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Il giorno dopo, all’orario prestabilito, io e Mensah ci recammo in volo verso il luogo dell’incontro.

Gurathin e Pin-Lee avevano preso uno dei miei droni e l’avevano modificato aggiungendo un rilevatore a corto raggio (corto perché il drone era troppo piccolo per alloggiare la maggior parte dei componenti che un rilevatore più grande avrebbe richiesto). La sera prima l’avevo fatto volare nell’atmosfera superiore per avere una visuale del luogo.

Il sito era vicino alla loro base, ad appena due chilometri di distanza; un habitat simile a quello di DeltFall. Dalle dimensioni dell’habitat e dal numero di SecUnit, inclusa quella che Mensah aveva fatto fuori con una trivella mineraria, la loro squadra doveva annoverare tra i trenta e i quaranta membri. Si mostravano molto sicuri di sé ma, del resto, erano entrati nel nostro habitat e sapevano di avere a che fare con una piccola squadra di scienziati e ricercatori accompagnati da una SecUnit incasinata e di seconda mano.

Speravo solo che non si rendessero conto di quanto fossi realmente incasinata.

Quando l’hopper rilevò il primo contatto dal loro rilevatore, Mensah aprì immediatamente il canale audio. «GrayCris, sappiate che i miei hanno archiviato le prove delle vostre attività su questo pianeta e le hanno nascoste in diversi luoghi del territorio, da cui verranno trasmesse alla nave di rientro al momento del suo arrivo.» Lasciò passare tre secondi affinché le sue parole venissero recepite appieno, poi aggiunse: «E abbiamo trovato le parti mancanti della mappa».

Ci fu una lunga pausa. Io rallentai l’andatura, controllando l’arrivo di eventuali missili, anche se era probabile che non ne avessero.

Il canale audio prese vita e una voce disse: «Possiamo discuterne. E possiamo trovare un accordo». C’era talmente tanta attività da parte dei rilevatori e dei dispositivi anti-scansione che la voce era tutta un crepitio. Una cosa inquietante. «Fate atterrare il vostro mezzo e parliamone».

Mensah attese un minuto, facendo finta di pensarci su, poi rispose: «Manderò la nostra SecUnit a discutere con voi». E interruppe la comunicazione.

A mano a mano che ci avvicinavamo, cominciavamo ad avere una visuale del sito. Era un basso pianoro circondato dagli alberi. Verso ovest si vedeva il loro habitat. Dato che gli alberi sconfinavano nel loro campo base, le loro calotte e la base di atterraggio erano rialzate su ampie piattaforme. La compagnia lo richiedeva come accorgimento di sicurezza se si voleva che la propria base non fosse in campo aperto. Era un costo extra e, se non si acconsentiva, la cifra a garanzia della concessione saliva ancora di più. Era uno dei motivi per cui credevo che la mia brillante idea avrebbe funzionato.

Nella zona sgombra del pianoro c’erano sette figure – quattro SecUnit e tre umani con indosso le tute ambientali dai colori identificativi blu, verde e giallo. Significava che all’habitat dovevano avere ancora una SecUnit e probabilmente ventisette umani o più, se seguivano la norma di una SecUnit ogni dieci umani. Feci posare il nostro hopper sotto il pianoro, su una roccia relativamente piatta, con la visuale ostruita dalla boscaglia.

Impostai la plancia di pilotaggio in stand-by e guardai Mensah. Lei strinse le labbra, come se avesse voluto dire qualcosa ma si stesse trattenendo. Poi annuì seccamente e disse: «In bocca al lupo».

Avevo come l’impressione che avrei dovuto risponderle ma non sapevo cosa dire, per cui mi limitai a fissarla, a disagio, per qualche istante. Poi chiusi il casco e uscii dall’hopper più in fretta che potevo.

Passai tra gli alberi, tendendo l’orecchio nel caso in cui la quinta SecUnit fosse nascosta da qualche parte, in agguato, ma dal sottobosco non proveniva nessun rumore di movimento. Uscii allo scoperto e risalii la china rocciosa fino al pianoro, poi m’incamminai verso l’altro gruppo, con un crepitio invasivo nel mio canale audio. Mi avrebbero permesso di avvicinarmi a loro, ed era un sollievo. Mi sarebbe francamente dispiaciuto aver sbagliato i miei calcoli. Mi avrebbe fatto sentire molto stupida.

Mi fermai a diversi metri di distanza, aprii il canale di comunicazione audio e dissi: «Sono la SecUnit assegnata alla squadra di ricognizione PreservationAux. Sono stata inviata per discutere di un accordo con voi».

In quel momento percepii una pulsazione, un pacchetto dati destinato a sovraccaricare il mio modulo di controllo, bloccandolo, e bloccando anche me. L’idea era, ovviamente, di immobilizzarmi e di inserire di nuovo il modulo di combattimento nella mia porta dati.

Ecco perché avevano voluto organizzare l’incontro così vicino al loro habitat. Avevano bisogno della strumentazione per farlo, non era una cosa che potevano inviare tramite feed.

Per cui era un bene che il mio modulo di controllo non fosse attivo. Sentii soltanto un vago formicolio.

Uno di loro fece per venire verso di me. «Immagino che vogliate provare a installare un altro modulo di combattimento per poi rimandarmi indietro a ucciderli» dissi. Aprii gli alloggiamenti sulle braccia ed estrassi le armi, poi le rinfoderai. «Una linea di condotta che mi sento di sconsigliare».

Le SecUnit passarono in modalità di allarme. L’umano che si era mosso si bloccò, impietrito, poi indietreggiò. Il linguaggio corporeo degli altri indicava confusione, sorpresa. Dal debole crepitio sul canale audio potevo capire che stavano comunicando tra loro attraverso il loro sistema. «Non avete niente da dirmi?»

Quelle parole attirarono la loro attenzione. Non giunse risposta. Non era sorprendente; le uniche persone che avevo incontrato che avevano voglia di conversare con una SecUnit erano i miei strani umani. «Ho una soluzione alternativa per entrambi i nostri problemi» dissi.

L’umana con la tuta ambientale blu disse: «Tu hai una soluzione?». La voce era la stessa che ci aveva lanciato la proposta dalla nostra sala comune. Era anche piuttosto scettica, come potrete immaginare. Per quella gente, parlare con me era come conversare con un hopper o un qualche attrezzo da scavo.

«Non siete stati i primi a hackerare l’HubSystem di PreservationAux» rivelai.

La donna aprì il proprio canale audio per parlare con me, e intanto udii uno degli altri che sussurrava: «È un trucco. Uno dei perlustratori gli sta suggerendo cosa dire».

«Le vostre scansioni dovrebbero rilevare che ho spento i miei canali di comunicazione con loro» dissi. Era giunto il momento in cui dovevo dirlo; era difficile, anche se sapevo di non avere scelta – anche se faceva parte del mio stupido piano. «Il mio modulo di controllo non è attivo.» Passato lo scoglio, fui felice di poter tornare alla parte delle menzogne. «I miei clienti non lo sanno. Sono disposta a un compromesso che avvantaggi tanto voi quanto me.»

La caposquadra blu mi chiese: «Dicono la verità sul fatto di sapere perché siamo qui?».

Continuava a essere davvero spiacevole, pur avendo già previsto che quella parte sarebbe durata un po’. «Avete usato dei moduli di combattimento per costringere le SecUnit di DeltFall a ribellarsi. Se pensate che una vera SecUnit ribelle sia ancora tenuta a rispondere alle vostre domande, troverete i prossimi minuti molto istruttivi.»

La caposquadra blu mi escluse dal loro canale audio. Ci fu un lungo silenzio mentre discutevano tra loro. Poi la donna tornò in linea e disse: «Che tipo di compromesso?».

«Posso darvi le informazioni di cui avete tanto bisogno. In cambio, mi porterete con voi a bordo della nave di rientro ma nel vostro inventario mi registrerete come materiale distrutto.» Questo significava che nessuno della compagnia si sarebbe aspettato di vedermi tornare e, quando la nave fosse attraccata alla stazione di transito, avrei potuto approfittare della confusione per sgattaiolare via. In teoria.

Ci fu un’altra esitazione. Immagino che volessero far finta di doverci pensare. Poi la caposquadra blu disse: «E va bene, d’accordo. Se stai mentendo, ti distruggeremo».

Era un pro forma. Avevano comunque intenzione di inserirmi un modulo di combattimento prima di lasciare il pianeta.

«Che informazioni hai?» continuò lei.

«Rimuovetemi dall’inventario, prima» dissi io. «So che avete ancora una connessione attiva con il nostro HubSystem.»

Leader Blu fece un gesto impaziente a Giallo. Quello disse: «Dovremmo riavviare l’HubSystem. Ci vorrà un po’ di tempo».

«Avviate la procedura, mettete il comando in coda e mostratemelo sul vostro feed. Dopodiché, vi darò le informazioni.»

Leader Blu mi tagliò fuori dal canale audio e parlò di nuovo con Giallo. Ci fu un’attesa di tre minuti, poi il canale si riaprì e mi venne dato accesso limitato al loro feed. Il comando per aggiornare il registro era effettivamente in coda, anche se, com’era ovvio, avrebbero sempre fatto in tempo ad annullarlo in seguito. La cosa più importante era che il nostro HubSystem fosse stato riattivato e che io potessi far finta di fidarmi di loro in maniera convincente. Avevo tenuto d’occhio l’orologio e ci trovavamo nella finestra temporale concordata, per cui non avevo più motivo di guadagnare tempo. «Visto che avete distrutto il loro segnalatore d’emergenza» dissi, «i miei clienti hanno inviato un gruppo al vostro segnalatore per attivarlo manualmente.»

Pur avendo accesso limitato al loro feed, capii di averli messi in agitazione. Il loro linguaggio del corpo oscillava in maniera evidente tra confusione e paura. L’umano in giallo si muoveva incerto, il verde guardava Leader Blu. Lei, con quel suo tono privo di inflessioni, disse: «Impossibile».

«Uno di loro è un umano aumentato» replicai, «un ingegnere sistemista. È in grado di lanciare il segnale. Controllate pure le informazioni sul nostro HubSystem. Si tratta del dottor Gurathin.»

Leader Blu mostrava segni di tensione dalle spalle a tutto il resto del corpo. Non voleva che nessuno arrivasse sul pianeta, non finché non avessero risolto il problema dei testimoni.

«Sta mentendo» disse Verde.

Con una sfumatura di panico nella voce, Giallo disse: «Non possiamo rischiare».

Leader Blu si voltò verso di lui. «È possibile, allora?»

Giallo esitò. «Non lo so. I sistemi aziendali sono tutti proprietari, ma se hanno un umano aumentato in grado di infiltrarsi…»

«Dobbiamo andare subito lì» disse Leader Blu. Poi si voltò verso di me. «SecUnit, di’ alla tua cliente di scendere dall’hopper e di venire qui. Dille che abbiamo raggiunto un accordo.»

Accidenti. Questo non era previsto dal piano. Sarebbero dovuti andar via senza di noi (la sera prima Gurathin aveva predetto che quello sarebbe stato un punto debole, che sarebbe stato lì che il piano sarebbe andato a rotoli; era irritante constatare che aveva ragione).

Non potevo aprire il canale audio con l’hopper o accedere al feed senza che quelli di GrayCris se ne accorgessero. E avevamo sempre bisogno che si allontanassero dal proprio habitat con tutte le loro SecUnit. «Sa che volete ucciderla. Non verrà» dissi. Poi ebbi un’altra ideona e aggiunsi: «È amministratrice planetaria di un’entità politica a sistema non corporativo, non è una stupida».

«Cosa?» sbottò Verde. «Quale entità politica?»

«Perché credete che la loro squadra si chiami ‘Preservation’?» dissi io.

Stavolta non si premurarono di chiudere il canale audio. Giallo disse: «Non possiamo ucciderla. L’indagine…».

Verde aggiunse: «Ha ragione. Però potremmo trattenerla e rilasciarla soltanto dopo l’accordo di risarcimento».

«Non funzionerà» abbaiò Leader Blu. «Se dovesse scomparire, l’indagine sarebbe ancor più meticolosa. Dobbiamo bloccare il lancio di quel segnale, poi discuteremo sul da farsi.» Rivolgendosi a me, disse: «Tu valla a prendere. Tirala fuori dall’hopper e portala qui». Interruppe di nuovo la comunicazione. Poi si fece avanti una delle Unità di DeltFall. Leader Blu tornò in linea per dire: «Questa Unità ti farà da supporto».

Io aspettai che mi raggiungesse, poi mi voltai e ridiscesi la china rocciosa fino agli alberi, camminando al suo fianco.

Ciò che feci dopo fu dettato dalla supposizione che la donna avesse ordinato alla SecUnit di uccidermi. Se mi sbagliavo, eravamo fritti: io e Mensah saremmo morte entrambe, il piano per salvare il resto della squadra sarebbe fallito e PreservationAux sarebbe tornata alla casella di partenza – per di più senza caposquadra, senza SecUnit e senza l’hopper più piccolo.

Mentre lasciavamo il terreno roccioso e ci addentravamo tra gli alberi, con la boscaglia e i rami alti che ci mascheravano dal bordo del pianoro, passai un braccio attorno al collo dell’altra Unità, attivai l’arma integrata nel mio braccio e le sparai un colpo da un lato del casco, dov’era inserito il comunicatore audio. Quella mise un ginocchio a terra e fece per puntarmi contro il fucile mentre le armi a impulso si dispiegavano dalla sua corazza.

Con il modulo di combattimento inserito aveva il feed interrotto e, con il comunicatore fuori uso, non poteva gridare per ricevere aiuto. Inoltre, a seconda di quanto avessero limitato le sue azioni volontarie, era possibile che non fosse in grado di chiedere aiuto fintanto che non fossero stati gli umani di GrayCris a ordinarglielo. Forse era così, perché si limitò a cercare di uccidermi. Rotolammo tra pietre e boscaglia finché non riuscii a strapparle l’arma di mano. Dopodiché fu facile darle il colpo di grazia. Fisicamente facile, intendo.

So di aver detto che le SecUnit non sono affezionate le une alle altre, ma avrei preferito che non fosse una delle unità di DeltFall. Era lì dentro, da qualche parte, intrappolata nella sua stessa testa, forse cosciente, forse no. Non che avesse importanza. Nessuna di noi aveva scelta.

Mi rialzai nel momento esatto in cui Mensah sbucava dalla boscaglia, imbracciando la trivella mineraria. «È andata per il verso sbagliato» le dissi. «Dovrai far finta di essere mia prigioniera.»

Lei mi guardò, poi guardò l’unità di DeltFall. «Come farai a spiegarlo?»

Io cominciai a togliermi la corazza, ogni pezzo che riportava il logo di PreservationAux, e mi chinai sull’unità di DeltFall mentre i pezzi cadevano a terra. «Io sarò lei, e lei sarà me.»

Mensah lasciò la trivella e si chinò per darmi una mano. Non avevamo tempo di scambiare tutta la corazza. Sostituimmo in tutta fretta spallacci e cubitiera da ambo i lati, i cosciali su cui era riportato il codice d’inventario della corazza, il pettorale e il paraschiena con i loghi. Mensah sporcò il resto della mia armatura con terra, sangue e fluidi dell’unità morta – così, se avessimo tralasciato un qualche segno distintivo, quelli di GrayCris non l’avrebbero notato. Le SecUnit sono tutte identiche per stazza e statura, si muovono tutte allo stesso modo. Poteva funzionare. Forse. Se fossimo fuggite il piano sarebbe fallito, e dovevamo farli andar via da quel pianoro. «Dobbiamo andare…» dissi a Mensah mentre richiudevo il casco.

Lei annuì, fece un respiro profondo, più nervoso che di stanchezza. «Sono pronta.»

La presi per un braccio e feci finta di trascinarla verso la squadra di GrayCris. Lei gridò e cercò di divincolarsi in maniera molto credibile per tutto il tempo.

Quando raggiungemmo il pianoro, uno degli hopper di GrayCris era già in fase di atterraggio.

Mentre la tiravo verso Leader Blu, Mensah parlò per prima. «Era questo, l’accordo che offrivate?»

Leader Blu disse: «Sei l’amministratrice planetaria di Preservation?».

Mensah non mi guardò nemmeno. Se avessero cercato di farle del male, io avrei cercato di impedirlo e le cose si sarebbero messe terribilmente male. Ma Verde stava già salendo a bordo dell’hopper. Altri due umani erano seduti alle postazioni di pilota e copilota. «Sì» rispose Mensah.

Giallo venne da me e mi toccò un lato del casco. Mi ci volle un tremendo sforzo di volontà per non strappargli il braccio dalla spalla – e vorrei che fosse messo a verbale, prego. Poi disse: «Ha il comunicatore fuori uso».

«Sappiamo che uno dei tuoi sta cercando di attivare manualmente il segnalatore d’emergenza» disse Leader Blu a Mensah. «Se verrai con noi, non gli faremo alcun male e potremo discutere di questa situazione. Non deve per forza finire male, per nessuna delle due parti.» Era molto convincente. Probabilmente era stata lei a parlare con DeltFall, ottenendo il permesso di accedere all’habitat.

Mensah esitò e io capii che non voleva far sembrare che cedesse troppo facilmente, ma dovevamo portarli via da lì, e in fretta. Poi disse: «E va bene».

Era da un po’ che non viaggiavo nella baia di carico. L’avrei trovata comoda e familiare, sennonché non era la mia baia di carico.

Tuttavia, quell’hopper era comunque un mezzo della compagnia e fui in grado di accedere al suo feed. Dovevo essere molto discreta per evitare che mi notassero ma, finalmente, tutte quelle ore di media consumate di nascosto si rivelavano utili.

Il loro SecSystem aveva continuato a registrare. Avevano di certo intenzione di cancellare tutto quel materiale prima dell’arrivo della nave di rientro. Altri clienti avevano provato a farlo prima di allora – nascondere dati alla compagnia per evitare che quest’ultima potesse rivenderseli – e gli analisti di sistema aziendali erano molto attenti a quel genere di evenienza, ma non sapevo se quella gente se ne rendesse conto. Era probabile che la compagnia li avrebbe pizzicati anche se noi non fossimo sopravvissuti. Non era un pensiero particolarmente confortante.

Mentre accedevo alle immagini in registrazione, udii Mensah che diceva: «… Sapere delle rovine nelle zone mancanti dalla mappa. Erano sufficientemente forti da confondere le nostre funzioni di mappatura. È così che le avete scoperte?».

Bharadwaj l’aveva capito la notte prima. Le sezioni mancanti non erano un sabotaggio intenzionale: erano un errore provocato da rovine sepolte sotto uno strato di terra e roccia. Quel pianeta era stato abitato in passato, chissà quando; questo significava che sarebbe stato sottoposto a vincolo e aperto soltanto alle missioni archeologiche. Un vincolo cui avrebbe dovuto attenersi perfino la compagnia.

Si poteva fare un bel po’ di grana illegale dissotterrando e recuperando quei resti, ed era ovviamente ciò che interessava a GrayCris.

«Non è di questo che dovremmo parlare» disse Leader Blu. «Voglio sapere che genere di accordo potremmo trovare.»

«Un accordo che non preveda di farci fare la stessa fine di quelli di DeltFall» disse Mensah, mantenendo un tono di voce impassibile. «Una volta in contatto con i nostri potremo far trasferire i fondi. Ma come possiamo fidarci del fatto che ci lascerete vivere?»

Ci fu un breve silenzio. Ah, magnifico: non lo sapevano neanche loro. Poi Leader Blu disse: «Non avete altra scelta».

Stavamo già rallentando e preparandoci all’atterraggio. Dal feed non risultavano avvisi d’emergenza e mi sentivo cautamente ottimista. Avevamo sgomberato il campo a Gurathin e Pin-Lee, per quanto possibile. Dovevano infiltrare il perimetro senza che quell’ultima SecUnit se ne accorgesse e avvicinarsi quanto bastava da accedere al feed dell’HubSystem di GrayCris (speravamo che fosse l’ultima SecUnit, che non ce ne fosse un’altra dozzina all’interno del loro habitat). Gurathin aveva trovato il modo di usare la backdoor che collegava il loro HubSystem al nostro per infiltrarsi, ma aveva bisogno di essere vicino al loro habitat per riuscire ad attivare il loro segnalatore di emergenza. Ecco perché avevamo dovuto portare via da lì le altre SecUnit. Il piano era quello, insomma. Poteva darsi che avrebbe funzionato lo stesso anche senza mettere in pericolo Mensah, ma era un po’ tardi per i ripensamenti.

Quando ci posammo a terra, con uno scossone che doveva aver fatto battere i denti agli umani, fu un vero sollievo. Mi schierai fuori dalla navicella insieme alle altre unità.

Eravamo a pochi chilometri dal loro habitat, su un grande sperone roccioso che sovrastava un fitto bosco; gli alberi erano pieni di volatili e altri animali strepitanti, disturbati dall’atterraggio violento dell’hopper. In cielo si erano addensate nubi che minacciavano pioggia e oscuravano la vista dell’anello. Il veicolo del segnale di emergenza era posizionato su un tripode di lancio a dieci metri da noi e… Uh-oh, è troppo vicino.

Mi unii alle altre tre SecUnit in formazione di sicurezza standard. Dalla navicella partì una squadriglia di droni per impostare un perimetro. Io evitai di voltarmi verso gli umani che scendevano dalla rampa di sbarco. Avrei davvero voluto guardare Mensah per chiederle istruzioni. Se fossi stata da sola sarei potuta correre via verso il limite dello sperone roccioso, ma dovevo tirare fuori da lì anche lei.

Leader Blu si fece avanti insieme a Verde; gli altri si radunarono più o meno in cerchio alle sue spalle, come se temessero di stare avanti. Uno di loro, che doveva aver ricevuto i rapporti da SecUnit e droni, disse: «Nessun segno di presenza umana». Leader Blu non rispose ma le due SecUnit di GrayCris mossero a passo di corsa verso il segnale.

Ora… Il fatto è che quelli della compagnia sono dei tirchi, come ho già avuto modo di dire. Quando poi si tratta di fornire un segnalatore che non deve far altro che decollare una volta sola in caso di emergenza e trasmettere un impulso attraverso il varco spazio-temporale senza mai poter essere recuperato, sono tirchi all’ennesima potenza. I segnalatori d’emergenza non hanno funzioni di sicurezza e fanno uso di veicoli di lancio il più economici possibile. Non è un caso che vadano posizionati a qualche chilometro dall’habitat e che si debbano azionare a distanza. Io e Mensah dovevamo distrarre GrayCris e le loro SecUnit durante tutta l’operazione, allontanarli dall’habitat – non certo finire arrostite come grissini dal lancio del segnale.

Con il ritardo provocato dalla decisione di Leader Blu di catturare Mensah, eravamo ormai vicini al momento fatidico. Le due SecUnit giravano intorno al tripode in cerca di segni di boicottaggio, e io non ressi più la pressione. Cominciai a muovermi verso Mensah.

Giallo mi notò. Doveva aver detto qualcosa a Leader Blu via feed, perché lei si voltò verso di me.

Quando le SecUnit rimanenti di DeltFall mi si precipitarono addosso e aprirono il fuoco, seppi che avevano capito la situazione. Mi tuffai con una capriola e mi rialzai con l’arma in mano. Sentivo i proiettili colpire la mia corazza, ma anch’io mettevo a segno colpi. Mensah si gettò al riparo dall’altra parte dell’hopper e io sentii un tonfo sordo riverberare attraverso lo sperone roccioso. Era il propulsore primario del segnalatore che si liberava dal telaio esterno alla base del tripode e si preparava all’accensione. Le altre due SecUnit si erano fermate, bloccate sul posto dalla sorpresa di Leader Blu.

Io scattai, fui colpita da un proiettile che perforò un giunto debole della corazza e mi attraversò la coscia; continuai a correre nonostante tutto. Riuscii a girare intorno all’hopper e vidi Mensah. La placcai al volo, sbalzandoci fuori dallo sperone roccioso, voltandomi durante il salto per atterrare di schiena e avvolgendo un braccio intorno al suo casco per proteggerle la testa dall’impatto. Cademmo rovinosamente tra rocce e alberi, poi una fiammata investì lo sperone roccioso e dilagò tutto intorno, mettendo fuori uso il mio –

UNITÀ OFFLINE

Cavolo, che male. Giacevo in un burrone sovrastato da rocce e alberi. Mensah era seduta accanto a me; si teneva un braccio che sembrava fuori uso e aveva la tuta piena di strappi e macchie.

Stava sussurrando qualcosa sul canale audio. «Attenti, se vi individuassero con i rilevatori…»

UNITÀ OFFLINE

«Proprio per questo dobbiamo sbrigarci» disse Gurathin, che all’improvviso era in piedi sopra di noi. Mi resi conto di essermi di nuovo persa qualcosa.

Gurathin e Pin-Lee erano a piedi, quando li avevamo lasciati; si erano fatti strada verso l’habitat di GrayCris protetti dalla copertura degli alberi. Avevamo previsto di tornare a recuperarli con l’hopper più piccolo se le cose non fossero andate a puttane. Cosa che invece era successa, ma soltanto in parte – evviva!

Pin-Lee si chinò su di me e io dissi: «Questa unità ha raggiunto il livello di funzionalità minima. Vi raccomandiamo di dismetterla». Era una reazione automatica che si attivava in caso di errore fatale. Inoltre non avevo nessuna voglia che mi spostassero, perché faceva già abbastanza male così com’ero. «Il vostro contratto consente…»

«Chiudi la bocca» sbottò Mensah. «Chiudi quella cazzo di bocca. Non ti abbandoniamo.»

La mia vista si spense di nuovo. Ero più o meno ancora presente, ma mi rendevo conto di essere sull’orlo di un crash di sistema. Avevo dei lampi di consapevolezza. L’interno dell’hopper piccolo… I miei umani che parlavano… Arada che mi teneva la mano.

Poi l’interno dell’hopper grande durante il decollo. Dal rumore del propulsore e dai segnali del feed capivo che la nave di rientro lo stava caricando a bordo.

Quello era un sollievo. Significava che erano tutti salvi, e mi lasciai andare.