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Threnody Noon era annoiata. Languiva da giorni, ma quella era la prima volta in cui lo ammetteva a se stessa. Dopotutto aveva atteso con ansia quel viaggio per mesi. Era stanca di stare a casa, nella quieta magione su Malapet, vicino ai laghi, dove sua madre passava il tempo a dipingere fiori e inviare ai Guardiani preghiere elettroniche che rimanevano puntualmente senza risposta. Threnody vagheggiava il trambusto e l’adrenalina della vita a bordo del treno di suo padre. Ma una volta lì, quando ormai si era abituata al fasto delle carrozze e al fascino dei passeggeri, aveva cominciato quasi subito a sentirsi infelice. Suo padre continuava a presentarla come «mia figlia, Threnody», ma tutti sapevano che non era una delle sue figlie ufficiali. Il breve matrimonio con sua madre era stato deciso solo per sigillare un accordo commerciale tra le due famiglie. E lui non si sarebbe mai sognato di invitarla a bordo, non fosse stato per il fatto che ormai era quasi in età da marito e suo padre voleva darla in moglie a Kobi Chen-Tulsi, erede di un’azienda di estrazioni minerarie sugli asteroidi di Sundarban.
In quel periodo Kobi si trovava sul Treno dei Noon, e anche lui si annoiava. A volte, al pensiero di sposarlo e vivere con lui per gli anni a venire, Threnody desiderava non essere una Noon. La prospettiva quasi la terrorizzava, sebbene Kobi non fosse certo una persona che ispirava timore; era solo un tipo piuttosto apatico. Sono ancora una ragazza, si ripeteva Threnody rannicchiata nella sua cuccetta sul treno che sfrecciava velocissimo. Aveva diciassette anni, ma non si sentiva per niente diversa da quando ne aveva dodici. Non voglio fidanzarmi. Non con Kobi Chen-Tulsi, né con nessun altro, in realtà. Voglio prima vedere la Rete.
Adesso la stava vedendo, certo. I mondi della Silver River Line scorrevano fuori dal finestrino: i portali K le riversavano addosso la loro luce incolore. Ogni volta che il treno si fermava venivano organizzate escursioni: pic-nic e gite di pesca, visite ad antiche fortezze e montagne famose. Ma a lei non sembrava abbastanza.
Così, quando il treno raggiunse Adeli, Threnody finse di essere stanca e rimase un po’ indietro, mentre gli altri si avviavano tutti contenti alle battute di caccia e alle feste sui rilievi dell’isola. Decise di starsene per conto suo, convinta che si sarebbe divertita di più. La noia però la stava uccidendo, perciò, quando il treno annunciò di aver ricevuto il messaggio di un giovane Noon che chiedeva di salire a bordo a Adeli, le sembrò la prima cosa interessante che le fosse capitata in migliaia di anni luce. Tallis Noon, del Raccordo Dorato. Threnody non sapeva nulla di quel ramo della famiglia. Attraversò le carrozze incolonnate e trovò il maggiordomo Motorik incaricato di accogliere il nuovo arrivato.
«Non preoccuparti» gli disse Threnody. «Vado io giù a prenderlo.»
Adeli era un mondo di nebbie. La vita si svolgeva sulle cime delle montagne e tutto intorno si estendevano mari di tremule foschie: banchi di nuvole squarciati dalle improvvise scie luccicanti delle particelle di passaggio. Un viadotto su alti pilastri si apriva un varco nella nebbia fino alla stazione di Adeli, in cima alla città, e lungo il viadotto serpeggiava il Treno dei Noon. Le cupole di osservazione illuminate risplendevano sotto il cielo della sera e da un centinaio di stravaganti torrette sul tetto delle carrozze sventolavano la bandiera imperiale e gli striscioni con il sorridente sole dorato: lo stemma della casata dei Noon.
Zen aveva studiato foto e video del treno. Aveva memorizzato le planimetrie delle carrozze principali, le porte interne, i portelloni di accesso. Ma nessuno di quei materiali lo aveva preparato allo spettacolo che si aprì davanti ai suoi occhi. Era lì, in mezzo a un capannello di appassionati di treni e bambini eccitati sul binario della stazione di Adeli e fissava a bocca aperta il treno che si stava fermando. Gli imponenti locomotori gemelli, Fuoco Selvaggio e Tempo dei Doni, appartenevano alla famiglia Noon da secoli. Le loro cappottature curvilinee e sofisticate erano entrate e uscite di moda così tante volte da essere ormai senza tempo: grandiose, antiche e color del miele, esercitavano lo stesso fascino un po’ decadente degli edifici d’epoca. Dietro c’erano cinque enormi carrozze a due piani, le «stanze» dell’Imperatore e della sua cerchia più ristretta. E dietro ancora, a disegnare una curva fuori dalla stazione e lungo il viadotto, i vagoni minori, tutti altrettanto belli.
Zen?, fece Nova nella sua testa. Ho mandato un messaggio al Treno dei Noon per avvisarli che sei qui e desideri salire a bordo.
Il ragazzo si voltò verso di lei, ma, calata nel ruolo della docile serva Motorik, Nova non avrebbe mai incrociato il suo sguardo.
Anche lui stava recitando una parte, naturalmente. Le prove generali erano finite; lo spettacolo stava per cominciare. Indossava una giacca corta in elegante vinile, al momento nera, il colore di default, una maglia anch’essa nera fatta a mano, abbastanza scollata da lasciare scoperte le clavicole, pantaloni stretti e stivali dalla punta quadrata. Cogliendo la propria immagine riflessa nei finestrini del Treno dei Noon, si sentì abbastanza fiducioso di poter passare per Tallis. Non somigliava più a Zen Starling.
Annuì per dire a Nova che aveva capito e si incamminò lungo il binario. Gli ospiti di rango inferiore come lui sarebbero potuti salire a bordo molto indietro. Nova lo seguiva con i bagagli. Fregi intagliati correvano lungo le fiancate del treno e i bambini ci si arrampicavano dalla banchina per accarezzare la testa degli animali scolpiti. Dal modo benevolo con cui li guardavano i ragni addetti alla manutenzione, Zen pensò che Fuoco Selvaggio e Tempo dei Doni non ne fossero infastiditi, anzi, sembravano accogliere addirittura con piacere quei piccoli visitatori. Non poté fare a meno di domandarsi cosa sarebbe successo a quei bimbi se avessero osato fare lo stesso con Pensiero Volpe...
«Tallis?» disse qualcuno lì vicino.
Mi chiamo Tallis Noon, mi chiamo Tallis Noon... Zen l’aveva ripetuto a se stesso durante tutto il viaggio da Desdemor, ma la visione del maestoso convoglio glielo aveva fatto uscire del tutto di mente. Fu Nova a rammentarglielo, emettendo un suono metallico attraverso le cuffie e dicendo a voce alta, in un tono dolce e al tempo stesso ossequioso: «Tallis?».
Zen si guardò intorno, ricordandosi finalmente chi sarebbe dovuto essere, e si ritrovò al fianco una giovane donna che gli sorrideva come se lui fosse stato la cosa migliore che vedeva da settimane. Una ragazza in realtà, constatò quando si soffermò a osservarla, abbagliato da quel sorriso. Non più grande di lui, ma senz’altro vestita meglio. Aveva i capelli corti e tinti di turchese, una tuta aderente lucida con motivi a piuma di pavone e un paio di stivali che parevano rivestiti di foglie dorate.
Rivolse a Zen un altro sorriso, poi si presentò: «Sono Threnody». Giunse le mani e chinò la testa. «Siamo cugini di qualche grado, trilionesimo tipo...»
Zen aveva letto una sua biografia a Desdemor. Si chiese perché mai si fosse presa il disturbo di scendere dal suo treno da favola per andare a recuperare un Viaggiatore di passaggio.
«Lieto di conoscerti, cugina Threnody» disse.
Lei lo prese per il braccio e continuò a sorridere, mentre lo guidava attraverso il cordone delle guardie e lungo il binario, accanto alle grandi ruote luccicanti del convoglio imperiale. Nova li seguiva con i bagagli di Zen. «Il tuo messaggio ci ha raggiunti appena il treno su cui viaggiavi ha oltrepassato il portale K» lo informò. «Mi dispiace che tutti gli altri siano impegnati. C’era un pic-nic stasera, e anche una battuta di caccia... Il crepuscolo è l’ora migliore a Adeli, non credi?»
Oltre la stazione, il mare di nebbia baluginava di un pallido bagliore. Zen riuscì a distinguere alcune luci sui picchi che bucavano la coltre e udì un infinitesimale scoppiettio che sarebbe potuto essere una salva di colpi di fucile in lontananza. Nonostante tutta la preparazione si sentiva un po’ frastornato. La bellezza della sera, il treno, la ragazza: quel lavoro non aveva niente a che spartire con i suoi blitz alle bancarelle del bazar di Ambersai.
«È un peccato che tu non abbia fatto arrivare il messaggio con un treno prima» riprese Threnody. «La famiglia avrebbe organizzato un comitato di benvenuto adeguato.»
«Non volevo creare scompiglio» rispose Zen. «Inoltre non sapevo che sarei venuto qui. Non di sicuro, voglio dire. Viaggio, mi guardo intorno...»
Fa’ attenzione all’accento, lo ammonì Nova nella sua testa. Sembri la caricatura di un ragazzo snob in un film comico...
«Certo che sei davvero cambiato!» commentò Threnody. Il cuore di Zen mancò un battito: Raven gli aveva assicurato che nessuno a bordo del Treno dei Noon conosceva Tallis. «L’ultima volta che ci siamo visti eravamo tutti e due praticamente neonati» continuò la ragazza. «Alla festa dei fuochi su Khoorsandi. Ho visto le foto. Tu eri un fagotto tutto ciccia.»
Zen fece la risata più gentile che gli riuscì e disse che non se ne ricordava, il che era, ovviamente, la verità.
«E così tu vieni dal Raccordo Dorato?» gli chiese Threnody, ma non gli lasciò il tempo di rispondere. «Non ho mai visitato le linee del ramo orientale, dev’essere così interessante. Avete Angeli della Stazione laggiù? Noi non li abbiamo nella Rete centrale, ma mi piacerebbe vederne uno: è vero che somigliano agli angeli veri?»
Lo stava guidando verso un vagone un po’ più giù lungo il treno, cui si accedeva da una scaletta bianca dove trovarono ad aspettarli un Motorik in divisa. L’addetto alla sicurezza non aveva un aspetto troppo sveglio, ma dietro quella faccia che sembrava una maschera la sua mente doveva essere collegata a un hardware zeppo di informazioni. Se il volto di Zen o il suo modo di camminare non avessero corrisposto a qualsivoglia registrazione lì contenuta, la sua visita sarebbe terminata all’istante. Magari, i droni armati che giravano intorno alla stazione avrebbero potuto cancellarlo dal binario con un raggio laser, neanche fosse stato un chewing gum spiaccicato.
Ma Threnody non diede nemmeno una possibilità ai Moto di scansionarlo. «Ospite di famiglia» annunciò, aggiungendo qualche ordine in un codice della corporazione. Lo sgherro più vicino si fece da parte, lasciando salire Zen sul treno.
«Nessun controllo?» domandò lui, sorpreso.
«Lo vedono tutti che sei un Noon, Tallis» ribatté Threnody ridendo. «Per noi della famiglia le regole sono molto più flessibili.»
Zen alzò le spalle e si unì alla risata. Fino a quel momento lo scambio di persona sembrava consistere soprattutto nel farsi beffe dell’ordine costituito, attività che metteva Zen piuttosto a suo agio. Ebbe un attimo di panico qualche secondo dopo, quando, già sull’ultimo gradino della scaletta, si voltò e vide il tizio della sicurezza fermare Nova. Threnody gli spiegò che stavano solo scansionando le valigie e verificando che la mente del suo Motorik non fosse affetta da virus.
Non ne trovarono. Nova si era premurata di nascondere per bene i suoi aggiornamenti e le modifiche della personalità. Quanto alle valigie, lì dentro c’erano solo vestiti spiegazzati e qualche oggetto che Raven aveva aggiunto per far sembrare che arrivassero davvero dal Raccordo Dorato. L’unico su cui gli sgherri ebbero da ridire, dopo averlo aperto, fu la lunga custodia in pelle che conteneva il fucile da razze.
«Speravo di poter andare a caccia» si giustificò Zen.
«Questa però è un’arma un po’ fuori moda, no?» commentò Threnody.
«Era di mio nonno. Un fucile da razze.»
«Presto ci fermeremo a Jangala. Non ho idea se lì ci siano delle razze, ma ci sarà ogni genere d’altra cosa a cui sparare nella riserva di caccia...»
I sorveglianti richiusero la custodia del fucile. Nova la prese insieme al resto dei bagagli e salì i gradini per unirsi a Zen e Threnody nella veranda aperta sul retro del vagone.
«Cos’ha che non va la faccia del tuo Motorik?» chiese Threnody incuriosita.
«Dovrebbero sembrare lentiggini» rispose Zen. «Crede che le diano un aspetto più umano.»
«Sembra difettata, semmai. Ne vuoi uno nuovo?»
«Oh no, sono abituato a Nova» replicò.
Threnody gli rivolse un sorriso come a dire: Fa’ un po’ come ti pare, quindi si voltò per entrare nella carrozza. La porta non aveva maniglia, soltanto un sorridente sole dorato applicato al centro. Con un tocco leggero tra le sopracciglia del sole la porta si aprì, così all’improvviso e così silenziosa che parve quasi svanire. Zen inspirò l’aria profumata del Treno dei Noon. Spinse lo sguardo oltre Threnody, nella carrozza ornata di colonne.
È splendida!, disse Nova nella testa di Zen.
«È splendida» concordò lui a voce alta. All’inizio non era sicuro del perché si sentisse triste, poi lo capì. Solo per un momento aveva creduto di essere davvero Tallis Noon e che quella ragazza bellissima stesse dando a lui il benvenuto a bordo del suo treno meraviglioso. Il che non gli sarebbe dispiaciuto affatto. Era la vita che avrebbe avuto se soltanto sua madre non lo avesse sottratto ai Noon.
Ma non serviva a niente piangersi addosso. Nessuno gli avrebbe offerto tesori su un piatto d’argento. Se li sarebbe dovuti prendere da solo. Ed era bravo, in questo. Avrebbe derubato quelle persone facendola franca.
Mise piede nel treno.