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Usai il passaggio per le consegne dedicato ai robot trasportatori della stazione per attraversare la spianata in abbandono e tornare alla zona d’imbarco. La navetta era attraccata ai moli dell’Autorità Portuale e, fortunatamente, lì c’era una telecamera di sorveglianza in funzione. Fui in grado di ottenere una visuale di quell’area e di vedere quando fosse libera. Dal feed di Miki sapevo che due membri dell’equipaggio si trovavano in plancia di comando, intenti a eseguire un controllo pre-volo, mentre gli altri erano ancora all’interno del loro laboratorio sulla stazione per controllare un’ultima volta di aver preso tutto.

Bloccai il feed della telecamera quel tanto che bastava per attraversare di corsa la zona d’imbarco in ombra e raggiungere il portellone. Inserii il codice che mi aveva fornito Miki. Il portellone della camera stagna si aprì, lasciando uscire una zaffata di aria riciclata che il mio scanner confermò essere molto più pulita di quella della stazione. Di sicuro aveva un profumo migliore. Salii a bordo, richiusi la camera stagna e cancellai il mio ingresso dal registro.

Grazie alla connessione con il feed di Miki, ero in ascolto della squadra di ricognizione umana. Udii la voce di Kader, uno dei due piloti umani aumentati su al ponte di comando, chiedere: Hirune, sei tu?

Cosa?, rispose Hirune. Sono ancora all’Autorità Portuale. Stiamo per scendere.

Strano, pensavo di aver sentito il portellone che si apriva.

Non c’è nessuna segnalazione sul registro, aggiunse l’altra pilota, Vibol. Mi sa che hai le orecchie un po’ confuse.

Adesso devo andare a controllare per dimostrarti che ti sbagli, replicò Kader.

Io ero già nel corridoio verso lo spazio di lavoro, oltre il laboratorio biologico e nella zona di carico. C’era un alloggiamento predisposto per un robot trasportatore ma, poiché lo spazio di carico era stato convertito in laboratorio, il robot era stato lasciato a terra. Era più spazioso del ripostiglio di Nave e perlomeno potevo stare seduta sul ponte appoggiando la schiena alla parete, anche se non c’era spazio per allungare le gambe. Non avevo un vero e proprio bisogno di allungarmi, ma era piacevole. Quel posto era anche completamente buio ma, con un feed vivace nella testa, la cosa non era un problema.

Tutto bene, Consulente Rin?, mi chiese Miki.

Controllai di nuovo che la nostra connessione fosse sicura, che gli umani non potessero individuarla e che nessuno degli umani aumentati riuscisse a percepirne l’eco. Era sicura, perché ero io a gestire il feed di Miki, ma probabilmente avrei continuato a controllare ogni volta che mi parlava perché in quel ciclo mi sentivo un po’ paranoica. Sto bene. Puoi chiamarmi Rin. Era leggermente meno fastidioso di “Consulente Rin”. Quando Tapan, Rami e Maro mi chiamavano consulente non lo trovavo fastidioso, ma… Non lo so, in quel momento tutto mi dava fastidio e non sapevo perché.

Okay, Rin!, esclamò Miki. Siamo amici, e gli amici si chiamano per nome.

Ecco. Forse, in fondo, sapevo perché.

Rimase a osservare attraverso i suoi occhi mentre Miki aiutava a portare giù gli ultimi pezzi di strumentazione e rifornimenti per le analisi. Caricarono tutto attraverso la camera di compensazione e lo misero da parte. Io li ascoltavo parlare sul feed: sembravano impazienti di mettersi finalmente al lavoro. C’erano quattro ricercatori e due operatori di volo, tutti dipendenti a lungo termine della GoodNightLander Independent che avevano già lavorato insieme e che erano rimasti lì sulla stazione ad aspettare trepidanti l’arrivo del personale di sicurezza. A un certo punto, Don Abene prese Miki per un braccio e sorrise alla sua telecamera. Fui lieta di non aver tentato di prendere il controllo dei movimenti del robot, perché d’istinto mi ritrassi tanto bruscamente da sbattere la testa sulla paratia del mio spazio di rimessa (nessuno afferrerebbe una SecUnit per un braccio; non mi ero resa conto di che vantaggio potesse essere, fino a quel momento).

Continuo a non saper indovinare l’età degli umani semplicemente dall’aspetto. La pelle marrone scuro di Don Abene mostrava delle rughe agli angoli della bocca e degli occhi, e i lunghi capelli neri avevano qualche ciocca bianca; per quel che ne potevo sapere, però, magari era solo una scelta cosmetica. Lei rise e le rughe agli angoli degli occhi si accentuarono. «Finalmente si parte, Miki!»

«Evviva!» replicò Miki e, dall’interno del suo feed, vidi che era sincero.

Miki aiutò Hirune a mettere via le tute protettive, poi impostò una routine casuale in cui seguiva i suoi amici umani in giro per la nave mentre ognuno sistemava le proprie cose. Suggerii a Miki di uscire dal laboratorio e di andare nella zona di carico, dove Wilken e Gerth stavano sistemando il loro equipaggiamento. Miki non aveva uno scanner anti-armamenti sensibile come il mio, ma la sua capacità di visione aveva delle opzioni d’ingrandimento che la mia non aveva (una delle differenze tra un’unità di sicurezza e un robot progettato per assistere le attività di ricerca scientifica).

Gli chiesi di dare un’occhiata accurata alle casse che le due consulenti per la sicurezza stavano scaricando e Miki m’inviò un’immagine ravvicinata, moltiplicandola per diverse angolazioni mentre Gerth sollevava la propria cassa nello scomparto di carico. Era quel che avrei voluto fare a bordo di Nave ma allora avevano riposto la loro attrezzatura troppo in fretta, e chiedere a un drone di ispezionarla avrebbe probabilmente attirato attenzioni indesiderate. Gerth scoccò un’occhiata a Miki, ripose la cassa e disse: «Cos’hai da guardare?».

Io dissi a Miki: Di’: “Don Abene vuole che vi chieda se avete bisogno di aiuto per sistemare la vostra attrezzatura”.

Miki inclinò la testa da un lato e ripeté quel che avevo detto parola per parola, con quel tipo di innocenza assoluta che soltanto un robot assolutamente innocente poteva avere.

Gerth accennò un sorriso. «No, grazie, robottino» rispose. Wilken ridacchiò (“robottino”… Ma stiamo scherzando? Dovrà pur esserci una via di mezzo tra l’essere trattati come una terrificante macchina assassina e l’infantilizzazione). Dissi a Miki di tornare dai suoi amici. Mentre il robot si ritirava lungo il corridoio, mi chiese: Rin, perché non volevano che vedessimo le loro casse?

Non tutti vogliono che un robot da compagnia si metta a ficcare lo scanner nei loro affari; io però ero distratta e mi limitai a rispondere: Non saprei. A giudicare dalla forma, quelle casse contenevano armi, munizioni e un paio di corazze autoadattanti di alta qualità, di quelle che avevo visto soltanto nei miei file multimediali. La compagnia non ci aveva mai fornito armature così belle – anche se, a sua discolpa, le nostre corazze venivano crivellate in continuazione. Niente droni. Del resto gli umani non ci sanno fare, coi droni di sorveglianza; per governarli è necessaria una gestione multi-traccia, e la maggior parte degli umani non è in grado di farlo senza impianti aumentati. Pur senza droni, però, le due consulenti sembravano pronte a tutto. Forse non c’è un motivo preciso.

Ero intenta a decidere se fosse il caso di cogliere l’occasione per rubare qualcosa, qualora detta occasione si fosse presentata. La corazza autoadattante era una tentazione incredibile, e sarebbe stata perfino migliore una volta che avessi applicato qualche modifica al codice. Ma era già abbastanza complicato passare inosservata sotto le lenti degli scanner anti-armamenti; portare con me qualcosa di così ingombrante, probabilmente, non avrebbe fatto altro che rendere più facile la mia individuazione.

Miki salì nella sala comune sotto il ponte di comando, dove Abene e Hirune sedevano in compagnia di Brais ed Ejiro. Kader e Vibol erano poco sopra, in cabina di pilotaggio. Gli umani avevano girato un paio di poltroncine della stazione, sistemandole di fronte al divano ricurvo, ed erano intenti a osservare la bolla di uno schermo fluttuante in mezzo al compartimento. A giudicare dalle mappe visibili, stavano ripassando un percorso attraverso la piattaforma. Io ficcanasavo cautamente tra i loro feed individuali, quando Abene diede una pacca sul sedile accanto a sé. «Siediti, Miki.»

Miki si sedette accanto a lei sul divano e nessuno degli altri umani reagì. Sembrava essere una cosa del tutto normale.

«Non vedi l’ora di scoprire l’interno della piattaforma, eh, Miki?» gli chiese Hirune, facendo ruotare le piantine per studiarle da un’altra angolazione. «Io sono stufa di limitarmi a guardare le mappe.»

«Non vedo l’ora!» le fece eco Miki. «Faremo una bella perizia, e poi ci faremo dare un nuovo incarico.»

Ejiro scoppiò a ridere. «Speriamo che sia davvero così facile.»

«Facile o difficile» commentò Brais, «almeno ci stiamo muovendo! Miki si sarà stancato di giocare a Mus con noi.»

«Mi piacciono i giochi. Passerei tutto il tempo a giocare, se potessi» disse Miki.

Dovetti ritrarmi nel mio cubicolo buio. Mi stava salendo un’altra emozione. Rabbia.

Prima che la dottoressa Mensah mi comprasse, potevo contare sulle dita di una mano le volte in cui mi ero seduta su una poltrona per umani – e mai in presenza dei clienti.

Non so nemmeno perché avessi reagito in quel modo. Ero forse gelosa di un robot umanoide? Non volevo essere un robot da compagnia, era per questo che avevo lasciato la dottoressa Mensah e gli altri (non che Mensah avesse detto di volere una SecUnit da compagnia; anzi, credo che non volesse affatto una SecUnit). Cos’aveva Miki che io potessi volere? Non ne avevo idea. Non sapevo cosa volevo.

Sì, lo so che, molto probabilmente, il cuore del problema era proprio quello.

Tornai sul feed di Miki. Don Abene stava dicendo: «… E tieni presente che la tua esperienza con gli umani è limitata. Per noi sei uno di famiglia, ma per gli altri sei un estraneo. Probabilmente è per questo che la nostra squadra di sicurezza non voleva che guardassi le loro cose».

Uh oh. Riguardai la registrazione dalla telecamera di Miki per controllare la parte di conversazione che mi ero persa. Miki aveva chiesto ad Abene perché mai Gerth avesse reagito in quel modo quando aveva guardato la sua cassa e quella di Wilken. Per fortuna, Abene si era distratta mentre rispondeva a quella domanda, ancora intenta a studiare le piantine della piattaforma, e non aveva chiesto a Miki perché fosse andata dalla squadra di sicurezza. Se avesse pensato a chiederglielo, chissà se Miki le avrebbe detto di me. Come avrebbe risposto a una domanda del genere?

Avrei potuto impossessarmi di Miki come avevo pensato all’inizio, sennonché le sue interazioni con Abene e gli altri erano incredibilmente complesse. Non pensavo di riuscire a cavarmela fingendo; la parte da consulente umana aumentata per la sicurezza era stata particolarmente impegnativa da recitare, e non avevo dovuto cercare di ingannare qualcuno che mi conoscesse bene. O che conoscesse chi fingevo di essere. O quello che era.

Miki, ricordati che hai detto che non avresti parlato di me a Don Abene, gli dissi, cercando di non sembrare né nervosa, né arrabbiata.

Non lo farò, Rin. Miki era talmente tranquillo e compiacente che la mia affidabilità di sistema calò del due per cento. Te l’ho promesso.

Ero furiosa, tuttavia riuscii a restare in silenzio. Ma parte del codice comportamentale di Miki doveva includere il rivolgersi a Don Abene quando aveva qualche interrogativo. Avrei dovuto assicurarmi di rispondere alle sue domande nel modo più esaustivo possibile; ovviamente, “non lo so” non poteva andar bene.

«Che ne pensi della nostra squadra di sicurezza, finora?» stava chiedendo Hirune.

«Mi soddisfa, a dire il vero» rispose Abene. «Non sembrano sapere molto di piattaforme di terraformazione, ma non credo importi.»

Io pensavo che invece avrebbe potuto importare. Ma i moduli educativi delle SecUnit erano una schifezza e tutto ciò che sapevo sull’argomento era quello che ero riuscita ad assorbire pur fregandomene del tutto, per cui probabilmente non si poteva dire che fossi la massima autorità in quel campo.

Attraverso gli occhi di Miki, vidi Hirune scoccare un’occhiata verso gli altri due, che intanto parlavano di calibrare qualcosa. Poi abbassò la voce. «Immagino che sia così. Due soli agenti non saranno di grande aiuto contro dei razziatori.»

Abene sbuffò. «Se ci sono dei razziatori, ce ne andiamo immediatamente e torniamo alla stazione di transito.»

Certo. Quando li vedi, però, in genere è troppo tardi.

La mia reazione doveva essere trapelata nel feed perché Miki mi chiese, in ansia: Li terrai al sicuro, Rin?

Sì, Miki, risposi, perché era la mia copertura e mi ci sarei attenuta.