistemare i nostri affari, di modificare le nostre ultime azioni, questo altererebbe ogni equilibrio. Invece dobbiamo andarcene mentre tutto prosegue regolarmente, intralciando il meno possibile, stando ben attenti a non rompere il ritmo del mondo. Ci è concesso scalfirlo appena.
"Eppure, qualcuno che riesce a lanciare dei messaggi c'è. Messaggi che però generalmente vengono interpretati solo dopo la sua scomparsa. È un classico. 'Eh, quel giorno mi disse che...' Oppure: 'Era così chiaro, quando mi guardò con quegli occhi; ma io non seppi capirlo'. Sono suggerimenti. Disperati perché incompresi. Ma la disperazione non è per noi stessi, ché noi non abbiamo nessun bisogno di conforto; è per chi amiamo, perché soffriamo nel non riuscire a tutelarlo, preparandolo al dolore."
Quadroni sospirò.
"La mia condizione di trapassato mi ha consentito di capire anche altro. Per esempio: il rispetto non c'entra niente con il silenzio che si dovrebbe tenere vicino a un defunto. Il silenzio è, molto più banalmente, la condizione necessaria per sostenerci nel grande passo. Noi morti abbiamo bisogno di abituarci a una nuova forma di suono; il parlare sommesso ci aiuta a sintonizzarci sui toni minori che ci accompagneranno verso il silenzio eterno.
"Anche sui funerali ho imparato delle cose. Che tutti, almeno una volta nella vita, pensiamo a come sarà il nostro, già lo sapevo. Lo avevo fatto anch'io, pur considerandola solo una sciocchezza tutta terrena. Adesso ho capito che quelle persone hanno ragione, perché altrimenti poi possono farti quello che vogliono. Ma anche loro non sanno che pensarci da morto è completamente diverso.
"Non che io abbia da ridire sul mio - anche se la scelta delle letture e delle musiche non è stata la migliore -, ma se ci si potesse sentire morti prima di organizzarle, credo che queste cerimonie sarebbero diverse. Prima a casa e poi all'impresa ho tentato di scoprire come stavano organizzando il mio, di carpire qualche commento; così, per farmi un'idea. Ma nessuno ha mai detto nulla in mia presenza. O assenza, che dir si voglia.
"A ogni modo, la mia prima giornata da defunto è passata. Poi, quando mi hanno trasferito alle pompe funebri, è cominciato il bello.
"L'ingresso principale dava su una strada poco trafficata, consentendo così un arrivo discreto e silenzioso ai parenti provati dalla sofferenza. Ma nel locale al piano di sotto - dove vengono tenuti i morti - c'era un viavai insospettabile. Era uno stanzone per niente disadorno come uno se lo immaginerebbe. Anzi, molto simile al soggiorno di una qualsiasi casa, salvo per le casse disposte una accanto all'altra. E per le celle frigorifere alle loro spalle, dove si conservano quelli che restano più a lungo.
"Dopo essere stato parcheggiato lì, sono rimasto solo. Ma non tanto a lungo, dopo un po' è arrivato un tipo, che mi ha dato l'impressione di sentirsi molto a suo agio in quel posto. Era chiaramente un frequentatore abituale. Ha avviato la macchinetta del caffè, si è messo comodo, e ha cominciato a sfogliare una rivista. Sembrava una specie di guardiano, uno che dovesse star lì a controllarci, e mi sono domandato che bisogno mai ce ne fosse.
"A lui sono seguite altre persone, in un crescendo di andirivieni che non si è fermato nemmeno di notte.
"Le rare volte che sono rimasto per conto mio, ne ho approfittato per dare un'occhiata intorno.
"Appeso al muro di fronte a me c'era un orologio a cucù a forma di bara - dal gusto abbastanza discutibile - che allo scoccare di ogni ora faceva saltare fuori uno scheletro scalcinato, armato di falce, e accompagnato da un urlo lugubre.
"Alla sua prima uscita - dopo aver rischiato un infarto, se così si può dire - sono scoppiato in una fragorosa risata. Ho riso così tanto, che ho creduto di muovermi nella bara, e che l'avrei fatta ribaltare.
"A quelli dell'agenzia sarebbe venuto veramente un infarto, se avessero trovato il mio corpo riverso sul pavimento. Ma poi mi sono reso conto che ero assolutamente immobile, ridevo solo dentro, anche se era una percezione fisica a tutti gli effetti.
"Dio, che bello ridere. Non credevo fosse possibile farlo da morto. Sino a quel momento non avevo avuto nostalgia di niente, ero oramai pronto ad affermare con assoluta certezza che l'atarassia è davvero la condizione della morte. Però quella risata..."
A Vito Quadroni piacque riattraversare quella nostalgia.
"Tutt'attorno all'orologio erano appese delle fotografie. Ma non una cosa arrangiata, non con le puntine da disegno che poi le rovinano, e fanno piegare gli angoli che alla fine si lacerano. Le foto erano tutte incorniciate per bene, e tutte allo stesso modo: con il bordo sottile di legno nero laccato. Riconoscere un criterio nella loro distribuzione per me era impossibile, anche se qualcosa mi suggeriva che ce ne fosse uno. Il tema invece era evidente: i funerali organizzati dall'impresa. L'ho capito perché ho riconosciuto gli addetti. Alcuni scatti immortalavano gli allestimenti in ampie panoramiche, altri invece indugiavano sui particolari: bare, composizioni floreali, cuscini. Una mi ha colpito in particolare perché gli addobbi erano blu. Chi sceglierà mai degli addobbi blu? Chi avrà tanto fegato da accettare una proposta simile?
"Col senno di poi - che per me è quello di adesso -, anche a me sarebbe piaciuta una cerimonia stravagante. È una cosa che non ti immagini da vivo. Ma da morto vedi le cose in un'altra prospettiva, è un po' come scegliere un bel vestito da indossare al tuo compleanno.
"In quest'ottica, essere stato affidato a gente che curava così le cerimonie, gente da allestimenti blu, mi ha rassicurato.
"Io non so se quelli che lavorano alle pompe funebri ci lavorano perché non hanno trovato di meglio, e magari detestano quel mestiere e gli viene da vomitare ogni volta che vedono un cadavere, oppure se lo scelgono per passione; se ci capitano e poi cercano di abituarsi e tirano avanti in qualche modo, e quindi si trovano delle specie di diversivi, o se per loro è una missione, che dà senso alla vita e gli appartiene visceralmente. A ogni modo, lì sotto sembrava proprio che la morte fosse benvoluta.
"Con lei avevano un rapporto disinvolto, ma non disincantato; anzi, quasi cerimonioso, ma anche familiare.
"Mentre me ne stavo lì a osservare le foto e a domandarmi chi sarebbe stato presente al mio funerale, è entrata una ragazza; una tipa carina, dai tratti delicati. Ha avvicinato uno sgabello alla mia bara e ha cominciato a farmi il manicure. La faccia me l'hanno lasciata così com'era - e non doveva essere un granché - ma si sono preoccupati delle unghie. Era la prima volta che mi capitava. In vita me le ero sempre tagliate io, non sono mai stato uno da manicure, non mi sembrava una cosa da uomini.
"E invece sottoterra ci sono andato con delle mani perfette, non una pellicina fuori posto; persino la crema mi ha messo quella ragazza."
Quadroni riprese fiato, e allungò lo sguardo verso le mani della signora dietro la scrivania. Giocherellavano con una penna, e ogni tanto tamburellavano sulla cattedra.
Le unghie erano spesse, e tamburellando producevano un suono forte e secco.
La signora indossava un cardigan di lana beige, legato in vita. Quadroni ebbe il suo secondo accesso nostalgico. Risentì su di sé il brivido caldo e rassicurante che sapeva dargli un pullover infilato al momento giusto, sulla pelle infreddolita. Rivisse con struggimento il benessere che aveva provato tutte le volte che gli era capitato.
Non sapeva se ci fosse un legame tra la fine del racconto e il passaggio nell'aldilà, ma pensò che comunque, per quanto comodo fosse quel lettino, era il caso di terminarlo.
Continuò, ripromettendosi di non divagare.
"La domenica è stata la giornata più animata. Oltre al solito viavai di addetti, becchini e conoscenti, sono arrivati un paio di morti nuovi.
"Mentre quelli dell'agenzia lavoravano sugli ingressi di giornata, tra un caffè e una partita alla radio, è scesa una signora.
"Una donna procace, una che per strada non passa certo inosservata. Con dei bei capelli mossi, e un vestito verde e rosa che le fasciava i fianchi grossi. Femminilità allo stato puro. Poi, più tardi, dai commenti che hanno fatto quando è andata via, ho scoperto che è una potenza nell'universo delle imprese funerarie. Mi sono chiesto come facesse una donna con una fisicità così prepotente ad avere tanta dimestichezza con la morte. Ma forse la sua bravura viene proprio da quella prorompenza, che può rendere vivo ciò che non lo è più.
"La deferenza con cui l'hanno salutata quando è arrivata mi ha fatto sperare per un attimo che fosse la proprietaria, e che avrebbe pensato lei al mio funerale, ma poi ho capito che era solo in visita. Cortesie tra colleghi.
"Hanno chiacchierato un po', commentando quel tal funerale e quell'altro, e lei ha raccontato di aver scritturato un lettore per le proprie cerimonie. 'Non se ne può più di amici e parenti che inguaiano 'sti funerali,' ha detto con determinazione. 'Prendono la parola, e inizia lo strazio: le voci incerte, le letture tutte sbagliate, certe pause che a me per poco non mi viene un ictus. Cari miei, io voglio attori. E pure bravi! Ne ho trovato uno che è 'na fantasia. Mo' stiamo cercando di fargli un contratto.'
"Si è levato un mormorio di con divisione, poi uno ha detto: 'Maria Addolorata, ve la volete fare una partita?'. Lei ha risposto di sì. Hanno tirato fuori le carte e, senza dire niente, le hanno distribuite per lo scopone scientifico. Da vivo mi piaceva molto. Mentre giocavano, potevo vedere le carte di uno degli addetti, che mi dava le spalle. Non era male, ma ha fatto un paio di bestialità belle grosse. E a un certo punto non ha avuto il coraggio di fare una doppia rottura, che gli avrebbe fatto subire una scopa certa ma anche vincere la partita.
"Quando hanno finito, la signora Maria Addolorata è venuta a darmi uno sguardo, e questo mi ha leggermente imbarazzato. Insomma, mi sentivo valutato come morto, e non è una cosa di tutti i giorni. Mi ha studiato le mani, e ha detto: 'Quella ragazzina sta diventando proprio brava, 'sto cadavere tiene delle mani perfette'. Io ero orgoglioso.
"Era pronta per andarsene, quando è arrivato un ragazzo magro magro, i riccioli castani e il viso stretto e lungo. La signora Maria Addolorata lo ha salutato affettuosamente, chiamandolo Gianguido.
"Lui ha risposto con timidezza. Poi, rivolto agli altri, ha chiesto: 'Ragazzi, disturbo se provo un po'? Domani abbiamo Marsichetti'. Gli addetti hanno mugugnato e fatto delle facce come a dire che lo sapevano bene che c'era quel funerale lì, e che stava dando del filo da torcere a tutti e non se ne poteva più. Comunque non c'era nessun problema, che provasse pure.
'"Allora mi sto un altro poco,' ha detto Maria Addolorata. 'Mi sento un paio di pezzi, ché tu sei troppo bravo, Gianguì.'
"Gianguido era un cantante da funerali, specializzato. Ha attaccato Addio tabarin, e poi Cantando con le lacrime agli occhi. Commovente. Davvero bravo. Ha fatto qualche altro pezzo, tutti vecchi brani, vecchie canzoni sensuali e perbene, leggiadramente disperate.
"Non so se fosse la scelta dei clienti o il suo repertorio fisso. Di sicuro era molto efficace.
"Mi sarebbe piaciuto partecipare a quel funerale, ma - a parte che non credo i morti possano partecipare alle esequie degli altri morti - il giorno seguente ero impegnato: ci sarebbe stato il mio."
"Raccontato così, sembra che in quell'agenzia ci fosse troppo movimento, ma invece è avvenuto tutto con rigore e rispetto. Hanno parlato, cantato, giocato, hanno mangiato e preparato un'infinità di caffè, anche riso diverse volte, ma lo hanno fatto con delicatezza. Forse loro lo sanno che noi morti dobbiamo abituarci a sopire i sensi.
"Il tempo è passato, e con lui la notte. E a primissima mattina hanno cominciato a prepararmi. Mi hanno aggiustato addosso il vestito che aveva scelto mia moglie, incrociato appena le mani, e toccato la faccia per farle prendere un'espressione, come se i miei tratti fossero diventati modellabili. E non so perché hanno fatto tutte queste cose, visto che poi hanno chiuso la bara. Ma non è stato brutto. In realtà è stato persino un sollievo: ero affaticato. Forse la nostra permanenza sulla Terra da morti ha un limite di sopportazione.
"Mi hanno portato a spalla quattro becchini, sui quali ho sperato di non pesare troppo.
"Una volta chiuso nella cassa la mia percezione delle cose è cambiata. Sentivo chiaramente il mio corpo, e potevo udire ciò che avveniva fuori, ma oramai non potevo più vederlo.
"Il funerale quindi l'ho solo ascoltato. Forse è per questo che l'ho trovato lungo e noioso.
"Tutto quel parlare, quel dilungarsi in ovvietà per giunta poco credibili, in letture fatte male (ah, signora Maria Addolorata...).
"Io lo capisco, capisco che possa essere un modo per procrastinare l'addio, per non lasciarci andare via in sordina, un modo per salutarci come si deve. Ma che sia vivace, e breve. Perché tutto quel tempo mortifero per noi è stancante.
"È che noi abbiamo esigenze diverse.
"E infatti io mi sono persino distratto, immaginandomi al funerale di quel Marsichetti, che probabilmente si stava svolgendo nello stesso momento. Allora ho pensato con tenerezza a Gianguido e alle sue canzoni. Ma a quel punto le note elementari della chitarra hanno introdotto le voci giovani e anonime del coro che invece era toccato a me, e sono tornato con la mente a dov'ero.
"Poi il funerale è finito.
"Sono uscito dalla chiesa e ho avvertito il composto corteo dei parenti e degli amici che mi seguivano. È stato allora che mi ha preso la tristezza, perché è lì che ho provato il vero distacco da mia moglie, dai miei figli e dai miei nipoti, dalle persone che ho care. Anche se sono stati con me sino al cimitero, da quel momento ho iniziato a sentirmi solo. Mi sembrava che tutti fossero molto, molto più dietro di me; lontani. Si è rotto qualcosa. È stato come quando salta la corda di un violino, solo che è successo con meno violenza. Ma adesso è già superato."
Vito Quadroni aveva finito.
La signora era intenta a scrivere su un grosso registro. Probabilmente annotava i dati anagrafici dei defunti, anche se era impossibile - rifletté Quadroni - che da quell'ufficio passassero i morti di tutto il mondo; gli ingressi dovevano essere divisi per paesi, per zone o codici d'avviamento postale. Non se la vedeva la signora a parlare cinese o tedesco, a reggere in altre lingue quel fare sbrigativo e disincantato.
Si chiese come doveva essere stare sulla linea di confine, a vedere sfilare tutti loro. E se ce l'avrebbero lasciata per sempre, o se un giorno anche lei sarebbe passata dall'altro lato. Chissà se aveva presentato il suo resoconto. O se lo avrebbe fatto al momento di essere trasferita.
Vito Quadroni valutò se avesse dimenticato qualcosa. Ma no, non aveva più nulla da raccontare. Il suo pensiero oramai era rivolto all'aldilà, al proprio futuro - qualunque cosa questo prevedesse. Si alzò, si avvicinò alla signora, le disse: "Ho finito", e le consegnò il proprio documento. Lei lo sfogliò, lo soppesò, disse che andava bene, e lo infilò in uno dei raccoglitori sugli scaffali. Poi tornò a sedersi e gli si rivolse con calma: "A posto, Quadroni. Torni pure al suo lettino, mentre io sbrigo un paio di faccende burocratiche sul suo conto. Poi la faccio andare".
Quadroni andò a stendersi di nuovo, si rimise comodo e tirò su la coperta. Per un po' tenne gli occhi chiusi, tutto quel ricordare lo aveva stremato. Ebbe timore che, se fosse rimasto così troppo a lungo, avrebbe finito con l'addormentarsi; allora riaprì gli occhi, e guardò la signora. Si stupì di sorprenderla immobile, sovrappensiero. Gli sembrò di scorgere una piega ironica nel suo sguardo.
Ironia. Gli sembrava quasi una parola onomatopeica. Come se il suo suono fosse già di per sé beffardo. Si chiese distrattamente se quella piega avesse a che fare con qualcosa che riguardava l'aldilà. Piuttosto che preoccuparlo, la cosa fu a un passo dal divertirlo.
Sorrise, e la piega ironica attraversò anche il suo sorriso, assieme a una leggera malinconia. Poi non seppe più niente.