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Una vacanza obbligata

Il comandante si fermò nell’ingresso. «Venite qua tutti» disse. Appena se li trovò davanti, Farinon, Ferlin e Goldoni, continuò:

«Vi comunico che la brutta storia della quale vi siete occupati è finita. Avete lavorato bene e vi offro il pranzo. Ve lo siete meritato. Adesso andiamo».

«Comandante, qualcuno deve restare in caserma» disse il sovrintendente.

Baratti diede un’occhiata veloce alla compagnia e indicò Ferlin. «Resta il più giovane. Tranquillo, Ferlin. Da Benito ci sarà il conto pagato per due. È giusto mangiare in compagnia.»

Il pranzo e un paio di bicchieri di rosso toscano rilassarono i quattro forestali. Benito aveva fatto il possibile per trafficare ai tavoli vicini al loro. Li avrebbe fatti mangiare gratis pur di sapere il perché di quella sfilata di forestali.

Servì il caffè e si fermò in piedi al loro tavolo. Azzardò: «Tutto a posto?».

«Come al solito, Benito» rispose Baratti. «Da te si mangia sempre bene. Complimenti all’Adele.»

«Grazie comandante, ma se si riuscisse a chiudere la brutta faccenda dell’elfo ucciso…»

«Chi dice che sia stato ucciso?»

«Be’, comandante, le voci girano…»

«Infondate, Benito. Quello che conta sono i risultati dell’inchiesta.»

«Adesso che è tornato il maresciallo dei carabinieri, speriamo che si chiarisca il mistero del Ramingo» continuò l’oste.

«Benito» lo interruppe Gherardini, «ricordati che ancora per qualche mese a Casedisopra ci saranno i forestali.»

«Oh, Poiana, secondo te, dicevo sul serio?»

«Sul serio o per finta, ai forestali dovrai rispondere se ti troveremo con qualche grammo di funghi in più del consentito. E ricorda anche che se ti becchiamo a funghi un’ora e cinque minuti prima del levar del sole, oltre che sequestrarli, ti ci vorranno parecchi clienti per mettere assieme i soldi della multa.»

«Intendevo che con ’sta storia sono calati i villeggianti. C’è gente che mette in giro la favola che il Ramingo lo hanno sbranato i lupi» e tornò al banco. «Ti deve aver beccato una vespa che non si può più scherzare con te.»

Il comandante aveva assistito alla tirata dell’ispettore senza intervenire. Finì di sorseggiare il caffè e poi disse: «Gherardini, tu hai bisogno di un periodo di riposo. Mettiamo un dieci, dodici giorni. Prenditi una vacanza, vai al mare… Ti do l’indirizzo di mia cugina. Ha una pensione a Populonia, a cento metri dal mare, si mangia bene… Cosa vuoi di più? Anzi, sai che faccio? Le telefono e ti farà un prezzo speciale» e già frugava nella tasca della giacca per il cellulare.

«Lasci stare, comandante. Preferisco la montagna. Il solo pensiero del mare mi fa star male.»

«Va bene anche la montagna, Ghera. Rilassati, pensa alle cose belle della vita…»

«Tipo i forestali che diventeranno carabinieri» intervenne Farinon.

«Non è proprio così. Vi farò partecipare a un corso e capirete come andranno le cose.»

«Anche i corsi mi fanno star male» disse Poiana.

Prima di lasciare il locale, Farinon e Goldoni si fermarono da Benito, al banco. Disse il sovrintendente: «Guarda che anche noi, io e Goldoni, non l’abbiamo presa bene la storia del maresciallo dei carabinieri. Per capirci meglio, dove hai preso la carne di cinghiale alla cacciatora che l’Adele ci ha servito con le crescentine nelle tigelle?».

«Guarda che ti sbagli: era maiale.»

«Cosa ne diresti se ne facessimo analizzare un pezzo?»

«Secondo te, Farinon, ce n’è proprio bisogno?»

«Secondo me non per il momento. In seguito, chissà» e si rivolse al collega. «Tu che ne dici, Goldoni?»

«Dico che se dipendesse dal sottoscritto, una verifica ogni tanto nella cucina dell’Adele rientrerebbe nelle nostre mansioni.»

«Oh, ragazzi, non scherziamo sulle cose serie…»

«… come la forestale. Giusto, Benito, non scherziamo.»

Subito fuori dalla trattoria-bar, il comandante si era sistemato a un tavolino. Quando lo raggiunsero i due forestali che s’erano attardati al bancone, offrì una sigaretta a tutti.

Fumarono con calma all’ombra degli ombrelloni offerti da Benito.

Altri clienti, tutti del paese, ne usufruivano.

«Non ti voglio in caserma prima di dieci giorni» disse il comandante al suo ispettore. «Intesi, Ghera? Sei in permesso da questo momento.» Fece una pausa e poi precisò: «Non te lo chiedo. Te lo ordino».

Gli ordini non si discutono, si eseguono, come gli aveva fatto notare il maresciallo Barnaba.

Aveva ragione il comandante: erano stati mesi duri di lavoro e preoccupazioni, Poiana era teso e aveva bisogno di riposo.

C’era qualcosa di meglio di una vacanza in giro per i suoi monti?

Quanto a Elena…

Perché no?

Sarebbe passato da lei e le avrebbe chiesto: “Ti va di venire con me in giro per i boschi, senza sapere dove dormiremo la sera? Vedrai il sole sorgere dietro il Monte Paradiso e illuminare la cima di Picco Alto di Monte della Vecchia, a ponente. La sera vedrai gli ultimi raggi salire, lenti come il tempo, la grande scalinata di roccia che porta in cielo e spegnersi sfiorando la cima del Paradiso”.

L’avrebbe convinta.

Restò in caserma per sistemare il sospeso e dare disposizioni per il periodo di assenza.

«Quando pensi di rientrare?» gli chiese Farinon prima di salutarlo.

«L’hai sentito: “Non ti voglio in caserma prima di dieci giorni”.»

«Fatti vivo ogni tanto.»

«Hai paura che mi perda?»

Il sovrintendente non rispose. Capiva la tensione del superiore.

«Non me lo porterò» disse posando il cellulare sulla scrivania di Ferlin. «Se devo essere in permesso ci sarò del tutto.»

«Il GPS?» chiese il giovane.

«Anche tu hai paura che mi perda?»

Trovò Giacomo seduto al tavolo di cucina, davanti a due bicchieri, uno usato, l’altro pulito, e a un fiasco di rosso vuoto per metà.

«Posso offrirti da bere?» chiese Gherardini all’ospite.

«Ho trovato la porta aperta: anche tu come gli elfi?»

«Non del tutto. Per esempio, mi piacerebbe che prima di entrare si bussasse.»

«L’ho fatto» poi versò nel bicchiere pulito e lo strisciò sul tavolo verso Marco. «Manda giù l’amaro, Poiana, che la vita non è poi così male e un periodo di riposo è quello che ti ci vuole» e sollevò il bicchiere in un muto brindisi.

Gherardini sedette e lo imitò. «Che vuoi?» chiese poi.

«Tirarti su di morale» e fece per riempire ancora i bicchieri. Poiana coprì il suo con la mano. «Per me sì» disse l’altro. E precisò: «L’ultimo». Un sorso e poi: «Meglio per te se non ti occuperai più di ordine pubblico. Lascia che lo faccia il maresciallo».

«Complimenti. Voi elfi avete un servizio di spionaggio efficiente.»

«Semplicemente ero seduto da Benito…»

Gherardini lo interruppe:

«Posso sapere perché sarebbe meglio se non mi occupassi di ordine pubblico?».

«Perché i prossimi guai non saranno tuoi.»

«Ti sei scomodato per questo?»

«Mi sei simpatico.»

«Perché?»

«Mi sei simpatico e stop.»

«No, no, perché pensi che ci saranno altri guai?»

Giacomo vuotò il bicchiere e si alzò. «Pensa te che al Rainbow di quest’anno, su a Collina, sono previste più di duemila persone. Andrà tutto liscio? Valle a identificare tutte, quelle persone…»

«Sai che ci saranno degli infiltrati? Voglio dire…»

«Lo so cosa vuoi dire: la gran parte delle persone che viene al Rainbow, vive e lavora, il resto dell’anno, integrata nella società. Insomma, vengono ai raduni per fare le vacanze. È un modo per rigenerarsi. Quindi, ci possono essere quelli che tu chiami infiltrati. Arrivano per far soldi con la droga. O, peggio, poliziotti che pescano nel torbido sperando di far carriera alle nostre spalle. Può essere che ci siano gli uni e gli altri, ma noi, elfi che siamo elfi sul serio, come facciamo a saperlo?» Prima di uscire: «Ringrazia il tuo comandante che ti ha esonerato» disse.

Bene, se le cose stavano così…

Controllò l’ora: aveva tempo per riempire lo zaino e prendere il largo.

Non andò come previsto. Gli entrò in casa anche Adùmas.

«Così ti hanno messo in quarantena.»

«Per essere un piccolo Comune, Casedisopra è pieno di sfaticati che si occupano dei fatti degli altri e non dei propri.»

«Qui ti sbagli. I fatti dei miei amici sono anche fatti miei» e andò alla credenza per due bicchieri.

Dalle tasche della cacciatora tolse una bottiglietta piatta, da un quarto. Versò e un bicchiere lo porse a Poiana: «Questo ti tirerà su» disse.

«Non ne ho bisogno: mai stato più su, comunque…» e “comunque” mandò giù il grappino d’un fiato.

Contrariamente a quanto aveva asserito, si sentì meglio. Con il secondo, si sentì in piena forma.

Deciso a partire prima di sera.

«Se ricordo bene, non hai mai preso un permesso» disse Adùmas.

«Per me ogni giorno che passo in montagna è un permesso. Ma adesso ho bisogno di smaltire le tossine della legge.» Guardò la bottiglietta. «Se ce n’è ancora un sorso…»

C’era. E più di un sorso per due. Che mandarono giù seduti sui gradini di casa, i bicchieri accanto.

Adùmas accese un sigaro. Uno l’offrì a Poiana.

«Grazie, ma ne ho avuto abbastanza la volta scorsa» disse accendendo la sigaretta. «E dire che ci sono arrivato tanto così» continuò. «Dovevo solo trovare un elfo che parlasse tedesco…»

«Perché non una?» chiese Adùmas.

«Difficile.»

«Se lo dici tu» si rassegnò Adùmas.

Finirono di fumare.

Finì anche la smania di Poiana per una partenza immediata. Disse: «Partirò domattina presto».

«Mi sembra meglio. Fra poco sarà sera.» Si alzò. «Se posso esserti utile…»

«Non vedo come.»

«Be’, sai? Il vento porta a spasso per i boschi sussurri e grida. E molte chiacchiere.»

«Anche fra elfi?»

«Soprattutto fra elfi» e Adùmas raccolse dal gradino la bottiglietta. «La si può riempire di nuovo» commentò fra sé. «È ora che vada.»

Poiana lo salutò con la mano, senza alzarsi dal gradino. Ci stava bene. Gli ultimi raggi del sole lo riscaldavano fuori. I grappini lo riscaldavano dentro.

Adùmas aveva già aperto la portiera dell’auto. Si fermò per dire, prima di salire: «Mentre cercavo Solitario in giro per gli insediamenti elfi, ho sentito uno che telefonava in tedesco e dopo parlava italiano».

«Allora?»

«Allora… Un elfo con il cellulare… Ma forse non è niente. Te l’ho detto, non si sa mai» e con un cenno di saluto, Adùmas si mise al volante.