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Si cerca un fucile e si trova un lupo

Aprì la porta. Lo accolse un’alba bella, chiara, da estate arrivata da poco. Illuminava il cielo dietro la cima di Monte Paradiso. Qualche minuto e il sole avrebbe sfiorato Picco Alto di Monte della Vecchia, dall’altra parte, a tramontana. Accadeva da metà autunno a fine marzo. Dopo, il sole passava sul Picco Basso.

Fin da bambino e anno dopo anno, Marco Gherardini riviveva così le sue stagioni.

In caserma era pronto il caffè ed erano pronti Farinon, sovrintendente, Ferlin, guardia forestale, e l’appuntato Gaggioli.

Ferlin aveva segnata in viso una brutta notte.

«Che c’è, Ferlin?» gli chiese Marco.

Il giovane si strinse nelle spalle. Rispose Farinon: «È rientrato stanotte alle tre».

L’ispettore ricordò: «Com’è stato il concerto, in città?». Ferlin mugugnò qualcosa. «Faremo presto: un fucile si dovrebbe vedere bene. Faremo presto e tornerai a dormire. Hai il permesso.»

Con il fuoristrada arrivarono fin dov’era possibile e poi la scarpinata fino al grotto. L’erba umida e gli sterpi bagnarono gli anfibi e i calzoni fin sotto il ginocchio.

Si divisero la zona da ispezionare e cominciarono a scendere. Si ritrovarono in fondo: niente fucile. Marco e Ferlin salirono la gola, uno a sinistra e l’altro a destra del fosso nel quale, durante le piogge, confluivano le acque superficiali. Farinon e Gaggioli lo scesero.

«Vieni qui, Ferlin» gridò l’ispettore. Era chino e osservava il terreno.

«Trovato il fucile?»

«No, il lupo. Guarda» e indicò.

In una zona di terreno umido e molle, privo d’erba, erano stampate le impronte.

Marco si rialzò. «Se c’era un fucile da caccia, adesso chissà dove sarà appeso.» Guardò il cielo e, fra i rami, i raggi del sole. «Lasciamo perdere.» Aprì il cellulare. Controllò. Naturalmente niente campo. «Scendi e torna su con l’appuntato. Vi aspetto qui.»

«Dovrò passare da dov’era il cadavere…»

«Sì, ma non c’è più, Ferlin.»

Il giovane annuì e si avviò. Si fermò dopo pochi passi. «E Farinon?»

«Se ha voglia di vedere una pista dei lupi…»

Nell’attesa l’ispettore si appoggiò a un tronco e accese una sigaretta.

Arrivarono tutti e tre. Ferlin il più affaticato e ansimante.

«Trovato niente?» chiese Gherardini, più per la forma che per la sostanza.

Infatti né Farinon né Gaggioli risposero.

«Hai portato la macchina fotografica?»

«Sempre, ispettore» rispose l’appuntato.

«Fotografa la pista a partire dal fondo e fino a qui. Poi sparisce nell’erba» e mentre Gaggioli provvedeva, Poiana mostrò a Ferlin e spiegò: «Le zampe anteriori lasciano orme più grandi. Vedi?».

«A me sembrano impronte di cane.»

«Potrebbero esserlo, ma…» e risalì di qualche metro. Tracciò con il braccio destro una linea che saliva dal fondo fino a lui. «La pista dei lupi è sempre rettilinea e non a zigzag come fanno i cani. Esattamente come questa.» Spezzò un ramo e con quello mosse qualcosa sulla pista. «E questi tolgono ogni dubbio. Vieni a vedere.»

Ferlin lo raggiunse e si chinò. Il suo superiore stava muovendo con il ramo un escremento di forma cilindrica, lungo almeno una decina di centimetri e del diametro di tre, quattro.

«Se tu avessi voglia di annusarlo, scopriresti che non ha lo stesso odore degli escrementi di un cane. E in più…» e, sempre col ramo, sbriciolò il reperto e mise in evidenza i numerosi peli che conteneva. «I peli sono una caratteristica delle feci di un lupo.» Gettò il ramo e gridò: «Gaggioli, qui c’è un po’ di cacca da fotografare».

«Perché mi hai tenuto la lezione?» chiese Ferlin scendendo.

«A qualcuno dovrò pur passare le mie conoscenze dell’ambiente.»

«Non mi serviranno nell’Arma.»

«Cultura personale, Ferlin.»

Farinon, che dal basso aveva seguito il percorso dei due, li riportò al dovere: «Tutto bello, tutto istruttivo, ma non siamo qui per i lupi».

«Be’, almeno non abbiamo gettato via il tempo. Adesso sappiamo con certezza che i lupi sono tornati. Mi sembra una buona notizia, no?»

L’ispettore Marco Gherardini non aveva tutti i torti. La presenza del lupo era un fatto importante per il ritorno dell’ambiente alle sue origini. Per secoli il lupo aveva fatto parte della fauna di queste montagne, poi era sparito per l’odio atavico dell’uomo e per la mancanza di un ambiente favorevole. Il lupo è una specie particolarmente sensibile al degrado dell’ecosistema. La sua ricomparsa sulle montagne era, quindi, indicatore di una buona situazione ecologica.

«Vero» insisté il sovrintendente, «sarebbe stato meglio se avessimo trovato il fucile.»

«Non si può avere tutto, Farinon» e cominciando a risalire verso il sentiero dal quale erano arrivati, comunicò: «Missione fallita. Si torna in paese».

Nuova scarpinata dal grotto al fuoristrada. In discesa e quindi meno faticosa. Seduti nel fuoristrada Farinon riprese il discorso:

«Le cose si stanno complicando, Poiana. Che intenzioni hai?».

«Ho intenzione di trovare il fucile che ho sentito sparare nel tardo pomeriggio di mercoledì 12. E, guarda caso, veniva più o meno dalla parte del grotto.»

«Sicuro della data e dell’ora? Sicuro della zona? A volte il vento fa brutti scherzi. Ti fa sembrare una cosa e poi è un’altra.»

Farinon era seduto dietro, accanto all’appuntato Gaggioli. Poiana si voltò e lo guardò in faccia.

«Cosa succede, Farinon? Non mi hai mai fatto tante obiezioni. Sai che sono molto attento a certi avvenimenti.»

Nessuno parlò più fino alla caserma dei carabinieri dove scese l’appuntato Gaggioli. Che disse: «Ispettore, se crede posso farle vedere le foto. In grande che si capiscono meglio i particolari. Guarderemo anche quelle scattate da Ferlin.»

«Buona idea, appuntato. Ce la fai per il pomeriggio?»

«Non è un gran lavoro. Basta collegare la macchina con il videoproiettore. Siamo attrezzati per questo.»

«Noi no» disse l’ispettore scendendo anche lui. Salutarono l’appuntato. «T’invito a pranzo da Benito, Farinon. Io e te facciamo il punto della situazione. Ti va?» e senza attendere risposta, si rivolse a Ferlin: «Cosa passa la mensa della forestale oggi?».

«Non lo so. Non lo chiedo mai: mi piacciono le sorprese.» Aspettò che scendesse Farinon e, mentre il fuoristrada si muoveva, disse dal finestrino aperto: «Peccato che siano sempre brutte».

«Buon appetito!» gli gridò dietro Poiana.

Le stradine del paese erano animate dagli elfi che, a quell’ora, avevano sospeso le esibizioni e ciondolavano qua e là. Alcuni, seduti sul selciato o sui gradini esterni delle case, mangiavano quello che erano riusciti a procurarsi.

Prima di entrare da Benito, Gherardini si fermò e controllò attorno. Gli elfi si tenevano a una certa distanza dalla trattoria-bar. Dentro, tanto per cambiare, pochi clienti.

«Cos’è successo, che se ne stanno lontano dal tuo locale?» chiese a un Benito ingrugnato.

«Ho fatto quello che dovrebbero fare le autorità competenti.»

«Sarebbe a dire?»

«Ho dato il Flit.»

Pranzarono in silenzio. Al caffè Marco Gherardini ripeté la domanda: «Allora, cosa succede, Farinon?».

«Succede che mi sono rotto le scatole. Cerchi di fare il tuo dovere per anni annorum e arriva un momento che non ne puoi più. Chissà chi e chissà perché decide che da domani tu non sei più quello che sei stato. Nessuno che ti chieda: “Che ne dici, Farinon?”.»

«È solo questo?»

«È anche questo» e il sovrintendente finì il caffè. Mandò via i pensieri e disse: «Parliamo di lavoro. Se quel disgraziato aveva il fucile, qualcuno se l’è portato via. Poi: ha senso che i lupi non abbiano toccato il corpo di quel poveraccio? O divorato la capretta di Paolino dei Campetti?».

«Ci ho pensato. Voglio sentire Paolino. Domani torno su, dagli elfi, e chiederò anche del fucile.» Si alzò e andò a pagare. «Saldo il sospeso, Benito. Tutto in un colpo. Mi farai lo sconto.»

«Sì, a tua sorella.»

«Avercela.»

Passò dalla caserma dei carabinieri, come d’accordo con l’appuntato Gaggioli. Aveva predisposto tutto per passare le foto in sequenza su uno schermo.

«A volte certi particolari si notano meglio che in loco» disse.

L’appuntato passò le foto che riteneva più interessanti e in particolare l’attenzione dell’ispettore si fermò sul sangue e sulla posizione del corpo, che già aveva notato e fatto notare a Ferlin.

«Si direbbe che sia stato spostato dal punto di caduta, dove il sangue ha annerito il terreno» confermò Gaggioli. «Potrebbe essere stato un cinghiale…»

«Può darsi, ma, vedi?, in quel punto l’erba è intatta.»

«Niente altro da segnalare» precisò l’appuntato a fine esame.

«Stampane alcune, Gaggioli, che le allego al rapporto. In particolare la posizione del corpo.»