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«Raccontaci cos’avete scoperto», disse Sam, appoggiandosi allo schienale della sdraio.
Selma iniziò a riferire la storia della nave affondata nei pressi dell’Isola dei Serpenti. «Faceva parte di una flotta salpata dalla Giamaica. Siamo riusciti a trovare su Internet alcuni documenti delle altre navi, ma poi siamo finiti in un vicolo cieco. Pensiamo che quello che cercate si trovi in Giamaica.»
«In Giamaica?» disse Remi. «Adoro la Giamaica in questo periodo dell’anno.»
«Purtroppo dovrete andare a Kingston, non in spiaggia», ribatté Selma. «E ci sono zone che è decisamente meglio evitare.»
«Vada per Kingston», disse Sam. «Allora, cosa dobbiamo cercare, Selma?»
«Qualche documento che risalga fino all’armatore della flotta, alla sua origine precedente la tappa in Giamaica. Così dovremmo avere un’idea su dove cercare quel secondo disco o, meglio, il disco originale. Però fate attenzione: se abbiamo trovato queste informazioni con tanta facilità, è possibile che gli uomini di Avery siano già lì a seguire la stessa pista.»
L’efficientissima Selma si accertò che fosse tutto pronto quando il loro aereo atterrò al Norman Manley International. L’impiegato dell’autonoleggio li accolse nel suo ufficio subito dopo che ebbero superato i controlli alla dogana. «Benvenuti in Giamaica, signori Fargo», disse, con un forte accento e un ampio sorriso, in uno scintillio di denti bianchi che contrastavano con la pelle scura. Consegnò loro i documenti del noleggio, le chiavi della macchina e una cartina.
«L’auto non ha il navigatore?» chiese Sam.
«Certo. E anche ottimo, le assicuro. La cartina serve da ventaglio quando fa caldo.»
«Grazie», ribatté Sam e firmò le scartoffie.
L’impiegato li accompagnò fino alla loro macchina, una berlina BMW 528i azzurra. Terminata l’ispezione, chiese: «C’è altro di cui possiate aver bisogno in questo splendido pomeriggio?»
«Un consiglio per un buon ristorante», rispose Sam. «Siamo diretti a Kingston.»
«Buono nel senso di costoso, o buono nel senso di buono?»
«La seconda.»
«Conosco il posto giusto, allora.» Tirò fuori una penna e scrisse il nome e l’indirizzo di un ristorante. «A Kingston ci sono molte zone pericolose. Questa non è una zona in cui di norma manderei dei turisti, ma non perché sia pericolosa. Qui c’è brava gente. Quando arrivate, chiedete di Melia e ditele che vi manda Kemar. Sarà il miglior pasto che consumerete in Giamaica. Garantito.»
«Grazie», disse Sam, infilandosi l’indirizzo in tasca.
«Dimenticavo... Dovete incontrare degli amici?»
«No», rispose Sam, riflettendo sulla stranezza della domanda. «Perché?»
«Sono venuti due uomini a chiedere se aveste ritirato la vostra macchina.»
«E lei cosa ha detto?»
«La stessa cosa che diciamo a tutti i nostri clienti: non divulghiamo questo genere d’informazione.»
«Per caso, sa dov’erano diretti?»
«Sfortunatamente, no. Sono entrati mentre io ero occupato con un altro cliente.»
«Grazie», disse Sam, dandogli una lauta mancia, poi salì in macchina.
«Fantastico», commentò Remi, quando si fu seduta ed ebbe allacciato la cintura di sicurezza. «Siamo appena arrivati e già qualcuno sta spiando i nostri movimenti.»
«Solo che stavolta avranno un’accoglienza di fuoco.» Diede un colpetto alla Smith & Wesson dentro la tasca nascosta del giubbotto da pescatore. «La cosa buona è che significa che siamo sulla pista giusta.»
«Purtroppo, vale anche per loro.»
«Almeno così siamo già in allerta.»
A causa del retaggio britannico dell’isola, il sedile del conducente era a destra e, come sempre, Sam impiegò qualche minuto per abituarsi a procedere sul cosiddetto lato sbagliato della strada, soprattutto in corrispondenza delle prime svolte. Dopo qualche chilometro, un SUV bianco destò la sua attenzione. Chiunque lasciasse l’aeroporto faceva la stessa strada, quindi per un po’ era normale vedere le stesse macchine. Il SUV iniziò a sorpassare il veicolo dietro Sam, ma poi frenò bruscamente e tornò dov’era. La corsia opposta però era sgombra, ci sarebbe stato ampio spazio per terminare il sorpasso facilmente e senza rischi.
Che fosse un turista che aveva rinunciato a cambiare corsia? O erano gli uomini di Avery che avevano tentato di verificare se a bordo dell’auto c’erano Sam e Remi? Sam non avrebbe saputo dirlo. Erano troppo distanti perché lui capisse chi c’era a bordo. «Forse abbiamo compagnia.»
«Così presto?» Remi diede un’occhiata allo specchietto laterale. «Quale macchina?»
«Il SUV bianco. Ha cercato di superare l’auto dietro di noi ma poi ha cambiato idea.»
«Volevano capire se eravamo noi?»
«Forse.»
«E adesso?»
«Sulla strada panoramica verso il ristorante cerchiamo di capire se ci stanno seguendo.»
Giunti in città, Sam svoltò rapidamente a sinistra e fu felice di vedere il SUV tirare dritto. «Hai visto chi era al volante?»
«Vetri oscurati.»
Svoltò di nuovo a sinistra e accostò, parcheggiando mezzo isolato più avanti, di fronte a un grosso camion che, nelle sue intenzioni, li avrebbe celati alla vista. Osservò l’incrocio dallo specchietto laterale. Quando il SUV non apparve in un lasso di tempo che Sam considerava ragionevole, tornò sulla carreggiata, restando su strade secondarie fino al ristorante. Come aveva detto Kemar, si trovavano in una parte della città in cui sembrava non ci fossero turisti. Superarono casupole e baracche di lamiera affacciate su vie piene di pedoni che si lanciavano in strada all’improvviso, certi che qualsiasi veicolo si sarebbe fermato in tempo. Alla fine, gli edifici più piccoli vennero rimpiazzati da strutture più grandi. Arrivati nel quartiere giusto, Sam passò davanti al ristorante, un fabbricato color viola acceso in mezzo ad altre attività commerciali e ristoranti, ciascuno di un diverso colore dell’arcobaleno che, in certi casi, cozzava vistosamente con qualsiasi altra costruzione vicina. Tipico della Giamaica.
«Li abbiamo seminati?» chiese Remi.
«Così pare. Per essere più sicuri, parcheggeremo lontano dal ristorante. Non avrebbe senso rendergli la vita facile.»
Girò all’angolo, pensando che in quella zona dovevano esserci almeno un’altra decina di ristoranti, se non di più, e che per trovarli avrebbero dovuto varcare parecchie porte. In questo modo avrebbero avuto almeno il tempo di mangiare in pace.
La camminata fino al ristorante richiese circa tre minuti. Sembrava che facesse ancora più caldo di quando erano usciti dal piazzale dell’autonoleggio. L’elevato livello di umidità non aiutava.
Remi si deterse un velo di sudore dalla fronte e si passò le dita tra i capelli, tirandoseli indietro e raccogliendoli in una coda di cavallo, mentre la luce del sole faceva risaltare la vivace tinta biondo rame. «Quante probabilità ci sono che il posto abbia l’aria condizionata?»
«In questa parte della città? Mi accontenterei di un bel ventilatore a soffitto.» Quando misero piede nell’edificio stuccato di viola, l’unico ventilatore attaccato al soffitto non smuoveva granché l’aria.
Una donna andò ad accoglierli. Alta, con riccioli scuri corti, prelevò due menu dal bancone.
Come consigliato, Sam chiese di Melia.
«Sono io Melia.»
Quando le fece il nome di Kemar, lei si aprì in un sorriso.
«Kemar? È stato bravo a mandarvi qui», disse, con lo stesso forte accento. «Prego, da questa parte. I clienti speciali li facciamo accomodare in terrazza. Fa molto più fresco lì, grazie alla brezza dell’oceano.»
Melia li condusse a una porticina in fondo alla sala soffocante, poi su per una scala angusta e scricchiolante e infine in un terrazzo con vista sulla strada sottostante. Come promesso, da sud arrivava una bella brezza rinfrescante.
Melia posò i due menu su un tavolo che si affacciava sui tetti degli edifici vicini. «Fa molto più fresco sotto l’ombrellone.»
Sam si sporse per guardare le automobili che passavano. Nessun SUV bianco in vista, né pedoni dall’aria sospetta. Convinto che non li avessero seguiti, tornò al tavolo, felice che si trovasse a distanza sufficiente da impedire che venissero scorti dalla strada.
Ovviamente, ciò non avrebbe impedito agli uomini di Avery di cercarli porta a porta, qualora avessero notato la loro macchina a noleggio parcheggiata dietro l’angolo. Per maggior sicurezza, estrasse una banconota da cento dollari. «Melia. Pensa di poterci avvisare se dovesse entrare qualcuno e chiedere di noi?»
Lei spinse indietro la mano di Sam. «È troppo per un favore così piccolo. Tenga pure i soldi, sarò felice di avvertirla se qualcuno dovesse venire a cercarvi. Ora, cosa vi va di mangiare?»
Sam prese un menu. «Lei cosa consiglia?»
Melia sorrise. «Menu o fuori menu, ditemi cosa vi andrebbe e io vedrò di farvelo avere.»
Esattamente il tipo di ristorante che preferivano. In quattro e quattr’otto, si ritrovarono a mangiare del pollo marinato e grigliato: tenero, succoso e servito con una salsa piccantissima ai peperoncini rossi dei Caraibi.
Melia tornò prima che avessero finito. Aveva un’espressione cupa, le sopracciglia scure curve di preoccupazione. «Mi avevate detto di avvertirvi se qualcuno fosse venuto a fare domande su di voi...»
«Sì. Cos’è successo?» disse Sam, guardando verso la porta.
«Come avete detto voi. È entrato un bianco a chiedere se per caso avevamo visto un uomo in compagnia di una bellissima donna dai capelli rossi.» Sorrise, come per scusarsi. «Gli abbiamo detto di no. Potete controllare voi stessi.» Indicò a Sam di avvicinarsi alla balaustra. «Laggiù all’angolo, vede?»
Sam guardò e vide un uomo basso con le spalle larghe, che gli dava la schiena mentre parlava al cellulare. A differenza delle persone nei paraggi, che indossavano tutte pantaloni corti o chino e camicie smanicate, quell’uomo era in pantaloni sportivi scuri e giacca di pelle. Jak. Lo stesso abbigliamento della rapina alla libreria di Pickering. Un secondo uomo uscì da un ristorante sul lato opposto della strada, si guardò intorno e incrociò lo sguardo di Jak.
Sam si ritrasse. «Per caso, c’è un altro modo per uscire di qui?»
«La scala antincendio», disse Melia, indicando il lato opposto del tetto. «Una scala a pioli che scende nel vicolo.»
«Per me va bene. Remi?»
«Ci sto.»
Sam lasciò diverse centinaia di dollari sul tavolo e Melia fece per protestare, ma lui la bloccò. «Se li è meritati tutti, fino all’ultimo centesimo. Mi creda.»
Si avviò verso la scala a pioli, tallonato da Remi. Il vicolo sembrava libero. Meglio ancora, c’erano due grossi cassonetti dei rifiuti, uno su ciascun lato della scala. Sam oltrepassò la balaustra e attese Remi. Una volta che anche lei fu saldamente sulla scala, iniziarono a scendere. «Mi dispiace per il pranzo», le disse, mentre si calavano.
«Ti rendi conto che quel pollo era buono da morire?»
«Al punto da morirci, no...»
«Dovremo tornarci.»
«Seminiamo i nostri pedinatori, prima di fare programmi.»
La scala terminava a poco meno di un metro e mezzo dal suolo. Un salto semplice per lui. Una volta a terra, aspettò Remi, godendosi decisamente la vista di lei che scendeva.
Remi se ne accorse. «Stiamo cercando di metterci in salvo e tu mi guardi?»
Sam fece un sorrisino, mentre la prendeva per la vita e l’aiutava a colmare le ultime decine di centimetri. «Almeno, morirò felice.»
Uscirono dalla relativa copertura fornita dai cassonetti. Remi guardò in entrambe le direzioni. «Da quale parte andiamo?»
Bella domanda. Se gli uomini di Avery avevano appena avviato la ricerca dal punto in cui avevano visto l’auto parcheggiata, si sarebbero diretti alla loro sinistra. «A destra», disse quindi Sam.
In fondo al vicolo, diede una sbirciata dietro l’angolo e si ritrasse proprio nel momento in cui il SUV bianco imboccava quella strada. Li avrebbero sorpresi nel giro di pochi secondi. Sul lato opposto del vicolo c’erano diverse porte, la seconda chiusa solo da una zanzariera, senza dubbio per lasciare che la brezza entrasse nel negozio.
«Di qua», disse Sam, attraversando il vicolo di corsa e sperando che la zanzariera non fosse chiusa con un chiavistello.