27

Joseph che non è Joseph

Era ora di mettere qualcosa nello stomaco. Aveva fatto male a rifiutare pane e salame da Giacomo. Agli Stabbi avrebbe trovato Elena e chissà che non lo invitasse a un altro pranzo elfo. Sempre che non fosse scesa in paese con la chitarra.

Infatti. In casa trovò Helga.

«Ciao» la salutò.

«Ciao» rispose lei.

«Elena?»

«Elena andata in paese per suona e canta.»

Salutò con la mano. Ci ripensò: chissà se sarebbe riuscito a farsi capire? Ci provò: «Tu conoscere elfo che parlare tedesco?». Helga lo guardò e allargò le braccia. Lui si chiese che motivo ci fosse per usare i verbi all’infinito. Nessuno. Ci provò con la mimica. Indicò la ragazza: «Tu parli tedesco» e indicò fuori. «Altri qui parlano tedesco?»

Helga sorrise: «Ja» disse, «Joseph spricht Deutsch. Sollen wir zu ihm gehen, damit er für uns übersetzt?».

Con sorpresa, Marco si accorse di aver capito il senso della frase detta dalla ragazza. Del tedesco che gli avevano insegnato alle medie prima e alle superiori dopo, qualcosa gli era rimasto. Provò anche a parlarlo.

Prima mormorò per sé e in italiano la frase che avrebbe poi tradotto: «Joseph parla tedesco, lo so. Altri?» e lentamente la trasformò in «Joseph spricht Deutsch, ich weiß. Noch wer?».

Helga continuava a sorridere: «Du sprichst Deutsch», poi ci pensò e scosse il capo. «Hier spricht es niemand außer Joseph. Es gibt jemanden in Ca’ del Bicchio, bei den Campetti und im Borgo.»

Non gli aveva rivelato nulla che già non sapesse e cioè che a Ca’ del Bicchio il tedesco lo parlavano Barthold, sua moglie Colomba e i due figli. Lo parlava decentemente anche Biondorasta. Armonia per niente e Bosco sapeva dire “ti amo” e qualche altra breve frase. Ai Campetti sapeva di Pietra, che Paolino chiamava Pietro, e la sua famiglia. Come sapeva di Giacomo del Borgo.

Aveva più d’una ragione per dubitare che uno di questi fosse l’uomo che cercava. Restava Joseph degli Stabbi.

Perché non lui?

Disse: «Danke Helga» e salutò la ragazza.

Non lo aveva aiutato.

E lui non aveva rimediato il pranzo.

«Joseph, io e te dobbiamo parlare.»

Gherardini sovrastava il tedesco che, seduto sui gradini di casa, era appoggiato al muro, rilassato, a occhi socchiusi.

Joseph lo guardò, senza alzarsi. «Cosa vuoi ancora da me, forestale?»

«Sapere cosa ci fa un elfo, che dovrebbe essere un pacifista, con una pistola. E anche se quest’elfo è veramente un elfo o cosa.»

Joseph si alzò. «Chi ti ha detto che ho una pistola?»

«Non ha importanza chi me l’ha detto. Ce l’hai o no?»

«Con quale autorità mi fai questa domanda?»

«Con l’autorità di un ispettore del Corpo forestale, che equivale a quello di polizia di Stato. Sei in Italia, quindi sottoposto a leggi italiane. Se non hai l’autorizzazione a detenere un’arma, e non ce l’hai, sei nei guai perché io non la lascio passare, questa.»

Joseph restò un momento pensoso. Poi: «Vieni dentro casa» disse.

Entrarono. La luce del giorno filtrava all’interno, un raggio di sole colpiva un ambiente povero, facendo danzare un po’ di pulviscolo. Joseph aprì un cassetto, ne trasse uno straccio che svolse e apparve una fondina con una pistola. La porse a Gherardini.

«Helga avrebbe potuto anche stare zitta» disse.

L’ispettore lo guardò. «Bisogna stare attenti a certe amicizie.» Osservò attentamente l’arma. «Complimenti! È una Walther P99» disse. «Cartucce calibro 9x19 o 9x21 millimetri con caricatore bifilare, peso poco più di 600 grammi…»

«Già» Joseph assentì. «Sei informato.»

«Be’, so anche leggere, fra le altre cose, e mi tengo informato. So anche che è in dotazione alla polizia tedesca. Questo cosa vuol dire?»

Joseph restò in silenzio, poi si frugò nel giubbotto ed estrasse una tessera con un distintivo. «Mi presento, caro collega. Mi chiamo Joseph Müller, sono agente della polizia di Düsseldorf, un parigrado, no, forse ho qualche striscia o stelletta o non so cosa più di te.»

Per un bel po’ Gherardini rimase in silenzio, soppesando e rivoltandosi la pistola fra le mani. «E cosa ci fa un agente della polizia di Düsseldorf fra gli elfi, posso saperlo?»

«È una storia lunga…»

«… e complicata, lo so. Una frase che ho inventato io, e quindi non passa. Ma ho tutto il tempo per ascoltarla.» Spostò una sedia e sedette.

«Stavolta è davvero una storia lunga e complessa. Un paio di anni fa a Düsseldorf ci fu un caso di una giovane ragazza trovata morta a causa di una partita di eroina tagliata male. I colleghi cercavano da tempo la fonte di questa droga, non certo i piccoli spacciatori quanto l’organizzazione che era all’origine del traffico, bisognava prenderli e stroncare la testa della banda…»

«Cosa c’entrano gli elfi e questa zona d’Italia?»

«Aspetta. Questa ragazza aveva un fratello, che interrogammo. Raccontò di sapere chi fosse il basista dello spaccio a Düsseldorf. Arrivare a lui voleva dire arrivare all’organizzazione che sapevamo essere in Italia dove, sempre secondo il fratello, quel tipo era fuggito dopo l’incidente alla ragazza. Il fratello stette molto sul vago, ma intuimmo che l’avrebbe seguito in Italia per fargliela pagare. Vuoi qualcosa da bere?»

Avrebbe bevuto volentieri e magari anche mangiato. «No grazie. E allora?»

«Allora hanno dato l’incarico a me, che parlo italiano, di seguire il basista per arrivare all’organizzazione che smista la droga verso la Germania. Chiaro, ora?»

«Per niente. Hai notizie del fratello?»

«Certo. Sapevo chi era e l’ho rivisto qui» e Joseph sorrise. «Anzi, me l’hai mostrato proprio tu.»

Gherardini cominciava a intuire dove lo stava portando il tedesco che sapeva bene l’italiano. E il finale non gli piaceva. C’era di mezzo un morto e non gli andava che ci scherzassero su.

«Joseph, smettila di fare il furbo con me, e deciditi a parlare chiaro. Chi è questo fratello, anche se ho il vago sospetto di saperlo?»

«Chi era. È morto. Si chiamava Peter Probst. Aveva ventitré anni.»

Se l’aspettava. «Il Ramingo» mormorò. «L’elfo di cui nessuno sapeva, che nessuno aveva visto. Tu lo conoscevi e sapevi chi era. Figlio di una buona donna, avremmo risolto il caso e…»

«Non avremmo risolto niente, perché il mio compito non è sapere se Peter Probst, il vostro Ramingo, sia stato ucciso e da chi. Questi sono affari vostri. Io devo arrivare alla centrale che invia la droga da noi.»

Gherardini teneva ancora la pistola fra le mani, indeciso su cosa farne. «Suppongo che tu sappia anche chi è e dove si trova lo spacciatore che dovrebbe portarti all’organizzazione.» Joseph sorrise e annuì. «E suppongo pure che tu sappia che la causa diretta o indiretta della morte del Ramingo è lui.»

«Te l’ho detto: affari vostri» e Joseph vide che Gherardini l’aveva presa male e stava per replicare. «Aspetta, non t’arrabbiare. Ho fatto il possibile per tenerli lontano l’uno dall’altro e non ci sono riuscito. Li ho sorpresi che litigavano. Il Ramingo voleva che il mio uomo si costituisse. Lo ha minacciato di brutto e gli ha detto che avrebbe trovato lui il modo per obbligarlo. Non mi sono fatto vedere e quando Peter, il vostro Ramingo, se n’è andato, l’ho seguito. Volevo sapere dove si era nascosto per poi farlo arrestare dai carabinieri con un’accusa qualsiasi e farlo rispedire in Germania. Si è accorto che lo seguivo, si è infilato in un bosco e l’ho perduto.» Aveva detto tutto. O quasi. «L’ha trovato Paolino dei Campetti.»

L’ispettore restituì la pistola. «Sei autorizzato a fare il poliziotto qui in Italia?»

«Sta’ sicuro che sono autorizzato. Informati, Poiana, è un’operazione internazionale.»

«Tu non mi dirai chi è il tuo uomo, ma lo troverò e lo farò arrestare.»

«Sei su una strada sbagliata. Il tuo responsabile non è il mio basista.»

«Come lo sai?»

«Semplice: fra gli elfi non c’è nessun fucile.»

«Lo so. Ti ho forse detto che il Ramingo è stato ucciso a fucilate?»

«E come?»

«La mia ricostruzione è: il Ramingo si impossessa di un fucile e cerca di portare il tuo basista dai carabinieri. Durante il tragitto il basista tenta di impossessarsi del fucile, lottano, partono i due colpi, il basista spinge il Ramingo nel dirupo…»

«Ipotesi basata sul nulla.»

«Ipotesi basta su testimonianze attendibili. Una più delle altre: la tua.»

«E sarebbe?»

«Lo saprai quando ti chiameranno a testimoniare al processo.» L’ispettore aspettò un poco prima di concludere: «Per questo scoprirò chi è, dove si nasconde, e lo arresterò, il tuo basista».

Joseph scosse lentamente e a lungo il capo. «Non prendere decisioni delle quali ti pentiresti. Te l’ho detto, all’operazione sono interessati l’Interpol e i Servizi italiani e tedeschi. Fallo arrestare. Con quale accusa? L’avvocato sosterrà che si è trattato di una disgrazia. Hanno lottato, Peter è scivolato… Omicidio preterintenzionale. Quanto gli darebbero? Poco o niente. Il mio uomo se la caverebbe, ma nel frattempo un’operazione che impegna due polizie sarebbe andata a puttane. Se ti va che finisca così, fai pure. Io non ho altro da dirti se non: lascia perdere» e Joseph tornò fuori e riprese da dov’era iniziato l’incontro con Poiana: seduto sui gradini di casa, appoggiato al muro, rilassato e a occhi socchiusi.

Per andarsene Gherardini gli passò accanto. Senza riaprire gli occhi Joseph mormorò: «Dammi retta, lascia perdere».

«Me lo devono comandare i superiori e con un ordine di servizio.»

«Come vuoi. Stai in gamba, Poiana.»

Non tornò da Helga. Aveva una quantità di argomenti sui quali riflettere e gli passarono nella mente uno dopo l’altro tornando al fuoristrada.

Gli avvenimenti trovavano una loro logica sistemazione. A cominciare dalla lite raccontata da Elena fra due che parlavano tedesco: il basista e il Ramingo. Joseph si trovava là attorno e confermava.

Anche Elena, che lo aveva visto.

Joseph confermava anche la deposizione di Solitario: qualcuno aveva seguito il Ramingo, lo stesso Joseph, e il povero Peter gli era sfuggito imboscandosi. Il che giustificava i graffi e i lividi rilevati dall’autopsia sul suo corpo, che risalivano a circa una settimana prima della morte.

Capiva anche perché il Ramingo avesse rubato il fucile di Adùmas: costringere il basista a seguirlo e a costituirsi.

Cominciava a sentirsi vicino alla verità.

Ammesso che potesse essere una consolazione.

Restava il dubbio se la caduta fosse stata accidentale o provocata. E mancava un’altra cosa da niente: trovare il basista, l’uomo col quale Peter Probst detto il Ramingo, aveva prima discusso e poi lottato sull’orlo del grotto. E farlo arrestare.

Che Joseph la pensasse come credeva: a Marco Gherardini, ispettore della forestale ancora per poco, avevano affidato un compito.