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Il giorno successivo io e Megan ci separammo... sul lavoro. In quello strano e nuovo mondo, essere soli era una sensazione altrettanto strana e nuova. Io e Megan eravamo sempre insieme, e lo eravamo stati soprattutto nei mesi precedenti, quando avevamo lavorato al disastroso Le origini del rap, avevamo organizzato il trasferimento a New Burg, eravamo entrati nella nuova casa e avevamo cominciato a lavorare al nostro nuovo progetto in mansarda. Non eravamo abituati a stare lontani.

Dopo averci assegnato uno Stormer ciascuno, ci mandarono in edifici diversi, e fu così che trascorsi quel secondo giorno di lavoro nel reparto casalinghi, a prelevare e imballare distributori di sacchetti di plastica da parete, spatole in silicone, candele al profumo di torta di mele e bicchierini da caffè usa e getta.

Megan, dal canto suo, passò la giornata nel reparto denim premaman a evadere ordini di jeans neri effetto push up con vita elasticizzata, jeans bianchi in twill con pannelli laterali elasticizzati e jeans con elastico in vita e strappi sulle ginocchia per un «look già strapazzato e il bebè non è ancora nato».

Naturalmente tornammo a casa insieme. Megan si mise alla guida mentre io mi occupavo di prendere appunti sui cartoncini (Rapido calcolo: i pasti gratuiti in mensa costano a The Store circa $ 830.000 al giorno), osservazioni (Quasi certo che il supervisore del reparto casalinghi abbia un microchip impiantato nell’avambraccio) e impressioni personali (Addetti all’assegnazione Stormer tutti affabili e gentili; tecnici Stormer fanno schifo).

Una volta arrivati a casa, avevamo in programma di fare prima quattro chiacchiere con Alex e Lindsay, poi mezz’ora di corsa sulla coppia di tapis roulant al piano interrato seguita da altri quindici minuti sullo stepper per poi, alla fine, rilassarci con qualche birretta fresca.

Come ho detto, questo era il programma. Ma Alex ci stava aspettando davanti al garage aperto. Niente Ciao. Niente Com’è andata la giornata? «Conoscete due persone che si chiamano Bette e Bud?»

«Sì», rispose Megan per poi aggiungere, con tono da santarellina: «Li abbiamo conosciuti in chiesa».

«Alleluia», commentò Alex. «Si sono piazzati in sala da pranzo e si sono appena fatti consegnare da un drone una megaporzione di ali di pollo e patatine.»

Entrati in sala da pranzo, fummo accolti da una profusione di abbracci. Evidentemente anche Bette e Bud seguivano la moda dell’abbraccio selvaggio che dilagava in tutto il Paese, New Burg compresa.

«Vi avevo avvertiti che saremmo passati», disse Bette.

Dicemmo che eravamo molto contenti della loro visita, che non avevamo nessunissimo programma per la serata e che le alette di pollo erano uno dei nostri piatti preferiti in assoluto.

Bette e Bud non erano neanche lontanamente alla moda e affascinanti come nei nostri due incontri precedenti. Lei, pallida e struccata, portava un vestito ampio che la invecchiava e una ridicola felpa rosa. Lui aveva gli occhi gonfi e indossava un paio di pantaloni da «papà» – color cachi, con le pinces, il cavallo basso e una cintura per tenerli alti in vita.

«Abbiamo impiegato due minuti esatti per venire qui a piedi», disse Bud. «Da porta a porta, ho usato il cronometro.»

«Riuscite a immaginare qualcosa di più noioso di cronometrare una passeggiata per l’isolato? La prossima volta conterà le gocce di pioggia», commentò Bette.

«Ah», disse Bud. «Pare proprio che avessimo ragione.»

«Su cosa?» chiesi.

«Gli spaniel», rispose Bud inclinando la testa verso il camino.

Sia io che Megan voltammo la testa verso la mensola con i cocker spaniel in ceramica del primo Novecento che ci aveva regalato la nonna di Megan.

Probabilmente feci un’espressione confusa.

«Si sta riferendo a questo», chiarì Bette, sollevando uno dei cani e capovolgendolo. Non c’era bisogno di essere agenti segreti della CIA per vedere la telecamera di sorveglianza che era stata inserita nella zampa del cane con l’aiuto di un trapano.

«Figli di puttana», dissi.

«Per favore, Jacob», mi riprese Megan. «Non cominciare.»

Passai al setaccio il soggiorno e l’ingresso. Era vero, le telecamere erano di nuovo lì, proprio come preannunciato da Bette e Bud. Sopra la porta, sopra lo specchio dell’ingresso, sopra l’armadio dell’ingresso, sopra il falso Matisse in soggiorno. Alcune erano negli stessi posti di prima, altre in posti diversi.

«Sarà meglio che ti ci abitui, amico», disse Bud. «È così che funziona The Store. E non c’è niente che tu possa farci.» Dopo una pausa, sorrise e aggiunse: «A parte questo...» Si alzò di scatto e si lanciò in un’interpretazione di Jealous, la hit che faceva impazzire tutte le ragazzine trendy, reggendo il cane di porcellana con telecamera incorporata come se fosse un microfono. Mentre Bud cantava e girava in tondo, esibendosi in una pessima imitazione di Nick Jonas e agitandosi il cane davanti alla faccia, io e Megan eravamo un po’ troppo sconcertati per ridere. Caspita, Bud ci credeva davvero.

Di colpo si fermò e si lasciò cadere sulla sedia. «Mi diverto a intrattenere un po’ gli sfigati che devono sorbirsi tutti questi video. Dovreste vedermi quando faccio Lady Gaga. Sono identico.»

Intervenne Bette. «Dovete sapere che, dal momento che l’esibizione da pazzo scatenato di Bud è stata registrata da una delle telecamere di casa vostra, The Store tirerà sicuramente fuori la questione durante il vostro colloquio.»

«Ci faranno un colloquio?» chiese Megan.

«Certo. Per tutti quelli che si trasferiscono qui è previsto un colloquio introduttivo di tre ore. Lo chiamano il Co-Int. Ci si presenta con tutta la famiglia, figli compresi, persino con cani o canarini per chi ce li ha. Poi si risponde a un fantastiliardo di domande, alcune molto personali, alcune molto intellettuali e altre semplicemente assurde.

«Sono molto gentili, molto affabili», disse Bud. «Nessuno sa cosa se ne facciano dei risultati, ma non c’è da preoccuparsi.»

Dalle loro espressioni capimmo che non c’era nemmeno da essere entusiasti.

The Store - Edizione Italiana
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