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Victor parlava raramente della propria vita con gli estranei.
Non rilasciava quasi mai interviste, convinto com’era che la discrezione fosse essenziale nel mondo della finanza. Si potevano rivelare informazioni senza volerlo, e la concorrenza non aspettava altro per batterti sul tempo. C’era chi era svelto, e c’era chi moriva. Si diceva così, nel mondo degli affari. Esistono solo due tipi di persone: gli svelti e i morti.
Ora Victor Delamonte non era né svelto né morto.
Quel luogo – quel nulla all’interno dell’impianto per la crioconservazione – o era il purgatorio o era un’allucinazione. In ogni caso, lui non aveva più motivo di mantenere segreti. E allora raccontò alla ragazza quello che aveva raccontato a pochissimi altri: del cancro, della malattia ai reni, della dialisi e del suo progetto di sconfiggere la morte tornando a vivere in un lontano futuro.
Le disse che non avrebbe dovuto trovarsi lì, in quel magazzino, ma risvegliarsi a molti anni di distanza, autentica prova vivente dei miracoli della medicina. Non era previsto che fosse un fantasma.
Lei ascoltò la sua storia. Mostrò di comprendere perfino alcuni dettagli scientifici, e la cosa lo sorprese. Questa ragazza era più intelligente di quanto non sembrasse, considerato che aveva l’aspetto di una che aveva dormito su una panchina. Victor non arrivò ad ammettere che stava per essere immerso nel ghiaccio, nell’altra stanza. Gli pareva troppo.
A un certo punto, la ragazza gli chiese cosa ne pensasse sua moglie della faccenda del congelamento. Victor ebbe un’esitazione.
«Ah, non glielo ha detto?»
Più intelligente di quanto non sembrasse.