XIII
Borghese tratto in salvo dagli Alleati
Le regole di guerra mal si adattano alla lotta di guerriglia o alle eccezionali misure di difesa che si debbono adottare per portare avanti la controrivolta.
Max Corvo1
Se è vero che Borghese dichiarò spesso di aver cercato di evitare lo scontro con altri italiani, è vero anche che le azioni antipartigiane furono tra le principali operazioni effettuate dai suoi reparti mentre la guerra entrava nel suo ultimo anno. Operazioni in cui gli uomini della X MAS mostrarono un’efficienza talora brutale, attirandosi l’accusa di condurre una guerra sporca.2
Con i partigiani piemontesi, Borghese giunse a una sorta di convivenza fondata sul principio del «vivi e lascia vivere», convinto che i suoi marò non avrebbero combattuto contro i compatrioti con lo stesso entusiasmo dimostrato in altre occasioni. Non solo. Criticò apertamente i richiami alla leva voluti da Mussolini – e la caccia ai disertori che ne conseguiva – ritenendo che la coscrizione non facesse altro che ingrossare le file delle bande partigiane, spingendo i giovani a prendere la via della montagna. I reparti, diceva, dovevano essere formati esclusivamente da volontari e, a giudicare dalla piega che la guerra civile prese, aveva ragione.
Le sue idee sui movimenti di resistenza erano condivise da altri veterani della flottiglia, certi che la vera lotta andasse proseguita contro gli Alleati e i comunisti, soprattutto contro gli ambiziosi iugoslavi di Tito. Significativa in proposito è la testimonianza di Luigi Del Bono, il quale, nelle sue memorie, descrive lo stupore provato nel vedere i partigiani attaccare il treno su cui viaggiava e nello scoprire per la prima volta l’altro volto (quello italiano) della guerra.3
Le azioni antipartigiane furono intraprese fin dall’inizio come rappresaglie contro l’uccisione di membri della X MAS, la quale era spietata quando si trattava di proteggere o di vendicare i propri uomini, ma mise, poi, la stessa spietatezza nell’assecondare le richieste della Germania, quando il generale Wolff delle SS le chiese di assicurare le retrovie di comunicazione tedesche dopo gli scarsi risultati ottenuti da altre unità di sicurezza italiane adibite a tale funzione. Sebbene la responsabilità amministrativa ricadesse su Graziani, in qualità di comandante delle forze armate dell’RSI, le operazioni di fatto dipendevano dal comando tedesco, nello specifico dal comando del Sudovest del feldmaresciallo Kesselring, che a sua volta impiegava le forze di polizia del generale Wolff. Questa catena di comando fu illustrata dallo stesso Borghese nel corso del processo intentato a suo carico nel 1947 e fu uno dei motivi per cui ebbe salva la vita.4
Wolff chiese a Borghese di dedicarsi più alla lotta contro i partigiani che agli assalti in mare, il che avrebbe anche consentito di allentare la tensione tra il principe e alcuni ufficiali della marina tedesca in Italia. Per la fine del 1944, il grosso dei reparti di terra della X MAS era impegnato in azioni contro la Resistenza.5 Oltre a quelle che ebbero come obiettivo i partigiani iugoslavi, e che pare siano state particolarmente brutali, emblematiche della ferocia della X MAS furono l’operazione di Borgo Ticino e la riconquista dell’autoproclamata Repubblica partigiana della Val d’Ossola.6
Le operazioni antipartigiane condotte dai tedeschi in Italia si reggevano sulle stesse basi di quelle condotte nel resto dell’Europa occidentale, ma l’arrivo di alcune unità da combattimento dal fronte russo ne accentuò la cruenza. Nella guerra ingaggiata contro e tra civili, i tedeschi provenienti dall’Est erano ormai esperti di repressione e facevano con distacco il loro lavoro. Kesselring in sé non era un uomo eccessivamente spietato, ma i suoi ordini erano molto rigidi e fornivano un eccellente scudo a quei comandanti che eccedevano i limiti imposti dai regolamenti disciplinanti la lotta antipartigiana. Secondo le stime di Gerhard Schreiber, oltre 10.000 civili persero la vita, senza contare i partigiani considerati franchi tiratori. Sia da una parte sia dall’altra, la cattura comportava la fucilazione immediata, anche se in molti casi i prigionieri più importanti vennero tenuti in vita e usati come merce di scambio.7
L’estate del 1944 fu il periodo in cui le azioni antipartigiane si fecero più intense, non solo perché i partigiani erano diventati tanto numerosi da minacciare le linee di comunicazione dell’esercito tedesco, ma anche perché i tedeschi avevano bisogno di rastrellare le alture vicino alla valle del Po per potervisi trincerare qualora la linea gotica sugli Appennini fosse stata sfondata.
Il 20 luglio 1944 la X MAS contava circa 3000 uomini nella zona di Ivrea, 650 effettivi del battaglione Lupo in Liguria e 500 nuotatori-paracadutisti del battaglione NP nella zona di Palmanova. Altri 1500 marò dei reparti navali erano dislocati sui laghi lombardi.8
Il 18 agosto, durante un’operazione congiunta con un reparto tedesco, il tenente di vascello Ongarillo Ungarelli ordinò, in segno di ritorsione, la fucilazione di dodici persone sulla piazza centrale di Borgo Ticino (Novara). In un impeto di vendetta furono saccheggiate e date alle fiamme settantacinque case. L’azione era stata decisa in seguito a un attacco partigiano a un convoglio, nel quale erano stati assassinati tre soldati tedeschi. L’ufficiale Waldemar Krumhar aveva disposto l’uccisione di quattro italiani per ogni tedesco morto, ma alle dodici vittime designate la X MAS ne aggiunse una tredicesima. Un testimone confermò l’accaduto in tribunale l’11 novembre 1948. Il processo vedeva sul banco degli imputati Borghese, che tuttavia fu dichiarato non colpevole con la motivazione che la responsabilità della rappresaglia era dell’ufficiale tedesco.
Il 1° novembre, lo stesso ufficiale ordinò l’esecuzione di cinque giovani partigiani e l’arresto di venti civili a Castelletto Ticino, in risposta all’assassinio di un marò della X MAS. I condannati avrebbero dovuto essere sei, ma Ungarelli ne risparmiò uno perché troppo giovane. I cinque rimasti vennero fucilati uno dopo l’altro di schiena come banditi, delinquenti comuni, colpevoli di reati comuni di fronte agli abitanti del paese, che furono costretti ad assistere alla terribile scena.9
Verso la fine di ottobre del 1944, la X MAS partecipò alla presa della Libera Repubblica di Alba proclamata dai partigiani della Mauri e anche in quell’occasione mostrò la sua efficacia di unità compatta ed efficiente, allorché si trovò ad agire in mezzo alle truppe eterogenee che erano state inviate a compiere la missione.10
Nello stesso periodo, il tenente di vascello Umberto Bertozzi divenne tristemente noto per i brutali metodi di interrogatorio ai quali ricorreva in qualità di capo del servizio informazioni della X MAS. Per l’efferatezza delle torture che inflisse ai partigiani fatti prigionieri finì addirittura sotto inchiesta per atti di violenza e sadismo oltre che per infamanti accuse di natura morale.11
Ricerche condotte sulle attività della X MAS nella provincia di Treviso hanno fatto emergere ulteriori particolari sulla personalità di questo militare. A quanto pare, sebbene avesse raggiunto un notevole livello di crudeltà, Bertozzi trattò con rispetto i partigiani di alto grado, come nel caso di «Nino», al secolo Gaetano Bressan, comandante del battaglione guastatori della divisione partigiana Vicenza, al quale, dopo la cattura, venne riconosciuto lo status di ufficiale dell’esercito italiano.12
In conclusione, sia i partigiani sia i soldati impegnati in azioni di repressione si abbandonarono a esecuzioni sommarie di combattenti e non. La guerra civile infuriò e il numero dei caduti in suo nome fu alto. È probabile che gli italiani morti dopo l’8 settembre 1943 siano più di quelli morti nel periodo precedente della Seconda guerra mondiale, perlomeno se si escludono le vittime dei bombardamenti aerei alleati.13 Ma mentre l’Asse si avvicinava al suo definitivo crepuscolo, gli Alleati anglo-americani che erano stati la nemesi di Borghese si sarebbero dimostrati la sua àncora di salvezza.
In Italia, la fine imminente del conflitto non significò l’inizio della pace. Se da un lato partigiani e politici antifascisti regolarono i conti in sospeso con le forze armate, la polizia e il personale amministrativo dello Stato mussoliniano, dall’altro cominciarono a emergere i primi dissidi tra le varie componenti del CLN, che andavano acquisendo il controllo del paese in un regime di amministrazione alleata. Prima ancora che tale regime prendesse forma, al Nord il CLNAI assunse pieni poteri in attesa delle truppe anglo-americane, che a Milano entrarono il 29 aprile, ma in gran parte del Settentrione e delle grandi città arrivarono il 25.
Alla resa di Caserta firmata dai tedeschi il 29 aprile 1945, gli inviati del Reich si presentarono investiti della piena autorizzazione a trattare dalle forze repubblicane italiane, che erano state consegnate a Wolff dal maresciallo Graziani. Di fatto, ai sensi della resa, per «forze di terra tedesche» si intendevano «tutte le forze e organizzazioni militari o paramilitari tedesche e italiane repubblicane, poste sotto il comando e il controllo del comandante supremo tedesco del Sudovest». Mentre altre unità fasciste che svolgevano funzioni più politiche che militari ebbero minor fortuna, la X MAS era ritenuta direttamente sotto il controllo dei tedeschi e quindi poté arrendersi agli Alleati. Sebbene alcuni suoi reparti militari dipendessero dall’RSI dal punto di vista amministrativo e sebbene il «Principe nero», come Borghese era chiamato, fosse nel novero di coloro che i partigiani avrebbero voluto condannare a morte, i servizi segreti alleati e italiani intervennero in aiuto di Borghese, come di Graziani.14
Come abbiamo visto, il principe era in buoni rapporti con Karl Wolff delle SS, il quale era stato rimosso dall’incarico di segretario di Heinrich Himmler e relegato a un ruolo di minore importanza in Italia. Nonostante il declassamento, continuava a essere un uomo di grande potere, capo della polizia e delle forze di sicurezza nell’Italia settentrionale e dell’amministrazione delle retrovie tedesche. Era insomma il deus ex machina dell’Italia occupata, la stessa di cui Kesselring prima e Heinrich Vietinghoff poi furono i supremi comandanti militari. Approfittando della sua autorità, Wolff strinse un accordo con l’ambasciatore tedesco Rudolf Rahn e cercò di giungere a una pace separata in Italia. Per far ciò prese contatti con il rappresentante dell’OSS in Svizzera, Allen Dulles. Dopo essersi garantito l’aiuto dell’industriale Luigi Parilli e dei servizi segreti svizzeri dichiarò che, per ciò che riguardava Borghese e la X MAS, aveva parlato più volte con il più stretto collaboratore di Dulles.15
Nel suo diario, Borghese accenna a una visita compiuta il 19 aprile al gruppo degli «uomini gamma» di Valdagno, dove diede istruzioni al tenente di vascello Eugenio Wolk e al suo vice, il tenente di vascello Luigi Ferraro, di salvare gli impianti industriali che si trovavano nella cittadina veneta. Qualche giorno più tardi, di fronte alla resa ormai vicina della Germania, la divisione Decima ricevette l’ordine di portarsi al completo sul confine orientale, per proteggerlo dall’avanzata iugoslava.16
La fine, però, arrivò prima del previsto. Il 9 aprile, le forze alleate sferrarono l’ultima violenta offensiva verso le Alpi, anche se le trattative tra l’OSS e Wolff proseguirono finché a Dulles non fu detto di interromperle. Il giorno seguente, fu bombardato il quartier generale dell’Ob Süd tedesco (Oberbefehlshaber Süd, il comando supremo del Sud) a Recoaro, ma Vietinghoff e gli altri ufficiali ne uscirono vivi; per uno scherzo del destino, le vittime furono soprattutto lavoratori locali.17
Mentre il conflitto si avviava all’epilogo, il CLNAI lanciò ai partigiani e alla popolazione l’appello a insorgere. I battaglioni della X MAS erano dislocati in varie zone e aspettavano l’evolversi degli eventi. Giacché cadere in mano partigiana sarebbe stato assai pericoloso, il quartier generale di Milano e altri reparti, incuranti delle obiezioni mosse dal governo del re, cercarono di concordare una resa con gli Alleati, in modo da poter beneficiare del trattamento riservato ai prigionieri di guerra.18
A Milano, 600 giorni di guerra civile sfociarono in un massacro. Ogni mattina all’alba, venivano rinvenuti nelle vie della città centinaia di cadaveri di gente uccisa perché fascista o perché fatta segno di vendette private, messe in atto in quello stato di anarchia generale.19
Altre persone che giocarono un ruolo importante nell’RSI furono salvate solo con difficoltà. Molti industriali caduti in mano ai comunisti fecero una fine tremenda, mentre quelli che avevano tenuto i piedi in due staffe riuscirono a cavarsela. Tra questi c’era Agostino Rocca, amministratore delegato dell’Ansaldo, prelevato e preso in consegna da un commando comunista: durante l’occupazione aveva sì lavorato per la macchina bellica tedesca, ma al tempo stesso finanziato i partigiani, e solo quelli comunisti.20
E Borghese, come scampò alla morte? Secondo De Felice: «Gli americani erano interessati alla X MAS perché pensavano di utilizzare i suoi famosi maiali per la guerra contro i giapponesi. Gli inglesi fecero di più: una nave (ma forse le navi furono due) che, a operazioni belliche finite, trasportava dalla Iugoslavia armi per gli ebrei in Palestina, fu fatta saltare dai maiali della X».21
A favore di Borghese intervenne anche il segretario di Stato del Vaticano, il cardinale Giovanni Battista Montini. Il 6 maggio 1947 scrisse una lettera alle autorità alleate a nome della principessa Daria Borghese, moglie del principe. Durante la guerra, Montini si era fatto la fama di essere un «ascoltatore», il capo di una rete di spionaggio vaticana che era certamente tra le più potenti del mondo, viste l’influenza che la Chiesa cattolica esercitava ovunque e la sincerità con la quale la gente era solita confessarsi ai sacerdoti. Ciò però non significa che il futuro Paolo VI avesse simpatie fasciste: la Santa Sede perseguiva la politica che riteneva più giusta per le sorti mondiali e più proficua per la Chiesa. Forse vale la pena ricordare che, alla vigilia dell’elezione del nuovo papa, alcuni uomini politici, tra cui il cancelliere tedesco Konrad Adenauer e il presidente della Repubblica italiana Antonio Segni, avvicinarono i cardinali esprimendo perplessità su Montini, ritenuto pericoloso per le sue possibili aperture a sinistra.22
Tornando a Borghese, alla fine del 1944 l’aristocrazia romana chiese all’ammiraglio di divisione Ellery Stone, il nuovo governatore militare alleato a Roma, di intervenire in favore del principe, che allora operava al Nord. A facilitare i contatti fu la baronessa Renata Arborio Mella di Sant’Elia, della quale Stone era innamorato. Dopo alcuni giorni, l’ammiraglio rispose di non potergli garantire l’immunità legale, ma di essere sicuramente in grado di salvargli la vita. Secondo alcuni autori, il comando alleato impartì l’ordine di trattenere Borghese fino all’arrivo di una persona incaricata di prelevarlo.23
Il 13 aprile Borghese vide il generale Wolff delle SS, il quale lo aggiornò sulle trattative di pace in corso in Svizzera. Dopo la guerra, Wolff dichiarò di aver informato il principe delle sue manovre con gli anglo-americani verso la fine di febbraio del 1945, nel corso di uno dei vari incontri che ebbe con lui sul lago di Garda. Parallelamente, il principe proseguiva i colloqui con Sandro Faini e Gennaro Riccio, due partigiani socialisti che vivevano nel suo stesso palazzo, in piazza Principessa Clotilde 6, a Milano. Era in contatto anche con il tenente Nino Pulejo e con il capitano Guido Del Giudice, del governo del re.
In seguito agli accordi raggiunti, il 26 aprile 1945 la X MAS si arrese davanti a Riccio e al maggiore Mario Argenton del CLN nel cortile della caserma milanese di piazzale Fiume. La cerimonia si concluse alle 17.00 con l’ammainabandiera, dopodiché Borghese si allontanò con Pulejo e Faini.24
La X MAS si arrese agli Alleati essenzialmente per due motivi: primo, perché li considerava i suoi veri nemici e, come tali, gli unici davanti ai quali capitolare; secondo, perché consegnarsi ai partigiani poteva comportare il rischio di perdere molte vite. Sebbene CLN e partigiani tenessero un atteggiamento quasi sempre corretto nei confronti dei vinti, soprattutto nel Veneto, in Piemonte le cose andarono diversamente. I superstiti della guarnigione della X MAS che presidiava gli stabilimenti Fiat – una settantina di persone, tra marinai e donne dei servizi ausiliari – furono sommariamente giustiziati, e lo stesso accadde a quasi tutti i reparti che si arresero ai partigiani iugoslavi.
In generale, comunque, i battaglioni della X MAS erano ben armati e dovevano essere trattati con una certa cautela. L’NP, per esempio, con le armi pesanti di cui disponeva riuscì a bloccare temporaneamente una colonna alleata che stava avanzando in direzione della città di Padova, distruggendo sette veicoli con lanciarazzi controcarro Panzerfaust e mitragliatrici pesanti AA.
Prima di consegnare il proprio equipaggiamento, il gruppo degli «uomini gamma» a Valdagno attese l’arrivo della Regia Marina del Sud e degli Alleati. Intanto, completamente armato e camuffato, il tenente di vascello Ferraro aiutò i partigiani locali della brigata Stella Rossa a mettere in atto rappresaglie e attacchi contro le colonne tedesche in ripiegamento.
Ferraro ricorda che un giorno arrivò a Valdagno il famoso capitano di fregata Lionel «Buster» Crabb, accompagnato da un capitano dell’esercito statunitense, un certo Marzullo, per proporgli di collaborare con gli Alleati nella guerra contro i giapponesi, proposta che lui rifiutò.25 Secondo un documento conservato nell’Archivio di Stato di Vicenza, la Regia Marina italiana non si dimenticò dei sommozzatori. Il 26 maggio, un po’ in ritardo, quando ormai i tedeschi, la popolazione e i partigiani avevano portato via molte cose, giunse a Valdagno una missione della marina che recuperò cariche esplosive e attrezzature del gruppo degli «uomini gamma», ma non quattro autorespiratori già presi dagli Alleati.26
Il 26 aprile, Borghese lasciò l’appartamento di piazza Principessa Clotilde e si trasferì a casa del capitano Del Giudice, in viale Beatrice d’Este. Vi arrivò di notte, a bordo di un’auto. Lì, sorvegliato da Pulejo della polizia partigiana, attese gli ufficiali del servizio segreto della marina che dovevano trarlo in salvo. Stando al suo diario, trascorse sereno quei momenti. Durante il soggiorno presso l’amico ricevette le visite di Sandro Faini e Corrado Bonfantini, membri della brigata partigiana Matteotti e del Partito socialista. L’8 maggio si presentò in casa il capitano dei carabinieri Giuseppe Polosa, dicendo che Carlo Resio e l’agente dell’OSS James Jesus Angleton erano a Milano e cercavano Borghese per dargli un messaggio dell’ammiraglio De Courten. L’incontro ebbe luogo il 9 maggio. Resio e Angleton informarono il principe che De Courten lo voleva a Roma per parlargli, ma questi, non del tutto convinto da quel messaggio che gli era stato riferito solo oralmente, rispose che si sarebbe riservato di decidere.
La famiglia Angleton non era sconosciuta in Italia. James Hugh, il padre di James Jesus, era stato per un certo periodo presidente della Camera di commercio italoamericana di Milano e della filiale milanese della National Cash Register Company. James Jesus era il capo delle operazioni speciali dell’OSS e aveva lavorato a lungo con Resio, che era il suo principale contatto con i servizi segreti italiani.27
Angleton, secondo Nesi, voleva difendere importanti installazioni, quali porti e ponti, e offriva a Borghese un trattamento equo (un processo, anziché l’esecuzione sommaria) in cambio della sua cooperazione. Altri servizi non erano d’accordo. Tra questi, il controspionaggio inglese, i cui agenti avvicinarono Angleton la sera prima della partenza per Roma per dirgli che avevano chiesto ai tedeschi solo due persone: Junio Valerio Borghese e il capo del SIS, il colonnello dei carabinieri Candeloro Di Leo. Era loro intenzione interrogarli e quindi consegnarli ai partigiani per l’immediata esecuzione.28
L’11 maggio, Resio e Angleton si presentarono agitatissimi da Borghese, dicendo che alcuni partigiani avevano scoperto il suo nascondiglio a casa Riccio, dove lui si era trasferito il 7 o l’8 maggio, e che stavano arrivando per catturarlo. Il principe decise di partire con i due e giunse a Roma il giorno successivo, ma De Courten non poteva riceverlo. Nelle sue memorie, l’ammiraglio scrive di essere rimasto sorpreso dall’arrivo di Borghese nella capitale, ma non è ben chiaro il motivo di tanto stupore, visto che la missione congiunta effettuata dai servizi segreti italiani e dall’OSS non avrebbe mai potuto aver luogo in assenza di ordini del capo del SIS e del ministro della Marina.
Borghese fu portato in un appartamento in via Archimede e arrestato il 19 maggio dagli americani. Il principe e la moglie furono gli unici due fascisti italiani del periodo dell’RSI a essere tratti in salvo dagli Stati Uniti, che sostanzialmente desideravano avvalersi di Borghese per la sua competenza nelle operazioni segrete e l’abilità nel combattere i comunisti. Alcune altre persone furono salvate dagli inglesi.
Il 22 aprile, il principe aveva mandato un autista a prendere la moglie e i figli, che si trovavano a Cortina, e li aveva fatti condurre a Lonato, da dove avevano proseguito fino a casa Beretta, su un’isoletta del lago d’Iseo. Lì erano stati messi al sicuro da un comitato di partigiani di cui faceva parte il conte Gavazza, cugino di Borghese. In seguito, forse a inizio maggio, la famiglia era stata mandata a sud di Roma.29
Il curriculum della X MAS tra l’8 settembre 1943 e la fine della Seconda guerra mondiale è unico negli annali della storia militare moderna. Solo un’unità dotata di forte autonomia avrebbe potuto assemblare, in un’epoca di guerra totale altamente organizzata, una «compagnia di ventura» composta da uomini fedeli più al proprio comandante che a qualunque simbolo nazionale o ideologico. E in questa forma, che in Europa non si vedeva più dal Medioevo, la X MAS seppe reagire con grande flessibilità al mutare delle situazioni, scegliendosi sia i nemici sia gli amici.
Nonostante i traguardi raggiunti per mare e per terra, il Principe nero e la X MAS combatterono dalla parte sbagliata della storia. Come ha precisato Deakin, i commando navali del principe Borghese si erano schierati subito con i tedeschi dopo l’armistizio. Ma, con il loro morale alto e il reclutamento volontario, probabilmente servirono da modello per gli eserciti regolari del futuro.30