CAPITOLO 7

Il cadavere fu trovato nella discarica di Nigg, a sud della città. A due minuti d'auto dalla casa di Richard Erskine.

A trovarlo furono i ragazzi di una gita scolastica che aveva per tema L'ambiente e il riciclaggio. Erano arrivati alle 15,26 con un minibus, indossando giacconi impermeabili e stivaloni di gomma: avevano messo su le mascherine con l'elastico e dei guantoni da lavoro. Alle 15,37 avevano firmato il registro visitatori nel portacabin che fungeva da ufficio e si erano avventurati nella discarica. Facendosi strada tra un paesaggio di pannolini usati, bottiglie rotte, rifiuti di cucina e tutto quello che centinaia di migliaia di Aberdoniani buttavano via quotidianamente.

Rebecca Johnston, otto anni, fu la prima ad accorgersene. Un piede sinistro che spuntava da una montagna di sacchi di plastica neri. Il cielo era pieno di gabbiani, enormi uccellacci che riempivano l'etere con le loro strida e si lanciavano in picchiata sui sacchi che avevano lacerato a becca-te. Uno di loro beccava all'alluce del piede, facendolo sanguinare; era la prima cosa che Rebecca aveva notato.

Alle 16,00 in punto chiamarono la polizia.

Il fetore era insopportabile, anche in una giornata di pioggia e vento com'era oggi. Qui, su Doonies Hill, la pioggia era fredda e pungente. Tamburellava sul tettuccio della Vauxall che il forte vento scuoteva da parte a parte. Logan rabbrividiva, nonostante il riscaldamento fosse al massimo.

Sia lui che Watson era bagnati fradici. I loro impermeabili, dotazione delle forze di polizia, servivano a ben poco in quel maltempo. Avevano i pantaloni bagnati e le scarpe piene d'acqua e Dio solo sapeva cos'altro. I finestrini della Vauxall erano appannati, e la ventola non aveva alcun effetto.

Quelli dell'Aberdeen Identification Bureau non erano ancora arrivati.

Logan e Watson avevano steso sul cadavere una tenda provvisoria messa insieme con delle pattumiere e dei sacchi neri che si erano fatti dare da quelli della discarica. Sembrava che il vento se la volesse portare via da un momento all'altro, ma almeno offriva un lieve riparo dalla pioggia.

«Ma dove diavolo sono?», chiese Logan pulendo una piccola area del parabrezza con un fazzolettino di carta. Mentre montavano la tenda il suo umore si era rapidamente deteriorato; l'effetto della pillola che aveva preso prima di interrogare Duncan Nicholson stava svanendo, facendogli sentire acute fitte dolorose a ogni movimento. Borbottando, ne prese una dalla bottiglietta e la inghiottì a secco.

Poco dopo videro un furgone quasi bianco che a fari accesi si faceva strada tra le montagne di rifiuti. L'Identification Bureau era arrivato.

«Era ora!», borbottò Watson.

Uscirono dalla Vauxall e attesero nella pioggia pungente.

Il furgone si avvicinava; alle sue spalle il Mare del Nord infuriava, grigio e spettrale; il gelido vento ululava, come aveva fatto da quando era partito dai freddi fiordi della Norvegia, senza aver toccato altre terre nel suo viaggio.

Il furgone si fermò e un uomo diede un'occhiata nervosa al terreno putri-do e fangoso, inondato dalla pioggia.

«Esci pure, che non ti squaglierai!», gli gridò Logan. Era stanco, aveva freddo, non stava bene e non aveva voglia di prenderla alla lunga.

Quattro persone, uomini e donne, uscirono di malavoglia dal furgone e si prepararono al loro lavoro. Cominciarono col montare i riflettori: avviarono i generatori e la zona fu inondata di luce. Tirarono giù la protezione provvisoria che Logan e Watson avevano montato sul cadavere, sostituen-dola con la loro tenda.

Avevano appena finito di montarla, dandosi così un po' di protezione dalle intemperie, quando il dottor Wilson, il dottore della polizia, arrivò sulla scena.

«Buonasera a tutti», mormorò, alzandosi il bavero del giaccone. Diede un'occhiata al pattume che avrebbe dovuto attraversare per arrivare alla tenda e sospirò. «Ho appena comprato queste scarpe! Pazienza...».

Si avviò verso la tenda, con Logan e Watson al seguito.

Uno della squadra dell'Identification Bureau, con una tabella fermabloc in mano, li fermò sulla soglia della tenda; li fece entrare solo dopo che ognuno di loro aveva firmato la lista dei presenti e continuò a guardarli sospettoso mentre i tre indossavano bianche tute cartacee.

Nella tenda una gamba umana, dal ginocchio in giù, sporgeva dalla montagna di sacchi di pattume, come il braccio della Signora del Lago.

Mancava solo l'Excalibur. Un altro della squadra stava filmando con una videocamera, registrando tutti i particolari della scena, mentre i suoi colleghi raccoglievano pattume dai sacchi vicini a quello della gamba e lo ripo-nevano nei loro sacchetti di plastica.

«Per favore?», disse il dottor Wilson porgendo la sua borsa all'agente Watson.

Lei la prese e gliela resse in silenzio, mentre lui ne estraeva un paio di guanti di latex e li metteva su, come se fosse stato un chirurgo.

«Allora, fatemi un po' di posto», chiese a quelli dell'IB, che si tirarono indietro e lo fecero avvicinare al mucchio dal quale sporgeva la gamba.

Il dottore prese la caviglia con due dita, appena sotto il malleolo. «Niente battito. Delle due l'una. O questa è una gamba che è stata amputata dal resto del corpo, oppure la vittima è morta». Diede alla caviglia un leggero strattone, che spostò il pattume nel sacco e sollevò un mormorio di proteste da quelli dell'IB. Era la loro investigazione, santo cielo! «No. Questa gamba non è un arto amputato, bensì parte di un corpo. Pertanto dichiaro ufficialmente "morto" il corpo al quale essa appartiene».

«Grazie, dottore», disse Logan, mentre il vecchio si raddrizzava e si pu-liva i guanti sui pantaloni.

«Non c'è di che. Volete che resti qui fino all'arrivo del patologo e del Procuratore?».

Logan scosse la testa. «Non vedo perché dobbiamo starcene tutti qui a gelarci le chiappe. Ma grazie comunque».

Dieci minuti dopo un fotografo dell'IB entrò nella tenda. «Scusate il ritardo, ma hanno ripescato nella baia il cadavere di uno che ha deciso di fa-re il bagno e ha dimenticato di portarsi dietro le patelle delle ginocchia.

Cristo, se fa freddo!».

Dentro la tenda non era molto più caldo, ma almeno avevano un po' di riparo dalla pioggia.

«Salve, Billy», disse Logan mentre il barbuto fotografo si preparava a indossare la tuta. Infilò in tasca una lunga sciarpa a strisce bianche e rosse, alla quale fece seguito un pompom di lana rosso con su scritto in bianco a uncinetto "Forza Dons". Un tifoso dell'Aberdeen Football Club. Toltosi il berretto si rivelò completamente calvo.

Sorpreso Logan gli chiese: «Che fine hanno fatto i tuoi capelli?».

Billy fece una smorfia, indossando la tuta. «Non cominciare anche tu. E

pensare che credevo che fossi morto!».

Logan sorrise. «Sì, ma sono guarito».

Il fotografo si pulì gli occhiali col fazzoletto e poi fece lo stesso con le lenti della macchina fotografica. «È stato spostato qualcosa?», chiese inserendo un rullino fresco nella macchina.

«Il dottore ha dato un leggero strattone alla gamba; a parte quello, tutto è rimasto come è stato trovato».

Billy inserì un enorme flash sulla sua macchina fotografica e gli diede un paio di colpetti fino a quando lo sentì emettere un sibilo. «Bene, allora.

Fatemi posto...».

La luce blu-bianca cominciò a lampeggiare nella tenda, seguita dal ronzio del riavvolgimento del film e dal sibilo del flash che si ricaricava. E

ancora e ancora e ancora...

Improvvisamente il cellulare di Logan squillò. Era Insch, che voleva essere aggiornato.

«Mi dispiace, signore». Logan fu costretto ad alzare la voce per farsi sentire al disopra del rumore della pioggia. «Il patologo non è ancora arrivato, per cui non possiamo spostare il cadavere. E senza spostarlo non possiamo identificarlo».

«Abbiamo ricevuto una telefonata anonima. Qualcuno ha visto un bambino dai connotati simili a quelli di Richard Erskine che saliva su un'auto familiare rossa».

Logan guardò la gamba che spuntava dalla montagna di pattume.

Quell'informazione era arrivata troppo tardi per salvare la vita del bambino.

«Appena arriva il patologo fammi sapere qualcosa».

«Sì, signore».

Isobel MacAlister arrivò poco dopo. Sembrava che avesse appena preso parte a una sfilata di moda: impermeabile Burberry, giacca e pantaloni verde scuro, camicetta color crema a collo alto, delicati orecchini di perle, acconciatura artisticamente spettinata. Il solito paio di stivaloni di gomma, almeno tre numeri di troppo per lei... era così bella che ti sentivi male solo a guardarla.

Appena entrò nella tenda e vide Logan in un angolo Isobel s'irrigidì. Fe-ce quasi un sorriso. Sistemò la sua borsa su un bidone e si diede subito da fare. «È stata dichiarata la morte?».

Logan annuì, cercando di non farle capire quanto fosse sconvolto dalla sua presenza. «Mezz'ora fa, dal dottor Wilson».

«Sono venuta appena mi è stato possibile», rispose lei risentita. «Ho tante altre cose da fare, sai?».

Logan incassò il colpo, ma reagì. «Non volevo fare nessuna insinuazio-ne», disse alzando le mani in un gesto riconciliante. «L'ho detto solo per farti sapere quando è stata dichiarata la morte. Solo per questo». Il cuore gli batteva nelle orecchie, al punto da coprire anche il fragore della pioggia.

Lei lo guardò, con un'espressione fredda e indecifrabile. «Va bene...», disse dopo una pausa.

Gli girò le spalle, coprì il suo elegantissimo vestito con la tuta cartacea; si mise in testa il microfonino, recitò il consueto chi, quando e dove e cominciò a esaminare il cadavere.

«Abbiamo una gamba umana: sinistra, sporgente da un sacco di rifiuti dal ginocchio in giù. L'alluce mostra segni di lacerazione, probabilmente avvenuta dopo la morte...».

«Un gabbiano glielo stava beccando», disse l'agente Watson, ricevendo un gelido sorriso per la sua assistenza.

«Grazie, agente». Isobel continuò. «L'alluce mostra segni di un attacco predatorio da parte di un uccello marino di grandi dimensioni». Si chinò sulla gamba e a labbra strette cominciò a premere col pollice nella pianta del piede, toccando le dita con l'altra mano. «Per poter calcolare l'ora della morte dovrò estrarre il resto del corpo dal sacco». Fece un cenno a uno dell'IB e gli fece stendere un telo di plastica per terra. Dopodiché presero il sacco col corpo e lo stesero sul telo, mentre Billy continuava a fotografare.

Isobel si chinò sul sacco dei rifiuti e con un coltello lo tagliò per lungo. I contenuti del sacco si sparsero sul telo, rivelando un corpo rannicchiato nella posizione fetale, tenuto così da nastro adesivo da imballaggio. Logan vide dei capelli biondi e rabbrividì. Da quel che ricordava i bambini morti sembravano più piccoli.

Tra le strisce di nastro adesivo che l'avvolgevano, la pelle del cadavere aveva una delicata bianchezza, con delle zone violacee verso le spalle. Il poveretto era stato tanto tempo a testa in giù e il sangue era defluito nelle parti basse di quella posizione.

«Sappiamo chi è?», chiese Isobel esaminando il corpicino.

«Richard Erskine», rispose Logan. «Un bambino di cinque anni».

Isobel si girò di scatto e lo guardò, con un bisturi in una mano e una bustina di plastica nell'altra. «Non ha cinque anni. Ha dai tre ai quattro anni.

E non è un bambino. È una bambina».

Logan guardò il corpicino, ancora rannicchiato. «Ne sei sicura?».

Isobel rimise il bisturi nella borsa e si rialzò lentamente. Lo guardò co-me se fosse un idiota e gli parlò con voce fredda e sibilante. «È probabile che le lauree in medicina dell'università di Edimburgo abbiano un valore accademico inferiore a quello che gli si attribuisce, ma una delle poche co-se che ci hanno insegnato è la differenza tra maschietti e femminucce. In questo caso l'indizio determinante è stato l'assenza del pisellino».

Logan stava per fare l'ovvia domanda, ma Isobel lo interruppe. «E non manca perché è stato rimosso, come nel caso di David Reid. Qui non c'è mai stato». Prese su la borsa. «Se vuoi sapere l'ora del decesso dovrai aspettare l'autopsia». Fece un cenno a quello dell'Identification Bureau che aveva steso il telo. «Lei: metta il corpo in una body-bag e lo faccia portare all'obitorio. Continuerò lì».

Si sentì un leggero «Sì, dottore», e Isobel uscì con la sua borsa, lasciandosi dietro un gran freddo.

L'uomo dell'IB attese che fosse abbastanza lontana e poi borbottò «Fri-gida stronza!».

Logan le corse dietro, raggiungendola alla sua auto. «Isobel? Isobel, aspetta un attimo».

Isobel puntò la chiave alla vettura e schiacciò il pulsante della chiusura centralizzata: gli indicatori lampeggiarono e il portabagagli si aprì. «Fino a quando non avrò il cadavere all'obitorio non potrò dirti altro». Poggiandosi su un piede si tolse uno stivale e lo mise in un cassone dall'interno rivestito di plastica, sostituendolo con uno stivaletto in camoscio. «Perché hai detto quelle spiritosaggini, poco fa?», le chiese Logan.

«Spiritosaggini?».

Cominciò a togliersi l'altro stivale, cercando di non sporcarsi le scarpe.

«Ascolta, dovremo lavorare insieme, va bene?»

«Me ne rendo conto», rispose lei, togliendosi la tuta cartacea, mettendola assieme agli stivali e chiudendo il portabagagli. «E per me non è un problema!».

«Isobel...».

Resta: «Cosa cercavi di fare, lì dentro davanti a tutti? Umiliarmi? Come ti permetti di contestare la mia professionalità!». Aprì la porta, entrò in macchina e la richiuse, quasi sbattendogliela in faccia.

«Isobel...».

Abbassò il finestrino e lo guardò, avviando il motore. «Cosa?».

Ma Logan non seppe cosa dire.

Lo fissò ancora per qualche istante: inserì la marcia, fece una manovra d'inversione e si allontanò.

Logan guardò le luci rosse che sparivano nella pioggia; bestemmiò sottovoce e tornò nella tenda.

La bambina era rimasta dove l'aveva lasciata Isobel, con quelli dell'Identification Bureau che imprecavano sull'arroganza del patologo, piuttosto che mettere in atto le disposizioni ricevute. Logan sospirò e si chinò sul corpicino.

La faccia della bambina era quasi totalmente nascosta dal nastro adesivo; le mani le erano state fasciate unite sul petto, come pure le ginocchia.

Ma evidentemente il suo assassino aveva finito il nastro prima di poterle avvolgere le gambe. Ecco perché la gamba sinistra era uscita dal sacco ed era stati beccata dal gabbiano.

Tirò fuori il cellulare e telefonò alla Centrale, chiedendo se qualcuno avesse denunciato la scomparsa di una bambina di tre-quattro anni.

Nessuno.

Bestemmiando sottovoce, chiamò Insch per dargli le brutte notizie. «Ispettore? Sì, sono McRae... no, signore», respirò profondamente. «Non è Richard Erskine».

Dall'altra parte ci fu un silenzio profondo. Dopo qualche istante. «Sergente, sei sicuro?».

Logan annuì, anche se sapeva che Insch non poteva vederlo. «Sì, signore. La vittima è una bambina, dai tre ai quattro anni, ma nessuno ne ha denunciato la scomparsa».

Una sfilza di parolacce eruttò dal telefono.

«Ho detto le stesse cose anch'io, signore».

Quelli dell'IB mimarono il gesto di prendere su il corpo per portarlo all'obitorio, come per chiedergli l'autorizzazione a procedere; Logan annuì.

Quello che aveva imprecato contro Isobel tirò fuori il cellulare e chiamò l'impresario di pompe funebri di turno. Non si trasporta il corpicino di una bambina in un vecchio furgone.

«Credi che ci sia un nesso tra le due morti?», chiese Insch con un tono di speranza.

«Ne dubito, signore». Logan guardò mentre il corpicino veniva racchiu-so in una body-bag fin troppo grande per lei. «La vittima è una bambina, non un maschietto. Lo smaltimento del corpo è avvenuto con modalità diverse: il corpo della bambina è stato avvolto in oltre due chilometri di nastro adesivo. Nessun segno di strangolamento. È probabile che abbia subito violenza sessuale, ma lo sapremo solo dopo l'autopsia».

Insch bestemmiò ancora: «Voglio che l'autopsia sia fatta stasera, capito?

Dillo al patologo. Non ho nessuna intenzione di passare la notte girandomi i pollici mentre i mass media vanno a ruota libera con le loro congetture!

Stasera! Chiaro?».

Logan annuì. Non se la sentiva di doverlo dire a Isobel. Nell'umore in cui l'aveva vista andar via, era più probabile che facesse l'autopsia a lui.

«Sì, signore», rispose.

«Falla ripulire e fotografare! Voglio che vengano stampati dei poster; tu l'hai vista questa bambina?»

«Sì, signore».

Due uomini dell'Identification Bureau presero la body-bag e la sistemarono in un angolo della tenda. Poi cominciarono a raccogliere il pattume del sacco che l'aveva contenuta, assicurandosi che tutto fosse correttamen-te etichettato e messo via. Bucce di banana, gusci d'uova, bottiglie di vino vuote... alla povera bambina non era stata neanche concessa la dignità di una tomba, di qualsiasi genere; era stata buttata via coi rifiuti di casa.

Logan stava dicendo all'ispettore che lo avrebbe chiamato non appena avesse avuto ulteriori informazioni, quando fu interrotto dall'agente Watson che gridò: «Aspetta!». La vide lanciarsi in avanti, raccattando qualcosa dai rifiuti ancora sparsi sul telo di plastica.

Era uno scontrino di cassa.

Logan chiese all'ispettore di restare in linea, mentre Watson lisciava l'u-mido pezzo di carta. Era una ricevuta del grande supermercato Tesco di Danestone. Qualcuno aveva comprato dodici uova, una confezione di panna fresca, due bottiglie di cabernet sauvignon e delle pere avocado. E aveva pagato in contanti.

Watson si fece sfuggire una parolaccia. «Speravo che avesse pagato con una carta di credito o con il Bancomat».

«Saremmo stati veramente fortunati». Continuò a rigirare il pezzettino di carta. Uova, vino, panna fresca e pere avocado... ma notò qualcosa sullo scontrino che lo fece sorridere.

«Cosa c'è, signore?», chiese Watson.

Logan alzò la ricevuta e le sorrise. «Signore», disse al telefono, «l'agente Watson ha trovato una ricevuta di un supermercato nel sacco dei rifiuti che conteneva il cadavere... no, signore, gli acquisti sono stati pagati in contanti». Se il sorriso di Logan fosse stato più largo, la faccia gli si sarebbe aperta in due. «Ma si è fatto accreditare i "punti fedeltà" sulla sua Clubcard».

Se il traffico in South Anderson Drive era un incubo, le cose andavano ancora peggio in North Anderson Drive. Le auto procedevano a passo d'uomo, attaccate l'una all'altra. Ora di punta.

Il procuratore era finalmente arrivato sulla scena, dandosi da fare. Aveva chiesto aggiornamenti sulle indagini, si era lagnato del fatto che due bambini fossero stati trovati morti in due giorni, aveva insinuato che il tutto era accaduto per colpa di Logan e con gran sollievo di tutti si era poi tolto dai piedi.

Logan aspettò che lui e Watson fossero al sicuro nel bozzolo della loro auto, prima di elencare le cose che avrebbe voluto fare al procuratore con un cactus e un tubetto di vaselina.

Per andare dalla discarica di Nigg al supermercato Tesco di Danestone ci misero più di un'ora. Il grande magazzino era situato in una posizione ec-cellente: non molto lontano dal fiume Don, a un tiro di schioppo dal vecchio stabilimento per la depurazione dei liquami, dal cimitero di Grove e dal mattatoio di Grampian Country. E non molto lontano da dove avevano trovato il cadavere di David Reid.

Il supermercato era affollato, con tutti i lavoratori della vicina zona industriale che facevano la spesa, per lo più pasti pronti, da scaldare nel forno a microonde, e birra, per trascorrere la serata davanti al televisore.

Vicino all'entrata c'era un banco con un cartello «Assistenza Clienti», gestito da un giovanotto dai capelli biondi raccolti in un codino. Logan gli chiese di chiamare il manager.

Dopo un paio di minuti un omino calvo e con gli occhiali a mezza luna arrivò. Indossava la stessa uniforme del resto del personale: un cardigan blu. Ma sul cartellino appuntato al petto c'era scritto «Colin Branagan, Manager».

«Posso esserle utile?».

Logan tirò fuori il tesserino e glielo diede per esaminarlo. «Mr Branagan, abbiamo bisogno di informazioni su qualcuno che ha fatto degli acquisti qui da voi mercoledì scorso». Gli mostrò lo scontrino, che ora era protetto da una bustina di plastica. «Ha pagato in contanti, ma si è fatto accreditare i punti fedeltà sulla Clubcard. Può darmi il nome e indirizzo del cliente dal numero della Clubcard?».

Il manager prese la bustina trasparente e la esaminò, mordicchiandosi il labbro inferiore. «Non credo di poterla assistere, sergente. Vede, dobbiamo attenerci alla legge sulla privacy. Non posso dare nomi e indirizzi dei nostri clienti al primo che me li chiede. Potremmo essere querelati». Gli restituì lo scontrino. «Mi dispiace, ma non posso», aggiunse.

Logan abbassò la voce, quasi a un bisbiglio. «È importante, Mr Branagan. Stiamo investigando su un reato molto grave».

Il manager si passò una mano sulla pelata. «Non saprei... dovrò chiedere il permesso alla direzione».

«Benissimo. Andiamo a chiedere».

La direzione disse spiacenti, ma no: se la polizia voleva informazioni sui dati dei loro clienti, dovevano fare una richiesta scritta, o farsi rilasciare un mandato dalla magistratura. L'azienda era costretta ad attenersi alla legge sulla privacy. E non potevano fare eccezione neanche per la polizia.

Logan gli disse del corpo della bambina nel sacco dei rifiuti.

La direzione cambiò subito idea.

Cinque minuti dopo Logan usciva dal supermercato con in mano un foglio formato A4 con su stampato un nome, indirizzo e il totale dei punti accumulati da settembre.