10
Non solo un fucile
L’ispettore non aveva ancora finito di leggere che il giovane si riprese il volantino e fece per allontanarsi. «Così la pensiamo tutti noi e sarebbe ora che lo capiste anche voi.»
Gherardini lo fermò. «Voglio solo farti vedere delle foto, devi dirmi se riconosci chi c’è raffigurato, anche se le immagini non sono chiarissime.»
Il giovane le guardò velocemente e poi le passò a Helga. «No, non lo conosco, non credo d’averlo mai visto. E tu, Helga?»
La ragazza scosse il capo: «Io ha già visto queste» disse e restituì le foto all’ispettore.
«Chi è?» chiese il giovane elfo.
«Speravo me lo dicessi tu. Da come veste sembra uno di voi. L’hanno trovato morto qui sotto, abbastanza vicino alle vostre case.»
Alla notizia Joseph si fece avanti. «Fa’ vedere ancora le foto.» Le ripassò una a una, poi le restituì scuotendo la testa. «Nein, non conosco» disse.
«Forse era un ramingo» concluse l’altro giovane. «Dài, Joseph» e fece per andare.
«Un’ultima informazione. Sapete se qualche elfo abbia un fucile da caccia?»
Intervenne Elena, con una certa foga. «Che discorsi fai, forestale? S’è mai visto un elfo andare a caccia con un fucile? Le nostre regole proibiscono l’uso delle armi.»
«Non ho detto che il fucile sia stato usato per la caccia.»
Elena continuò con voce alterata. «Peggio ancora. Magari l’hanno usato per quel poveretto. Ti porto dai miei amici e li offendi con i tuoi sospetti!»
«Scusate, faccio il mio lavoro e non intendo offendere nessuno. Da queste parti sono stati sparati due colpi di fucile e in un periodo di caccia vietata. Tutto qui.» Guardò i presenti e si fermò sull’ultimo arrivato. «Posso sapere come ti chiami?» e aggiunse subito per evitare altri equivoci: «Non è una domanda ufficiale. Mi piace sapere con chi ho parlato».
«Nessun problema, forestale. Mi chiamo Nicola Benelli.»
«Abiti qui, agli Stabbi?»
Prima di rispondere, il giovane guardò gli altri elfi. Chiese: «Hai fatto le stesse domande anche a loro?».
«A quelli che non conoscevo. Niente di strano: informazioni burocratiche.»
«Abito qui» disse Nicola. Stava per aggiungere qualcosa ma Joseph lo precedette:
«Lui abita a Stabbi per rompere mie palle» e scoppiò in una risata. «Dite così, voi. Per rompere mie palle e per incontra suo amore» e accennò con il capo verso Helga.
«Joseph, perché non pensi ai cazzi tuoi?»
«Nicola, tu chiami me per arbeiten e io arbeiten. Tu piace Helga e anche io piace Helga. Questi cazzi miei, no?» e giù un’altra risata. Si divertiva, il togno. «Adesso io prende mia giacca e va con Nicola. Arbeiten, arbeiten, sempre» ed entrò in casa.
Dalla porta spalancata, Marco Gherardini lo vide andare a un attaccapanni di legno grezzo e staccare una delle due giacche che vi erano appese e un cappellaccio che si ficcò sulla testa. Indossò dei sandali a strisce di cuoio intrecciate che erano sul pavimento, sotto l’attaccapanni, e uscì.
Nicola doveva avere una gran fretta di finire il lavoro. Prese per un braccio Joseph e cercava di trascinarlo via.
Intanto erano arrivati altri tre elfi, due ragazzi e una ragazza, ai quali l’ispettore chiese i nomi.
«Elvio» disse uno.
«Mi chiamo Sottobosco.»
«Io sono Verdiana.»
«Italiani?» chiese Marco.
«Noi cerchiamo di insegnare loro tedesco» precisò Joseph. «Ma loro testa dura e non capiscono.»
«Vogliamo andare, Joseph, o facciamo sera in chiacchiere?» e Nicola si avviò.
Joseph lo seguì.
Agli ultimi elfi arrivati Gherardini fece le stesse domande. Senza risultato.
«Scusami» disse a Elena prima di andarsene.
Il sorriso che la ragazza tentò, non venne bene. «Mi dispiace» disse.
«Forse non è poi andata male del tutto.»
«Niente sul morto, niente sulla droga e niente sul fucile: sei un forestale che si accontenta.»
«Ti ho rivista.»
«E allora?»
«Allora… Rientro alla base, ciao, e grazie della compagnia. Se torni a funghi, fatti accompagnare da uno che li conosca.»
Le sorrise e si allontanò.
Avrebbe dovuto spiegarle che il suo “Forse non è poi andata male del tutto”, si riferiva alla frase di Elena: “Qui succedono strane cose da qualche tempo”. Per lui fra le “strane cose” c’era la morte del povero giovane. Era lo stesso per lei?
Si riferiva anche all’immagine che per un secondo gli aveva attraversato la memoria nel momento stesso nel quale Joseph aveva staccato la giacca dall’attaccapanni. Si trattava dei sandali.
Ma sarebbe stata una storia lunga e complicata da spiegare. Gliene avrebbe parlato un’altra volta.
Prima di tornare in paese, doveva anche andare a controllare che a casa di Paolino la fantasia non lo avesse ingannato e l’immagine che aveva intravisto corrispondesse a ciò che gli aveva vagamente ricordato: il calcio di un fucile. Da caccia.
Giacomo fu la prima persona che l’ispettore della forestale Marco Gherardini incontrò appena arrivato ai Campetti. Era stravaccato su una vecchia sedia di plastica, fuori da quella che presumibilmente era la sua abitazione, una vecchia casa montanara di sasso, con finestre e porta piccole e strette, in qualche modo rimessa a posto. Si stava godendo l’ancora tiepido sole del mattino. Sentendo arrivare qualcuno aprì gli occhi e riconobbe l’ispettore.
«Buon giorno forestale, com’è? Sempre da queste parti, eh?»
«Buon giorno a te. Cercavo Paolino.»
«Credo che sia nell’orto. È l’ora giusta.»
«Per te no?»
«Di orari io non ne voglio più. Per questo sono scappato qui.»
«Il tuo, di orto, come va?»
«Va, va. Non è che ci lavori molto. In questi giorni non è piovuto e bisognerebbe innaffiare, ma io non ho l’acqua. Paolino ha un pozzo ma a me tocca andare a prendere acqua alla fontana. Figurati, ce ne vorrebbe troppa. Farò una danza della pioggia.»
Stirò le gambe e si alzò in piedi. Gherardini notò di nuovo i suoi sandali. Gli stessi del morto. Gli stessi che aveva indossato il tedesco degli Stabbi, Joseph. Dunque, non sarebbe stato difficile arrivare a chi li fabbricava.
«Dove hai preso i sandali?»
Per un po’ Giacomo si contemplò le calzature e poi, con una certa soddisfazione, chiese: «Ti piacciono?».
Marco sorrise. «Sì, tanto che ne vorrei un paio anch’io. Vanno di moda a Casedisopra, quest’anno. Li ho visti ai piedi di altri elfi.»
«Questa è bella. Voglio vederlo un forestale con i sandali. Staresti bene. Divisa da questurino e sandali.»
«Non sono un questurino.»
«Le divise sono tutte uguali: rappresentano il predominio di un essere su un altro. Una madre della nostra comunità ha punito il suo piccolo perché da grande voleva fare il poliziotto.»
«E così hai trovato il modo di non rispondere sui sandali.»
«Ti rispondo: li ho fatti io, sono capace di intrecciare.»
«Li hai venduti?»
«Venduti?» Giacomo rise. «Qui non si vende e non si compra niente. Qui si baratta. Vuoi i miei sandali? Te li faccio, ma dammi qualcosa.»
«Cosa?»
«Non lo so. Fammi un’offerta. Qui usa così: loro mangiano le mie carote, e io bevo il loro caffè. I soldi non servono; pensa che due ragazzini nati e cresciuti nella nostra comunità hanno trovato un portafoglio e… be’, l’hanno portato ai carabinieri senza nemmeno guardarci dentro.»
«E però quando andate in paese o addirittura in città fate la questua, il giocoliere fa gli esercizi, suonate la chitarra o il flautino, vendete focacce cotte nei vostri forni a legna o fragole, lamponi, mazzolini di fiori. So che per Natale vendete, giù in paese, mazzetti di agrifoglio con le bacche rosse. Qualche soldo vi serve, no?»
«E a chi non serve? Quei pochi soldi li adoperiamo per comprare un po’ di vino, di tabacco, del sale, quel po’ di roba che non produciamo noi. Qualcuno arriva qui con un po’ di soldi e li mette nella cassa comune. Come vedi, siamo una comunità pacifica e serena.»
«Vuoi farmi credere che non succede mai niente? Che so, uno che arrivi credendo una cosa e poi si trovi a disagio con le regole della comunità. Una qualche lite, qualche rancore covato per motivi, diciamo di gelosia, che poi sono esplosi…»
Giacomo aveva capito dove lo stava portando l’ispettore. Sorrise e si grattò la testa. «Sì, qualche volta può essere successo. Ma il rompiscatole viene subito isolato, la comunità lo esclude. Non abbiamo servizio d’ordine, nemmeno capi o superiori; ci riuniamo e ne parliamo assieme, e la comunità decide.»
«Tutto rose e fiori, dunque.»
«Be’ quasi, ma se continui a cercare qui il tuo assassino, perdi tempo.» Cambiò discorso. «Se piovesse un po’ sarei più contento.»
«Ho capito. Senti una cosa, hai mai avuto un fucile, o conosci qualcuno che lo abbia?»
«Io, un fucile?! Stai scherzando. Non portiamo armi da fuoco! Per sparare a chi, siamo contro la caccia; per sparare ai cattivi pensieri, forse. Che domande fai? Te lo ripeto: cerca da un’altra parte.»
«Mi suggerisci tu da quale?»
Giacomo si strinse nelle spalle. «Saperlo.»
Intanto Paolino era sbucato da dietro le case, una zappetta in mano. Sudato e di cattivo umore.
«Ciao Poiana. Ti vedo spesso. Vieni dentro che ti offro un bicchiere.»
«Un bicchiere? Ma è ancora presto.»
«Presto o tardi, io ne ho proprio bisogno. Accidenti al tempo, lui lassù dev’essere diventato vecchio, è un po’ che non piove. Va be’ che ho il pozzo ma è duro innaffiare a secchiate, non ho più l’età.» Entrarono in casa. «Dài, prendi una scranna e mettiti a sedere.» Gridò, per Giacomo rimasto fuori: «C’è un bicchiere anche per te».
Poiana si fece sull’uscio. Giacomo non c’era più. Né lo vide nei dintorni. Disse: «Non c’è più» e ancora non aveva potuto approfondire l’argomento sandali.
Per esempio: era credibile che avesse venduto…
Scambiato, come dicono loro.
Possibile che avesse scambiato i sandali con altra merce e non sapesse con chi? Doveva averlo visto in faccia.
Bisognava ritrovarlo e finire il discorso.
Rientrò: «Non c’è più» comunicò a Paolino.
«Gente strana» commentò quello. Prese un bottiglione di vetro scuro da un angolo della cucina. Aprì la credenza e afferrò due bicchieri di vetro grosso e li riempì. Si sedette. «Salute» e vuotò il suo d’un fiato. Riempì di nuovo. Sospirò. «Una volta facevano il vino da queste parti, te lo ricordi? Ma forse sei giovane. Lo facevano non qui che siamo in alto, più in basso, giù da voi. Mi ricordo quel vino, bisognava essere in quattro per berlo, due che ti tenevano fermo e l’altro che te lo buttava giù. Da solo non avevi il coraggio, brusco com’era. Questo non è tanto migliore, però. Bah, è vino, è quello che mi posso permettere con la mia pensione. Lo compro giù alla botteghina sulla statale, è quello che bevono gli elfi. Un altro goccio?»
Gherardini, che non aveva ancora bevuto, mise la mano sul bicchiere. «No, grazie. Senti, ti devo fare alcune domande» e lo guardò negli occhi.
«Ancora! Non finirà più ’sta brutta storia?» Si sistemò meglio sulla sedia. «Sentiamole.»