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Quando mi svegliai ero quasi tutta intera, con un livello di efficienza all’ottanta per cento, in aumento. Controllai subito tutti i feed, qualora gli umani fossero voluti uscire, ma Mensah aveva esteso il confinamento di sicurezza nell’habitat per altre quattro ore. Il che era un sollievo, dal momento che mi avrebbe dato il tempo di riprendermi al novantotto per cento. C’era però anche la richiesta di presentarmi a rapporto. Non era mai successo, prima. Forse voleva parlare del pacchetto informativo sui rischi locali e capire perché non eravamo stati allertati della presenza di soggetti ostili sotterranei. Anch’io, in effetti, me l’ero un po’ chiesto.

Il loro gruppo si chiamava PreservationAux e aveva acquisito un’opzione sulle risorse di quel pianeta; il viaggio di ricognizione serviva a capire se valesse la pena perfezionare l’acquisto. Sapere che sul pianeta c’erano cose che potevano divorarli mentre cercavano di fare il loro lavoro, di qualsiasi cosa si trattasse, era un’informazione piuttosto rilevante.

In genere non m’interessa più di tanto chi siano i miei clienti, né quale sia il loro obiettivo. Sapevo che quel gruppo proveniva da un pianeta libero, ma non mi ero premurata di controllare i dettagli. “Libero” significava che era stato terraformato e colonizzato ma che non era affiliato a nessuna confederazione aziendale. Sostanzialmente, “libero” significava incasinato, per cui non è che mi aspettassi granché da loro. E invece era sorprendentemente facile lavorarci.

Ripulii la mia pelle nuova dai rimasugli dei fluidi e uscii dal cubicolo. Fu allora che mi accorsi di non aver rimesso la corazza e che i pezzi erano ancora sparpagliati sul pavimento, imbrattati dai fluidi miei e dal sangue di Bharadwaj. Non c’era da sorprendersi che Mensah fosse venuta a controllare nel cubicolo; doveva aver pensato che ci fossi rimasta secca, lì dentro. Rimisi tutti i pezzi a posto nel riciclatore per farli riparare.

Avevo una corazza di ricambio ma era ancora imballata in magazzino e ci sarebbe voluto del tempo per tirarla fuori, eseguire la diagnostica e la messa a punto. Esitavo a indossare l’uniforme ma il sistema di sicurezza doveva aver notificato a Mensah che ero sveglia, per cui era meglio sbrigarsi a uscire da lì.

L’uniforme richiamava la dotazione standard dei gruppi di prospezione ed era pensata per stare comodi all’interno dell’habitat: un paio di morbidi pantaloni grigi, una maglia a maniche lunghe e un giacchetto, come le tute da ginnastica che usavano gli umani e gli umani aumentati, più un paio di scarpe leggere. Indossai l’uniforme, tirai giù le maniche, a coprire le bocchette delle armi che avevo nelle braccia, e uscii nell’habitat.

Attraversai due portelloni di sicurezza fino ai quartieri dell’equipaggio e li trovai nell’edificio principale, riuniti a crocchio intorno a una plancia, intenti a fissare uno degli schermi mobili. C’erano tutti tranne Bharadwaj, che era ancora in infermeria, e Volescu, che era rimasto a tenerle compagnia. Su alcuni tavoli c’erano tazze e i resti del pasto. Roba che non avevo intenzione di pulire, a meno che non mi fosse stato ordinato.

Mensah era impegnata, per cui rimasi in piedi ad aspettarla.

Ratthi mi scoccò un’occhiata distratta; poi, sorpreso, mi guardò meglio. Non seppi come reagire. Ecco perché preferisco indossare sempre la corazza, anche all’interno dell’habitat, dove non è necessaria ed è un ingombro. Di solito i clienti umani preferiscono considerarmi un robot, e con l’armatura addosso è molto più semplice. Lasciai che il mio sguardo si perdesse nel nulla e feci finta di essere intenta a eseguire una qualche diagnostica.

Chiaramente sbigottito, Ratthi esclamò: «E questo chi è?».

Si voltarono tutti verso di me. Tutti tranne Mensah, che era seduta in plancia con la fronte premuta sull’interfaccia. Era chiaro che, anche dopo aver visto il mio volto nelle immagini della telecamera di Volescu, senza il casco non mi riconoscevano. Per cui dovetti guardarli e dire: «Sono la vostra SecUnit».

Sembravano tutti sorpresi e a disagio. A disagio quasi quanto me. Rimpiansi di non essermi presa il tempo necessario a tirare fuori la corazza di ricambio.

Il fatto era, in parte, che non mi volevano lì con loro. E non dico lì nella sala, ma proprio sullo stesso pianeta. Uno dei motivi per cui la compagnia assicurativa richiedeva la mia presenza, a parte la possibilità di accollare ricarichi più onerosi ai clienti, era che registravo tutte le loro conversazioni, in ogni momento, anche se di fatto controllavo il minimo indispensabile, facendo il mio lavoro un po’ a tirar via. La compagnia però poi accedeva a quelle registrazioni, alla ricerca di qualsiasi informazione suscettibile di essere rivenduta. No, è una cosa che alla gente non dicono. Sì, è una cosa che sanno tutti. E no, non potete farci niente.

Dopo una mezz’ora soggettiva e circa 3,4 secondi oggettivi, la dottoressa Mensah si voltò, mi vide e abbassò l’interfaccia. «Stavamo studiando il rapporto sui rischi della regione per cercare di capire perché mai quell’affare non fosse elencato tra la fauna pericolosa. Pin-Lee crede che le informazioni siano state alterate. Puoi esaminare il rapporto per noi?»

«Sì, dottoressa Mensah.» Avrei potuto farlo nel mio cubicolo, risparmiando a tutti l’imbarazzo. A ogni modo, ripresi il feed che stavano analizzando sull’HubSystem e cominciai a dare un’occhiata al rapporto.

Si trattava sostanzialmente di una lunga lista d’informazioni e di raccomandazioni sul pianeta, segnatamente sulla zona in cui si trovava il nostro habitat, con particolare attenzione a clima, terreno, flora, fauna, qualità dell’aria, depositi minerari e possibili pericoli relativi a uno qualsiasi dei summenzionati elementi, con collegamenti ai rapporti specifici in grado di fornire informazioni più dettagliate. Il dottor Gurathin, il meno loquace del gruppo, era un umano aumentato e disponeva di un’interfaccia impiantata. Lo sentivo che ficcanasava tra i dati mentre gli altri, con le interfacce esterne, non erano che spettri distanti. Io però avevo molta più capacità di calcolo di lui.

Pensai che si stessero facendo prendere dalla paranoia; pur avendo l’ausilio delle interfacce, le parole occorre comunque leggerle – preferibilmente tutte. A volte, gli umani non aumentati non lo fanno. A volte non lo fanno nemmeno gli umani aumentati.

Tuttavia, quando controllai la sezione con le raccomandazioni generali, notai che c’era qualcosa di strano nella formattazione. Un rapido confronto con le altre sezioni del rapporto confermò che in effetti qualcosa era stato rimosso, e il collegamento a uno dei rapporti secondari era stato eliminato. «Avete ragione» dissi, distratta, mentre scartabellavo nello spazio di memoria alla ricerca della parte mancante. Non riuscivo a trovarla; non era soltanto un collegamento eliminato, qualcuno aveva effettivamente cancellato il rapporto. Sarebbe dovuto essere impossibile, con quel tipo di pacchetto di ricognizione planetaria, ma suppongo che non fosse poi così impossibile. «Qualcosa è stato cancellato dalle avvertenze e dalla sezione fauna.»

La reazione generale a quelle parole fu piuttosto incazzata. Pin-Lee e Overse protestarono con veemenza, e Ratthi alzò le mani al cielo in maniera teatrale. Come ho detto, però, erano tutti amici e dunque molto meno formali gli uni con gli altri rispetto ai miei ultimi incarichi. Ed era il motivo per cui, dovevo ammetterlo, quel contratto mi stava piacendo – fino al momento in cui qualcosa non aveva provato a mangiarsi me e Bharadwaj.

Il SecSystem registra ogni cosa, perfino all’interno delle cabine, e io vedo ogni cosa. Ecco perché è più facile far finta che io sia un robot. Overse e Arada erano una coppia e, dal modo in cui si comportavano, lo erano sempre stati; erano anche grandi amici di Ratthi. Quest’ultimo nutriva un sentimento non corrisposto per Pin-Lee ma non ne faceva un dramma. Pin-Lee era piuttosto esasperata e scagliava oggetti per la stanza quando gli altri non c’erano, ma non per via di Ratthi. Penso che subisse più degli altri il peso di una supervisione continua da parte della compagnia. Volescu ammirava Mensah, e forse aveva addirittura una cotta per lei. Anche Pin-Lee, ma lei e Bharadwaj flirtavano di tanto in tanto, in quel modo abitudinario e familiare che suggeriva che la cosa andasse avanti da un bel po’. Gurathin era l’unico solitario ma sembrava apprezzare la compagnia degli altri. Aveva un sorriso appena accennato, sommesso, e sembrava piacere a tutti.

Era un gruppo poco problematico: non discutevano un granché, non bisticciavano per il solo gusto di farlo e stare con loro era piuttosto riposante, fintanto che non provavano a parlarmi o a interagire con me in qualsiasi maniera.

Con una certa frustrazione, Ratthi disse: «Quindi non abbiamo modo di sapere se quella creatura era un’anomalia o se invece ce n’è una in fondo a ognuno di quei crateri?».

Arada, una delle biologhe, disse: «Scommetto che è proprio così, sai. Se quei grossi volatili che abbiamo osservato nei rilevamenti si posano di frequente sulle isole della barriera, è possibile che siano predati da quel genere di creature».

«Questo spiegherebbe la funzione dei crateri» commentò Mensah, pensierosa. «Almeno toglierebbe di mezzo l’ipotesi di un’anomalia.»

«Ma chi può aver rimosso quel rapporto?» chiese Pin-Lee. Concordavo con lei sul fatto che, in quel frangente, fosse quello l’interrogativo più pressante. Si voltò verso di me con uno di quei movimenti bruschi a cui avevo imparato a non reagire. «È possibile hackerare l’HubSystem?»

Dall’esterno, non ne avevo idea. Dall’interno era facile come bere un bicchier d’acqua, con le interfacce integrate nel mio corpo. L’avevo hackerato non appena era andato online, quando avevamo montato l’habitat. Avevo dovuto farlo: se avesse monitorato il mio modulo di controllo e il mio feed come di norma, avrebbe potuto condurre a parecchie domande scomode e al mio smembramento. «Per quanto ne so, è possibile» risposi. «Ma è più probabile che il rapporto fosse già danneggiato prima che vi arrivasse tutto il pacchetto con le analisi e i dati.»

Poco pagare, poco avere. E so di che parlo.

Ci furono mugugni e lamenti generalizzati sul fatto di dover pagare cifre esagerate in cambio di una strumentazione di merda (non la presi sul personale). Mensah disse: «Gurathin, magari tu e Pin-Lee potreste cercare di capire cosa sia successo…». La maggior parte dei miei clienti è ferrata soltanto nel proprio campo, e in genere non c’è motivo di inviare un sistemista esperto di sistemi in una missione esplorativa. La compagnia fornisce tutti i sistemi e gli annessi e connessi (attrezzature mediche, droni, me, eccetera…), e ne cura la manutenzione come parte del pacchetto generale acquistato dai clienti. Tuttavia, Pin-Lee sembrava essere un’appassionata piuttosto capace nel campo dell’interpretazione dei sistemi e Gurathin aveva un qualche vantaggio con la sua interfaccia interna. «Nel frattempo…» aggiunse Mensah. «La squadra DeltFall ha ricevuto il nostro stesso pacchetto di ricognizione?»

Controllai. L’HubSystem pensava che fosse probabile – ma ormai sapevamo quanto valesse la sua opinione. «Probabilmente sì» risposi io. DeltFall era una squadra di ricognizione come la nostra ma era di stazione su un continente dal lato opposto del pianeta. Era un’operazione più grande ed erano stati depositati da un’altra nave, per cui gli umani non si erano mai incontrati di persona ma comunicavano di tanto in tanto tramite il canale audio. Non facevano parte del mio contratto e avevano le loro SecUnit dedicate – dotazione standard: un’unità ogni dieci clienti. Si supponeva che dovessimo poter comunicare gli uni con gli altri in caso di emergenza, ma trovarsi a mezzo pianeta di distanza rendeva le cose naturalmente un po’ più complicate.

Mensah si appoggiò allo schienale della poltrona e unì le punte dei polpastrelli. «E va bene, ecco cosa faremo: voglio che ognuno di voi controlli le sezioni specifiche del pacchetto di ricognizione secondo le proprie competenze. Cercate di individuare eventuali altre informazioni mancanti. Quando avremo una lista parziale, contatterò DeltFall e vedrò se possono mandarci i loro file.»

Sembrava un gran bel piano – tanto più che non coinvolgeva me. «Dottoressa Mensah» dissi io, «ha bisogno di me per qualcos’altro?»

Lei girò la poltroncina per guardarmi. «No, ti chiamerò se avrò domande.» C’erano stati dei contratti in cui mi era toccato restare impalata sul posto per tutti i cicli diurni e notturni, nella remota possibilità che avessero voluto farmi fare qualcosa e non volendo prendersi il disturbo di aprire un canale per chiamarmi. Poi Mensah continuò: «Puoi stare qui nella zona dell’equipaggio, sai, se ti va… Ti andrebbe?».

Mi guardarono tutti, perlopiù sorridendo. Uno degli svantaggi della corazza è l’abitudine ad avere la visiera oscurata. Quando si tratta di controllare la mia espressione, ormai, sono fuori esercizio. In quel preciso momento, sono piuttosto certa che oscillasse tra l’orrore sconvolto e il raccapriccio inorridito.

Mensah raddrizzò la schiena, allarmata. Si corresse in fretta: «Oppure no, sai… Come ti pare».

«Devo controllare il perimetro» replicai; poi riuscii a voltarmi e a lasciare la sala comune in maniera assolutamente normale, non come se fossi stata in fuga da un’orda di ostili giganti.

Una volta tornata al sicuro in sala tattica appoggiai la testa alla parete rivestita di plastica. Ora sapevano che la loro SecUnit non voleva stare con loro, non più di quanto loro non volessero stare con lei. Avevo rivelato una piccola parte di me stessa.

Questo non deve succedere. Ho troppo da nascondere e un cedimento, per quanto piccolo, significa che il resto è più vulnerabile.

Mi staccai dalla parete e decisi di darmi da fare per davvero. Quel rapporto mancante mi metteva un po’ in allarme. Non che avessi nessuna direttiva specifica sulla questione. I miei moduli di apprendimento erano roba talmente scadente… La maggior parte delle cose più utili le avevo imparate dai programmi educativi sui feed di intrattenimento (ecco un altro motivo per cui obbligano questi gruppi di ricerca e le aziende minerarie, di biotecnologia e tecnologia a noleggiarci, pena l’impossibilità di garantire la polizza: siamo assemblate al risparmio e, in buona sostanza, facciamo schifo. Nessuno ci assumerebbe mai per qualcosa di diverso da un omicidio, a meno che non sia costretto a farlo).

Una volta indossata la tuta di ricambio e la corazza di riserva feci il giro del perimetro e confrontai le rilevazioni del terreno e le rilevazioni sismiche con quelle fatte al momento del nostro arrivo. Nel file c’erano alcune note di Ratthi e Arada, secondo cui un tipo di fauna simile a quello che avevamo definito come Primo Ostile poteva aver scavato tutti i crateri anomali nell’area di rilevamento. Intorno all’habitat, però, nessun cambiamento.

Controllai anche che i due hopper avessero la dotazione completa di scorte di sicurezza. Le avevo caricate io stessa qualche giorno prima, ma controllai più che altro per accertarmi che gli umani non avessero fatto qualche stupidaggine dall’ultima volta che le avevo verificate.

Feci tutto quello che riuscii a farmi venire in mente, poi finalmente mi concessi di entrare in stand-by per recuperare le serie lasciate in sospeso. Avevo già guardato tre episodi di Sanctuary Moon e stavo mandando avanti veloce una scena di sesso quando la dottoressa Mensah m’inviò delle immagini sul canale (non ho nessun apparato sessuale, né un genere definito – se un costrutto li ha è un sexbot da bordello, non un murderbot; forse è per questo che trovo noiose le scene di sesso… Ma, detto tra noi, credo che le troverei noiose anche se avessi un apparato sessuale). Detti un’occhiata alle immagini contenute nel messaggio di Mensah, poi misi in pausa la serie.

Devo confessarvi una cosa: non avevo idea di dove ci trovassimo. Inclusa nel pacchetto perlustrativo c’era, o avrebbe dovuto esserci, una mappa satellitare di tutto il pianeta. Era così che gli umani decidevano in quali punti operare le prospezioni. Io non avevo ancora studiato le mappe e avevo dato a malapena un’occhiata al pacchetto perlustrativo. A mia discolpa, eravamo sul posto da ventidue giorni planetari e non avevo dovuto fare nient’altro che restarmene lì a guardare gli umani che facevano rilevamenti o raccoglievano campioni di terreno, rocce, acqua e foglie. Mancava ogni senso di urgenza. E poi, come avrete forse notato, non me ne importava un granché.

Il fatto che dalla nostra mappa mancassero sei sezioni fu quindi una novità, per me. Erano stati Pin-Lee e Gurathin ad accorgersi di quelle discrepanze e Mensah voleva sapere se pensavo che fosse solo un problema del pacchetto perlustrativo, che era scadente e zeppo di errori, o se potesse trattarsi di un sabotaggio. Apprezzavo il fatto che stessimo comunicando per iscritto e che non mi stesse facendo parlare con lei a voce. L’apprezzai al punto da darle la mia opinione sincera, ossia che probabilmente il nostro pacchetto perlustrativo era una porcata da due soldi ma che l’unico modo per esserne certi era andare sul campo, trovare le sezioni mancanti e verificare se per caso non ci fosse qualcosa di più interessante che l’ennesimo, pallosissimo pezzo di pianeta. Non usai quelle parole esatte ma il senso generale era quello.

A quel punto, Mensah uscì dal feed ma io rimasi all’erta, visto che sapevo che aveva tendenza a prendere decisioni in fretta e che, se avessi ripreso la serie, sarei stato nuovamente interrotto. Accedetti al canale della telecamera della sala comune per ascoltare la conversazione tra i miei clienti. Volevano tutti andare a controllare, e continuavano a discutere se fosse il caso di aspettare o meno. Avevano appena avuto un contatto con DeltFall, sull’altro continente, che aveva acconsentito a inviarci una copia dei file mancanti dal pacchetto perlustrativo. Alcuni di loro volevano prima verificare che non mancasse altro, altri volevano andare subito, e bla bla bla.

Sapevo già come sarebbe andata a finire.

Non era un tragitto lungo, non bisognava andare molto più in là degli altri rilevamenti che avevano fatto sul pianeta, ma il fatto di non sapere a cosa si andasse incontro era decisamente un problema in materia di sicurezza. In un mondo sensato sarei dovuta andare da sola, ma il modulo di controllo prevedeva che fossi sempre nel raggio di cento metri da almeno uno dei miei clienti, o mi avrebbe fritto il cervello. Loro lo sapevano, per cui offrirmi come volontaria per un viaggetto intercontinentale in solitaria avrebbe potuto sollevare qualche sospetto.

Quindi, quando Mensah aprì di nuovo il collegamento per comunicarmi che sarebbero partiti subito, le dissi che i protocolli di sicurezza suggerivano che dovessi accompagnarli.