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Nel deposito ferroviario appena fuori dalla stazione di Cleave Gentleman delle Polaroid si fermò per fare rifornimento, Zen sgattaiolò fuori, oltrepassò un cancello che un ragno aveva aperto per lui nel recinto che costeggiava il binario e si diresse in città. Myka gli aveva spiegato dove andare. Scese delle scale scivolose e bisunte tra le cascate, dove i tubi di scarico della fabbrica si protendevano verso la superficie dalle pareti del canyon, come gigantesche canne di un organo. Giunto in fondo, aprì una porta fatta con una scatola da imballaggio ed entrò in uno spazio rimbombante a volta, sotto la ferrovia.

Era pieno di sogni: i muri, il soffitto, ogni centimetro del pavimento erano ricoperti di visioni di chissà quali luoghi. Uccelli dal volto umano, pesci con le gambe, arcobaleni incoronati e città tatuate, improbabili macchine volanti, visi saggi e folli. Dipinti dappertutto, a spruzzo o a pennello, sulla vecchia piastrellatura in ceramica. Erano solo dipinti: ma allora come facevano a sembrare tanto vivi?

«Zen?» Flex era seduta su una branda nell’angolo più lontano della stanza, i tratti illuminati dal debole bagliore di un piccolo schermo. «Ho saputo che eri partito. Non pensavo di rivederti.»

Persino adesso che sapeva che Flex era un Motorik, gli era difficile credere che non fosse umana. O umano, forse. L’ultima volta che l’aveva incontrata, Zen era stato quasi certo che fosse una ragazza. Ma ora aveva la mascella più squadrata, la voce più profonda e si muoveva in modo diverso. Era pressoché impossibile esserne sicuri, ma se proprio avesse dovuto esprimere un parere in quel momento avrebbe detto senza ombra di dubbio che era un maschio.

«Come sta Myka?» gli chiese.

«Sta bene. Ti manda i suoi saluti.» Zen si guardò in giro. Quando Myka gli aveva detto che Flex viveva in maniera spartana, si era immaginato un posto disordinato; disordinato quanto avrebbe potuto esserlo il suo, se fosse stato costretto a vivere in quel modo. Invece lo spazio sotto la volta era pulito e ordinato. Niente cibo o utensili da cucina, ovviamente. Nessun genere di conforto, fatta eccezione per quella semplice branda. Solo qualche scatola di tempere e strumenti per dipingere allineati su un lungo ripiano, alcuni scatti-trofeo da fanatico dei treni, che ritraevano locomotori famosi: Galattico Illimitato e Corvo della Città di Sopra. Lampade a luce biologica proiettavano l’ombra di Flex sulla parete dipinta.

«Sono stupefacenti» si complimentò Zen.

Flex era raggiante. «Faccio solo pratica. Provo dei disegni quaggiù, poi li riproduco sui treni.»

«Quello a bordo del quale sono arrivato ti saluta, fra l’altro. Si chiama Gentleman delle Polaroid

«Il buon vecchio Polaroid» commentò Flex con un sorriso.

«Mi dispiace che per colpa mia per poco non sei stato catturato, quella notte ai depositi ferroviari...»

«E a me di averti abbandonato lì» rispose Flex. «Credevo fossi dietro di me. Non potevo rischiare di farmi prendere...»

Zen fece spallucce, come a dire che non aveva importanza, ma era contento che si sentisse un po’ in colpa. Rendeva più facile chiedergli un altro favore.

«Mi serve di nuovo il tuo aiuto» annunciò. «Non per me, ma per un’amica. Lei è come te.»

«Un graffitaro?»

«Un Motorik.»

L’espressione di Flex cambiò. Era più bravo di Nova a fingere di essere umano, ed era più semplice decifrare i suoi sentimenti. Aveva paura. «Myka ti ha detto di me?»

Zen rise. «Oh, no. L’ho indovinato da solo, molto tempo fa.» Il che voleva dire: Ho tenuto il tuo segreto al sicuro, proprio come mia sorella. Puoi fidarti di me. E sei in debito.

«Myka mi ha salvato durante i disordini» confessò Flex. «Mi ha aiutato a nascondermi finché non sono stato in grado di farmi passare per umano...»

«Una volta o l’altra mi racconterai tutta la storia» lo interruppe Zen. «Ma ho una certa fretta adesso. Questa mia amica è stata molto danneggiata. Hai sentito quello che è successo sullo Spindlebridge? Si trovava lì. Un drone l’ha arpionata e l’ha scaraventata nello spazio... Può essere sopravvissuta, vero?»

Flex annuì lentamente, evitando con cautela di porgli le molte altre domande che quell’unica sollevava, prima fra tutte che cosa avesse mai fatto l’amica di Zen sullo Spindlebridge per farsi attaccare dai droni. «Abbiamo le unità di processione centrale nella testa, come voi. Ci sono sistemi nel busto, ma dovrebbero autoripararsi, e lo spazio non dovrebbe essere un problema: molti Motorik lavorano in ambienti privi di gravità, sulle miniere cometa o simili. Ma non capisco come pensi di poterla aiutare.»

«Devo andare a Sundarban» gli spiegò Zen «e non posso semplicemente prendere la K-bahn. Ci sono un sacco di nuovi sistemi di sicurezza all’interno delle stazioni, e a Sundarban sarà anche peggio.»

«Quindi cosa farai?»

«Pensavo che potresti accompagnarmi giù nella vecchia stazione, la Cleave-B.»

Flex parve dubbioso. «La Dog Star Line? Ho sentito dire che si trova là sotto... Ma ai treni non fa piacere parlarne.»

«Io l’ho vista» ribatté Zen. «È ancora lì, identica a com’era. Rotaie, treni, tutto quanto. Ma non ho idea di come arrivarci.»

«Neanch’io» replicò Flex. «Credo che gli accessi siano stati chiusi piuttosto bene.» Borbottò qualcosa fra sé, pensieroso. Zen immaginò che si sarebbe rifiutato e si domandò se sarebbe stato costretto a minacciarlo. Se non mi aiuti, Flex, gli avrebbe intimato, correrò là fuori e dirò agli orgogliosi operai di Cleave che c’è una bambola elettronica che si nasconde tra la folla. Peccato che Zen non avesse alcuna voglia di arrivare a tanto.

Per fortuna Flex parve intrigato dalla storia sulla stazione nascosta. «E ci sono treni laggiù? Dici sul serio?»

«Qualcuno. Li ho visti. Morti, o addormentati.»

«Le uniche persone che potrebbero conoscere il modo per raggiungere la Cleave-B sono i Monaci Alveare.»

«E perché dovrebbero saperlo?»

«Perché vanno sempre a raccattare roba là sotto, dentro e fuori dalle lunghe gallerie» rispose Flex. «Alcuni di quei passaggi sono talmente pieni di insetti morti che è come camminare in una ciotola di cereali della colazione.»

«La vecchia stazione era lo stesso» ribatté Zen, aggiungendo mentalmente i cereali alla lista di cose che non avrebbe mai più mangiato in vita sua. «Insetti morti ovunque. Quindi pensi che i Monaci Alveare sappiano come arrivarci?»

«Dovresti chiederlo a loro.»

«Zio Bugs si è rimesso insieme nel frattempo?»

«Sì, ma il suo negozio è ancora chiuso. Probabilmente si nasconde fuori con gli altri Monaci, giù nella Città degli Scarafaggi.»

«Ma io non ho alcuna voglia di andarci!»

«Invece dovrai farlo se vuoi trovare il modo di arrivare alla Cleave-B» concluse Flex. Rimase qualche istante sovrappensiero: forse a ricordare il rischio che aveva corso l’ultima volta che aveva aiutato Zen Starling. Poi la gentilezza, o la curiosità, ebbe la meglio. «Io ci sono già stato. Posso mostrarti la strada.»