CAPITOLO 28
Il piano era molto semplice. Chiunque andasse o venisse dalla scena del crimine, lo avrebbe fatto senza dar nell'occhio. Il catenaccio era stato riat-taccato alla porta e solo un numero ristretto di persone si sarebbe recato al gabinetto. Il cadavere sarebbe stato rimosso in segreto e un paio di agenti sarebbero rimasti di guardia. Ma lo avrebbero fatto dal tepore e dal sicuro di un'autopattuglia parcheggiata fuori mano, e con libera visuale dell'ingresso ai gabinetti donne. La nevicata aveva coperto tutte le impronte lasciate dalla visita della polizia, livellando il tutto in un candido manto e non c'era alcun segno che indicasse che qualcuno era stato lì. I tre bambini che avevano scoperto il cadavere non sarebbero stati denunciati per scasso e vandalismo; solo una strigliata verbale, purché stessero zitti e non dicessero a nessuno della macabra scoperta. Nessuno doveva sapere che il cadavere di Peter Lumley era stato trovato. L'assassino sarebbe tornato con le sue forbici per prendersi il suo souvenir e gli agenti lo avrebbero arrestato.
Perfetto, no?
L'articolo cosmetico di Miller sulla tragica vita di Bernard Duncan Philips, alias Roadkill, figurava a pagina quattro, assieme a un pezzo sui trat-tori moderni e una vendita di beneficenza. E nonostante fosse sepolto all'interno del giornale, era un buon articolo. Miller aveva trasformato Roadkill in un personaggio per il quale bisognava provare compassione e i cui problemi mentali erano stati causati dalla morte della madre. Un uomo intelligente, abbandonato dalla società e che cercava disperatamente di capire la confusione del mondo che lo circondava. Era di grande aiuto nello spiegare al pubblico che la Grampian Police lo aveva rilasciato sapendo quel che faceva.
E se quello fosse stato l'unico articolo che Miller aveva scritto per il
«Press and Journal» quella mattina, tutti in Centrale sarebbero stati felicissimi.
Il secondo articolo di Miller era in prima pagina, a tutta pagina, con una testata a caratteri cubitali: L'assassino dei bambini colpisce ancora! E più sotto: Cadavere di bambino trovato in gabinetto pubblico.
«Come diavolo lo ha saputo?», tuonò l'ispettore Insch, picchiando un pugno sul tavolo e facendo sussultare tutti i presenti nel centro investigazioni.
Il piano per cogliere in flagrante l'assassino quando sarebbe tornato per il suo trofeo era andato a gambe all'aria. La scoperta del cadavere era de-scritta nei minimi particolari sulla prima pagina del «Press and Journal».
«Questa era la miglior opportunità che abbiamo mai avuto di acciuffare questo stronzo prima che uccida un altro bambino!». Insch era su tutte le furie; afferrò il giornale e mostrò la testata ai presenti. «Lo avremmo preso! Adesso qualche altro bambino farà la stessa brutta fine solo perché qualche stupido bastardo non è stato capace di tenere la bocca chiusa!».
Con disgusto lanciò il giornale verso i presenti; fece un volo a spirale nell'aria, esplodendo in una miriade di pagine quando colpì il muro in fondo alla sala. Alle spalle dell'ispettore Insch c'era l'ispettore Napier, in divisa, con un'espressione sul volto che lo faceva sembrare il Macabro Mietito-re, coi capelli rossi. Non diceva niente; si limitava a guardare accigliato tutti i presenti, mentre l'ispettore Insch si scatenava.
«Vi dico cosa farò», disse Insch tirando fuori il portafoglio. Lo aprì e ne estrasse una manciata di banconote. «La prima persona che viene da me con un nome, prende questi soldi». Mise le banconote sulla scrivania.
Ci fu un attimo di silenzio.
Logan tirò fuori il suo portafoglio e aggiunse le sue banconote a quelle dell'ispettore Insch.
E questo scatenò una reazione a catena. Si avvicinarono tutti; agenti del CID, in divisa, uomini e donne; e tutti aggiunsero le loro banconote. Alla fine, sulla scrivania c'era un bel gruzzolo. Non era una gran somma, come una taglia, ma era stata offerta di cuore.
«Molto bello», disse Insch con un sorriso asciutto. «Ma non sappiamo ancora chi è il chiacchierone».
Li guardò mentre tornavano ai loro posti; si vedeva che era orgoglioso di loro. L'espressione dell'ispettore Napier era invece più maligna: scrutava tutti i presenti cercando di scoprire un'espressione di colpevolezza. E guardava Logan un po' troppo spesso.
«Bene», disse Insch. «Delle due l'una: o qui dentro c'è un bastardo di un bugiardo che crede di farla franca semplicemente mettendo soldi nel piatto, o la talpa di Miller lavora per qualcun altro. Spero che sia la seconda opzione». Il sorriso gli svanì dal volto. «Perché se la talpa fa parte di questa squadra, lo metterò in croce con queste mani». Si appoggiò all'orlo della scrivania. «Sergente McRae, passi le consegne».
Logan lesse la lista di nomi, mandando squadre a fare una ricerca nel parco. Altre squadre in una ricerca porta a porta nelle vicinanze del parco, a chiedere se avessero visto qualcuno mentre cercava di nascondere il cadavere. E il resto a far seguito alle numerose telefonate che arrivavano co-stantemente alla Centrale da parte di cittadini preoccupati. I telefoni avevano cominciato a squillare appena si era saputo che Roadkill era stato rilasciato. Improvvisamente tutti ricordavano di aver visto il suo carrettino nelle vicinanze dei luoghi dove erano scomparsi i bambini.
La riunione giunse al termine e tutti uscirono, per recarsi al compito assegnato, con facce desolate come il clima che imperversava fuori. Uscendo diedero un'occhiata ai soldi sulla scrivania. In sala rimasero solo Insch, Napier e Logan.
Insch prese i soldi dal tavolo e li mise in una busta. Con un pennarello ci scrisse sopra «Taglia».
«Qualche sospetto?».
Logan si strinse nelle spalle. «Forse qualcuno dell'IB? Hanno avuto accesso a tutti i cadaveri».
Napier sollevò un sopracciglio. «Sergente, il fatto che tutti i membri della sua squadra si siano messi la mano in tasca non li scagiona dai sospetti.
La talpa potrebbe essere ognuno di loro». Pronunciò le ultime parole guardando direttamente Logan. «Ognuno di loro».
Insch ci pensò su un attimo, con un'espressione cupa e distante sul volto.
«Avremmo potuto prenderlo», disse poi sigillando la busta. «Avremmo tenuto il cesso sotto sorveglianza e lui sarebbe tornato».
Logan annuì. Avrebbero potuto prenderlo.
Ma Napier continuava a guardarlo.
«Comunque», disse Insch mettendosi la busta in una tasca interna della giacca. «Lei ci scuserà, ispettore, ma alle 9,00 c'è l'autopsia e non vogliamo arrivare tardi. L'ex amica del cuore del sergente McRae si farebbe delle giarrettiere con le nostre budella».
Giù nel seminterrato Logan e l'ispettore trovarono Isobel MacAlister con un gruppetto di spettatori. L'amico del cuore del momento, il capellone Brian, che correva tutt'intorno nel suo consueto effeminato e deficiente modo di fare. Tre studenti di medicina, blocknotes alla mano, pendevano dalle labbra di Isobel per imparare come macellare il cadavere di un bambino di quattro anni. Isobel salutò con un breve «Salve» l'ispettore. Logan fu totalmente ignorato.
Il corpo nudo di Peter Lumley giaceva al centro del tavolo di dissezione, pallido, cereo e tanto, tanto morto. Gli studenti prendevano appunti, Brian sorrideva a dritta e a manca, e Isobel tagliava, estraeva, esaminava e pesava. Era esattamente la stessa storia di David Reid, ma senza l'avanzata decomposizione e senza la mutilazione genitale. Strangolato con qualche forma di cordame, probabilmente in una guaina di plastica. Qualcosa di ri-gido inserito nel corpo dopo la morte.
Un altro bambino all'obitorio.
Dopo l'autopsia Logan tornò nel suo ufficio nauseato e depresso. Non c'era nessuno. Solo la faccia di Geordie Stephenson che lo fissava dal mu-ro. Due casi da risolvere. E nessun progresso in entrambi.
Sulla scrivania c'era una spessa busta dalla scientifica nel suo cestino "In arrivo". Era indirizzata «Al sergente Lazzaro McRae».
«Manica di stronzi».
Sprofondò in una sedia e aprì la busta. Conteneva il referto della scientifica nel quale tutte le parole facilmente comprensibili erano sostituite da mezza tonnellata di gergo indecifrabile. E una protesi dentale, in resina color crema.
Logan tirò fuori la dentiera dalla busta e la osservò attentamente. Qualcuno alla scientifica aveva fatto uno sbaglio. Aveva chiesto un'impronta dei denti che avevano inflitto il morso trovato sul corpo di Geordie, sperando che combaciasse con i denti di Colin McLeod. Ma la protesi che gli aveva mandato la scientifica avrebbe combaciato con i denti di Colin McLeod solo se lui fosse stato un lupo mannaro. Con qualche dente in me-no...
Con una crescente sensazione di timore Logan prese il referto dell'autopsia di Geordie, che non era ancora riuscito a leggere e gli diede una rapida scorsa. Il paragrafo sui segni del morso era chiaro e preciso.
Chiuse gli occhi e imprecò.
Cinque minuti più tardi usciva di corsa dalla Centrale, tirandosi dietro una perplessa agente Watson.
Il Turf and Track non era cambiato per niente dalla loro ultima visita: malmesso e poco accogliente. I fiocchi di neve non gli avevano di certo dato un aspetto natalizio; anzi, il piccolo agglomerato di negozi sembrava più tetro che mai. L'agente Watson fermò l'auto nel parcheggio di fronte e rimasero in macchina osservando il vento che faceva vorticare la neve, aspettando che l'autopattuglia Quebec Tre Uno fosse in posizione sul retro della sala corse. Non era la loro zona di pattugliamento, ma erano liberi.
Qualcuno bussò sul finestrino e Logan fece un salto nel sedile.
C'era un uomo, dall'aspetto nervoso, con sull'avambraccio una protezione in cuoio ben imbottita. Logan abbassò il finestrino. «Allora... questo pastore tedesco... è grosso?». Dalla faccia si capiva che sperava che non lo fosse.
Logan tirò fuori dalla tasca la dentiera e la mostrò all'addestratore dell'unità cinofila, che non ne rimase per niente contento. «Vedo... grosso, con tanti denti». Sospirò. «Roba pericolosa».
Logan si ricordò dei peli grigi sul muso del cane. «Magra consolazione, ma se la fa sentire meglio, il cane è piuttosto vecchio».
«Ahh...», disse l'addestratore, sempre più depresso. «Grosso, con tanti denti e in più... esperto».
Aveva con sé una lunga asta con un cappio in plastica a un'estremità e se la picchiò leggermente in testa un paio di volte, mandando leggeri spruzzi d'acqua attraverso il finestrino aperto.
Dalla radio dell'auto venne la conferma: Quebec Tre Uno era in posizione e pronta. Era ora di muoversi.
Logan uscì dall'auto. L'agente Watson arrivò per prima al Turf and Track, appiattendosi al muro di fianco alla porta, manganello pronto, proprio come nei film. Mani in tasca, leggermente chinato in avanti per resi-stere al vento gelido che gli arrossiva le orecchie, Logan la seguì, e dietro di lui, borbottando e scivolando, i due addestratori.
Quando arrivarono alla porta della sala corse, gli addestratori imitarono l'agente Watson, appiattendosi contro il muro, stringendo le loro lunghe aste da accalappiacani.
Logan li guardò e scosse la testa. «Gente, questo non è un episodio di Starsky and Hutch!», disse, aprendo con calma la porta e facendone uscire una cacofonia di suoni.
La puzza di cane bagnato e sigarette fatte a mano con trinciato forte lo colpì appena varcò la soglia. Gli ci vollero un paio di secondi perché gli occhi si abituassero alla penombra. Un paio di televisori, uno in ogni angolo della sala sopra il lungo bancone mostravano la stessa corsa di cani, col volume altissimo.
Quattro uomini sedevano sull'orlo dei sedili di plastica, guardando gli schermi e urlando incitazioni, come se i cani sui quali avevano scommesso potessero sentirli.
«Dai, brutto stronzo addormentato! Corri!».
Desperate Doug non c'era. Ma il suo pastore tedesco era sdraiato per terra, vicino a una stufetta elettrica a tre sbarre, la lingua fuori dalla bocca e col pelo che gli si asciugava al calore, emettendo vapore acqueo.
Un colpo di vento entrò dalla porta che Logan non aveva chiuso, portando con sé fiocchi di neve e scuotendo i poster sulle pareti. Senza neanche girare la testa un omone vestito come un barbone nel suo giorno di festa gridò: «Chiudi la fottutissima porta!».
Il vento agitò il lungo pelo del cane addormentato e le sue zampe si agitarono leggermente, come se stesse sognando di inseguire qualcosa. Qualcosa di saporito: un coniglio, o un poliziotto.
Watson e i due agenti con le aste seguirono Logan all'interno chiudendosi dietro la porta. Guardarono l'addormentato pastore tedesco come se fosse una bomba inesplosa. Leccandosi le labbra nervosamente uno dei due addestratori abbassò il cappio della sua asta all'altezza del mucchio di pelo e si mosse lentamente in avanti. Se fossero riusciti ad accalappiarlo mentre dormiva, probabilmente non avrebbe morso nessuno. Con l'attenzione di tutti i presenti centrata sulla corsa si avvicinò sempre più, fino a quando il cappio era a una decina di centimetri dal muso del cane. Sul televisore un levriero col camiciotto giallo attraversò il traguardo, qualche centimetro avanti a un altro col camiciotto blu. Due degli scommettitori fecero un bal-zo di gioia e colpirono l'aria col pugno. Gli altri due imprecarono e strap-parono gli scontrini della loro puntata.
Le orecchie del cane si agitarono all'improvviso rumore e alzò la testa.
Per un secondo guardò l'uomo con l'asta e il cappio.
L'uomo emise un grido e si lanciò in avanti. Ma non fu abbastanza veloce. Il cane balzò in piedi e cominciò ad abbaiare furiosamente, mentre l'estremità dell'asta colpiva la stufetta elettrica, rompendo una delle tre sbarre.
Tutti i presenti si girarono a guardare il cane. E notarono i quattro poliziotti.
«Cosa diavolo...».
Adesso i quattro erano tutti in piedi. Mani a pugno e tatuaggi in mostra.
Mostravano i denti, proprio come il cane di Desperate Doug.
Si sentì un rumore all'altra estremità della stanza e la porta che dava all'ufficio sul retro si spalancò. Simon McLeod apparve sulla soglia, apparentemente infastidito dall'improvviso frastuono. L'espressione infastidita si tramutò rapidamente in rabbia.
«Non vogliamo grane», gridò Logan, alzando la voce per farsi sentire al di sopra dell'abbaiare del cane. «Vogliamo solo parlare con Dougie MacDuff».
Simon allungò una mano e spense la luce. La stanza divenne improvvisamente buia, la sola luce dei televisori a delineare le sagome dei presenti.
Il primo a emettere un urlo di dolore fu uno dei due addestratori cinofili.
Ci fu un rumore improvviso, un grugnito e il suono di qualcuno che crolla-va a terra. Un pugno volò rasente la testa di Logan; riuscì a evitarlo abbas-sandosi, e rispondendo con un altro pugno. Ebbe la breve sensazione di pelle e ossa che si rompevano sotto le nocche del suo pugno, un grido sof-focato, qualcosa che gli bagnò la guancia e un altro crollo. Sperò solo di non aver atterrato l'agente Watson!
Il cane continuava ad abbaiare furiosamente. Il televisore stava descrivendo la prossima corsa e l'inserimento dei levrieri nelle gabbie di parten-za. Un'asta metallica colpì Logan alla schiena; cadde in avanti, inciampan-do in un corpo supino e finì steso per terra. Per un attimo un piede si posò vicino alla sua testa e poi sparì. Una luce bianca illuminò la scena e Logan girò la testa in tempo per vedere una silhouette stagliata contro la neve cadente e l'illuminazione stradale. La persona fece cadere la borsa di plastica che portava: quattro lattine di birra e una bottiglia di whisky caddero sul linoleum sporco.
La poca luce rivelò quello che era successo nella stanza. Uno degli addestratori giaceva a terra, col cane che gli stava mordendo selvaggiamente l'avambraccio coperto dall'imbottitura protettiva. L'agente Watson aveva il naso sanguinante e teneva un uomo in una presa da lotta libera che lo immobilizzava. L'altro addestratore era tenuto fermo da un altro dei quattro presenti mentre un altro lo prendeva a pugni nello stomaco. E Logan era stravaccato su un uomo con una tuta blu con una vistosa e sanguinante finestra dove una volta c'erano stati degli incisivi.
La persona che aveva aperto la porta, ma che era rimasta sulla soglia, si girò e scappò.
Desperate Doug!
Logan si tirò su imprecando e stava per lanciarsi all'inseguimento del vecchio, quando una mano gli afferrò una caviglia, facendolo cadere sul duro pavimento. Le cicatrici nello stomaco gli fecero vedere le stelle. La stretta sulla caviglia divenne più forte e un'altra mano lo prese per la gamba.
Ansimando dal dolore Logan mise la mano sulla bottiglia di whisky. La brandì come una clava e roteò il braccio. Colpì la testa del suo aggressore con un colpo secco; e le mani che lo attanagliavano mollarono la presa.
Con uno sforzo si rialzò e barcollò fino all'uscita. Si sentiva come se qualcuno gli avesse iniettato benzina nello stomaco e l'avesse accesa. Col poco fiato che gli restava riuscì a estrarre il cellulare e a chiedere l'intervento immediato di Quebec Tre Uno nella sala corse. Si appoggiò alla ringhiera che separava i negozi dal parcheggio; Desperate Doug aveva tagliato la corda, ma non era più un ventenne e non poteva essere andato molto lontano.
A sinistra: solo una strada vuota e auto parcheggiate, che si intravedevano appena nella neve cadente. A destra: una fila di casamenti in cemento e mattoni, altre auto parcheggiate e qualcuno che scompariva in uno dei tetri e anonimi palazzi.
Logan prese fiato e si lanciò all'inseguimento della persona che aveva appena visto. Quebec Tre Uno stava entrando ad alta velocità nel parcheggio, con sirene spiegate e luci blu rotanti. Il vento e la neve punsero Logan in viso come aghi di ghiaccio, ma Logan continuò nonostante il dolore.
Il marciapiedi era pericoloso: scivoloso per il ghiaccio che vi si era formato, si rischiava di andare a gambe all'aria. Fece il sentiero che portava al palazzo nel quale si era infilato Doug, salì i pochi gradini e si lanciò nel portone. L'ingresso era quieto e freddo. Sulle pareti c'erano macchie dove qualcuno aveva orinato vicino alle porte dei suoi vicini. L'odore di urina, acido e pungente, permeava l'ingresso.
Logan si fermò di colpo, col fiatone e gli occhi che gli bruciavano per l'urina nell'aria. Doug si sarebbe potuto nascondere in uno di questi appartamenti. O magari su per le scale. Diede un'occhiata in giro; Doug non c'e-ra. Ma la porta del retro era accostata.
«Inferno boia», imprecò Logan, lanciandosi di nuovo fuori nella neve.
Gli edifici, di tre e quattro piani, erano sistemati in modo che tra l'uno e l'altro, posti di fronte, c'era una piccola area verde, con tralicci e corde per stendere il bucato. Che non era molto verde, anche in piena estate. Ma adesso si vedevano impronte fresche nella neve, che andavano all'edificio di fronte.
Logan attraversò lo spazio tra i due edifici: entrò in quello dirimpetto, ne attraversò l'ingresso e uscì dal retro. Un'altra strada e un'altra linea di casamenti. Poco lontano si sentì sbattere una porta e Logan attraversò la strada di corsa; entrò nell'altro edificio, attraversò l'ingresso e uscì dall'altra parte. Solo che ora non c'era un altro edificio dirimpetto: c'era solo una staccionata in rete metallica alta due metri che separava l'area verde da una striscia di terra incolta, oltre la quale si intravedeva una zona industriale e un paio di palazzi: Tillydrone.
Desperate Doug MacDuff stava scavalcando l'alta sommità della rete metallica.
«Fermati!», gridò Logan fermandosi alla staccionata, in tempo per vedere Doug che spariva nella neve cadente. «Ma chi sei, Houdini?», borbottò a se stesso.
Cominciò ad arrampicarsi su per la rete metallica. Ne raggiunse la sommità e capì come aveva fatto Desperate Doug a sparire così rapidamente.
La staccionata separava il quartiere di Sandilands e la linea ferroviaria che usciva dalla città dirigendosi a nord; nascosto dalla brughiera e dai cespugli c'era un profondo, largo avvallamento artificiale, in fondo al quale correvano le rotaie. Doug si era lasciato scivolare giù per la ripida scarpata.
Adesso il vecchio non correva più così rapidamente. Aveva rallentato, riducendo la corsa a un trotterellare traballante, premendosi un braccio sul torace, mentre cercava di avanzare lungo le rotaie.
Logan si lasciò cadere dall'altra parte. Cadde pesantemente e non fece in tempo ad alzarsi: la forza di gravità intervenne e lo fece scivolare giù per la scarpata in caduta libera, strisciando nella sterpaglia e tra gli arbusti. Arrivò in fondo all'avvallamento e si fermò tra la ghiaia. Lanciò un urlo di dolore: una mano gli sanguinava copiosamente da un vistoso taglio e la testa gli rintronava dai colpi presi durante la scivolata. Ma più forte di ogni altro era il dolore lancinante che gli era esploso nello stomaco. Era passato un anno; e Angus Robertson, il mostro di Mastrick lo faceva ancora soffrire.
Le alte scarpate della ferrovia davano protezione dal vento: qui la neve non cadeva vorticosamente, ma lentamente, nell'aria calma.
Logan rimase sdraiato per terra lamentandosi, incapace di rialzarsi, con la neve che gli si posava addosso. Ma vedeva perfettamente Desperate Doug: lo vide girarsi e darsi un'occhiata alle spalle. Il vecchio notò subito che il poliziotto che lo aveva inseguito giaceva sanguinante vicino alle rotaie. Si fermò e si girò a guardare Logan, ansimando e col respiro che gli si congelava in nuvolette.
Dopo alcuni attimi per riprendere fiato, cominciò ad avvicinarsi a Logan lungo la ferrovia. Mise la mano in tasca e ne tirò fuori qualcosa che luccicò. Qualcosa di appuntito.
Il sangue di Logan sembrò tramutarsi in acqua gelata. «Oh, Dio mio...».
Cercò di girarsi su un fianco per alzarsi prima che Desperate Doug arri-vasse da lui: ma il dolore che sentiva nelle budella era lancinante, anche con la morte che gli si avvicinava lentamente.
«Non era necessario che tu mi venissi dietro», la voce di Doug veniva fuori in brevi spasimi. «Bastava che tu ti fossi impicciato dei fottutissimi affari tuoi. Adesso mi toccherà insegnarti una lezione, Mr maiale!». Gli mostrò l'oggetto luccicante: era un coltello Stanley per il fai-da-te, con la lama tutta fuori.
«Oh, Dio, no...». Stava accadendo un'altra volta!
«Sai una cosa? A me piace molto il bacon». La faccia di Doug era rossa e raggrinzita, piena di vasi capillari rotti, il suo occhio morto bianco come la neve, il suo sorriso malefico abbrunito dalla nicotina. «Però, per essere buono, il bacon va tagliato molto sottile, sai?»
«Non farlo...». Logan cercò disperatamente di rialzarsi.
«Comincerai a piangere, brutto maiale? A frignare come un bambino?
Diavolo, potrei chiamarti frignone! Ti farà un male boia!».
«Non farlo... ti prego! Non fare quello che hai in mente...».
«No?». Doug rise, e la risata si tramutò in un forte attacco di tosse, seguito da sputo scuro e sanguigno. «E cosa», disse quando riuscì a riprendere fiato, «cosa avrei da perdere, eh? Ho un tumore, Mr Maiale. All'ospedale un omino mi ha dato un anno, forse due. E saranno anni di merda. E voi brutti bastardi mi siete alle costole, vero?».
Logan strinse i denti e riuscì a spingersi in ginocchio; ma Doug gli mise un piede nella schiena e spinse: Logan crollò col petto a terra urlando dal dolore.
«Voi bastardi mi siete alle costole e mi metterete sotto chiave un'altra volta. Solo che questa volta non ne verrò fuori vivo. Non con questo stronzo di tumore che mi mangia i polmoni e le ossa. Quindi cosa vuoi che mi facciano, se ti faccio a fettine? Io sarò morto prima che il giudice emetta la sentenza! Cosa vuoi che sia un morto in più!».
Lamentandosi Logan riuscì a girarsi con la schiena a terra, sentendo la neve che gli cadeva sul viso. Fallo parlare. Continua a farlo parlare e spera che arrivi qualcuno. Uno di quelli di Quebec Tre Uno. O magari l'agente Watson. Chiunque. Signore Iddio, fa che arrivi qualcuno! «È per questo... è per questo che hai ucciso Geordie Stephenson?».
Doug scoppiò a ridere. «Ma cosa credi? Che adesso stiamo qui a farci una chiacchieratina e io confesserò ogni cosa? Fallo parlare e il vecchio rimbambito svuoterà il sacco?». Scosse la testa. «Tu guardi troppa televisione, Mr Maiale. Le uniche budella che svuoterò saranno le tue». Con un ghigno satanico gli agitò il coltello sotto gli occhi.
Logan gli diede un calcio in un ginocchio. Con tutta la forza che riuscì a metterci. Si sentì un crack e Doug crollò a terra, lasciando cadere il coltello. Si teneva con le mani il ginocchio fracassato e urlava dal dolore: «Maledetto stronzo!».
A denti stretti e col respiro ridotto a un sibilo, Logan si girò su un fianco e scalciò ancora, colpendo il vecchio su un lato della testa, aprendogli un taglio di una decina di centimetri.
Doug grugnì, portandosi le mani alla testa e coprendosi lo scalpo sanguinante. Logan gli diede un altro calcio in testa: due dita di Doug si ruppero sotto il colpo. «Bastardooooo!».
Sarà stato vecchio e indebolito dal tumore, ma Douglas MacDuff si era fatto una reputazione di uomo violento nelle più dure prigioni della Scozia.
E se l'era fatta a suon di pugni e coltellate. Stringendo i denti si tirò indietro, fuori dal tiro dei piedi del supino Logan, quel tanto che bastava per po-tersi alzare. E una volta in piedi gli si lanciò addosso, afferrandolo alla go-la con le mani ingiallite dalla nicotina e stringendo, stringendo con un ghigno sul volto che sembrava indicare quanto ci godesse a strangolare un o-diato sergente del CID.
Logan afferrò le mani che gli attanagliavano la gola, cercando di aprirle con le poche forze che gli restavano, ma Desperate Doug lo teneva in una morsa d'acciaio. Quel poco che vedeva ancora del mondo si stava tingendo di rosso e gli fischiavano le orecchie, con la pressione che gli cresceva nella testa. Staccò una mano dalle mani di Doug, la strinse a pugno e rotean-dolo diede un colpo nella faccia del vecchio. Con un grugnito di dolore Doug accusò il colpo, ma non allentò la presa sulla gola di Logan. Stringendo i denti Logan gli diede un altro pugno e poi un altro e poi un altro ancora. I pugni di Logan causavano lesioni alla faccia di Doug, facendone spruzzare sangue che tingeva la neve di rosa. Lottava per la vita; tirò ancora pugni alla testa di Logan, rompendogli la mascella e chiudendogli l'occhio morto. Picchiando come un automa, mentre il mondo svaniva in una coltre di nebbia scura. Ancora e ancora e ancora... finché le mani di Doug allentarono la presa e il vecchio si afflosciò, rotolando sanguinante nella neve.