CAPITOLO 23
Logan rimase alla fattoria quanto più a lungo poté, a dare una mano esaminando carcasse col resto della squadra. Nonostante la protezione della tuta, stivali, guantoni e quant'altro, si sentiva sporco. Non solo: dopo il morso del ratto tutti avevano paura, non volevano finire come Steve al pronto soccorso per punture antirabbia e antitetano.
A un certo punto dovette arrendersi e smettere. Aveva un sacco di lavoro che lo aspettava in Centrale. Lasciarono un cadaverico Colin Miller al cancello della fattoria. Era pallidissimo: dichiarò solennemente che sarebbe andato a casa e avrebbe scolato una bottiglia di vino. Dopodiché sarebbe andato sotto la doccia e armato di spazzola si sarebbe strigliato la pelle fi-no a farla sanguinare.
Il gruppo di reporter e telecronisti all'ingresso del sentiero si era assotti-gliato; erano rimasti in pochi, nelle loro auto, con i motori accesi, riscaldamento e ventole al massimo. Appena avvistarono Logan saltarono fuori dalle loro auto.
Un secco «no comment» fu l'unica risposta alle loro domande.
Quando arrivò al centro l'ispettore Insch non c'era. Farsi aggiornare sugli ultimi sviluppi delle indagini fu un'esperienza da dimenticare. Anche dopo il discorso liberatorio dell'ispettore una cosa era ben chiara: la truppa era convinta che Logan fosse merda in doppiopetto. Nessuno disse niente, ma le sue domande ricevettero risposte brevi e concise.
Prima squadra, indagini porta a porta. Il loro «Avete visto quest'uomo?», aveva generato il solito minestrone di risposte. Sì, Roadkill era stato visto parlare ai ragazzi; no, non lo avevano visto; sì, lo avevano visto. La stazione di polizia di Hazlehead aveva persino montato un posto di blocco, per chiedere ai guidatori se avessero notato qualcosa uscendo ed entrando in città. Forse non avrebbe dato nessun'esito, ma valeva la pena di tentare.
Seconda squadra, la vita presente e passata di Bernard Duncan Philips.
Qui la sorte era stata un po' più magnanima. Sulla scrivania dell'ispettore Insch c'era una gran busta contenente tutto ciò che si sapeva su Roadkill.
Logan si appoggiò all'orlo della scrivania e diede un'occhiata a fotocopie, fax e stampati contenuti nella busta. Si fermò quando arrivò al referto sulla morte della madre di Roadkill.
Cinque anni fa le era stato diagnosticato un tumore all'intestino. Stava male da molto tempo e non era autosufficiente. Bernard era tornato dall'università di Saint Andrews, dove stava completando gli studi per il suo dottorato, per curare la madre malata. Il loro medico curante aveva consigliato il ricovero in ospedale per accertamenti, ma lei aveva rifiutato. Bernard aveva preso le difese della madre e lo aveva cacciato via dalla fattoria minacciandolo con una scure. Quella era stata la prima manifestazione di instabilità mentale.
Qualche tempo dopo la donna fu trovata da suo fratello in cucina, svenu-ta. Lui la convinse ad andare in ospedale. Accertamenti, analisi, radiografie e bingo: tumore intestinale. Provarono a curarla, ma era ormai troppo tardi. A febbraio il tumore era arrivato alle ossa. E a maggio era morta.
Non in ospedale, ma nel suo letto.
Bernard se la tenne in casa, morta, per due mesi. Un'assistente sociale era andata alla fattoria per vedere come stava Bernard, ormai schedato co-me mentalmente instabile. L'odore l'aveva fermata alla porta del cottage.
Quindi Bernard si fece due anni nell'ospedale di Cornhill, l'unico ospedale ad Aberdeen per i malati mentali. Reagì bene al trattamento medico e alle medicine che prendeva, per cui fu rimesso nella comunità. Che tradot-to in parole laiche significava che l'ospedale aveva bisogno del letto occupato da Bernard per darlo a qualche altro povero diavolo. E Bernard si buttò a capofitto nel lavoro: raschiare carcasse di animali morti dalle strade, per la Municipalità di Aberdeen.
Il che spiegava molte cose.
Logan non aveva bisogno di un aggiornamento sul lavoro della terza squadra: si era aggiornato in prima persona. Aveva visto che il loro ingrato lavoro procedeva lentamente e fargliene rifare una parte non era stato piacevole. Ma almeno adesso sapevano che avevano esaminato tutto minuziosamente. Di questo passo sarebbero riusciti a setacciare e spalare i tre capannoni non prima di lunedì. Ma solo se il commissario capo avesse autorizzato lo straordinario.
Il mini centro investigazioni di Logan era vuoto. Il risultato delle analisi di laboratorio sui resti di cibo trovati nel taglio sul corpo dalla bambina era arrivato. Il DNA era diverso da quello di Norman Chalmers. E la scientifica non aveva trovato niente. L'unico nesso tra lui e la bambina era la ricevuta del supermercato. Prova poco solida. E quindi avevano dovuto lasciarlo andare. Fortunatamente aveva avuto il buon senso di andarsene alla chetichella, senza attirare l'attenzione dei mass media. Ma certamente con gran dispiacere del suo avvocato.
Sulla scrivania di Logan c'era un elenco degli avvistamenti del giorno.
Diede un'occhiata, ma con molto scetticismo. La maggior parte erano frutto di fantasia.
C'era anche una lista di tutte le bambine sotto i quattro anni malate di TBC nel Regno Unito. Non era una lista molto lunga: appena cinque nomi, con relativi indirizzi.
Logan prese la cornetta e cominciò a telefonare.
Poco dopo le sei l'ispettore Insch si affacciò sulla soglia e gli chiese se aveva un minuto. Aveva un'espressione strana sul viso e Logan pensò subito a cattive notizie; mise una mano sulla cornetta e gli bisbigliò che avrebbe finito tra un minuto.
Dall'altra parte del filo c'era un agente della polizia di Birmingham che si trovava in casa dell'ultima bambina sulla lista di Logan. Sì, era ancora viva... ma lo sapeva il sergente che la bambina era di origine africana? No, Logan non lo sapeva. Quindi non la bambina bianca che giaceva in un cassetto dell'obitorio.
«Grazie per l'assistenza, agente». Logan mise giù la cornetta e tracciò una riga sull'ultimo nome. «Sfortunati», disse all'ispettore che cominciò a spulciare tra le carte sulla scrivania di Logan. «Tutte le bambine nel gruppo di età che ci riguarda sono vive e vegete».
«Sa cosa vuol dire, no?», disse Insch. Stava sfogliando le dichiarazioni selezionate da Logan in quanto raccolte più vicino alla pattumiera comunale situata davanti all'indirizzo di Norman Chalmers. «Se la nostra bambina ha avuto la TBC ed è stata curata, non era nel Regno Unito. È una...».
«...straniera!», finì Logan per lui e prendendosi la testa tra le mani. C'erano centinaia di posti al mondo dove la TBC era ancora endemica: gran parte dell'ex Unione Sovietica, la Lituania, tutte le nazioni africane, l'O-riente, l'America... e tanti posti non avevano neanche schedari medici nazionali. Improvvisamente il pagliaio era diventato molto più grande.
«Vuoi una buona notizia?», chiese Insch. Dalla voce non sembrava per niente contento.
«Dica pure».
«Abbiamo identificato il cadavere trovato nel capannone di Roadkill».
«Di già?».
Insch annuì e rimise sul tavolo le dichiarazioni, non nell'ordine in cui le aveva prese. «Abbiamo fatto una ricerca su tutte le persone scomparse negli ultimi due anni e abbiamo controllato le loro schede dentistiche. Si chiama Lorna Henderson e ha quattro anni e mezzo. La madre ne aveva denunciato la scomparsa. Tornavano a casa in auto da Banchory. Avevano bisticciato. La bambina continuava a frignare per il pony. Voleva che i genitori le comprassero un pony. Esasperata la madre le disse: "Se non la smetti con questa storia del pony ti faccio tornare a casa a piedi"».
Logan annuì. Una forma di ricatto che qualche volta tutte le mamme avevano messo in atto. Sua madre l'aveva addirittura fatto a suo padre.
«Solo che Lorna vuole il pony, ma lo vuole di brutto». Insch tirò fuori una bustina di caramelline effervescenti; ma invece di aprirla restò lì con la bustina in mano, guardandola pensoso. «E non smette di frignare. Allora sua madre mette in atto la sua minaccia. Ferma la macchina, fa scendere Lorna e se ne va. Non molto lontano, solo dietro la curva. Sei o settecento metri. Si ferma e aspetta Lorna: ma la bambina non arriva».
«Come diavolo ha potuto lasciare per strada una bambina di quattro an-ni?».
Questa considerazione di Logan strappò una risatina all'ispettore; ma senza allegria. «Sergente, parli come uno che non ha bambini e ti capisco.
Ti dico una cosa: appena i piccoli mostri imparano a parlare, parlano non stop fino a quando entrano in funzione gli ormoni e diventano teenagers.
Da quel momento non riuscirai a cavarne fuori una parola. Ma quando un mostriciattolo di quattro anni, maschio o femmina che sia, vuole qualcosa, è capace di piangere, frignare, urlare e pestare i piedi ad infinitum. Quel giorno i nervi della madre hanno ceduto e ha messo in atto la sua minaccia; e non ha più visto sua figlia».
E non l'avrebbe rivista neanche adesso che l'avevano ritrovata. Le avrebbero ridato il corpo per la sepoltura in una bara chiusa. Non avrebbero permesso a nessuno di vederne il contenuto.
«È stata informata? Che abbiamo trovato la figlia?».
Insch grugnì e si rimise il pacchetto di caramelle in tasca. «Non ancora.
Ci sto andando adesso. Per dirle che ha permesso a quel bastardo sballato mentale di mettere la mani su sua figlia, picchiarla a morte e nasconderne il cadavere in una catasta di carcasse di animali».
Benvenuto all'inferno.
«Mi porto dietro l'agente Watson», disse Insch. «Vuoi venire?». La voce cercava di essere frivola, senza riuscirvi. L'ispettore era giù di giri. Cosa poco sorprendente, vista la settimana che avevano avuto. Aveva pensato di usare l'agente Watson come uno specchietto per le allodole con Logan; come una carota in divisa. Non sapeva che Logan non vedeva l'ora di ri-trovarsi insieme all'agente Watson. Anche se andare a dire a una madre che la figlia scomparsa era morta non era un compito al quale aspirasse; ma l'ispettore sembrava bisognoso di supporto morale. «Vengo, ma solo se dopo andiamo a bere qualcosa».
Parcheggiarono la Range Rover dell'ispettore Insch al marciapiede di una stradina piena di piccole utilitarie Fiat e Renault, tutte con i tettucci ricoperti di neve, sulle quali il fuoristrada torreggiava. Il viaggio si era svolto in silenzio, a parte le coccole che l'agente del servizio assistenza famiglie aveva rivolto al puzzolente spaniel bianco e nero nel vano bagagli del fuoristrada.
La zona era alquanto ben messa; qualche albero, qua e là un po' di prato.
Arrampicandosi sul tetto si sarebbero potuti vedere i campi circostanti. La casa era l'ultima di una schiera di villette unifamiliari, ben tenute, tutte ri-finite in harling bianco, la tipica rifinitura muraria scozzese, che sotto l'illuminazione stradale le faceva brillare più della neve.
La bufera si era calmata e ora solo qualche fiocco cadeva lentamente.
Con l'ispettore Insch in testa si recarono alla porta d'ingresso, con la neve che arrivava alle caviglie. Insch suonò il campanello e le note di un carillon echeggiarono in casa. Due minuti dopo la porta fu aperta da una donna dall'aspetto infastidito e inumidito. Avrà avuto tra i quaranta e i cinquant'anni e indossava un accappatoio rosa. Non aveva trucco e i capelli bagnati le incorniciavano il viso. L'irritazione sul suo volto svanì quando notò l'uniforme dell'agente Watson.
«Mrs Henderson?»
«Oh mio Dio...». Afferrò i bordi dell'accappatoio stringendolo alla gola.
Impallidì. «Si tratta di Kevin, vero? È morto? Oh mio Dio...».
«Kevin?», chiese Insch sorpreso.
«Kevin, mio marito». Fece un passo indietro nel piccolo ingresso, tutta agitata. «Oh Dio...».
«Mrs Henderson, suo marito non è morto. Siamo...».
«Oh, Dio sia lodato!». Con un sospiro di sollievo li fece entrare in un soggiorno con carta da parati a strisce rosa e rosa intenso alle pareti. «Scusate il disordine... di solito faccio i lavori di casa la domenica, ma ho fatto un doppio turno all'ospedale». S'interruppe e diede un'occhiata in giro nel soggiorno; spostò una divisa da infermiera dal divano all'asse da stiro. La mezza bottiglia di gin fu rapidamente riposta nella credenza. Sul caminetto c'era un finto quadro in olio, di quelli fatti dai fotografi: un uomo, una donna e una bambina bionda. Un marito, una moglie e una bambina assas-sinata.
«Veramente Kevin non abita qui adesso... si è preso una pausa»; s'interruppe, «da quando è scomparsa nostra figlia».
«Ah. E siamo qui appunto per questo, Mrs Henderson».
A gesti li invitò ad accomodarsi su un divano color cioccolata, piuttosto bitorzoluto. «Siete qui perché Kevin non abita con me? Ma è solo una cosa temporanea!».
Insch tirò fuori una busta di plastica trasparente dalla tasca. Dentro c'erano due fermaglietti rosa per capelli. «Mrs Henderson, riconosce questi oggetti?».
Prese la bustina, guardò i fermaglietti, riguardò l'ispettore e impallidì di nuovo. «Oddio, questi erano di Lorna! I suoi fermaglietti favoriti, di Barbie! Li metteva sempre, non sarebbe uscita di casa senza averli in testa.
Dove li avete trovati?»
«Mrs Henderson, abbiamo trovato Lorna».
«L'avete trovata? Oh Dio...».
«Mrs Henderson, mi dispiace. È morta».
Sembrò che qualcosa le fosse scattato dentro. Si alzò d'improvviso dicendo: «Tè. Ci vuole del tè. Tè, caldo e dolce». Corse in cucina, con l'accappatoio che le svolazzava alle ginocchia.
La trovarono che singhiozzava, appoggiata al lavandino.
Dieci minuti dopo erano di nuovo nel soggiorno; Insch e Logan sul divano, Watson in una delle poltrone e Mrs Henderson nell'altra, con l'agente del servizio assistenza famiglie seduta sul bracciolo, mano sulla spalla, a mormorarle parole di conforto. Logan aveva fatto il tè; la teiera troneggia-va sul tavolino, adorno di copie della rivista «Cosmopolitan». Tutti avevano una tazza, ma nessuno stava bevendo.
«È tutta colpa mia», disse Mrs Henderson, che sembrava essersi rimpic-ciolita di due taglie. L'accappatoio rosa l'avvolgeva come una toga. «Se so-lo le avessimo comprato quel maledetto pony...».
L'ispettore Insch si mosse sul divano, leggermente a disagio. «Mrs Henderson, mi dispiace doverle chiedere questo, ma devo farle delle domande su quando Lorna è scomparsa».
«Non ho mai smesso di crederci, sapete? Che sarebbe tornata. Era solo scappata di casa. Un giorno sarebbe entrata da quella porta e tutto sarebbe tornato normale». Guardò nella sua tazza di tè. «Kevin invece non ce l'ha fatta. Continuava ad accusarmi. Ogni giorno. "È tutta maledettissima colpa tua!", mi diceva. Aveva ragione. Era colpa mia. Poi ha... ha conosciuto questa donna, al supermercato dove lavora». Sospirò. «Ma non l'ama! Lo fa solo per punire me... lei non ha tette. Come può un uomo amare una donna senza tette? Lo sta facendo solo per punire me. Tornerà. Tornerà, vedrete. Uno di questi giorni entrerà da quella porta e tutto sarà come prima». Sprofondò di nuovo nel suo silenzio, masticandosi l'interno di una guancia.
«Mrs Henderson, la sera che Lorna scomparve... ha notato qualcosa in strada? Altre vetture?».
Alzò gli occhi. «Cosa? Non ricordo... era tanto tempo fa ed ero così arrabbiata con lei! Perché non le abbiamo comprato quel maledetto pony?»
«Ricorda se ha visto qualche furgone, qualche camion?»
«No, non ricordo. Ne discutemmo già all'epoca!».
«Ha visto per caso un netturbino col carrettino?».
Rimase immobile per un secondo. «Cosa sta cercando di dire?».
L'ispettore non aprì bocca. Mrs Henderson lo guardò fisso per alcuni attimi e balzò in piedi. «Voglio vederla!», gridò.
Molto lentamente Insch posò la sua tazza e piattino sul tappeto. «Mrs Henderson, mi dispiace, ma non sarà possibile», rispose.
«È mia figlia! Voglio vederla!».
«Lorna è morta molto tempo fa, Mrs Henderson. È meglio che lei non la veda. La prego, mi creda. È meglio che lei la ricordi com'era».
In piedi davanti a lui seduto, Mrs Henderson lo guardò dall'alto in basso.
«Quando l'avete trovata? Quando avete trovato Lorna?»
«Ieri».
«Mio Dio!», si tappò la bocca con una mano. «È stato lui, vero? L'uomo sui giornali! L'ha uccisa e l'ha sepolta sotto tutte quelle carcasse!».
«Si calmi, Mrs Henderson. Lo abbiamo in custodia. Non scapperà, glielo assicuro».
«Quello sporco bastardo!». Lanciò la sua tazza contro la parete: si frantumò, lasciando una macchia di tè sulla carta da parati. «Ha preso la mia bambina!».
Il viaggio di ritorno fu silenzioso quanto lo era stato quello d'andata.
L'agente del servizio assistenza famiglie aveva chiamato una vicina per fa-re compagnia a Mrs Henderson, che scoppiò in lacrime quando vide la vicina, grossa e dall'aspetto preoccupato. Le avevano lasciate entrambe sin-ghiozzanti sul sofà ed erano usciti alla chetichella.
Le strade erano quasi vuote: la neve teneva tutti in casa, eccetto gli addetti allo spargimento di sale e sabbia.
Erano le otto. Nel passare la rotonda di Hazlehead intravidero una persona dall'aspetto familiare. Era il patrigno di Peter Lumley che girovagava per le strade, bagnato fradicio, chiamando il figlio. Logan lo guardò fino a che non rimase ben indietro. E aveva ancora da ricevere la triste visita della polizia. Quando sarebbero andati a dirgli che avevano trovato il cadavere di suo figlio.
Insch chiamò la Centrale e ottenne l'indirizzo di Mr Henderson. Abitava in un appartamento nella parte meno salubre di Rosemount, con la sua compagna dal seno piatto.
La dolorosa scena di poco prima si ripeté. Solo che questa volta non ci furono dichiarazioni di auto colpevolezza. Questa volta tutta la colpa era diretta a quella stupida vacca di sua moglie. La sua amica piangeva sul divano, mentre lui inveiva, farneticava e bestemmiava. Questo comportamento non era da lui, diceva la donna. Di solito era un uomo gentile e pa-cato.
E poi di nuovo alla Centrale.
«Diavolo, che giornata divertente!», esclamò Insch. Sembrava esausto, mentre andava verso l'ascensore. Schiacciò il pulsante di chiamata; la porta si aprì subito e l'ispettore entrò nell'ascensore. «Voi due», disse a Logan e Watson, «andate a cambiarvi e ci rivediamo qui tra cinque minuti. Ho un paio di moduli da compilare e poi vi porto al pub. Offro io».
L'agente Watson guardò prima Logan poi l'ispettore. Sembrava stesse cercando una scusa per trovarsi altrove. Ma prima che potesse dire qualcosa le porte scorrevoli dell'ascensore si richiusero portando via l'ispettore.
Logan respirò profondamente.
«Guarda», disse all'agente Watson, «se preferisci non venire, capisco.
Dirò all'ispettore che avevi già un impegno».
«Allora vuole proprio liberarsi di me?».
Sorpreso, Logan alzò un sopracciglio. «No... no, anzi. Io pensavo... cioè, dopo tutta quella roba nel giornale... voglio dire». Puntò un dito verso se stesso: «Mr pezzo di merda?».
Watson sorrise. «Col dovuto rispetto, signore, ma lei a volte può essere un vero e proprio idiota, sa? Guardi che io ho conosciuto Miller, e so che è una mezza sega». Il sorriso svanì, rimpiazzato da un'espressione di cruc-cio. «Io pensavo che lei non mi volesse più tra i piedi, dopo che avevo detto tutte quelle parolacce a quel tipo...».
Logan sorrise da un orecchio all'altro. «Tutt'altro! No, va tutto bene!
Cioè, le parolacce non andavano bene»; il sorriso di Watson svanì e Logan ebbe paura di aver sbagliato di nuovo. «Ma questo non c'entra. Io ho piacere di averti tra i piedi e voglio che tu venga con noi stasera. Specialmente visto che paga l'ispettore». Si fermò per un attimo. «Cioè, non che io non vorrei che tu venissi se fossi io a pagare, ma... voglio dire...». Chiuse la bocca, per impedire che ne venissero fuori altre stupidaggini.
Lo guardò per un attimo. «Bene», disse. «Vado a cambiarmi e ci vediamo in reception».
Vedendola allontanarsi Logan era convinto che stesse ridendo e ridendo di lui. Restò fermo nel corridoio, arrossendo vivamente.
Alla reception Big Gary si stava preparando a un altro turno di notte. Salutò Logan con un sorriso e gli fece cenno di avvicinarsi.
«Lazzaro, ho piacere di vedere che ti vien dato il credito che meriti!».
Logan aggrottò la fronte: Big Gary tirò fuori una copia dell'«Evening Express», il quotidiano della sera dello stesso gruppo del «Press and Journal». In prima pagina c'era una fotografia di persone in tute blu di gomma che rimuovevano a mano carcasse di animali.
La fattoria degli orrori: i nostri gagliardi poliziotti cercano prove.
«Lascia che indovini», Logan sospirò. «Colin Miller?». Era stato veloce.
Gary si toccò un lato del naso con un indice. «Esatto, Mr Eroico Poliziotto».
«Gary, appena avrò un grado superiore al tuo, ti rimando là fuori...»; fe-ce un cenno con la testa verso la porta, «a fare il poliziotto di quartiere».
Gary gli strizzò l'occhio. «Ma nel frattempo dovrai sopportarmi. Lo vuoi un biscotto?». Gli porse un pacchetto di McVitie's Digestive Biscuits e sorridendo Logan ne prese uno.
«Cos'altro dice Mr Miller?».
Gary gonfiò il petto e si atteggiò a pubblico declamatore. «Bla bla bla, neve e ghiaccio e maltempo bla bla bla», con voce Shakesperiana, «cazzate infiorate su come sono coraggiosi i nostri poliziotti, a scavare "in una orrenda e agghiacciante miniera di morte". Bla bla bla in cerca delle prove che metteranno sotto chiave questo mostro che insidia i nostri bambini.
Qui c'è un pezzo che ti piacerà. "Il nostro eroico poliziotto sergente Logan
'Lazzaro' McRae non si è sdegnato di aiutare la sua squadra a esaminare le carcasse una per una". Sembra che tu abbia anche salvato la vita dell'agente Steve Jacobs quando un enorme ratto lo ha assalito. Dio la benedica, signore!». Gary abbozzò un saluto.
«Ma se ha fatto tutto l'agente Rennie! Io ho solo dato disposizioni per farlo portare in ospedale».
«Ah, ma se non ci fosse stato lei signore, con la sua guida risoluta e le sue decisioni di comando, non ci avrebbe pensato nessuno, signore!». Si asciugò un'immaginaria lacrima da un occhio. «Lei è una continua ispirazione per tutti noi, lo è davvero, signore».
«Quanto sei odioso!», gli disse Logan, sorridendo.
A vederla in borghese era più facile pensare all'agente Watson come
"Jackie". L'austero nero della divisa era stato sostituito da un paio di jeans e da una felpa rossa, con i riccioli bruni che le cadevano sulle spalle. Arrivò in reception infilandosi un giaccone imbottito.
Uno di loro sarebbe stato vestito per neve, pensò Logan, che indossava ancora il suo vestito da lavoro. Non si cambiava alla Centrale. Abitando dietro l'angolo non ne vedeva la necessità.
Arrivata al banco fece un sorriso a Gary e gli scroccò un biscotto, adden-tandolo con gusto.
Logan attese che avesse la bocca piena e le chiese: «Come se l'è cavata il tuo prigioniero stamattina?».
Sgranocchiando e masticando borbottò che era stato condannato a quarantadue ore di servizio comunitario, da scontare come al solito col reparto
"Parchi e giardini" del comune. Oltre all'essere schedato per reati sessuali.
«Come sarebbe a dire "come al solito"?».
Watson fece spallucce. «Sembra che ogni volta che viene condannato a un numero di ore di servizio comunitario, gli fanno sempre scontare la pe-na al "Parchi e giardini". Piantare fiori, estirpare gramigna, riparare siepi e robe del genere». Mandò giù il boccone. «Ha fatto pena al giudice, specialmente dopo che aveva testimoniato nel caso di Gerald Cleaver. Ha raccontato la storia della sua vita, ma questa volta senza Sandy Serpente che cercava di sminuirla a una fantasia della sua immaginazione bacata. Devo ammettere che ha fatto pena anche a me. Ci pensate? Padre violento, madre sempre ubriaca: e quando vai in ospedale per le sberle che hai preso da tuo padre, ti ritrovi Gerald stronzo Cleaver che ti mette le mani addosso sotto le lenzuola e ti fa fare cose».
Tacquero tutti, pensando al flaccido infermiere con un debole per i ragazzini.
«Sapete una cosa?», disse Big Gary. «Se non fosse stato per Roadkill io sarei stato pronto a scommettere su Cleaver per i bambini morti».
«Impossibile! Quando è sparito Peter Lumley, Cleaver era sotto chiave!».
Gary rimase scosso per un attimo. «Avrebbe... avrebbe potuto avere un complice!».
«E poi era uno sporcaccione, non un assassino», continuò Jackie, pulendosi briciole di biscotto dalla felpa rossa. «A Cleaver piacevano vivi».
Logan fece una smorfia di disgusto. Non era un bel quadro da immaginare, ma l'agente Watson aveva ragione.
Ma Big Gary non era disposto ad arrendersi facilmente. «Forse non gli si rizza più? E li uccide per questo!».
«Rimane sempre il fatto che per gli ultimi mesi è stato in mani nostre.
No, non è lui».
«Non sto dicendo che è stato lui. Sto dicendo che avrebbe potuto essere lui!». Fece una smorfia. «E pensare che vi ho fatto mangiare i miei biscotti! Ingrati stronzi che non siete altro!».