CAPITOLO 3
Aberdeen, palazzo della Centrale della Grampian Police. Un edificio di sette piani, vetro e cemento armato, sormontato da antenne radio e apparecchiature per trasmissioni d'emergenza, leggermente fuori mano in fondo a Queen Street, proprio di fianco alla Sheriff Court. Dirimpetto c'è il grigio edificio in granito del Marischal College, vagamente somigliante a una torta nuziale. Dietro l'angolo c'è l'Arts Center, una specie di tempio in stile pseudo-romano eretto in epoca vittoriana.
La Centrale di polizia era una testimonianza dell'amore che l'architetto nutriva per la le cose brutte. Ma era ubicata nelle vicinanze della Pretura, delle Camere di Consiglio dell'amministrazione comunale e di una dozzina di pub.
Pub, chiese e pioggia. Tre cose che abbondavano ad Aberdeen.
Il cielo era scuro e nuvoloso; le gialle lampade al sodio dell'illuminazione stradale davano alle prime ore del mattino un colorito itterico, come se le strade fossero malate. Pioveva; non c'era stata nessuna interruzione dalla sera prima e i goccioloni rimbalzavano sui marciapiedi lucidi.
Gli autobus arrancavano per le strade, sollevando ondate di pioggia che inzuppavano chiunque avesse la sfortuna di trovarsi in giro in una mattinata come questa.
Bestemmiando sottovoce Logan si strinse il cappotto con una mano e augurò una morte atroce a tutti quei bastardi che guidavano gli autobus.
Aveva avuto una nottata bestiale; un pugno nelle budella, al quale avevano fatto seguito tre ore di visita medica da parte dei dottori del pronto soccorso. Gli avevano messo una fasciatura elastica, gli avevano dato una boccetta di antidolorifici e alle 5,15 lo avevano rimandato fuori, al freddo e nel diluvio.
Ed era anche riuscito a dormire per un'ora intera.
Entrò sguazzando nella Centrale e si presentò alla reception. Il suo appartamento era a meno di due minuti di cammino, ma era bagnato fradicio.
Dall'altra parte del vetro un sergente che Logan non riconobbe sfoggiò il sorriso previsto dal regolamento e chiese: «Buongiorno, signore. In cosa posso esserle utile?».
Logan sospirò. «Buongiorno, sergente. Dovevo presentarmi all'ispettore McPherson e...».
Appena si rese conto che Logan non era un cittadino che chiedeva assistenza alle forze dell'ordine, il sorriso svanì dalle labbra del sergente. «Sa-rà molto difficile: si è preso una coltellata in testa». Mimò il gesto della coltellata e Logan cercò di non batter ciglio. «Lei è...», consultò un blocco notes sulla scrivania, sfogliando le pagine avanti e indietro fino a quando trovò quel che cercava, «il sergente McRae, giusto?».
Logan annuì e gli mostrò il suo tesserino per conferma.
«Va bene», disse il sergente, impassibile. «Si presenti all'ispettore Insch.
Nella sala riunioni, che è stata adibita a centro investigazioni. L'ispettore darà le consegne alla sua squadra tra...», guardò l'orologio a muro, «da cinque minuti fa». Sorrise ancora. «E non gli piace chi arriva in ritardo».
Logan arrivò alla riunione indetta per le 7,30 con dodici minuti di ritardo. La sala riunioni era piena di agenti di ambo i sessi, visibilmente seri e preoccupati. Cercò di entrare alla chetichella, chiudendo silenziosamente la porta, ma tutti si girarono verso lui. L'ispettore Insch, un omone calvo, con un doppiopetto nuovissimo, si interruppe e lo guardò male. Zoppican-do leggermente Logan andò a sedersi su una sedia vuota in prima fila.
«Come dicevo», continuò l'ispettore lanciandogli un'occhiata malevola,
«la relazione preliminare del patologo indica che la morte è avvenuta circa tre mesi fa. Ed è difficile che ci sia ancora qualche indizio sulla scena di un crimine dopo tre mesi, specialmente in questo tempaccio. Ma questo non vuol dire che non lo cercheremo: voglio una ricerca accuratissima, a tutto campo, per un raggio di un chilometro da dove è stato trovato il cadavere».
Nella sala si sentì un mugugno collettivo di sconforto. Un'area di due chilometri di diametro era enorme e le probabilità di trovare qualcosa erano praticamente nulle. Specialmente dopo tre mesi. E fuori pioveva ancora a dirotto. Sarebbe stato un lavoraccio di merda.
«So benissimo che è una rottura di palle», continuò l'ispettore Insch. Da una tasca della giacca tirò fuori una caramellina morbida; la guardò, ne soffiò via la peluria e se la mise in bocca. «Ma non importa. Qui si parla di un bambino di tre anni. E voglio prendere quel bastardo che lo ha ucciso.
Non voglio stronzate. Mi sono spiegato?».
Fece una pausa, quasi sfidando i presenti a sollevare qualche obiezione.
«E parlando di stronzate; ieri sera qualcuno ha detto al "Press and Journal" che avevamo trovato il cadavere di David Reid». Mostrò ai presenti una copia dell'edizione di quel giorno; a grandi lettere il titolo diceva: Trovato cadavere di bambino assassinato! Si dividevano la prima pagina una fotografia di un sorridente David Reid e una della tenda eretta sul luogo dov'era stato trovato il cadavere, illuminata dall'interno dal flash del fotografo, con le sagome degli occupanti stagliate contro i teli della tenda.
«I giornalisti hanno chiesto una dichiarazione alla madre del bambino», alzò la voce arrabbiatissimo, «prima che potessimo andare a dire alla povera donna che suo figlio era morto!». Sbatté il giornale sulla scrivania. Un rabbioso mormorio si levò dai presenti.
«Vi dico una cosa: nei prossimi giorni sarete tutti interrogati da un ispettore della sezione Standard Professionali. Ma credetemi; a confronto con la mia, la loro caccia alla strega sarà una gita al mare. Quando scoprirò chi è stato a fare la soffiata ai giornalisti, lo appenderò al soffitto per i coglioni!».
Si interruppe, guardando accigliato tutti i presenti.
«Bene. Queste sono le consegne per oggi». Si appoggiò col sedere alla scrivania e cominciò a leggere i nomi: chi sarebbe andato a fare domande porta a porta, chi sarebbe andato al fiume, chi sarebbe rimasto in Centrale a gestire le telefonate. L'unico nome che non lesse fu quello del sergente Logan McRae.
«Un'ultima cosa», disse Insch alzando le braccia come se stesse per be-nedire i suoi subalterni. «Vi ricordo che i biglietti per lo spettacolo natalizio di quest'anno sono già in vendita alla reception!».
Gli agenti uscirono dalla sala riunioni; quelli destinati ai telefoni commi-seravano con sarcasmo i poveri diavoli che avrebbero trascorso la giornata sotto la pioggia. Logan si sistemò in coda agli uscenti, sperando di riconoscere qualcuno. Un anno di assenza per malattia e non aveva ancora visto un volto a cui potesse dare un nome.
L'ispettore si accorse di lui e gli fece cenno di avvicinarsi.
«Cosa è successo ieri sera?», gli chiese mentre l'ultimo agente usciva dalla stanza lasciandoli soli.
Logan tirò fuori il blocco notes e cominciò a leggere: «Il corpo del bambino è stato scoperto alle 22,15 da un certo Duncan Nicholson...».
«Non intendevo questo», lo interruppe Insch. Si appoggiò alla scrivania e incrociò le braccia. Con la sua corporatura, testa calva e vestito nuovo, sembrava un elegantissimo Buddha. Ma dall'aspetto cattivo. «L'agente Watson ti ha lasciato al pronto soccorso alle due di stamattina. Sei rientrato in servizio da meno di ventiquattr'ore e hai già passato una notte in ospedale; abbiamo il nonno di David Reid in cella in attesa di provvedimenti penali e per completare il tutto, ti presenti alla mia riunione in ritardo e zoppicante».
Logan si spostò leggermente, palesemente a disagio. «Vede, signore; Mr Reid era piuttosto scosso. E non posso veramente fargliene una colpa. Se i giornalisti non fossero andati a dargli le brutte notiz...».
L'ispettore Insch lo interruppe di nuovo. «Sergente, avresti dovuto lavorare per l'ispettore McPherson, vero?»
«Be'... sì, signore».
Insch annuì saggiamente, e tirò fuori un'altra caramellina morbida: se la mise in bocca senza ripulirla e cominciò a parlare masticandola. «E invece no. Fino a quando McPherson non si sarà completamente ricucito la testa, lavorerai per me».
Logan cercò di non rendere troppo palese la sua delusione: McPherson era stato il suo capo per due anni, prima che Angus Robertson decidesse di usare come puntaspilli le sue budella piantandovi un coltello da caccia dalla lama di quindici centimetri. McPherson gli piaceva. Tutte le sue vecchie conoscenze lavoravano per McPherson.
Dell'ispettore Insch sapeva solo che non sopportava gli idioti. E che per l'ispettore Insch tutti erano idioti.
L'ispettore riappoggiò il sedere sulla scrivania e scrutò Logan da capo a piedi. «McRae, non avrai mica intenzione di tirare le cuoia mentre lavori per me?»
«Spero proprio di no, signore».
Insch annuì, chiuso in se stesso e distante. Un silenzio pesante si creò tra i due. Era uno dei trucchi del mestiere dell'ispettore: se crei una pausa nel corso di un interrogatorio, prima o poi l'individuo che stai interrogando di-rà qualcosa, qualsiasi cosa, tanto per rompere il silenzio. Era incredibile quante cose gli interrogati si lasciavano sfuggire, cose che magari non avrebbero voluto dire. E soprattutto che non avrebbero voluto far sapere all'ispettore Insch.
Ma Logan rimaneva a bocca chiusa.
Dopo qualche istante l'ispettore annuì. «Ho letto la tua cartella personale. McPherson dice che non sei una schiappa, quindi ti concederò il benefi-cio del dubbio. Ma se mi vai a finire di nuovo al pronto soccorso come hai fatto stanotte, esci dalla mia squadra. Chiaro?»
«Sì, signore. Grazie».
«Bene. Il tuo previsto inserimento graduale è pertanto cancellato, con effetto immediato. Non ho nessuna intenzione di perder tempo con quelle coglionate. O sei all'altezza dei compiti che ti affiderò o non lo sei. Basta così. L'autopsia avrà luogo tra un quarto d'ora e voglio che tu sia presente».
Si spostò dalla scrivania e si frugò in tasca, cercando altre caramelline.
«Io sarò in riunione dalle 8,15 fino alle 11,30. Mi informerai sull'autopsia quando ci rivedremo».
Logan spostò lo sguardo verso la porta e di nuovo sull'ispettore.
«Qualche obiezione, sergente?».
Logan disse di no, mentendo.
«Bene. Vista la tua recente visita al pronto soccorso, ho destinato l'agente Watson a essere il tuo angelo custode. Sarà qui alle 10,00. Non farti sor-prendere da me senza di lei. Questa decisione non è discutibile. Chiaro?»
«Sì, signore». Pensa, adesso gli davano anche la baby-sitter.
«E adesso datti da fare».
Logan era quasi uscito quando Insch aggiunse: «E cerca sempre di prendere Watson per il verso giusto. È vero che è una donna, ma non la chiamano "Braccio di ferro" per niente».
La Centrale di Aberdeen della Grampian Police era grande abbastanza da avere il suo obitorio, che era situato un piano sottoterra, lontano dalla mensa del personale quel tanto che bastava a non far rivoltare lo stomaco ai commensali. Era una stanza spaziosa, bianca, pulitissima; lungo una parete c'erano i cassetti refrigerati per i cadaveri. Logan spinse le doppie porte ed entrò, con le scarpe bagnate che cigolavano sul pavimento. Un forte odore di antisettico permeava la stanza, quasi per coprire l'odore di morte.
Era uno strano miscuglio di odori. Una fragranza che Logan aveva finito con l'associare alla donna che ora si trovava, da sola, vicina a una tavola da dissezione.
La dottoressa Isobel MacAlister indossava la divisa da lavoro; camice verde pisello da chirurgo, con un grembiule rosso di gomma, capelli sotto una cuffia verde. Senza make-up, per evitare la contaminazione del cadavere che stava per esaminare. Sentendo il rumore delle scarpe di Logan al-zò gli occhi per vedere chi fosse.
Logan si fermò e abbozzò un sorriso. «Ciao».
Alzò una mano e quasi gli fece un cenno di saluto. «Ciao». Tornò a guardare il corpicino nudo steso sul tavolo. Il piccolo David Reid. «Non ho ancora cominciato. Sei qui in veste ufficiale?».
Logan annuì, si schiarì la voce. «Non ho avuto modo di chiedertelo ieri sera», disse. «Come stai?».
Non lo guardò, ma continuò ad allineare i brillanti strumenti chirurgici nel loro vassoio; l'acciaio inossidabile luccicava, sotto le potenti luci.
«Oh...», sospirò e strinse le spalle. «Così così». Mise a posto uno scalpello.
«E tu?».
Anche Logan strinse le spalle. «Anch'io, più o meno».
Il silenzio era palpabile.
«Isobel, io...».
In quel preciso istante le porte si spalancarono ed entrarono tre persone: Brian l'assistente di Isobel, un procuratore e un altro patologo, che era lì come osservatore. «Scusate il ritardo», esordì Brian, aggiustandosi i lunghi capelli. «Ma sapete come vanno per le lunghe le inchieste su incidenti mortali! Un'infinità di relazioni da preparare!». Fece un sorriso accattivante a Logan. «Salve sergente, che piacere rivederla!». Si fermò a stringergli la mano, prima di andarsi a mettere anche lui un grembiule di gomma rosso. Il patologo e il procuratore salutarono Logan con un cenno del capo, si scusarono con Isobel e si sistemarono per vederla lavorare. L'autopsia sarebbe stata effettuata da Isobel, da sola. L'altro patologo, un uomo grassoc-cio sulla cinquantina, calvo e con le orecchie piene di peli, era lì solo per confermare che le conclusioni di Isobel fossero corrette, come richiesto dalla legge scozzese. Non avrebbe osato contestarla; almeno non aperta-mente. Tanto lei aveva sempre ragione.
«Bene», disse Isobel. «Sarà bene cominciare». Si mise in testa la cuffia col microfonino, ne controllò il funzionamento e cominciò con i preliminari dell'operazione.
Con Logan che la guardava, cominciò a lavorare sul cadavere di David.
Tre mesi in un fossato, coperto da un vecchio pezzo di truciolato, ne avevano reso la pelle quasi nera. L'intero corpicino era gonfio come un pallone; la decomposizione aveva operato la sua robusta magia. Piccole chiazze bianche coprivano parti del corpo, là dove una muffa saprofita aveva attec-chito. L'odore era cattivo, ma Logan sapeva che sarebbe diventato ancora più insopportabile.
Vicino al corpo c'era un piccolo vassoio di acciaio inossidabile, nel quale Isobel depositava piccoli detriti e sostanze estranee man mano che le re-cuperava dal cadavere: erba, muschio, pezzettini di carta. Cose che erano rimaste attaccate al cadavere da quando era morto. Magari anche qualcosa che li avrebbe messi in grado di identificare l'assassino.
«Oh oh...», disse Isobel improvvisamente, guardando nella bocca del bambino, che era rimasta aperta nello spasimo dell'ultimo grido. «Sembra che qui ci sia un ospite. Un insetto». Gentilmente, rovistò nella bocca di David con una pinzetta e per un istante Logan pensò che stesse per tirar fuori una farfalla, magari una "sfinge testa di morto". Ma la pinzetta emer-se con un semplice onisco, ancora vivo e dimenantesi.
Isobel guardò controluce il grigio insetto che agitava le sue zampette nell'aria. «Probabilmente gli si è infilato in bocca cercando qualcosa da mangiare», disse. «Non credo che ci dirà niente di utile, ma non si sa mai».
Lo mise in un boccettino pieno di liquido preservante. Logan rabbrividì, osservando l'insetto che annegava lentamente.
Un'ora e mezzo dopo Logan e Isobel erano al distributore di bevande calde, mentre Brian ricuciva il corpicino.
Logan si sentiva decisamente male. Prima di oggi non era mai stato a guardare una sua ex che apriva con un bisturi il cadavere di un bambino su una tavola di dissezione. Pensava a quelle mani, efficienti e calme che tagliavano, estraevano, misuravano... passavano a Brian piccoli ritagli di organi interni che Brian poi metteva in fialette, etichettava e metteva via.
Rabbrividì e Isobel s'interruppe per chiedergli cosa avesse.
«Niente, solo un leggero raffreddore». Si sforzò di sorridere. «Dicevi?»
«La morte è stata causata da strangolamento, probabilmente con un legaccio. Qualcosa di liscio e non molto spesso, come potrebbe essere un cavetto elettrico. Ci sono delle ecchimosi sulla schiena, tra le scapole; e delle contusioni e lacerazioni sulla fronte, sul naso e sulle guance. Secondo me l'assassino ha spinto il bambino a terra, faccia in giù, e gli si è inginoc-chiato addosso mentre lo strangolava». Parlava freddamente, come se aprire cadaveri di bambini fosse qualcosa che faceva ogni giorno. Per la prima volta Logan si rese conto che probabilmente era proprio così. «Non ho ri-scontrato la presenza di fluido seminale, ma dopo tutto questo tempo...», strinse le spalle. «Comunque, le lacerazioni dell'ano indicano che c'è stata penetrazione».
Logan fece una smorfia di raccapriccio e vuotò nella pattumiera il contenuto del suo bicchiere di plastica.
Isobel si accorse del suo disagio. «Magra consolazione se vuoi, ma questo è accaduto "post mortem". All'atto della penetrazione il bambino era già morto».
«Possibilità di un controllo del DNA?»
«Improbabile. Le lacerazioni interne non sembrano causate da qualcosa di flessibile. Io mi azzarderei a dire che sono state causate da un corpo e-straneo, piuttosto che dal pene dell'assassino. Magari un manico di scopa?».
Logan chiuse gli occhi e bestemmiò sottovoce. Isobel si limitò a stringere le spalle.
«Mi dispiace», disse. «I genitali di David sono stati tagliati dopo la morte usando un paio di cesoie da giardino, a lama curva. Non so quanto tempo dopo, ma abbastanza per aver fatto raggrumare il sangue. Probabilmente dopo il subentro del rigor mortis».
Rimasero in silenzio per alcuni istanti, evitando di guardarsi.
Isobel giocherellò col suo bicchiere di plastica. «Mi... mi dispiace...».
Logan annuì. «Anche a me». E si allontanò.