CAPITOLO 15

Davanti al bungalow di Darren Caldwell c'era un'auto della polizia, fari spenti e motore che girava al minimo. In casa, uno degli agenti requisiti al-la Centrale da Logan stava leggendo a Darren i suoi diritti prima di arrestarlo, mentre la madre singhiozzava sul sofà. E il piccolo Richard Erskine dormiva profondamente.

Sospirando, Logan uscì di casa nella pioggerella. Erano in troppi, nel soggiorno; e cominciava a compatire il povero Darren. Era poco più di un ragazzo e aveva soltanto voluto vedere il suo bambino. Magari tenerlo qualche giorno a casa sua. Voleva vederlo crescere. E invece si sarebbe trovato con una fedina penale imbrattata; e molto probabilmente sarebbe anche stato diffidato dall'avvicinarsi a suo figlio.

Il respiro di Logan si tramutava in nuvolette di nebbia. La temperatura scendeva. Non aveva ancora deciso quali provvedimenti prendere nei confronti del datore di lavoro di Darren. Gli aveva fornito un falso alibi, il che corrispondeva a sviare il corso della giustizia. Non che adesso facesse alcuna differenza: avevano trovato il bambino. Alibi o no, Darren era stato preso con le mani nel sacco.

Ciononostante, sviare il corso della giustizia era un reato non da poco...

Si mise le mani in tasca e guardò per la strada. Case silenziose, tendine tirate, qualcuna che ogni tanto si spostava; vicini ficcanaso che cercavano di scoprire cosa stesse succedendo in casa Caldwell.

Un'ammonizione? Oppure un verbale?

Rabbrividì e si accinse a tornare in casa. Diede un'ultima occhiata al piccolo giardino con le sue rose striminzite, alla Renault Clio, alla Volvo blu.

D'impulso, tirò fuori il suo cellulare e compose il numero del Broadstane Garage, ricordandolo.

Cinque minuti dopo si trovava con Darren in cucina, avendo mandato gli altri agenti a bere il loro tè nel soggiorno. Darren si era appoggiato al lavandino, con le spalle curve, guardando al buio del giardino al di là della sua immagine riflessa nel vetro. «Andrò in prigione, vero?». La domanda venne fuori come un bisbiglio.

«Darren, sei sicuro di non voler cambiare la tua deposizione?».

Darren scosse la testa, sguardo a terra. «No, l'ho fatto e ne pagherò le conseguenze». Si passò una mano sul volto e tirò su col naso. «Sono stato io; l'ho preso io».

Logan si appoggiò al muro di fronte a Darren.

«So che non sei stato tu».

«Sono stato io!».

«Tu eri al lavoro. La Volvo che stavi riparando era quella di tua madre.

Ho chiamato il garage e ho controllato il numero di targa. Tu le hai prestato la tua Clio. È stata lei a prendere tuo figlio, non tu».

«Sono stato io! Ve lo ripeto, sono stato io!».

Logan non rispose; il silenzio tra loro due divenne sempre sempre più intenso. Nel soggiorno qualcuno aveva acceso il televisore, la sottile parete divisoria non ne attutiva completamente il rumore.

«Darren, sei sicuro di voler fare questo?».

Darren annuì.

Tornarono alla Centrale in silenzio, con Darren Caldwell che guardava il passar delle case dal finestrino. Logan lo consegnò al sergente addetto alla custodia, osservando mentre le tasche di Darren venivano vuotate e il loro contenuto messo in un vassoio blu, il tutto ben elencato e firmato, assieme alla cinghia dei pantaloni e i lacci delle scarpe. Sul volto di Darren si vedevano perline di sudore, e aveva gli occhi pieni di lacrime. Logan cercò di non sentirsi in colpa.

Nel silenzio della Centrale Logan si recò alla reception. Big Gary era al telefono. «No, signore, no... giusto. Ha ragione... sono sicuro che non è stato piacevole... tutto sui pantaloni, dice?... Sì, sì, sto prendendo nota di tutto ciò che lei mi dice...». E invece no. Stava disegnando un uomo in doppiopetto che veniva investito da un'auto della polizia guidata da un omone sorridente. L'omone che guidava somigliava a Big Gary e l'uomo in doppiopetto somigliava al penalista amato da tutti quelli della Centrale.

La vignetta fece sorridere Logan. Si appoggiò all'orlo della scrivania e ascoltò il resto della conversazione.

«Oh, sì... ha perfettamente ragione... sì, sono d'accordo... Peccato, peccato... no, non credo, signore». Scarabocchiò "Stronzo pieno di boria" sul foglio e lo accentuò con delle freccette che puntavano all'uomo in doppiopetto.

«Sì, signore... darò disposizioni affinché tutte le nostre autopattuglie cerchino il colpevole. Lo farò subito... appena finita questa telefonata. Sì, signore. Buona notte, signore». Continuò, mettendo a posto la cornetta:

«Appena il sindaco viene qui a fare dei pompini gratis».

Logan prese il blocco notes di Gary ed esaminò il disegno. «Gary... non sapevo che tu fossi un vignettista».

Gary sorrise. «Sandy Scivoloso: qualcuno gli ha rovesciato addosso un secchio di sangue, lo ha chiamato "brutto bastardo, amico degli stupratori"

ed è sparito».

«Quanto mi dispiace!».

«A proposito, ci sono dei messaggi per te; un certo Mr Lumley. Nelle ultime due ore avrà chiamato sei volte. Voleva sapere se abbiamo trovato suo figlio. Il povero diavolo era sconvolto».

Logan sospirò. Le squadre avevano concluso il turno: non c'era niente che potesse fare fino all'indomani. «Hai rintracciato l'ispettore Insch?», chiese.

Gary scosse la testa, facendo ciondolare il doppio mento. «Impossibile».

Controllò l'orologio e continuò: «Lo spettacolo finisce tra cinque minuti e all'ispettore non piace essere disturbato quando è in scena. Ti ho mai raccontato di quella volta che...».

Big Gary fu interrotto dall'improvviso sbatacchiare della porta della reception: l'ispettore Insch entrò come una furia, una folata rossa e oro, con le babbucce che gli cigolavano sulle mattonelle della reception. «McRae!»

urlò, col volto arrabbiatissimo sotto uno spesso strato di cerone. Aveva una mosca di barbetta finta e un enorme paio di baffoni finti. Si tolse il tutto con un solo strappo. Il cerone sul volto gli terminava a una riga sulla fronte, dove portava il turbante. Le luci dell'ingresso gli rendevano ancor più lucida la pelata.

Logan si tirò sull'attenti. Aprì la bocca per chiedergli com'era andato lo spettacolo ma l'ispettore Insch lo anticipò. «Sergente, a quale fottutissimo e infernale giochetto credi di giocare?». Si tolse gli orecchini a molla e li sbatté sulla scrivania. «Chi ti ha autorizzato a requis...».

«Richard Erskine», lo interruppe Logan. «Lo abbiamo trovato».

Sotto il cerone, tutta la rabbia che l'ispettore aveva in volto svanì. «Co-sa?»

«Non è morto. Lo abbiamo trovato».

«Mi stai contando frottole?»

«No, signore. Lo abbiamo trovato. La madre lo sta portando qui. Tra venti minuti ci sarà una conferenza stampa». Fece un passo indietro ed esaminò il costume rosso e oro da "cattivo" dell'ispettore. «Vestito così sarà uno schianto in televisione».

Il mercoledì cominciò presto per Logan McRae. Il telefono squillava già, alle 5,45. Ancora pieno di sonno, Logan uscì da sotto il piumone e spense la sveglia. Ma lo squillo continuò. Guardò l'ora, disse un paio di parolacce e si ricoprì col piumone, fregandosi la faccia con una mano, cercando di svegliarsi. Il telefono continuò a squillare.

«Vaffan...», borbottò.

Lo squillare continuò.

Logan si trascinò nel soggiorno, afferrò la cornetta e: «Chi è?», urlò.

«Sergente, devo dire che ha proprio delle belle maniere al telefono», rispose una voce che Logan riconobbe dal suo accento di Glasgow. «Mi apre la porta o no? Mi sto gelando le palle qua fuori!».

«Cosa?».

Il campanello all'ingresso fece din-don e Logan bestemmiò ancora.

«Aspetti», borbottò nel telefono prima di rimetterlo a posto e barcollando uscì dal suo appartamento, giù per le scale del piccolo condominio e a-prì il portoncino d'ingresso. Fuori era ancora buio pesto, ma non pioveva.

Invece tutto era coperto da una sottile patina di ghiaccio, che rifletteva le gialle luci dell'illuminazione stradale. Colin Miller era sul gradino dell'ingresso, con un cellulare in una mano e una borsa di plastica nell'altra. Co-me al solito, vestito impeccabilmente: doppiopetto grigio scuro e cappotto nero.

«Cristo, se fa freddo!», le parole vennero fuori in nuvolette di vapore.

«Allora; mi fa entrare o mi fa gelare qui?». Alzò la borsa di plastica. «Ho portato la colazione».

Logan sbirciò nel buio della strada. «Miller, sa che ore sono?»

«Sì. E adesso mi lasci entrare, prima che questa merda si raffreddi».

Si sedettero al tavolo in cucina, Logan tornando lentamente tra i vivi mentre Miller, dopo aver acceso il gas sotto il bollitore dell'acqua, tirava fuori dai pensili sopra il lavandino tazze, piattini e tutto il necessario per la colazione. «Ha del caffè?», chiese a Logan. «Dico... vero caffè?», chiudendo un'anta e aprendone un'altra.

«No, solo liofilizzato».

Miller sospirò e scosse la testa. «Questa è una dispensa da terzo mondo... E va bene, farò uno sforzo e berrò quella porcheria...». Prese due tazzoni e ci mise dentro il caffè e lo zucchero. Tirò fuori un tetrapak aperto di latte parzialmente scremato dal frigorifero e lo annusò con sospetto: si accertò che non fosse andato a male e lo mise sul tavolo assieme a una va-schetta di burro pronto da spalmare.

«Non sapevo cosa prendesse lei a colazione e quindi ho portato brioches, salsicce in sfoglia, pasticcio di carne e Aberdeen rowie1. A proposito: noi due finiremo con l'avere contatti sempre più frequenti. Penso che potrem-mo cominciare a darci del tu. Cosa dici?».

Logan fece un cenno d'assenso. Mise una mano nella borsa e ne tirò fuori una rowie; l'aprì, la spalmò di burro e l'addentò con gusto, mugolando dal piacere.

«Proprio non capisco come tu possa mangiare quelle porcherie», disse Miller. Versò l'acqua bollente nei tazzoni, vi aggiunse il latte e ne porse uno a Logan. «Sai cosa c'è dentro?».

Logan annuì. «Rowie? Farina, grasso, sale».

«No, non grasso: strutto. Solo un Aberdoniano poteva inventare un panino che sembra merda di mucca. In quel coso che stai mangiando c'è mezza tonnellata di sale e mezza tonnellata di grasso animale saturo! E poi vi chiedete perché morite tutti d'infarto a cinquant'anni!». Tirò fuori una brioche dalla borsa e ne ruppe un pezzo. Lo spalmò di burro e marmellata e lo intinse nel caffellatte.

«Da che pulpito!», rispose Logan. «E voi di Glasgow che avete inventato la pizza fritta?»

«È vero... siamo pari».

Logan aspettò che Miller ripetesse la manovra con un altro pezzo di brioche; aspettò che avesse la bocca piena e gli chiese perché lo aveva tirato giù dal letto a quest'ora ingrata.

«Perché? È forse vietato per un amico andare a trovare un altro amico per fare colazione insieme? È un gesto sociale!».

«E poi?».

Il giornalista fece spallucce. «Sei stato bravo ieri sera». Mise la mano nella borsa e ne tirò fuori un'altra brioche e una copia del giorno del «Press and Journal». In prima pagina c'era una foto della conferenza stampa: Eroico poliziotto trova bambino scomparso diceva il titolo a grandi lettere.

«Hai trovato quel bambino tutto da solo. Come hai fatto?».

Logan prese una tartina alla carne dalla borsa, e notò che era ancora calda. L'addentò, cospargendo il giornale con briciole di sfoglia, mangiando e leggendo allo stesso tempo. Dovette ammetterlo: era un buon articolo. Non c'era granché come dati di fatto, ma Miller era riuscito a usare i pochi dati che aveva, inserendoli abilmente nell'articolo e rendendolo così più interessante. Non era difficile capire perché Colin Miller fosse il golden boy del «Press and Journal». Era riuscito a inserire nell'articolo anche un breve riassunto della cattura del mostro di Mastrick, per far sapere a tutti che il sergente Logan McRae era ben degno del titolo di "Eroico poliziotto".

«Sono sorpreso», disse Logan quand'ebbe finito di leggere. Miller sorrise, aspettandosi un complimento. «Non c'è neanche un errore di grammatica o di ortografia».

«Spiritoso!».

«E allora? Perché sei qui?».

Miller appoggiò i gomiti sul tavolo, con le mani intorno al suo tazzone di caffè. «Logan, sai benissimo perché: voglio quelle cose che non avete detto. Voglio l'esclusiva. Questa roba...», toccò con l'indice la foto sulla prima pagina del giornale, «ha vita corta. Durerà oggi, domani e poi...

puff! Nessuno se ne ricorderà più. Il bambino è stato trovato sano e salvo, ed era stato il padre a portarlo via. Roba domestica. Niente sangue e budella. Niente roba da scioccare i lettori. Se il bambino fosse stato trovato morto la storia sarebbe andata avanti per settimane. Ma come stanno le cose, dopodomani nessuno vorrà più saperne».

«Piuttosto cinico».

Miller strinse le spalle. «Dì quel che vuoi, ma è così».

«È per questo che sei antipatico a tutti i tuoi colleghi?».

Il giornalista non batté ciglio. Si mise in bocca un altro pezzo di pane e cominciò a masticare. «Sai com'è... a nessuno piace uno sveglio, qualcuno che mette in evidenza la loro incapacità». Si sforzò di parlare con accento aberdoniano «non fai il gioco di squadra!»; «quassù facciamo le cose diversamente!»; «continua così e ti butto fuori!». Lo so, non piaccio a tanta gente, ma sapessi quanto mi dispiace! Intanto stampano quel che scrivo, giusto? Da quando sono qua ho avuto più prime pagine io che quei vecchi rimbambiti hanno avuto in tutte le loro vite!».

Logan sorrise a se stesso. Lo aveva punto nel vivo.

«Allora», disse Miller mandando giù l'ultimo morso dell'ultima brioche.

«Mi dici come hai fatto a trovare il bambino?»

«Ma neanche...! Sono già stato sottoposto a un interrogatorio di terzo grado da quelli degli Standard Professionali, che stanno cercando di scoprire chi ti ha fatto la soffiata sul ritrovamento del cadavere di David Reid!

Se scoprono che do informazioni alla stampa senza previa autorizzazione mi spelleranno vivo».

«Come hai fatto ieri?», chiese Miller con aria innocente.

Logan si limitò a guardarlo.

«Va bene, va bene», continuò Miller, raccogliendo i resti della colazione dal tavolo. «Ho capito. Quid pro quo, ci stai?»

«Mi devi dire chi ti dà queste informazioni».

«Logan, sai benissimo che non te lo dirò». Mise nel frigorifero il latte e il burro. «A proposito. Quelle informazioni che ti ho dato ieri... sono servi-te a qualcosa?»

«Sì... stiamo indagando», mentì Logan. Il fottutissimo cadavere nella ba-ia! Mr Senzarotule! Dopo la strigliata ricevuta dall'ispettore Insch per aver parlato alla stampa, Logan aveva completamente dimenticato di andare a riferire all'ispettore responsabile delle indagini su Mr Senzarotule!

«Va bene, tu adesso ti vai a fare una chiacchierata col tuo ispettore e gli chiedi il permesso di dirmi quel che voglio sapere; e io ti dirò cosa ho scoperto sugli ultimi movimenti di George Stephenson. Baratto equo, non ti pare?». Dal portafoglio tirò fuori un biglietto da visita fresco di stampa e lo mise sul tavolo. «Hai tempo fino alle 16,30. Bambino scomparso: come lo ha trovato il nostro eroico poliziotto. Dopodomani non sarà più notizia.

Chiamami quando sei pronto».

1 Specialità scozzese simile, per consistenza, al croissant (n.d.t.).