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«In Nebraska? Voi due siete pazzi!» esclamò Chuck McKirdy. «Con tutti i posti che ci sono, proprio in Nebraska dovete trasferirvi?»

Megan rispose con la sua solita pazienza. «Abbiamo trovato lavoro lì, quindi è lì che andremo.»

«Com’è che lo chiamano? Lo Stato delle pannocchie?» chiese Sandi.

«Dei pela-pannocchie», la corressi.

«Viva i pela-pannocchie!» gridò qualcuno.

Presto altre voci si unirono al coro. «Viva i pela-pannocchie! Viva i pela-pannocchie!»

«Okay, dichiaro aperto il congresso annuale degli idioti», commentai.

Megan sorrise, per poi lanciarsi in un piccolo discorso: ormai tutti nella nostra cerchia sapevano che il nostro ultimo saggio era stato rifiutato «non solo da vecchi amici di cui non faremo il nome» – e a quel punto Anne Gutman si nascose scherzosamente il viso dietro il tovagliolo – «ma anche... ecco, è così umiliante che non ci crederete... anche da The Store.

«Svanita ogni speranza per Le origini del rap, anch’io e Jacob eravamo senza speranza, per non parlare dei nostri figli: il nostro destino era segnato. Ma, proprio quando sembravamo più vicini che mai a toccare il fondo, udite udite, è arrivato in nostro soccorso proprio The Store.»

Durante la breve pausa di Megan fummo assaliti dal timore che gli altri potessero smascherare la nostra storia. Perché di questo si trattava: di una storia, quasi una fiaba. Un racconto molto romanzato di come erano andate davvero le cose.

In quel preciso momento io e Megan stavamo per rifilare ai nostri amici più intimi una balla colossale. E, nonostante l’avessimo provata e riprovata, mi sentivo lo stomaco sottosopra e il petto in fiamme, mentre le mani di Megan tremavano visibilmente. Ormai però avevamo dato il via alle danze. Dovevamo spiegare.

Così Megan continuò: «Be’, quello che è successo dopo ha dell’incredibile. Eravamo convinti che tra noi e The Store fosse tutto finito. Alex e Lindsay avevano addirittura cominciato a scherzarci su, dicendo che avrebbero dovuto scegliere da quale dei nostri parenti trasferirsi, visto quanto eravamo poveri».

«Ovviamente nessuno voleva andare a stare dalla famiglia di Megan», intervenni.

Per tutta risposta lei mi diede un pugno scherzoso (non avevamo previsto improvvisazioni).

«Ad ogni modo, abbiamo ricevuto un messaggio dalle risorse umane di The Store... che ci hanno offerto un lavoro.»

«Che tipo di lavoro?» chiese Chuck. «Scrivere testi pubblicitari o per il catalogo?»

«Questa è la nota dolente. Sono lavori abbastanza del cavolo. Saremo impiegati nel centro di distribuzione. Insomma, evadere e spedire ordini. Ma...» Mi ero perso, così mi fermai.

Megan non aveva la minima intenzione di lasciare la frase in sospeso. «Ma, dal momento che The Store è così grande e sta continuando a crescere, fra tre mesi potremmo essere promossi. Solo tre mesi.»

«Questo è quanto», conclusi, sperando che la decisione con cui avevo pronunciato quelle parole mi facesse recuperare punti e che il discorso finisse lì.

Certo, erano stupiti. Molto stupiti. E, sì, continuarono a sfotterci con battute sui contadini, sui repubblicani e sulla squadra di football dei Cornhuskers. Ma guardandomi intorno capii che avevano abboccato tutti. Qualcuno propose di organizzare una festa di addio. Qualcun altro parlò di fare una gita di gruppo nel Nebraska in autobus. Sì, sembrava proprio che tutti ci avessero creduto.

O meglio, quasi tutti.

Gettai uno sguardo fuori dalla finestra e vidi un drone impegnato a registrare tutto ciò che accadeva intorno alla nostra tavola.

Mi accorsi anche che Anne Gutman mi stava fissando. Eravamo buoni amici, vecchi amici. Il suo sorriso tirato mi disse che non si era bevuta una sola parola.

The Store - Edizione Italiana
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