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Erano le cinque esatte del mattino. Uscii dal letto attento a non farmi sentire.
Megan sembrava immersa in un sonno profondo, scosso a tratti da piccoli e bruschi suoni nasali, che non erano respiri pesanti ma nemmeno un russare vero e proprio. Aprii piano la porta della camera da letto e me la chiusi alle spalle. Appoggiai per un attimo l’orecchio alla porta della camera di Alex. Russava beatamente. Poi rimasi in ascolto fuori dalla camera di Lindsay. Non avevo la certezza assoluta che fosse tra le braccia di Morfeo, ma da sotto la porta non filtrava alcuna luce. In conclusione, ero abbastanza certo che i miei tre coinquilini stessero dormendo.
Salii le scale fino al mio studio ora spoglio, mi tirai fuori la chiavetta rossa dalla tasca dei jeans e, dopo averla infilata nel portatile di Megan, digitai:
2020
La vera storia di The Store
di
Jacob Brandeis
Premetti il tasto SALVA, staccai la chiavetta e me la infilai di nuovo in tasca.
Dietro due pile di vecchi numeri del BusinessWeek avevo nascosto uno zaino con un cambio di vestiti, uno spazzolino da denti, un tubetto di dentifricio, un bloc notes, due penne, una scatola di pastiglie per il colesterolo, una bottiglietta di Jack Daniel’s e il mio iPad, sul quale avevo appena caricato un bel po’ di romanzi classici e le prime due stagioni di House of Cards.
Ero pronto a tagliare la corda.
Chiusi la porta dello studio e scesi le scale. Mentre passavo davanti alla porta chiusa di una delle camere da letto, sentii un sussurro sommesso ma non troppo: «Papi, dove vai?»
Era Lindsay.
«Torno tra poco. Non preoccuparti.»
«Sei proprio matto.» Il bisbiglio di mia figlia mi seguì giù per le scale.
Così dicono, risposi tra me.