CAPITOLO 36
Tutte le autopattuglie in città tenevano gli occhi aperti per Martin Strichen. Conoscevano i particolari della sua tartassata Ford Fiesta. La scientifica aveva trovato tracce di sangue sulle cesoie da giardino: era dello stesso gruppo di David Reid. Se Strichen fosse stato in giro da qualche parte, lo avrebbero certo trovato.
Quattro ore e quarantacinque minuti dalla sparizione del bambino.
Tornati in Centrale l'ispettore Insch e il sergente McRae erano impegnati in uno spreco di tempo. Da Edimburgo erano arrivati i cervelloni della Lothian and Borders Police: due sergenti (CID), entrambi in eleganti vestiti blu, con camicie e cravatte in tinta, un ispettore (CID) con una faccia come un portacenere e uno psicologo che insisteva nel farsi chiamare "dottor"
Bushel.
Questo ispettore aveva diretto due casi con un serial killer e aveva arrestato il colpevole in entrambi i casi. Il primo, dopo che sei studenti erano stati trovati strangolati sul Carlton Hill, verso la parte est di Princes Street.
Il secondo dopo un lungo assedio nel centro storico. Niente superstiti: questa volta tre passanti e un agente erano passati a miglior vita. Logan concluse che come dimostrazione di abilità personale non fosse granché.
Il nuovo ispettore ascoltò con freddezza la relazione che Insch gli fece sul caso in corso. Interruppe Insch un paio di volte per porgli domande molto pertinenti. Che non fosse un idiota lo si capì subito. E fu colpito dal fatto che Insch e Logan fossero riusciti a scoprire l'assassino dopo la scoperta di appena due cadaveri.
Il dottor Bushel invece era così compiaciuto da rendersi stomachevole.
Martin Strichen era proprio come il profilo che lui aveva tracciato. Quello che diceva che «l'assassino è una persona con problemi mentali eccetera».
Non si rese conto, o fece finta di non rendersi conto, che il profilo da lui fornito non era servito a niente per l'identificazione di Strichen.
«E questo è dove ci troviamo adesso», concluse Insch, facendo un gesto di "ta-da!" con la mano e indicando il centro investigazioni.
Il collega di Edimburgo annuì. «Sembra che voi non abbiate alcun bisogno di aiuto da noi», disse con voce bassa, con appena una traccia di accento di sud Fife. «Avete identificato il vostro uomo, avete le squadre in strada per la cattura. Non vi resta altro che aspettare. Prima o poi si farà vivo».
"Prima o poi" non andava bene all'ispettore Insch. Prima o poi significava che Jamie McCreath sarebbe andato sulla lista dei morti.
Il dottore si alzò e andò a esaminare le foto scattate alle scene dei reati, attaccate al gran tabellone di sughero su una parete del centro investigazioni. Ogni tanto si lasciava sfuggire un criptico «Hmm...» e «Vedo...».
«Dottore», chiese l'ispettore. «Può azzardare un'ipotesi su dove si farà vivo?».
Lo psicologo si girò sorridendo, con la luce che si rifletteva sui suoi occhiali rotondi. «Quest'uomo non ha fretta», disse. «Se la prenderà comoda.
Non dimentichiamo che sta facendo qualcosa che ha pianificato e pro-grammato da molto tempo».
Logan diede all'ispettore Insch un'occhiata eloquente. «Non crede», disse rivolgendosi al dottore e scegliendo attentamente le parole, «che il comportamento del nostro uomo sia la reazione a eventi recenti? Come il clas-sico colpo di martelletto al ginocchio?».
Il dottor Bushel lo guardò come se fosse un bambino mentalmente ritar-dato, ma uno col quale era disposto a essere condiscendente. «Si spieghi».
«Strichen è stato violentato da Gerald Cleaver quando aveva undici anni.
Sabato scorso Gerald Cleaver è stato dichiarato innocente. Il giorno dopo abbiamo trovato il cadavere di Peter Lumley, prima che Strichen potesse tornare per mutilarlo. Oggi la televisione è piena di annunci che pubbliciz-zano la storia venduta da Cleaver a un giornale. Strichen non riesce a gestire gli eventi e va in tilt».
Il dottore sorrise con condiscendenza. «La sua è una teoria interessante», disse. «Ma il profano spesso interpreta male i segni. Qui ci sono dei segni, dei pattern, che solo l'occhio di un esperto può notare. Strichen è un criminale molto organizzato. Cerca di evitare con gran cura che i resti delle sue vittime vengano scoperti. Ha un profondo senso del rituale, in un mondo di fantasia, e i suoi rituali gli impongono di agire secondo un suo codice ben definito. Se non lo fa non è altro che un altro mostro che insidia bambini.
Vede...», continuò, lanciato a ruota libera, «Strichen si vergogna di quello che fa...», disse indicando una foto dell'inguine di David Reid, scattata do-po l'autopsia. «Finge che il bambino non sia un maschietto, rimuovendone i genitali. Ripete a se stesso che il reato che sta commettendo è meno ne-fando, in quanto non sta violentando un maschietto». Si tolse gli occhiali e se li pulì con l'estremità della cravatta. «No, Martin Strichen vuole essere in grado di giustificare le sue azioni, anche se solo a se stesso. Ha i suoi rituali e li osserverà. Farà le cose con calma».
Logan tacque, fino a quando l'ispettore accompagnò gli ospiti alla mensa. Quando tornò ed erano soli si sfogò. «Che gran coglionate!».
Insch annuì, rovistandosi nelle tasche per l'ennesima volta. «Sarà. Ma con le sue coglionate quell'uomo ha contribuito a far mettere al fresco quattro criminali, recidivi, tre dei quali assassini. Non sa come trattare le persone che gli stanno intorno, ma è molto esperto».
Logan sospirò. «E adesso? Cosa facciamo?».
Insch smise di rovistare per qualcosa che non c'era; affondò le mani nelle tasche dei pantaloni e si appoggiò col sedere alla scrivania. «Adesso?», rispose. «Adesso non possiamo far altro che aspettare e sperare che la fortuna ci sorrida».
In piena estate la vista dalle finestre sul retro: una striscia di terreno incolto, ma verde comunque, con qualche macchia di arbusti qua e là, carez-zata dal sole, con vista fino all'orizzonte e con la grigia spianata di Bucksburn nascosta dalla ripida scarpata della cava. In condizioni ideali, e se le cartiere di Bucksburn non stavano riempiendo l'aria di nuvole di vapore saturo di strani odori chimici, i pendii collinari, i campi e i boschi sull'altra sponda del Don splendevano come gioielli. Un paradiso bucolico, lontano dai rumori del traffico della superstrada che attraversava la vallata sottostante.
Ma adesso niente di tutto questo era visibile. La nevicata era diventata una bufera; e dalla finestra di una stanza al piano superiore l'agente Watson non riusciva a vedere oltre la staccionata del giardino sul retro. Sospirò, e girate le spalle alla bufera che imperversava, tornò al piano terra.
La madre di Martin Strichen era rannicchiata in una poltrona dalla festo-sa copertura in rose e papaveri. Una sigaretta le pendeva da un angolo della bocca e tanti mozziconi già erano nel portacenere che aveva vicino. Il televisore era acceso: trasmettevano una soap opera. Watson le odiava, ma piacevano al Simon Bastardo Rennie. Era lì sul divano a rose e papaveri e fissava rapito lo schermo, mandando giù tazze di tè, una dopo l'altra.
Sul tavolinetto da caffè c'era un pacchetto di Jaffa cakes, quasi vuoto. La Watson prese gli ultimi due e andò a sistemarsi vicino alla stufetta elettrica a due sbarre, decisa a scaldarsi, anche se i suoi pantaloni avessero preso fuoco. In quella casa si gelava. Come gesto di riguardo ai suoi ospiti Mrs Strichen aveva acceso la stufetta ma non senza lamentarsi vivamente. L'e-lettricità costa, sapete? E lei non ce la faceva a sbarcare il lunario, con quel bastardo che non portava un soldo in casa. Il figlio di Mrs Duncan, giù nella strada, quello sì che era un ragazzo in gamba! Era uno spacciatore; portava a casa dei gran soldi e andavano in vacanza all'estero due volte all'an-no. È vero che adesso stava scontando tre anni a Craiginches per possesso con spaccio, ma almeno ci provava, no?
Quando il retro dei suoi pantaloni diventò insopportabilmente caldo, l'agente Watson andò in cucina a far bollire l'acqua per fare il tè. Ancora. Innumerevoli tazze di tè erano l'unico modo di scaldarsi un po' in quella ca-sa-frigorifero.
La cucina non era molto grande; appena un quadrato di linoleum con un tavolo al centro e piani di lavoro lungo le pareti. Il tutto ingiallito dalla nicotina. Watson prese tre tazzoni dall'asciugatoio e li sbatté sul tavolo, senza fregarsene se li avesse sbeccati. Tre bustine di tè. Acqua bollente. Zucchero. Ma solo latte per due. «Merda», le scappò. Ma voleva il suo tè, aveva troppo freddo. L'agente Rennie avrebbe dovuto prenderlo senza latte.
Portò le tazze nel soggiorno e ne mise giù due sul tavolinetto. Mrs Strichen afferrò la sua senza neanche bisbigliare un grazie. L'agente Rennie cominciò «Oh, che bel...», prima di accorgersi che non c'era latte nella sua. Rivolse alla collega uno sguardo implorante, da cucciolo smarrito.
«Lascia perdere le smancerie», gli rispose lei. «Non c'è più latte».
Rennie guardò il liquido nerastro nel suo tazzone. «Ne sei sicura?»
«Neanche una goccia».
«La volete smettere? Sto cercando di seguire questo programma!», sibilò Mrs Strichen mandando fuori una nuvola di fumo dai denti stretti.
Sullo schermo un attore con un testone e la barba stava guardando la TV
e bevendo una tazza di tè. L'agente Rennie diede un'altra occhiata alla sua tazza. «E se ne andassi a comprare una bottiglia?», propose. «Magari anche dei biscotti?». Specialmente ora che la Watson aveva mangiato gli ultimi Jaffa cakes.
«Insch ci ha detto di aspettare qui», rispose lei sospirando.
«Sì, ma sappiamo che Martin non tornerà a casa. E ci metterò... cinque, dieci minuti al massimo? C'è questo negozietto all'angolo...».
Mrs Strichen questa volta arrivò anche a togliersi la sigaretta dalle labbra. «La finite o no?».
Passarono dal soggiorno all'ingresso.
«Ascolta, sarò velocissimo. E sono sicuro che tu sei capacissima di stenderlo da sola, se dovesse venire! E non dimenticare che ci sono due delle nostre civette in strada».
«Lo so, lo so...». Diede un'occhiata nel soggiorno, dove la luce del televisore illuminava la sinistra faccia di Mrs Strichen. «Ma non mi piace tra-sgredire gli ordini dell'ispettore».
«Se tu non lo dirai a nessuno, non lo dirò neanch'io». L'agente Rennie afferrò un cappottone dall'attaccapanni nell'ingresso. Puzzava di patate fritte, ma gli avrebbe dato un po' di protezione. «Me lo dai un bacino per buona fortuna?»
«Neanche se tu fossi l'ultimo uomo in terra». Lo spinse verso la porta.
«E compra anche delle patatine. Al gusto di sale e aceto».
«Sì, signora, capo, boss». Abbozzò un saluto e uscì.
La porta si chiuse alle spalle dell'agente Rennie e l'agente Watson tornò nel soggiorno a bere il suo tè e a guardare la pizza che la TV stava trasmettendo.
L'elenco degli edifici affidati alla manutenzione del reparto "Parchi e giardini" della municipalità della città di Aberdeen, in qualità di proprietari o di affittuari, era enorme. L'avevano ricevuto a mezzo fax da un dipendente, per niente contento di essere stato richiamato in ufficio alle 18,45.
Ognuno di questi edifici doveva essere visitato e perquisito: il dottor Bushel era stato inflessibile; era convintissimo che Strichen avrebbe portato il bambino in uno di questi posti.
Logan non si scomodò neanche per fargli notare quanto fosse ovvia la sua deduzione.
Ma le probabilità di scegliere l'edificio giusto dalla lista erano, a dir po-co, tenui. Il bambino non sarebbe stato trovato in tempo. Jamie McCreath non avrebbe festeggiato il suo quarto compleanno.
Cercando di ridurre la lista a dimensioni più accettabili, Logan chiese all'impiegato di indicargli quegli edifici nei quali Martin Strichen aveva scontato le sue ore di lavoro per la comunità. E questa lista risultò lunga quasi quanto la prima. Strichen aveva cominciato a mettersi nei pasticci all'età di undici anni. Cioè, da quando Gerald Cleaver gli aveva messo le mani addosso. Martin aveva scontato il suo tempo raccogliendo foglie morte, potando siepi, spruzzando diserbante e sbloccando gabinetti intasati in quasi tutti i parchi della città.
Partendo in ordine cronologico inverso Logan avviò le ricerche cominciando dai posti nei quali Martin Strichen aveva prestato servizio recentemente. Dopodiché avrebbero continuato a ritroso nell'elenco. Se la dea bendata avesse dato loro una mano avrebbero trovato il bambino prima che Martin gli facesse del male. Ma in cuor suo Logan sapeva che non sarebbe andata così. Martin Strichen sarebbe stato trovato tra un paio di giorni, dalle parti di Stonehaven o Dundee. Di certo non sarebbe rimasto ad Aberdeen. Specialmente adesso che la sua foto era su tutti i giornali, in TV, e i suoi dati e connotati trasmessi per radio. Lo avrebbero preso e prima o poi lui li avrebbe accompagnati dove aveva nascosto il cadavere del bambino assassinato.
«Come vanno le cose?».
Logan alzò gli occhi e vide l'ispettore Insch sulla soglia del suo piccolo ufficio. Nel centro investigazioni circolava troppa psicologia per i gusti di Logan; e la quiete del suo piccolo ufficio gli aveva permesso di organizza-re le squadre per le ricerche.
«La ricerca è avviata».
Insch annuì e passò a Logan un tazzone di caffellatte. «Non mi sembri pieno di speranza», disse, appoggiandosi alla scrivania e dando un'occhiata alla lista dei possibili luoghi di ricerca.
Logan ammise di non esserlo. «Non c'è più altro da fare. Le squadre hanno i loro ordini; sanno dove devono recarsi e qual è il prossimo luogo di ricerca. Adesso o lo trovano o non lo trovano».
«Ma tu vorresti essere là fuori con loro, vero?»
«Perché, lei no?».
L'ispettore sorrise, un sorriso triste. «Sì... sì che vorrei essere là fuori.
Purtroppo devo fare da babysitter ai nostri illustri ospiti di Edimburgo.
Uno dei privilegi del grado». Si staccò dalla scrivania e diede una pacca di commiato alla spalla di Logan. «Ma tu sei solo un sergente». Gli strizzò l'occhio. «Datti una mossa e vai con le squadre di ricerca».
Logan firmò per una Vauxall dal parco auto del CID e uscì dal parcheggio. Era buio; erano quasi le 19,00. Il traffico del mercoledì sera era leggero, la maggior parte della gente era andata direttamente a casa dal lavoro e il tempo inclemente li aveva tenuti là. Solo una manciata di imprudenti andavano da un pub all'altro, sotto le luci degli addobbi natalizi.
Col diminuire dell'intensità del traffico la neve stava conquistando terreno. Come Logan si allontanava dalla Centrale, l'asfalto nero e lucido del centro città diventava grigio e poi bianco.
Andava in giro senza una destinazione precisa; guidava solo per avere qualcosa da fare. Un altro paio di occhi che cercavano l'auto di Martin Strichen.
Andò su per Rosemount, fece un giretto dalle parti di Victoria Park e le strade circostanti, senza mai uscire dall'auto. Con la neve che vorticava a centoquaranta chilometri all'ora e la temperatura sotto zero, Martin Strichen non avrebbe parcheggiato molto lontano dalla sua destinazione. Specialmente tirandosi dietro un bambino.
Non c'era alcun segno della lebbrosa Ford Fiesta di Martin nelle vicinanze di Victoria Park, quindi Logan provò Westburn Park. Era più vasto, con tante stradine e vialetti che lo attraversavano in tutte direzioni. Logan guidava lentamente nella bufera che imperversava, cercando di scoprire dove Martin avrebbe potuto nascondere la sua auto.
Niente.
Si prospettava una notte lunga.
L'agente Watson continuava a guardare dalla finestra della cucina che dava sul retro della casa. Il vento alzava la neve che si era appena posata e la riportava in aria, facendola girare a mulinelli nei piccoli giardini delimi-tati da staccionate. L'agente Rennie era uscito da un quarto d'ora e da quel momento la noia dell'attesa si era trasformata in preoccupazione. Non era preoccupata dalla possibilità di un improvviso e imprevisto ritorno di Martin Strichen; come aveva detto Simon Bastardo Rennie, lei sarebbe stata in grado di immobilizzarlo. Modestia a parte, si sentiva capace di far vedere i sorci verdi a più d'uno che volesse provarci. Il soprannome del quale era segretamente orgogliosa, se l'era conquistato sul campo. No, era preoccupata per... non sapeva neanche lei chi o cosa la preoccupasse. Forse perché era stata tagliata fuori dalle indagini e lasciata qui ad affrontare un «non si sa mai»? Avrebbe voluto essere lì fuori, con gli altri, in prima linea. Non qui, a guardare soap opera e bere tè. Sospirò e spense la luce della cucina, guardando la neve.
Sussultò quando sentì il click; proveniva dalla porta d'ingresso.
Rabbrividì. Era tornato! Quel cretino era tornato a casa come se non fosse successo niente. Sorrise a se stessa e passò dalla cucina buia nell'altrettanto buio ingresso.
La maniglia della porta scricchiolò e lei si preparò all'attacco. La porta si aprì e Watson afferrò l'uomo che stava entrando, sbilanciandolo e facendogli perdere l'equilibrio. Lo scaraventò con forza per terra e gli si buttò addosso, con la destra stretta a pugno.
L'uomo gridò e si parò la faccia con le mani. «Aaaaaaa!».
Era Simon Bastardo Rennie.
«Oh...», disse la Watson, rilassando la destra e accovacciandosi vicina al collega. «Scusa, Simon!».
«Cristo, Jackie!», rispose lui, ancora stordito dalla caduta. «Se volevi rompermi le ossa, bastava che tu me lo chiedessi!».
«Pensavo che tu fossi qualcun altro». Si alzò. «Ti ho fatto male?»
«Credo che dovrò cambiarmi le mutande, ma a parte quello, no».
Gli chiese ancora scusa, lo aiutò ad alzarsi e lo accompagnò in cucina con la borsa della spesa.
«Ho preso anche tre brodini liofilizzati», disse vuotando il contenuto del sacchetto di plastica sul tavolo. «Cosa preferisci: pollo con funghi, manzo al pomodoro o curry?».
Watson scelse il pollo, Rennie il curry: la megera Mrs Strichen avrebbe dovuto accontentarsi di quel che era rimasto. Mentre i tre brodini si ricosti-tuivano in tre tazzoni di acqua bollente, l'agente Rennie raccontò a Watson quel che aveva scoperto andando al negozio. Una delle auto civetta era parcheggiata all'ingresso della strada, proprio dirimpetto al negozio dove lui era andato per rifornimenti, e aveva parlato per un paio di minuti con gli occupanti. Erano della stazione di Bucksburn e non erano per niente lieti della loro consegna, che ritenevano una perdita di tempo. Strichen non sarebbe tornato! Ma se fosse tornato lo avrebbero strapazzato un po', per averli fatti stare al freddo a girarsi i pollici.
«Ti hanno detto come sta andando la ricerca?», chiese la Watson mentre rimescolava il suo brodino.
«Zero. Tanti posti da perquisire e neanche la più pallida idea di dove potrebbe essere».
Watson sospirò, guardando la neve dalla finestra. «Sarà una notte lunga».
«Non mi preoccupa», rispose Rennie con un'espressione compiaciuta.
«La vecchia ha tante puntate della mia soap opera preferita registrate su videocassetta».
L'agente Watson emise un gemito. Chi aveva detto che peggio di così non poteva andare?
La Ford Fiesta di Martin Strichen non era in Wesburn Park. E Logan si chiese, non per la prima volta, se Martin non avesse addirittura preso la strada che portava fuori da Aberdeen. Ormai doveva sapere che aveva la polizia alle calcagna. Da quando aveva lasciato la Centrale Logan aveva sentito almeno una dozzina di appelli e richieste di informazioni alla radio.
Se lui fosse stato Martin Strichen a quest'ora sarebbe stato a metà strada per Dundee. Continuò a girare, ma dirigendosi sempre più verso la periferia della città.
Ogni tanto incontrava un'autopattuglia proveniente dalla direzione opposta, che lo cercava per le strade, come stava facendo lui. Forse era il caso di andare a dare un'occhiata dalle parti di Hazlehead? O magari Mastrick?
Ma sapeva che contava ben poco dove fosse andato a cercarlo. Il piccolo Jamie McCreath era quasi certamente già morto. Sospirando, svoltò in North Anderson Drive.
Il suo cellulare si fece sentire e Logan si fermò sul ciglio della strada, ur-tando il marciapiede con la ruota anteriore sinistra.
«McRae».
«Laz, carissimo! Come stai?».
Fottutissimo Colin Miller.
«Di cosa hai bisogno, Colin?», rispose con un pesante sospiro.
«Ho ascoltato la radio, ho letto i bollettini rilasciati dal vostro ufficio stampa. Cosa succede?».
Un pesante autotreno con rimorchio passò, mandando un'onda di neve e fango alta due metri a infrangersi lungo la fiancata dell'auto. Logan guardò le luci rosse di posizione che rimpicciolivano in lontananza.
«Sai benissimo cosa succede! Hai pubblicato la tua fottutissima storia e ci hai tolto la miglior possibilità che avevamo di catturare questo bastardo!». Logan sapeva benissimo che Colin lo aveva fatto senza sapere che la polizia intendeva tendere una trappola all'assassino, ma ora come ora non gliene fregava un tubo. Era stanco, frustrato e aveva bisogno di qualcuno a cui urlare la propria rabbia. «Ha rapito un altro bambino solo perché tu hai voluto dire al mondo intero che avevamo trovato un altro...». La voce diventò un bisbiglio e poi silenzio. Aveva finalmente visto una cosa che era sempre stata davanti ai suoi occhi. «Merda!», urlò picchiando la mano sul volante. «Merdamerdamerdamerda!».
«Cristo, Laz, sta calmo! Cosa è successo?».
Logan strinse i denti e picchiò ancora il volante.
«Laz, stai avendo un infarto o cosa?»
«Quando muore qualcuno tu sei sempre uno dei primi a saperlo, vero?
Sei sempre uno dei primi a sapere quando troviamo il cadavere di un altro bambino». Laz scosse la testa nell'amara delusione della scoperta, proprio mentre un altro autotreno transitava, scuotendo l'auto al suo passaggio.
«Laz?»
«Isobel».
Dall'altra parte ci fu un lungo silenzio.
«È la tua talpa, vero? Frugava e scopriva, poi ti portava preziose informazioni per aiutarti a vendere i tuoi stronzissimi giornali di merda!». Adesso urlava. «Quanto la paghi? Quanto valeva la vita di Jamie McCreath?»
«Non è andata così... è successo che... io...». Ci fu una pausa. Quando tornò, la voce di Colin era molto fievole. «Vedi... delle volte lei viene a ca-sa mia e mi parla della sua giornata».
Logan guardò il suo cellulare come se improvvisamente gli avesse scor-reggiato in faccia. «Cosa?», chiese.
Un sospiro. «Io e Isobel siamo... vedi, lei fa un lavoro di merda. Sente il bisogno di qualcuno col quale condividere gli alti e bassi del suo lavoro.
Non sapevamo che sarebbe finita così... te lo giuro! Noi...».
Logan chiuse il cellulare con uno scatto. Avrebbe dovuto accorgersene.
Era chiaro come il sole. Il teatro, gli abiti eleganti, l'auto sportiva, le cene.
Era Miller. Il "qualcun altro" di Isobel era lui e non Brian il capellone. Seduto in macchina, da solo, al buio, nella neve, Logan chiuse gli occhi e bestemmiò.
Se Watson avesse dovuto guardare un'altra soap opera si sarebbe strap-pata i capelli. E adesso la vecchia aveva cominciato a guardare episodi registrati, che aveva già visto chissà quante volte. Non c'era stato verso di convincerla a guardare i programmi della sera. Soap opera e basta. Persone tristi con vite tristissime. Che si muovevano come automi in un continuo e tristissimo sfoggio di miseria. Cielo, che noia. E in tutta la casa non c'era un solo libro. E quindi l'unico diversivo era il videoregistratore e le soap opera registrate.
Tornò in cucina e mise il suo contenitore di brodino nella pattumiera, senza neanche accendere la luce. Che spreco di tempo e di persone!
«Jackie? Già che sei lì, la fai una tazza di tè?»
«Sei abituato a farti servire?»
«A me col latte e due di zucchero, per favore».
Borbottando riempì il bollitore elettrico e inserì la spina. «L'ultimo tè l'ho fatto io», disse tornata nel soggiorno. «Adesso tocca a te».
Rennie la guardò inorridito. «Ma mi perderò l'inizio della prossima puntata di Emmerdale!».
«È registrata, idiota! Come puoi perdere l'inizio di qualcosa che è registrato? Metti il registratore in pausa e vai a fare il tè!».
Dalla sua poltrona Mrs Strichen schiacciò un'altro mozzicone di sigaretta nel portacenere. «Ma voi due non smettete mai di litigare?», chiese tirando fuori le sigarette e l'accendino. «Sembrate due ragazzini!».
Watson guardò Rennie. «Vuoi il tè? Fattelo». Si girò e si avviò su per le scale.
«Dove vai?», chiese Rennie.
«In bagno. A fare pipì, se proprio vuoi saperlo», rispose, fermandosi a metà scala.
L'agente Rennie alzò le mani. «Va bene, va bene... farò io il tè. Diamine, quante storie per una tazza di tè!». Si alzò dal divano e prese su i tazzoni vuoti.
Con un sorriso compiaciuto l'agente Watson continuò su per le scale.
Non sentì la porta sul retro che si apriva.