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Ansimante, con la bocca secca, in un bagno di sudore: eccomi, l’ultimo passeggero a imbarcarsi sul volo United Airlines 5217 da SFO a Omaha.

Avevo la carta d’imbarco stretta tra i denti. Il retro della camicia mi svolazzava come una minigonna sopra i pantaloni di cotone. E potevo soltanto sperare di aver rimesso il portatile nel bagaglio a mano dopo il controllo di sicurezza di venti minuti al quale ero stato sottoposto.

Raggiunsi di corsa i miei compagni di viaggio, Megan e Sam... in prima classe. Per aggiungere al danno la beffa, entrambi stavano sorseggiando un bicchiere di champagne.

«Credevamo che avessi perso il volo», disse Sam. «Eravamo preoccupati.»

Non riuscivo a capire se fosse davvero preoccupato o se si stesse semplicemente sforzando di sembrare preoccupato.

«Cos’è successo, Jacob?» domandò Megan. Probabilmente pensava che il ritardo fosse dovuto a qualcosa che avevo combinato.

«Siamo pronti per il decollo, signore. Per favore, si sieda», disse un’assistente di volo alle mie spalle.

«Sissignora.» Forse mi stavo abituando a prendere ordini.

«Ho fatto un upgrade alla prima classe per me e Megan», disse Sam. «Ma scambiamoci di posto. Tu stai qui con tua moglie, a me va benissimo volare in economy.» Prima che potessi oppormi a quel gesto generoso, Sam aveva afferrato il mio biglietto ed era già oltre le tende della prima classe. Mi sedetti accanto a Megan; nessuno dei due aprì bocca per tutta la durata del video con le istruzioni di sicurezza.

Megan spezzò il silenzio una manciata di secondi dopo gli auguri di buon viaggio. «Jacob, ero preoccupata per te. E anche Sam.»

«Be’, non potevate essere tanto preoccupati. Vi ho visti tutti e due al cellulare», replicai come un bambino delle elementari.

«Pensavamo che fossi andato in bagno, a prenderti un panino o qualcosa del genere. Oh, Jacob», proseguì, con gli occhi pieni di preoccupazione, posandomi una mano sulla spalla e l’altra sul braccio. «Mi sento così in colpa. Cos’è successo?»

Stavo per raccontarle tutto quando dall’altoparlante giunse una voce: «Signore e signori, è il vostro comandante Brian Heller che vi parla. Prima di decollare dobbiamo effettuare un ultimo controllo bagagli, che non dovrebbe richiedere più di qualche minuto, dopodiché partiremo alla volta della bellissima Omaha, dove la temperatura è di diciassette gradi centigradi. Grazie per la vostra pazienza».

Quasi istantaneamente due assistenti di volo apparvero accanto al mio sedile. «Mr Brandeis?» disse l’uomo.

«Sì, sono io.»

«Mi sembra di capire che questo non è il posto che le era stato assegnato.»

Altre rogne. «Un amico mi ha ceduto il suo...»

«Sì», disse la hostess. «Non c’è problema, Mr Brandeis. Ma il comandante...» Fece una pausa, poi intervenne lo steward.

«Il comandante vorrebbe esaminare il suo bagaglio a mano, signore. Questo zaino è l’unico bagaglio che ha portato a bordo?» mi domandò sollevando lo zaino che avevo sulle gambe.

«Sì. Ma perché ha bisogno di... voglio dire, è la prima volta che mi capita.»

«Per favore, signor Brandeis.»

«Jacob, ti prego, fai come ti dicono. Sono sicura che non è niente», disse Megan.

I due assistenti di volo presero lo zaino e lo condussero oltre la porta aperta della cabina di pilotaggio.

«Io vado a vedere cosa sta succedendo», dissi a Megan cominciando a slacciarmi la cintura.

«Stai fermo», ribatté Megan in tono deciso. La sua calma aveva dell’incredibile.

Dopo pochi minuti, lo steward tornò con lo zaino. «Grazie per la collaborazione, signore. Nessun problema.»

«Cosa state cercando?» domandai con una punta d’impazienza.

«Era soltanto una precauzione, signore. Grazie. Posso portarle dello champagne o una spremuta d’arancia fresca quando avremo raggiunto la quota di crociera?»

«No, grazie.»

«Assistenti di volo, prepararsi al decollo.» Di nuovo la voce del comandante Heller.

L’aereo rullò sulla pista e decollammo.

«Raccontami cos’è successo ai controlli rapidi», disse Megan.

«L’avete visto!»

«No, non abbiamo visto niente. Non sapevamo che ci fossero problemi.»

«Okay, okay. Mi hanno prelevato dalla fila, mi hanno portato in una stanza speciale e due tizi mi hanno perquisito. È stato... lasciamo perdere. I dettagli sono abbastanza disgustosi.»

«Disgustosi?» chiese. «Spiega.»

«Mi hanno fatto rimanere in mutande e sono stato lì impalato, praticamente nudo, mentre mi passavano il metal detector... dappertutto – sulle orecchie, sul collo, sotto le ascelle, in mezzo alle gambe. Indossavano tutti e due dei guanti di lattice e uno di loro mi ha messo la mano...» Mi fermai. Per qualche ragione mi sentivo sul punto di piangere. «Oh, lascia stare. Puoi immaginarlo.»

«Oh, santo cielo. È terribile. Non mi stupisce che tu sia così sconvolto.»

Chiusi gli occhi e li riaprii circa cinque minuti dopo. Megan aveva tirato fuori il portatile ed era tutta impegnata a battere sui tasti. Quando guardai fuori dal finestrino, vidi almeno quaranta droni di fianco all’aereo. Sembravano enormi uccelli neri e grigi che, in formazione, migravano verso sud per l’inverno.

«Porca puttana!» esclamai.

«Cos’hai?» chiese Megan.

«Fuori dal finestrino c’è un milione di droni.»

Megan guardò fuori per qualche secondo. «Oh, Jacob, per favore. Stanno semplicemente facendo le loro consegne.»

Rimasi in silenzio per qualche istante, poi mi voltai e guardai Megan dritto negli occhi, faccia a faccia, da vicino. «Pensi che sia pazzo, vero?»

Ci fu solo un breve silenzio, che però parve durare un’ora. «No, non penso che tu sia pazzo. Penso solo che tu sia stanco.»

«Ma i droni...»

«Su, Jacob. Te l’ho già detto, sono soltanto droni delle consegne. Non c’è nulla di cui preoccuparsi.»

The Store - Edizione Italiana
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