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Punta di petto di manzo con salsa agrodolce di cipolle e pomodori. Un purè bello sodo di patate vere. Piselli verde smeraldo mescolati a pezzettini di prosciutto.
C’erano tutti i presupposti per una cena perfetta.
«Adesso statemi a sentire», dissi. «Se volete che mangi con voi, mettete via qualunque dispositivo per registrare e guardare video. D’accordo?»
«D’accordo», rispose Lindsay.
«Alex, non ti ho sentito.»
«D’accordo.» Va bene, era imbronciato, ma mi aveva risposto.
«Megan? Tu?»
«Vuoi che presti giuramento anch’io?» chiese, in tono solo leggermente seccato.
«Sissignora.»
«Ti ha dato di volta il cervello?»
«Forse», risposi con un sorriso.
«Oh, santo cielo.» Fece un grosso respiro, buttò fuori l’aria e, con un filo di voce, disse: «D’accordo». Aspettò un attimo e poi, sempre a voce bassa, aggiunse: «Sì, ti ha proprio dato di volta il cervello».
Cominciammo a mangiare.
«Per me niente vino», dissi. «Ho del lavoro da sbrigare.»
Alex chiese a Lindsay di passarle il brasato, ma lei precisò che era punta di petto di manzo. Megan intimò ai due di non cominciare a discutere.
Proprio quando stavo per mettere in bocca la mia prima forchettata di quel purè di patate burroso, Lindsay mi chiese: «Come procede il libro?»
«Come se te ne importasse qualcosa», replicai. Perché il mio tono era così velenoso e sarcastico? Mi capitava spesso di scherzare con i ragazzi (e Megan) in maniera simpatica e divertente, ma aggressività e sarcasmo erano sconsigliati da qualunque manuale del perfetto genitore.
«Jacob, Lindsay ti ha fatto una domanda ragionevolissima», intervenne Megan.
Ma non riuscii a trattenermi. «Certo, voi pensate che sia ragionevole, ma io so che non lo è.»
Alex chinò la testa e si mise a fissare il suo piatto, mentre Lindsay bevve un lungo sorso d’acqua.
«Il mio libro, il mio libro, il mio libro.» Stavo scuotendo la testa. Che diavolo mi stava succedendo?
«Forse stai passando troppo tempo a lavorare al tuo libro, al tuo libro, al tuo libro», disse Alex.
Lo guardai con gli occhi sbarrati e un’espressione rabbiosa.
«Te l’abbiamo detto tutti e tre. Dacci un taglio, con quel libro.»
«Tu non capisci!» gridò poi Lindsay, irritata.
«Oh... ma è proprio qui che vi sbagliate tutti quanti. Io capisco benissimo», risposi, in tono così pacato da risultare minaccioso. «Capisco benissimo. Nel mio libro sto scrivendo di una splendida macchina potente e malvagia...»
«Nel nostro libro», mi corresse Megan.
Andai davvero su tutte le furie. «No, Megan. È il mio libro. Tu e i tuoi figli non avete fatto altro che cercare di farmi desistere. Bene, ho una notizia da darvi. Non smetterò di scriverlo. So bene che The Store è una macchina potentissima. Nessuno lo sa meglio di me. Nessuno l’ha mai osservato così da vicino.» Mi alzai, sentendomi re Artù mentre si rivolgeva ai cavalieri della Tavola Rotonda, o Gesù Cristo durante l’ultima cena. E per la prima volta mi resi conto che forse Megan e i ragazzi avevano ragione: ero impazzito. «Sì, verranno a prendermi. Come soldati, come nazisti, nel cuore della notte. Porteranno via me e anche il mio libro.» I miei pensieri non seguivano alcuno schema. Man mano che le idee si affacciavano alla mia mente, vomitavo parole nell’aria: «Sanno cosa sto tramando. Sanno tutto. The Store è più potente di chiunque e di qualunque cosa. Nessuno può sfuggirgli, figuriamoci una formica come me. Le telecamere di sorveglianza. I dispositivi di registrazione. Le spie al lavoro. Le spie negli hotel di San Francisco. I droni. I vicini che non sono veri vicini. Gli amici che non sono veri amici. I familiari che...» E lì dovetti fermarmi.
Alex continuava a fissare il suo piatto. La mano di Lindsay tremava stretta al bicchiere d’acqua. Megan aveva gli occhi lucidi.
«Non sono pronto per il loro arrivo. Nessuno può esserlo. Ma sarò forte. Il mio reportage troverà comunque la sua strada. Possono rubarmi il libro, possono bruciarlo. Ma la verità verrà comunque a galla.
«Voi tre vi sbagliate. Volete convincermi a smettere. Mi implorate di smettere. Ma vi sbagliate clamorosamente. Clamorosamente.
«Ciò che non capite è questo: io capisco eccome!»