CAPITOLO 34

Imprecando sottovoce e criticando il giornale che aveva dato soldi a Gerald Cleaver per la sua storia, Logan e Watson tornarono alla centrale di sorveglianza. Il giovanotto con un i brufoli nell'uniforme color merda marrone stava uscendo di corsa, raddrizzandosi il berretto mentre correva.

«Problemi?», gli chiese Watson.

«Ho notato un taccheggiatore allo spaccio! Rubava dei Mars!», rispose correndo lungo il corridoio.

Lo videro sparire dietro l'angolo e precipitarsi giù per le scale, ansioso di raggiungere la scena del reato. Watson sorrise compiaciuta. «Come se la passano gli altri...».

Un altro agente, un uomo tarchiato sui cinquant'anni con la pelata coperta dai capelli del retro pettinati in avanti e sopracciglia come un terrier, aveva preso il posto del brufolato. Stava bevendo a canna da una bottiglia di hucozade e leggendo una copia del giornale di quella mattina. "L'AMMAZZA-BAMBINI PUGNALATO A MORTE!" diceva la prima pagina.

Quando Logan e Watson gli spiegarono lo scopo della loro visita, grugnì e mostrò loro la pila di videocassette.

Si sistemarono a un tavolinetto con un videoregistratore e cominciarono a riguardare le videocassette. Gli agenti che erano stati qui prima avevano facilitato il loro compito, avvolgendole in avanzamento rapido al momento dell'assassinio di Roadkill. Logan e Watson se le guardarono tutte, mentre l'addetto alla sicurezza se ne stava lì a leggere il giornale, bevendo la sua hucozade e succhiando tra i denti.

Sui nastri le persone si muovevano a scatti, perché le telecamere regi-stravano un'inquadratura ogni tre o quattro secondi, facendo sembrare il tutto come un cartone animato canadese sperimentale. I volti non erano perfettamente messi a fuoco, ma era possibile riconoscerli quando si avvicinavano alla telecamera. Dopo una mezz'ora Logan aveva riconosciuto una manciata di persone tra le centinaia di facce che erano passate sullo schermo del suo monitor: il dottore che aveva in cura Desperate Doug, l'infermiera che gli aveva dato del mostro per aver picchiato un povero vecchio, il giovane agente addetto alla sorveglianza del geriatrico picchiatore, la dottoressa che aveva ufficialmente dichiarato la morte di Roadkill ieri sera, il dottore che aveva passato sette ore a ricucirgli le budella un anno fa e l'infermiera Henderson, occhio nero ben visibile sullo schermo, mentre camminava lungo il corridoio "in borghese"; jeans, maglione da rugby e scarpe da ginnastica, un borsone sulla spalla.

Watson si fece sfuggire un lungo sbadiglio e stese le braccia per sgran-chirle. «Quante altre cassette?», chiese Logan.

«Scusi, signore», rispose lei ricomponendosi. «Solo due cassette delle uscite e poi avremo finito».

Logan ne inserì una nel videoregistratore. Un ingresso laterale dell'ospedale. Tante facce che passavano parlando, ridendo o che abbassavano la testa per affrontare il vento pungente. Niente di sospetto. L'ultima era l'accettazione del pronto soccorso. E qui il nastro registrava a velocità normale, per registrare i frequenti casi di violenza e comportamento antisociale causati da ubriachezza. Qui Logan riconobbe diverse facce; tanta gente che aveva arrestato. Persone che avevano urinato negli androni di palazzi, la-druncoli, vandali.

Un individuo era stato arrestato per essersi "dato goduria" nei giardini di Union Terrace con una bottiglia di vino. Ma tutta roba di ordinaria amministrazione. Eccetto la rissa che era scoppiata all'improvviso, quando due ubriachi si erano lanciati contro un enorme buttafuori con un braccio fasciato e appeso al collo. Urla, sedie capovolte, sangue. Infermiere spaven-tate che cercavano di separare i facinorosi. E poi l'improvviso arrivo sfoca-to di un agente di polizia che metteva fine alla lite con tre buone spruzzate del potente gas CS. Seguivano le immagini dei tre che si contorcevano per terra, urlando. Ma nessun segno dell'assassino di Roadkill.

Logan si appoggiò allo schienale della sedia e si fregò gli occhi. L'incidente era avvenuto alle 22,20. L'agente era rimasto al pronto soccorso per assicurarsi che tutti fossero ancora vivi: 22,25. Il giovane ed eroico agente accetta una tazza di tè dalle riconoscenti infermiere, dopodiché ritorna al suo posto di sorveglianza, alla porta della stanza di Roadkill: 22,30... Logan cominciava a essere stufo: queste videocassette non avrebbero rivelato niente.

E improvvisamente l'infermiera Henderson riappare sullo schermo, occhio nero sempre visibilissimo. Logan aggrottò la fronte e mise il registratore in "Pausa".

«Cosa c'è?», chiese Watson strizzando gli occhi allo schermo.

«Noti niente di strano?».

La Watson confessò che non vedeva niente di strano. Logan le indicò l'infermiera Henderson, col suo borsone. «Indossa l'uniforme da infermiera».

«E allora?»

«Sull'altro nastro era in borghese».

«Vuol dire che si è cambiata».

«Però ha ancora il borsone con sé. Se si è cambiata, perché non ha lo lasciato nel suo armadietto?»

«Forse qui non hanno gli armadietti».

Logan chiese all'anziano addetto alla sorveglianza se c'erano armadietti negli spogliatoi delle infermiere».

«Sì», rispose lui; «ma se lei crede che le farò vedere una videocassetta delle infermiere che si spogliano, si sbaglia di grosso!».

«Stiamo indagando su un assassinio!».

«Non m'interessa. Non le farò vedere filmini di infermiere nude o in sot-toveste».

Logan si stava adirando. «Ascolta, giovanotto...».

Gli sorrise, facendogli capire che stava scherzando. «Non ci sono telecamere nello spogliatoio delle infermiere. Abbiamo provato, ma la direzione dell'ospedale non lo ha permesso, dicendo che ci avrebbe distratti dal nostro lavoro. Peccato... mi sarei arricchito, vendendo quelle videocassette!».

Il centro amministrativo dell'ospedale era più piacevole della parte dove venivano curati i malati. Qui non c'era linoleum e odore di antisettico, ma moquette e aria fresca. Logan venne ricevuto da una ragazza ossigenata e dall'accento irlandese che si dimostrò molto disponibile. Sfoggiando tutto lo charme di cui era capace, la convinse a darle informazioni sui turni della sera prima.

«Ecco qua», disse la ragazza, indicando uno schermo pieno di cifre e da-te. «Infermiera Michelle Henderson. Ieri sera ha fatto doppio turno. È

smontata alle 21,30».

«21,30? Grazie, grazie mille, è stata di grande aiuto».

Gli sorrise, lietissima di aver potuto aiutarlo. Se c'era qualcos'altro che avrebbe potuto fare per lui... non esiti, mi chiami. A qualsiasi ora. Gli diede anche il suo biglietto da visita. Per sua fortuna Logan non vide l'espressione dell'agente Watson mentre l'accettava.

«E allora?», gli chiese mentre scendevano al piano terra in ascensore.

«La Henderson smonta alle 21,30. Alle 21,50 la vediamo con addosso jeans e felpa; si è cambiata ed è pronta per andare a casa. Alle 22,30 è di nuovo in divisa da infermiera e sta lasciando l'ospedale». Watson aprì la bocca per dire qualcosa, ma Logan continuò, con una nota di trionfo nella voce. «Cercavamo qualcuno coperto di spruzzi di sangue: invece Mrs Henderson si è cambiata ed è uscita da lì come se non fosse successo niente».

Requisirono due agenti dalla squadra che stava facendo le solite ricerche e chiamarono la Centrale. Quando ricevette la chiamata l'ispettore era ne-rissimo. Sembrava che qualcuno gli avesse massaggiato le chiappe con degli attizzatoi arroventati. «Dove diavolo ti sei cacciato?», chiese prima che Logan potesse dire mezza parola. «È un'ora che cerco di chiamarti!».

«Sono ancora all'ospedale, signore. Tutti i cellulari devono essersi spenti...». Veramente lo aveva spento per evitare che Colin Miller lo richiamas-se.

«Non m'importa dei telefoni! È scomparso un altro bambino!».

Logan si sentì cadere il cuore nelle budella. «Oh, no...».

«Oh sì, invece. Muovi le chiappe e corri al Duthie Park, al padiglione dei Winter Gardens. Sto richiamando tutte le squadre. Il tempo peggiora e la neve coprirà qualsiasi traccia ancora visibile. Questa emergenza ha la precedenza su tutto!».

«Signore, stavo andando ad arrestare l'infermiera Michelle Henderson...».

«Chi?»

«La madre di Lorna Henderson. La bambina che abbiamo trovato nel capannone di Roadkill. Era all'ospedale ieri sera e secondo lei la morte della figlia e lo sfascio del suo matrimonio sono attribuibili a Roadkill. Quindi c'è motivo e occasione. Anche il procuratore è d'accordo e ha emesso i mandati di cattura e di perquisizione».

Ci fu un attimo di silenzio dall'altra parte del filo, seguito dal suono attutito di un'altra agitata conversazione; Insch con la mano sulla cornetta, che strigliava qualcun altro. Poi tornò in linea. «Va bene». Dal tono di voce sembrava che stesse per pestare qualcuno. «Valla a prendere, sbattila dentro e vieni subito qui. Roadkill non diventerà più morto di quanto sia già.

Ma questo bambino potrebbe essere ancora vivo».

Aspettavano nella neve che copriva l'ultimo gradino, mentre Logan suonava il pulsante del campanello e il carillon di "Greensleeves" suonava per la quarta volta.

L'agente Watson, col respiro che nell'aria gelida diventava nebbiolina e con le guance rosee e il nasino rosso, gli chiese se voleva che buttasse giù la porta. Alle loro spalle i due agenti prelevati dalla squadra di ricerca all'ospedale mormorarono il loro assenso. Qualsiasi soluzione, pur di togliersi dal freddo.

Stava per darle l'assenso quando la porta si aprì uno spiraglio, e si intravide il volto dell'infermiera Michelle Henderson. Da come erano messi i suoi capelli sembrava che uno scimpanzé ci avesse dormito dentro.

«Sì?», chiese, con la catenella di sicurezza ancora inserita e con l'alito che sapeva di gin.

«Apra la porta, Mrs Henderson». Logan le fece vedere il suo tesserino.

«Sono sicuro che si ricorda di noi. Vogliamo parlare con lei a proposito di ciò che è successo ieri sera».

Si morse le labbra e guardò i suoi quattro visitatori, come cornacchie ne-re nella neve cadente. «No», disse. «Non posso. Mi sto preparando per andare a lavorare».

Provò a chiudere la porta, ma l'agente Watson aveva già messo il piede nell'apertura. «O lei apre la porta o io la butto giù», le disse.

«Non potete fare una cosa del genere!», gridò Mrs Henderson allarmata, stringendosi l'accappatoio al collo.

Logan annuì e tirò fuori un foglio di carta, facendoglielo vedere. «Possiamo. Ma non ce ne sarà bisogno. Apra la porta».

Li fece entrare.

Fu come entrare in un forno. L'appartamento era molto più ordinato di come lo avevano visto alla loro ultima visita. Aveva passato l'aspirapolvere, spolverato i mobili, le riviste «Cosmopolitan» erano in ordine sul tavolinetto del soggiorno. Sprofondò in una delle poltrone, tirandosi su le ginocchia fin sotto il mento, come un bambino. L'accappatoio le si aprì, e quando Logan andò a sedersi di fronte a lei, cercò di non ammirare il paesaggio.

«Michelle, sa perché siamo qui, vero?».

Evitò di guardarlo.

Logan fece la pausa dell'ispettore Insch.

«Devo... devo prepararmi per andare a lavorare», disse, ma senza fare alcun tentativo per alzarsi. Restò lì, con le ginocchia raccolte sotto il mento e le braccia attorno alle gambe.

«Dove ha messo l'arma, Mrs Henderson?»

«Margaret non può lasciare prima del mio arrivo, quindi non posso far tardi. Margaret deve prendere un bambino all'asilo...».

Logan guardò gli agenti; fece loro un cenno con la testa e i due si allon-tanarono, per fare una rapida ispezione preliminare.

«Si era sporcata gli abiti di sangue, vero?».

Trasalì, ma non proferì parola.

«Aveva deciso di vendicarsi per quello che aveva fatto a sua figlia?», chiese Logan.

Ancora silenzio.

«Mrs Henderson, è stata registrata sui video di sorveglianza dell'ospedale».

Continuò a fissare un punto sulla moquette sul quale non aveva passato l'aspirapolvere.

«Signore?».

Logan alzò lo sguardo e vide uno degli agenti sulla soglia del soggiorno tenendo stretti alcuni capi di vestiario. C'erano un paio di jeans, un maglione da rugby, un paio di calze e uno di scarpe da ginnastica, tutte rese quasi bianche dalla candeggina.

«Ho trovato questa roba in cucina, su un termosifone. È ancora umida».

«Mrs Henderson?».

Silenzio.

Logan sospirò. «Michelle Henderson, la dichiaro in arresto per l'omicidio di Bernard Duncan Philips».

Duthie Park era un parco ben curato sulla sponda nord del fiume Dee, con tanto di laghetto perle anatre, palco per la banda e un'imitazione dell'obelisco di Cleopatra. Era un posto molto frequentato da genitori con bambini, per le zone alberate e per gli ampi spazi aperti che offriva. E mostrava segni di vita anche coperto da trenta centimetri di neve; qua e là si vedevano pupazzi di neve, immobili e silenti guardiani, signori di tutto ciò che sorvegliavano.

Il bambino scomparso si chiamava Jamie McCreath e avrebbe compiuto quattro anni tra due settimane, l'antivigilia di Natale. Era venuto al parco con sua madre, una donna sconvolta sui venticinque anni, dai lunghi capelli del colore di foglie d'autunno e un cappellino pompom con un tassello dorato in cima. Era seduta su una panchina nel padiglione dei Winter Gardens e piangeva, stravolta; al suo fianco un'altra donna con un bambino nel passeggino stava facendo del suo meglio per confortarla.

Il padiglione dei Winter Gardens, un'enorme struttura vittoriana in acciaio pitturato bianco che reggeva tonnellate di vetro e che proteggeva i cactus e le palme dalla neve e dal gelo di fuori, era pieno di agenti in divisa.

Logan trovò l'ispettore Insch su un ponticello che collegava le due sponde di un laghetto pieno di pesci rossi color oro e rame. «Signore?»

Insch girò appena la testa. «Ce ne hai messo del tempo!», borbottò, scuro in viso e con un'espressione che lo faceva sembrare grosso e impotente.

Logan decise di non reagire alla provocazione. «Mrs Henderson non parla. Ma su un termosifone abbiamo trovato tutti gli indumenti che indossava. Lavati e candeggiati al punto da ridurli in brandelli».

«Identification Bureau?», chiese Insch.

«Ho chiesto loro di esaminare accuratamente la lavatrice e la cucina.

Quegli indumenti saranno stati saturi di sangue. Ne troveremo qualche traccia».

L'ispettore annuì, perso nei suoi pensieri. «Almeno abbiamo qualcosa in mano», disse dopo qualche istante. «Mi ha telefonato il questore: questo è l'ultimo bambino che scompare. Quattro dei migliori detective della Lothian and Borders Police sono per strada in questo momento».

Logan emise un gemito di sconforto. Ci mancava anche questa.

«Già», disse Insch. «Vengono a insegnare a noi poveri poliziotti di provincia come si fanno le cose».

«Cosa è successo?».

L'ispettore fece spallucce. «Tanta pubblicità e pochissimo progresso».

«No, dicevo qui». Logan indicò la vasta distesa di piante sotto il tetto vetrato del padiglione. «Come è scomparso il bambino?»

«Ah... bene». Si raddrizzò e indicò l'entrata, seminascosta dietro una macchia di vegetazione tropicale. «Madre e bambino entrano nel padiglione alle 11,55. Al piccolo Jamie non piace la gabbia degli uccelli tropicali, lo spaventano; ma gli piacciono i pesciolini. Quindi viene qui e si siede sul ponticello e guarda i pesciolini che nuotano nel laghetto. La madre vede un'amica, la saluta e si mettono a chiacchierare. Parlano per circa quindici minuti e quando si gira Jamie è scomparso. Allora comincia a cercarlo, affannosamente». Con la mano indicò il sentiero che circondava il laghetto.

«Introvabile. Però ha letto i giornali e visto la TV; viene presa dal panico e comincia a urlare. L'amica telefona al 999 col suo cellulare ed eccoci qua».

Si fece ricadere la mano al fianco. «Abbiamo quattro squadre nel padiglione che stanno guardando dappertutto, sotto ogni cespuglio, ogni ponte, ogni deposito materiali. Dappertutto. Altre due squadre sono là fuori», in-clinò la testa verso l'esterno del padiglione. «Stanno arrivando rinforzi, che destineremo alle ricerche nel parco».

Logan annuì. «Cosa pensa lei, signore?».

Lentamente Insch appoggiò i gomiti sul parapetto del ponticello di legno, col viso preoccupato, guardando i pesciolini che nuotavano nel sottostante laghetto. «Vorrei tanto pensare che si è solo allontanato, annoiato; o che sta costruendo un pupazzo di neve da qualche parte... ma dentro di me? Penso proprio che lo ha preso». Sospirò. «Lo ha preso e lo ucciderà».