Gaeta'

Sto lucidando la carrozzeria di un Werk del '63, uno dei carri funebri più belli della storia. Ne sto lucidando il modellino, per essere esatti, che a sua volta è uno dei più belli della mia collezione. Il Werk non tiene paragoni: la linea più elegante che è mai stata disegnata, essenziale e maestosa; un nero lucido perfetto, che manco i cavalli di Bellomunno; gli interni grigi; i sedili così comodi che paiono il divano di casa tua. Per non parlare del retro, con quei vetri enormi dai quali la bara sembra guardare la gente con superiorità, perché il piano su cui poggia è più alto della norma. Anche la parte meccanica è grandiosa, tiene il minimo per un tempo infinito senza manco accorgersene, con lui incedere solennemente è una pazziella. Io l'ho provato una volta a una fiera, e mi sono arricreato. Senza contare che seduta vicino a me c'era una delle hostess, una nennella bellella assai. Ci ho ripensato l'anno scorso, quando la vedova di un signore a cui organizzammo il funerale chiese di venire al cimitero in macchina con noi. Era sola, non aveva parenti, e i pochissimi amici erano talmente vecchi che se ne cadevano a pezzi e fecero atto di presenza solo in chiesa. A quel punto, da titolare, mi sembrò gentile guidare io. A parte che io preferisco fare che dirigere. Mi scoccia stare sempre in sede, non occuparmi delle salme o non portare qualche bara a spalla ogni tanto. Comunque, quando ci sedemmo mi parve di rivivere il momento del Werk, poi mi guardai a fianco e mi venne da ridere. La mia accompagnatrice era una specie di Crudelia De Mon con cento chili in più. Doveva stare pure ubriaca.

 

Ho una stanza apposta per la collezione.

Mia moglie Titina non la sopporta, così i modellini li tengo tutti là dentro, e me li pulisco da solo.

Titina dice che le intossico la vita co' 'sta cosa della morte da tutte le parti. Che le ho inguaiato un sacco di momenti belli. Pure la prima parola di nostra figlia le ho intossicato. È successo diversi anni fa oramai, quando Giada aveva più o meno un anno, ma lei me lo continua a rinfacciare. Titina stava sciogliendo tanto bella un formaggino nella pastina, e mentre ci soffiava su perché la piccerella non si bruciasse, l'ha sentita dire "Motte". All'inizio Titina ha pensato di aver capito male, che quella aveva detto mamma, come tutti i bambini normali. Ha lasciato appesa la pasta col formaggino, si è avvicinata al seggiolone ed è rimasta in attesa. E Giada dopo un po' l'ha ripetuto. Con gli occhi che le brillavano, e agitando i piedini, ha detto di nuovo: "Motte". Allora Titina si è dovuta stare: non aveva detto mamma, né dadda, né pappa; la prima parola della bambina era stata morte. Quando arrivai a casa la trovai come una belva, pure perché non avevo potuto rispondere al cellulare tutto il giorno. Me lo raccontò urlando come se fosse posseduta. Io, la verità, scoppiai a ridere e iniziai a fare il solletico a mia figlia, dicendole: "Brava, a papà. Brava! Da grande papà ti fa capessa dell'impresa! ". Ma Titina non si divertiva proprio. Chiaramente la colpa era mia: "Tua e della razza tua! ". Che poi, la razza mia: tutt'al più di mio padre, ché mia mamma 'a schifa pur'essa 'sta fatica.

Quando vado a casa sua, dove oramai vive sola perché a papà il funerale glielo abbiamo fatto già qualche anno fa, è un continuo di gesti scaramantici, che non nasconde nemmeno. Me li sbatte proprio in faccia. Allora io la sfrocoleo, e mi metto a raccontare tutti certi fatti mortuari, stranezze che mi sono capitate al lavoro. Quando ne parlo troppo, mentre me ne vado mi butta dietro il sale grosso. Lo butta sul pianerottolo, e regolarmente dopo un po' le citofona il portiere, e le dice che i vicini si sono lamentati e deve pulire.

La superstizione è una cosa stupida. E poi la gente la fa funzionare come vuole lei. Un carro funebre vuoto cammina nella tua stessa direzione? Devi tornare sui tuoi passi, fare il giro tre volte, e passa tutto. Un gatto nero ti attraversa la strada? Basta che lasci passare qualcun altro prima di te, e la sfortuna se la piglia lui. Tra l'altro, quello che fai passare prima di te non lo sa che è passato il gatto nero, quindi - per come la vedo io - la sfortuna non se la piglia nemmeno lui. La sfortuna vale se lo sai, secondo me. Insomma, a 'ste superstizioni c'è sempre l'antidoto. La verità è che sono solo un modo per fare fessa l'ansia. Un amico mio c'ha le sue superstizioni personali: "Se mo' passa un cane, muoio/cado/mi rompo una gamba/perdo la scommessa...". Il cane passa, e lui dice: "No, ma aveva essere 'nu cane marrò". E jamme.

 

Quando Giada aveva tre anni, facemmo un'altra guarattella. Stavamo tutti e tre: io, lei e Titina. Passammo davanti a una chiesa dove stavano celebrando un funerale (e giuro che

io a un funerale non ce l'avevo mai portata) e Giada, battendo le manine, esclamò: "Uneale". Mia moglie si è trattenuta dal chiavarmi una scarpa appresso là là solo perché non le piace fare chiassate in mezzo alla gente, ma a casa siamo stati a lutto tre giorni. Titina non mi ha mai rivolto la parola, e mi ha fatto mangiare solo pastina in brodo, non cucinava più.

il quarto giorno mi ha parlato di nuovo e ha detto: "Gaeta', la dobbiamo portare dallo psicologo". Chi sa quale genio dei parenti suoi gliel'aveva messa in testa quell'assurdità.

A me me pareva sulo 'na strunzata, ma ho pensato che era una buona occasione per uscire da quella situazione. Così ho fatto finta di incazzarmi, e ho alluccato. "Titì, mia figlia 'mmano a chilli sciemi, mai! Non me lo fare dire più. Levati queste idee dalla testa, ché sennò faccio 'o pazzo."

Ho pure scassato una cosa. Ho buttato a terra una bomboniera bruttissima, che ci avevano dato al battesimo di una sua nipote: un cavallino bianco di ceramica con le redini rivestite di fiori rosa e la sella dorata. Un vero cesso.

Da quella volta si è un poco chetata. Pure perché mia figlia è cresciuta un amore.

 

Mia madre mi avrebbe fatto promettere che non sarò io a occuparmi del suo funerale. Dico avrebbe, perché alla fine ho promesso, ma non ci penso proprio a rispettare questa scemità.

Lei ne fa una questione di imbarazzo, di intimità, dice che non la devo vedere in quelle condizioni. Quando mi scoccia troppo con quel discorso, le dico: "Ma', quando sarai morta non te ne fotterà niente di chi ti seppellirà". Delle volte diventa una ianara, quando dico così. Ma altre mi fa tenerezza, perché si zittisce e le cala un velo scuro sulla faccia. Allora mi sento un chiavico. Ma è la verità che non gliene fotterà niente. È che io vedo cosa succede dopo, e so quanto sia privo di volontà un morto.

 

Titina è stata l'unica ragazza con la quale non ho fatto l'amore in uno dei nostri carri. A parte il fatto che, rispetto a un'utilitaria, fare l'amore là dentro era tutta un'altra comodità. Ma poi mi divertiva stupire le ragazze, portandole davanti al nostro parco macchine e dicendo di scegliere quella che preferivano. Sceglievano quasi tutte quello con gli interni color oro e con i drappeggi prugna; quel barocco doveva sembrargli romantico.

Cercavo di non lasciare tracce del mio passaggio, ma la mattina dopo i ragazzi in agenzia facevano allusioni. Li sentivo dire: "Eh, quaccheruno stanotte s'ha fatte 'na sciammeria". Però non si arrabbiavano mai.

Certi giorni, quando ero piccolo, trovavo mio padre o uno di loro ad aspettarmi fuori scuola con il carro. Io ci speravo sempre, di vedere al di là della barriera di genitori che si formava davanti al portone quell'auto speciale ed enorme. E quando la vedevo facevo una corsa che per poco non mi arricettavo. Zompavo nel retro, e mi mettevo a giocare lanciando in corsa le macchinine lungo il ripiano per posare le casse. È stato in quell'epoca che mi è cominciata a nascere la passione per i modellini. Quando mi mettevo a giocare là dentro, pensavo sempre a come sarebbe stato bello avere un piccolo carro da far correre all'interno della sua versione grande. Allora a ogni compleanno, onomastico e festa comandata dicevo: "Papà, me lo vuoi comprare il modellino del carro come lo tieni tu?". Mio padre non mi ha mai accontentato. Ma io non ne ho mai fatto una tragedia. E me lo fabbricavo da solo: attaccavo le barette portachiavi - di cui era piena l'impresa (sono decisamente il gadget più frequente sul mercato) - alla piccola jeep che aveva dietro il gancio per il rimorchio. Ero contento, mi divertivo, e quell'intuizione mi aveva dato una gran soddisfazione, mi sentivo un inventore. Poi continuavo a chiederlo, eh. Però 'sta storia non è durata tanti anni, perché da ragazzino mi sono messo a cercarmelo da solo. E ho scoperto che queste miniature non sono tanto rare come immaginavo allora.

Esco pazzo per i miei modellini. Alcuni riproducono auto vere. Auto degli anni trenta, quaranta, americane (che sono sempre le più imponenti). Altri invece non esistono, ma spesso certi loro particolari varrebbe la pena realizzarli sui carri veri. Uno che trovai qualche anno fa ha tre corone, sui lati e sul retro: i fiori sono riprodotti in maniera talmente precisa da sembrare veri, si distinguono le foglie e i petali; sono fiori rossi e bronzo, o almeno un colore che assomiglia al bronzo; lo so che non esistono dei fiori così, ma lì rendono perfettamente una sfumatura calda, che ogni volta che la osservo mi sembra quella giusta per accompagnare un morto. Ho chiesto a un amico mio fioraio se mi faceva una prova, verniciandoli a quel modo, li ho fotografati, e proposti a qualche cliente. Ma fino a mo' nessuno mi è stato a sentire.

Se fossi Maria Addolorata, mi starebbero a sentire eccome. Maria Addolorata era come il Vangelo per i suoi clienti. È morta qualche anno fa, era un numero, ed è rimasta un punto di riferimento per noi che facciamo questo mestiere. A volte guardo dei vecchi filmati delle sue cerimonie. Guardo spesso video di funerali, e pure questo a Titina non le va bene. "Gaeta', stuta chillu schifo," mi dice. Ma invece è importante guardarseli. Ho i filmati di cerimonie importanti, tipo quelle dei reali di vari paesi; di cerimonie organizzate da me, per vedere se c'è qualcosa da perfezionare, o per essere fiero del risultato; di quelle organizzate da qualche collega particolarmente bravo.

 

I modellini hanno diverse misure: alcuni so' cierti catafalchi, che però hanno certamente il fascino di essere più rifiniti e di avere meccanismi più precisi; ma quelli molto piccoli hanno dalla loro di non sembrare necessariamente degli oggetti da collezione. Mi piace la loro normalità, il fatto che siano delle comuni macchinine da gioco.

A Giada sono sempre piaciuti. E io sono contento. Anche se, quando era più piccola, un paio di volte glieli ho levati da mano a riempo a riempo, ché aveva il sesto senso di mettersi a giocare con quelli più delicati. Giada - e mi dispiace per Titina, che me lo rinfaccia continuamente: "Gaeta', tale e quale a te. Tale e quale" - è molto simile a me. Fin da piccola, e non solo per quella sua straordinaria prima parola.

Io da piccolo ero capace di restare per ore chiuso in uno dei carri, quando mio padre mi portava con lui al lavoro. Mi organizzavo le mie cose: facevo i compiti, scarabocchiavo i cataloghi di urne e bare che prendevo in agenzia, leggevo i fumetti mangiando e sbriciolando sfogliatelle (cosa che prima dei funerali richiedeva degli interventi straordinari di pulizia, per i quali venivo bonariamente sgridato). Devo ammettere che non era tanto raro, in quegli anni, che intorno al defunto di turno rotolassero pennarelli sfuggiti all'ispezione degli inservienti. Una volta rovesciai un barattolo di colla in una delle macchine migliori che avevamo. Era bassa e potente, severa. Mi piaceva starci dentro, mi faceva sentire forte e protetto. Insomma, un pomeriggio sbariai un poco troppo con i collage, e tra la colla, i pezzetti di carta colorata, e i fili di lana lasciati dal pullover che avevo usato nel tentativo di pulire, chella machina era addiventata 'na vera munnezza. Avrebbero voluto uccidermi, quando se ne accorsero. Non so che cosa li mantenne. E non dissero nemmeno niente a mio padre, con tutto che per nascondere quel guaio dovettero farsi un mazzo tanto. Certi pomeriggi sembravo tarantolato. Passavo da un carro all'altro senza fermarmi mai. Trasformavo le auto in hangar dai quali i miei aeroplanini decollavano e dove si ritiravano a missione compiuta, o in rifugi per me che scappavo dai nemici, o semplicemente ero più irrequieto e dovevo spostarmi di continuo. Mi fa sorridere ripensarmi tutto affarato in quei pomeriggi. Un cosariello che correva da una parte all'altra.

 

Siamo sempre andati molto d'accordo con i ragazzi - io continuo a chiamarli così, anche se alcuni di loro non sono più gli stessi e alcuni sono più anziani di me. Ci facciamo anche delle gran risate. Quando era vivo mio padre, lo facevamo un po' di nascosto. Lui era un bravissimo uomo, ma era un vero pesatura, quindi stavamo tutti più trattenuti.

La stagione che il Napoli vinse la coppa Uefa non ci trattenemmo proprio, però.

Vedemmo la semifinale tutti insieme, in sede. E quando finì non si capì più niente. Prendemmo una delle fioriere - che sono le auto per trasportare le corone, e sono scoperte -e ci caricammo una cassa avvolta nella bandiera del Bayern Monaco. Il più grosso dei ragazzi guidava, e noi salimmo dietro, ai lati della cassa. Andammo in giro quasi tutta la notte, suonando ritmicamente il clacson, che non aveva mai suonato in vita sua. Quelli che ci incontravano erano un po' indecisi tra il senso di condivisione e l'istintiva superstizione, ma alla fine se vottavano 'ncuollo e battevano le mani sulle fiancate della macchina senza pensarci troppo.

Il calcio è una cosa troppo bella. Ma il Napoli è cchiù bbello ancora. Per esempio, io l'Italia la tifo, però parliamoci chiaramente: rispetto al Napoli, dell'Italia me ne fotto. E la Nazionale mi piace di più quando ci sono in squadra i nostri giocatori. Lo dico subito: io sono di quelli che furono schifati da tutto il paese perché a Italia '90 tifarono per l'Argentina di Maradona. Mi dispiacque solo per Ciro, quando li battemmo. Ma se uno non ha vissuto qua negli anni di Diego, non può capire. E non è la questione del riscatto col Nord. Chi se ne fotte. Era una cosa che riguardava noi. Noi e Diego. Maradona era il più grande giocatore del mondo, ed era nostro. Punto. Vederlo dal vivo era da restare carichi di meraviglia, pure i tifosi avversari si scimunivano. Sapere che quella meraviglia per noi non era un evento speciale, un'elemosina, uno di quei grandi giocatori che ti toccava vedere solo quando venivano in trasferta con le loro squadre potenti, ma era invece la nostra "normalità" - quella era una goduria. E quell'eccitazione te la portavi dentro tutta la settimana. Come niente ti portavi dentro che una domenica qualunque - non alla finale dei Mondiali, non in Coppa Campioni - contro la Cremonese (con tutto il rispetto per la Cremonese) lui cacciava 'na malaria, uno di quei passaggi che poi entravano negli annali, o segnava un gol che ancora oggi sta tra i dieci più belli della storia del calcio. Era questo che mandava al manicomio.

 

I modellini che fanno parte di una serie hanno il loro fascino, anche se come collezionista ho delle riserve. Il fatto che siano stati pensati per essere conservati, e poi raggruppati, tradisce un po' lo spirito della collezione, che dovrebbe essere quello di ricercare dei pezzi nati per altri scopi e fargli acquistare una nuova identità mettendoli insieme. Superata questa prima perplessità, però, subentra l'ossessione: a quel punto, uno desidera completarla, 'sta serie. E invece pare che ti sfottono, e non ci riesci mai.

Io tre pezzi che appartengono a un gruppo li tengo. Il primo lo trovai durante il viaggio di nozze a Londra. Dovetti fare una fuga dall'albergo per comprarmelo, perché se Titina avesse saputo che andavo cercando sfizi mortuari durante il suo viaggio di nozze, mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani. Ma era troppo bello, me lo dovevo andare a prendere per forza. Poi scoprii che esisteva l'intera collezione (per giunta prodotta in numero limitato): erano carri decorati da alcuni designer inglesi in occasione di un'esposizione allestita qualche anno prima - e per avere gli altri due, ho dovuto buttare il sangue in internet. Quello preso a Londra era punk. Adesso è posizionato tra una berlina abbastanza banale, che però ha il clacson funzionante e una cassa di legno vero dentro, che si apre pure; e un carro che ha stampate sulla carrozzeria nera parole in lettere d'argento, e in varie lingue, che fanno riferimento a diversi servizi mortuari: era la trovata pubblicitaria di un mio concorrente che, non per dire, ma fa meglio 'a pubblicità ca 'e funerali.

Escluso il Werk, che fa storia a sé, il modellino che mi diverte di più è un modello base, riadattato a tema nuziale: è grigio metallizzato, al posto della croce sul tetto ci sono gli sposini che si mettono sulla torta, e la bara è realizzata a forma di letto a due piazze. Dietro ha i classici nastri con i barattoli, e intorno alla bara-letto sono sparsi una giarrettiera, un bouquet, un velo, delle coppe da champagne. Una tamarrata tremenda, un pezzo da collezione fantastico.

 

Io al mio lavoro ci tengo, e l'impresa in un certo senso è casa mia. (Ci ho messo anche la foto di Diego, naturalmente. E pure quelli che vengono a organizzare le cerimonie per un attimo si distraggono a guardarlo.) Certe volte a pranzo ci chiamiamo le pizze, e se non c'è da fare restiamo a chiacchierare tutto il pomeriggio. Verso fine anno capita spesso che qualcuno passi veloce davanti all'ingresso e urli: "E pure chest'anno t'amme futtuto ! ". Allora facciamo a gara a chi corre per primo fuori e grida: "Sì, ma mo' accummencia 'n'anno sano sano: ce sta tiempo!".

Se lo racconto a mia madre, mi dice che è come augurare la morte, che è una cosa orribile. Mi dice: "Gaeta', tu sì cattivo, sì nu mostro".

Quando guardo Giada che cresce, mi sento vecchio. Ci sono giorni che vorrei ancora potermi chiudere in un carro e stare là con la testa vuota. Ritrovare quell'aria che mi era così familiare, quei momenti nei quali c'erano solo le mie fantasie e le mie piccole abitudini. Ho un paio di auto che hanno la base del retro rivestita di moquette, il che le rende particolarmente accoglienti. Così ogni tanto un pensiero ce lo faccio, ma oramai non ho più quella leggerezza, e quando sento il desiderio di infilarmici, poi mi blocco. Per la verità mi manca pure la leggerezza fisica: ultimamente mi sono ingrossato parecchio. Vabbe', non è che non c'entro, se ci entra comodo un tavuto ci entro pure io, ma non ne ho più la scioltezza. Qualche giorno fa ho dovuto mettere a punto il meccanismo di scorrimento della bara all'interno di una macchina, e quando sono uscito avevo le ginocchia e la schiena sfrantecate.

 

Adesso sto dando una spolverata alla collezione, perché tra poco vengono un fotografo e un giornalista di "Glamourt", una bella rivista patinata che il mese prossimo mi dedica la copertina. Sto tutto contento. Pure perché ho pensato che forse potrei parlare con loro di una mia idea imprenditoriale. Sono anni che mi piacerebbe da morire realizzare delle piccole bare di plastica con i colori delle squadre del campionato. Il fatto è che ho paura che potrebbero non avere molto mercato: non so se la gente comprerebbe quella della propria squadra, e non so manco se funzionerebbero come secce ufficiali contro le squadre avversarie; poi, essendo piccole, non si potrebbero esporre allo stadio. Così, soldi miei non ce ne voglio investire. Una possibilità sarebbe farle diventare da collezione. O magari allegarle a una rivista come gadget. Perciò voglio chiedere a questi di "Glamourt", anche se mi sa che un giornale sportivo sarebbe più adatto. Però io ci provo lo stesso, che me ne fotte. Pure se Titina ci ha tenuto a stutarmi subito. Quando gliel'ho raccontato, lei mi ha guardato con un'aria sfasteriata, e mi ha detto: "Gaeta', ma famme 'o piacere .

 

Ho buttato tutto: dai bigliettini che ci lasciavamo a volte solo per dirci a che ora saremmo rientrati dal lavoro alle lettere appassionate di quando eravamo fidanzati. Gli sfoghi, i chiarimenti, i tentativi di lasciare delle parole per l'altro o per le nostre figlie.

Il nostro rapporto, quello a due intendo, è una cosa nostra, nostra soltanto, non c'è alcun bisogno che appartenga anche alle mie figlie, che si confonda con l'immagine che avevano, e che credo ancora abbiano, di noi come genitori.

Sto buttando via le mutande slabbrate, i calzini bucati, le camicie con il collo o i polsini lisi. Definisco il mio corredo da morituro.

Negli ultimi tempi avevo acquistato dei filmacci, film comici o d'azione: non avevo la testa per roba seria. Ma mi seccherebbe se un domani di me si pensasse che alla fine ero un vecchio rincoglionito, che aveva perduto un minimo di senso critico. Così li ho regalati.

La sera lavo sempre i piatti, lascio il bagno pulito, i vestiti in ordine sulla sedia.

Sto attento a dividere per bene la spazzatura. Voglio che la trovino perfettamente smistata. E che trovino me perfettamente in ordine.