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Quando mi riaccesi mi ritrovai inerte ma in lenta fase di ricarica. Ero agitata, i miei livelli erano tutti a zero e non avevo idea del perché. Riguardai il mio registro personale. Ah, giusto.
Non avrei dovuto risvegliarmi. Sperai che non avessero fatto stupidaggini, che non fossero stati troppo teneri di cuore per uccidermi.
Avrete notato che non mi ero puntata l’arma alla testa. Non avrei voluto uccidermi ma andava fatto. Avrei potuto neutralizzarmi in qualche altra maniera ma, ammettiamolo, non volevo starmene lì ad ascoltarli mentre si convincevano a vicenda che non c’era altra scelta.
La diagnostica si avviò e m’informò che il modulo di combattimento era stato rimosso. Rimasi incredula per un istante. Aprii il mio feed della sicurezza e trovai la telecamera dell’infermeria: ero sdraiata sul tavolo operatorio, senza più corazza, con indosso soltanto quello che rimaneva della mia tuta epidermica, e tutti gli umani riuniti intorno a me. Era un po’ una scena da incubo. E tuttavia la spalla, la mano e l’anca erano state riparate, per cui a un certo punto dovevo essere stata riportata nel mio cubicolo. Riavvolsi un poco la registrazione e vidi Pin-Lee e Overse intenti a usare gli strumenti chirurgici per rimuovermi abilmente il modulo di combattimento dalla nuca. Fu un tale sollievo che rividi tutta la scena una seconda volta, poi avviai un’autodiagnosi. I miei registri erano puliti; non c’era niente, eccetto ciò che già avevo prima di entrare nell’habitat di DeltFall.
Forti, i miei clienti.
Poi tornò l’udito.
«L’ho fatta immobilizzare dall’HubSystem» stava dicendo Gurathin.
Uhm… Be’, ecco spiegate parecchie cose. Avevo ancora il controllo del SecSystem e lo istruii di congelare l’accesso dell’HubSystem al suo feed mentre implementava la mia routine di emergenza. Si trattava di una funzione che avevo architettato e che avrebbe sostituito le registrazioni audio e video in diretta effettuate dall’HubSystem con un’ora o giù di lì di ambiente sonoro generico dell’habitat. Se qualcuno fosse stato in ascolto, o avesse cercato di riprodurre la registrazione, avrebbe avuto l’impressione che si fossero zittiti tutti quanti di punto in bianco.
Dalle voci che protestavano – Ratthi, Volescu e Arada, soprattutto – ciò che Gurathin aveva fatto era evidentemente una sorpresa per tutti. Pin-Lee disse, accalorandosi: «Non c’è pericolo. Sparandosi ha bloccato il download. Sono riuscita a rimuovere i pochi frammenti di codice ribelle che erano stati copiati».
«Vuoi fare una tua analisi, perché…» cominciò a dire Overse.
Li udivo dalla stanza e dal feed della sicurezza, per cui passai alla sola visualizzazione dalla telecamera. Mensah aveva alzato una mano per avere silenzio. «Che succede, Gurathin?» disse poi.
«Mentre era disconnessa ho potuto usare l’HubSystem per ottenere accesso al suo sistema interno e al registro» rispose lui. «Volevo esplorare alcune anomalie che avevo notato nel feed.» Mi indicò. «Questa unità era già ribelle. Ha il modulo di controllo hackerato.»
Sui canali d’intrattenimento, era quello che chiamavano un momento imbarazzante.
Li osservai attraverso le telecamere: apparivano confusi – non in allarme, però. Non ancora.
Pin-Lee, che a quanto pareva aveva frugato nel mio sistema locale, incrociò le braccia. Aveva un’espressione dura e scettica. «Lo trovo difficile da credere.» Non aggiunse “stronzo”, ma si percepiva dal suo tono di voce. Non le piaceva che qualcuno mettesse in dubbio le sue valutazioni.
«Non è costretta a seguire i nostri ordini; non abbiamo nessun controllo sul suo comportamento» aggiunse Gurathin, spazientito. Nemmeno a lui piaceva che qualcuno mettesse in dubbio le sue valutazioni, anche se non lo mostrava chiaramente quanto Pin-Lee. «Ho mostrato a Volescu le mie indagini, e lui è d’accordo con me.»
Per un attimo mi sentii tradita, il che era ridicolo. Volescu era un mio cliente e gli avevo salvato la vita perché era il mio lavoro, non perché mi stesse simpatico. Poi però Volescu disse: «Non sono pienamente d’accordo con te».
«Quindi il modulo di controllo è attivo?» chiese Mensah, guardandoli accigliata.
«No, è sicuramente hackerato» spiegò Volescu. Era un tipo decisamente calmo, quando non era attaccato da creature giganti. «Il collegamento del modulo al resto del sistema SecUnit è parzialmente interrotto. Quest’ultimo può trasmettere comandi ma non è in grado di assicurarne l’esecuzione, controllare il comportamento dell’unità né somministrare istanze punitive. Ma credo che il fatto che questa SecUnit abbia agito per preservare le nostre vite, prendendosi cura di noi mentre era libera da vincoli, ci dia un motivo in più per fidarci.»
Ecco. Lo dicevo io, che mi stava simpatico.
Gurathin insistette. «Siamo stati sabotati fin dal nostro arrivo. Il rapporto con i rischi mancanti, le sezioni in bianco sulla mappa… Questa SecUnit dev’essere coinvolta, agisce per conto della compagnia. Si vede che non vogliono che questo pianeta sia perlustrato, per chissà quale motivo. A DeltFall dev’essere successa la stessa cosa.»
Ratthi aveva aspettato il momento giusto per inserirsi nella conversazione. «Di sicuro sta succedendo qualcosa di strano. Nelle specifiche di DeltFall erano segnate soltanto tre SecUnit, eppure nell’habitat c’erano cinque Unità. Qualcuno ci sta sabotando ma non credo che la nostra SecUnit sia coinvolta.»
«Volescu e Ratthi hanno ragione» disse Bharadwaj, con decisione. «Se la compagnia avesse davvero ordinato alla SecUnit di ucciderci, a quest’ora saremmo già tutti morti.»
Overse sembrava fuori di sé. «Ci ha detto del modulo di combattimento, ci ha detto di ucciderla. Perché diavolo avrebbe dovuto farlo, se avesse voluto farci del male?»
Anche lei mi stava simpatica. E, benché prendere parte a quella conversazione fosse l’ultima cosa che avrei voluto fare, era ora che dicessi la mia.
Tenni gli occhi chiusi, osservando gli umani attraverso la telecamera di sicurezza. Così era più facile. Mi costrinsi a dire: «La compagnia non sta cercando di uccidervi».
Gli umani trasalirono. Gurathin fece per parlare ma Pin-Lee lo zittì. Mensah fece un passo in avanti, guardandomi preoccupata. Era in piedi accanto a me, con Gurathin e gli altri raggruppati vagamente a cerchio intorno a lei. Bharadwaj era la più lontana, seduta su una sedia. «SecUnit, come fai a saperlo?» mi chiese Mensah.
Era difficile, perfino attraverso la telecamera. Cercai di far finta di essere nel mio cubicolo. «Perché se la compagnia avesse voluto sabotarvi, avrebbe avvelenato le vostre razioni usando i sistemi di riciclaggio. E comunque, è più probabile che vi uccida per errore.»
Ci fu un momento in cui tutti pensarono a quanto sarebbe stato facile, per la compagnia, sabotare i loro parametri ambientali. «Ma di certo sarebbe…»
L’espressione di Gurathin era più dura del solito. «Questa Unità ha già ucciso delle persone – persone che era incaricata di proteggere. Ha ucciso cinquantasette membri di un’operazione mineraria.»
Avete presente quello che vi ho detto prima, sul fatto di aver hackerato il mio modulo di controllo ma di non essere diventata un’efferata assassina? Era vero solo in parte. Ero già un’efferata assassina.
Non avrei voluto dare spiegazioni. Eppure dovevo farlo. «Non ho hackerato il modulo di controllo per uccidere i miei clienti» dissi. «Il mio modulo di controllo era difettoso perché quegli scemi della compagnia comprano soltanto paccottiglia da due soldi. Il difetto mi fece perdere il controllo dei miei sistemi, e così uccisi quelle persone. La compagnia mi recuperò e installò un nuovo modulo di controllo. Io l’ho hackerato per evitare che accadesse di nuovo.»
O almeno credo che sia andata così. L’unica cosa di cui sono certa è che non sia successo dopo aver hackerato il modulo. E comunque, così suonava meglio. Guardo abbastanza serie d’intrattenimento da sapere come dovrebbe suonare una storia del genere.
Volescu aveva l’aria triste. Si strinse nelle spalle. «L’analisi del registro personale, che Gurathin ha estrapolato dall’Unità, lo conferma.»
Gurathin si voltò verso di lui, spazientito. «Il registro lo conferma perché è quello che l’Unità crede sia successo.»
Bharadwaj sospirò. «Eppure eccomi qui seduta, viva e vegeta.»
Il silenzio fu peggiore, stavolta. Dal feed vidi Pin-Lee che si muoveva a disagio, lanciando occhiate a Overse e Arada. Ratthi si strofinò il viso. Poi Mensah chiese piano: «SecUnit, hai un nome?».
Non ero sicura di dove volesse andare a parare. «No.»
«Lei usa il nome “Murderbot”» disse Gurathin.
Io aprii gli occhi e lo guardai; non riuscii a impedirmelo. Dalle loro espressioni capii che quel che provavo mi si leggeva in viso – una cosa che detestavo. «Era una cosa personale» dissi, a denti stretti.
Il silenzio che seguì fu ancora più lungo.
Poi Volescu disse: «Gurathin, volevi sapere come passa il tempo. È quello che andavi cercando nel registro. Dillo a tutti».
Mensah inarcò le sopracciglia. «Ebbene?»
Gurathin esitò. «Da quando siamo atterrati, ha scaricato settecento ore di programmi d’intrattenimento. Più che altro serie. Soprattutto una roba chiamata Sanctuary Moon.» Scosse la testa, critico. «È probabile che le stia usando per cifrare informazioni destinate alla compagnia. Non è possibile che abbia davvero guardato quella mole di materiale; ce ne saremmo accorti.»
Io sbuffai. Mi sottovalutava.
«Quella con la procuratrice della colonia che uccide il supervisore del processo di terraformazione che però era il donatore secondario per il suo impianto filiare?» disse Ratthi.
Ancora una volta, non riuscii a trattenermi. «Non l’ha ucciso lei. È una dannatissima bugia.»
Ratthi si voltò verso Mensah. «La guarda per davvero.»
Con espressione affascinata, Pin-Lee mi chiese: «Ma come hai fatto a hackerare il tuo modulo di controllo?».
«L’equipaggiamento aziendale è tutto uguale.» Una volta avevo ricevuto un download che includeva tutte le specifiche dei sistemi aziendali. Incastrata in un cubicolo, senza nient’altro da fare, l’avevo usato per craccare i codici del modulo di controllo.
Gurathin sembrava contrariato ma non disse niente. Immaginai che non avesse altro da aggiungere e che toccasse a me parlare. Gli dissi: «Stai commettendo un errore. L’HubSystem ti ha permesso di leggere il mio registro e di venire a sapere del modulo di controllo hackerato. Fa parte del sabotaggio. Vuole che smettiate di fidarvi di me perché sto cercando di tenervi in vita».
Gurathin obiettò: «Non dobbiamo fidarci di te. Dobbiamo soltanto tenerti immobilizzata».
Già, a proposito… «Non funzionerà» dissi.
«E perché, di grazia?»
Rotolai giù dal tavolo, afferrai Gurathin per la gola e lo appiccicai al muro. Fui rapida, troppo rapida perché potessero reagire. Diedi loro un secondo per rendersi conto di cosa fosse successo, trasalire. Volescu emise un gridolino stridulo. «Perché l’HubSystem vi ha mentito, quando vi ha detto che ero immobilizzata.»
Gurathin era rosso in viso, ma non quanto lo sarebbe stato se avessi cominciato a stringere davvero. Prima che qualcuno riuscisse a muovere un muscolo, Mensah disse, con voce tranquilla e pacata: «SecUnit, ti sarei grata se volessi mettere giù Gurathin, per cortesia».
È davvero un ottimo comandante. Penso che dovrei hackerare il suo file personale e aggiungerglielo in nota. Se si fosse agitata, avesse gridato o avesse lasciato che gli altri cedessero al panico, non so cosa sarebbe potuto succedere.
A Gurathin dissi: «Tu non mi piaci. Ma gli altri mi vanno a genio e, per un qualche motivo che non capisco, agli altri tu sembri piacere». Poi lo misi giù.
Mi feci indietro. Overse gli si accostò e Volescu gli posò una mano sulla spalla, ma Gurathin li scansò. Non gli avevo fatto nemmeno un graffietto sul collo.
Continuavo a guardarli dalla telecamera perché era più facile che farlo direttamente. La mia tuta epidermica era lacerata, lasciando scoperti alcuni punti delle parti organiche e inorganiche. Una cosa che detestavo. Erano rimasti tutti di sasso, sconvolti, incerti. Poi Mensah fece un respiro profondo. Mi disse: «SecUnit, puoi impedire all’HubSystem di accedere alle registrazioni di questa stanza?».
Guardai un punto sulla parete accanto alla sua testa. «L’ho tagliato fuori quando Gurathin ha detto di aver scoperto che il mio modulo di controllo era modificato, poi ho cancellato quella parte. Ho fatto in modo che le immagini e l’audio siano trasferiti dal SecSystem all’HubSystem con un margine di ritardo di cinque secondi.»
«Bene.» Mensah annuì. Stava cercando di guardarmi negli occhi, ma in quel momento non ce la facevo. «Senza il modulo di controllo non sei costretta a obbedire ai nostri ordini, né a quelli di nessun altro. Tuttavia, è così da quando siamo arrivati.»
Gli altri restavano in silenzio e mi resi conto che Mensah si rivolgeva a loro quanto a me.
«Vorrei che continuassi a far parte del nostro gruppo» proseguì, «perlomeno finché non ce ne andremo da questo pianeta e torneremo in un luogo sicuro. Da lì in poi, potremo discutere di quel che vuoi fare. Ma ti giuro che non dirò niente di te o del modulo hackerato né alla compagnia, né a nessun altro al di fuori di questo gruppo.»
Sospirai, riuscendo a farlo con una certa discrezione. Era ovvio che dicesse una cosa del genere. Cos’altro poteva fare? Stavo cercando di decidere se crederle o meno, o se avesse importanza farlo, quando fui sommersa da un’ondata d’indifferenza. E davvero non m’importava. Mi limitai a dire: «Okay».
Sul feed della telecamera, Ratthi e Pin-Lee si scambiarono un’occhiata. Gurathin fece una smorfia; irradiava scetticismo. Mensah si limitò a dire: «È possibile che l’HubSystem sappia del tuo modulo di controllo?».
Odiavo ammetterlo, ma dovevano sapere come stavano le cose. Hackerare me stessa era un conto – ma avevo hackerato altri sistemi e non sapevo come avrebbero reagito alla cosa. «Potrebbe, sì. Ho hackerato l’HubSystem non appena siamo arrivati per impedirgli di rilevare che i comandi impartiti tramite il modulo di controllo non venivano sempre eseguiti, ma a questo punto, se l’HubSystem è stato compromesso da un agente esterno, non so se abbia funzionato. L’HubSystem, però, non saprà che voi sapete.»
Ratthi incrociò le braccia, incurvando le spalle a disagio. «Dobbiamo spegnere quell’affare, o ci ammazzerà tutti.» Poi trasalì e guardò verso di me. «Scusa, parlavo dell’HubSystem.»
«Figurati» dissi io.
«Quindi pensiamo che l’HubSystem sia stato compromesso da un agente esterno?» disse lentamente Bharadwaj, come per cercare di convincersi. «Possiamo essere sicuri che non sia la compagnia?»
«Il segnalatore d’emergenza di DeltFall era stato attivato?» chiesi io.
Mensah si accigliò e Ratthi sembrò nuovamente sovrappensiero. «Abbiamo controllato sulla via del ritorno» disse lei, «dopo averti stabilizzato. Era stato distrutto. Gli aggressori non avrebbero avuto nessuna ragione di farlo, se la compagnia fosse stata in combutta con loro.»
Rimasero tutti fermi, in silenzio. Dalle loro espressioni capivo che si stavano spremendo le meningi. L’HubSystem che controllava il loro habitat, da cui dipendevano per cibo, riparo, aria respirabile e acqua potabile stava cercando di ucciderli. E nel loro angolo potevano contare soltanto su Murderbot, il cui unico desiderio era che chiudessero tutti il becco e la lasciassero in pace a godersi il feed d’intrattenimento per tutto il giorno.
Poi si fece avanti Arada, che mi posò una mano sulla spalla. «Mi dispiace. Questa faccenda dev’essere molto sgradevole. Dopo quello che ti ha fatto quell’altra Unità… Stai bene?»
Quella era troppa attenzione. Mi voltai e andai nell’angolo, dando loro le spalle. «Ci sono altre due occasioni di tentato sabotaggio di cui sono a conoscenza» dissi. «Quando il Primo Ostile ha aggredito la dottoressa Bharadwaj e Volescu e sono andata a soccorrerli, l’HubSystem mi ha inviato un ordine di annullamento attraverso il modulo di controllo. Ho pensato fosse un errore causato dal feed di emergenza del MedSystem che cercava di prendere la priorità sull’HubSystem. Mentre la dottoressa Mensah pilotava l’hopper piccolo per andare a controllare le anomalie più vicine sulla mappa, poi, il pilota automatico si è disinserito proprio al momento di superare una catena montuosa.» Mi pareva fosse tutto. Ah, giusto… «E l’HubSystem ha scaricato dal satellite un pacchetto di aggiornamento destinato a me appena prima di partire per DeltFall. Non l’ho installato. Forse dovreste dare un’occhiata a ciò che mi avrebbe ordinato di fare.»
«Pin-Lee, Gurathin» disse Mensah, «riuscite a spegnere l’HubSystem senza compromettere i sistemi ambientali e a attivare il nostro segnalatore d’emergenza senza che interferisca?».
Pin-Lee scoccò un’occhiata a Gurathin e annuì. «Dipende dalle condizioni in cui ti aspetti che sia quando avremo finito.»
«Magari evitate di farlo saltare in aria, ma non c’è nemmeno bisogno di essere troppo delicati» disse Mensah.
Pin-Lee annuì nuovamente. «Si può fare.»
Gurathin si schiarì la gola. «L’HubSystem se ne accorgerà. Ma potrebbe anche non fare niente, se non ha ricevuto istruzioni di fermare un tentativo del genere.»
Bharadwaj si chinò in avanti, accigliandosi. «Di sicuro farà rapporto a qualcuno. Se avesse modo di avvertirlo che lo stiamo spegnendo, questo qualcuno potrebbe fornire istruzioni al riguardo.»
«Dobbiamo provarci» disse Mensah. Fece un cenno del capo a Pin-Lee e Gurathin. «Datevi da fare.»
Pin-Lee si mosse verso la porta ma Gurathin si fermò per dire a Mensah: «Sarete al sicuro, qui?».
Quel che intendeva era se sarebbero stati al sicuro lì, con me. Alzai gli occhi al cielo.
«Andrà tutto bene» disse Mensah decisa, con un’inflessione che diceva “muoversi”.
Io lo tenni d’occhio con le telecamere di sicurezza mentre se ne andava con Pin-Lee, qualora avesse avuto in mente qualche scherzetto.
Volescu si tirò in piedi. «Dobbiamo anche controllare quel download dal satellite. Sapere cosa volessero far fare alla SecUnit potrebbe dirci parecchie cose.»
Bharadwaj si alzò, ancora incerta. «Il MedSystem è isolato dall’HubSystem, giusto? È per questo che non ha avuto guasti. Potresti usarlo per spacchettare il download.»
Volescu la prese sottobraccio e si spostarono nella cabina adiacente per usare lo schermo a parete.
Ci fu un breve silenzio. Gli altri potevano ancora seguire quel che dicevamo sul feed ma perlomeno non erano nella stanza; sentii diminuire la tensione alle spalle e alla schiena. Mi fu più facile pensare. Ero lieta che Mensah avesse ordinato loro di attivare il nostro segnalatore d’emergenza. Benché qualcuno di loro nutrisse ancora qualche sospetto sulla compagnia, non avevamo comunque altro modo di andarcene da quel pianeta.
Arada si allungò e prese la mano di Overse tra le sue. «Ma se dietro tutto questo non c’è la compagnia, allora chi…?»
«Dev’esserci qualcun altro, qui.» Mensah si strofinò la fronte, stringendo gli occhi mentre rifletteva. «Quelle due SecUnit in eccesso a DeltFall dovevano pur arrivare da qualche parte. SecUnit… Immagino che la compagnia possa essere corrotta per nascondere l’esistenza di una terza squadra di ricognizione su questo pianeta.»
«La compagnia si farebbe corrompere per nascondere l’esistenza di diverse centinaia di squadre di ricognizione su questo pianeta» risposi io. Squadre di ricognizione, intere città, colonie perdute, circhi itineranti, fintanto che potevano cavarsela senza conseguenze. Certo, non vedevo come potessero cavarsela senza conseguenze facendo svanire nel nulla un’intera squadra – due intere squadre – di clienti. O perché avrebbero dovuto volerlo fare. C’erano troppe compagnie in giro, troppa concorrenza. I clienti morti erano un disastro per gli affari. «Non credo che la compagnia si metterebbe in combutta con un gruppo di clienti per uccidere altri due gruppi di clienti. Avete stipulato un contratto secondo cui la compagnia ha l’obbligo di garantire la vostra sicurezza, o versare un risarcimento in caso di morte o danni permanenti. Quand’anche la compagnia non potesse essere ritenuta responsabile o parzialmente responsabile per la vostra morte, dovrebbe comunque versare il risarcimento ai vostri eredi. DeltFall era una grossa spedizione. Il risarcimento per le loro morti sarà molto oneroso.» E la compagnia odiava sborsare denaro. Si capiva benissimo dai rivestimenti riciclati sui mobili dell’habitat. «Se poi tutti fossero convinti del fatto che i clienti siano stati uccisi da SecUnit difettose, il risarcimento sarebbe ancor più ingente dopo le cause civili che ne conseguirebbero.»
Li vedevo annuire pensierosi dalle telecamere, mentre riflettevano sulla questione. E si ricordavano che avevo una certa esperienza di quel che poteva succedere dopo che una SecUnit si guastava e ammazzava i clienti.
«Quindi la compagnia ha accettato una mazzetta per nascondere questa terza squadra di ricognizione, ma non per lasciare che ci uccidessero» disse Overse. La cosa buona dei clienti scienziati è che sono svelti di comprendonio. «Questo significa che dobbiamo solo restare vivi quanto basta perché la nave di recupero arrivi sin qui.»
«Ma chi sono?» chiese Arada, gesticolando. «Sappiamo che, chiunque siano, devono aver preso il controllo del satellite.» La vidi che guardava verso di me dalla telecamera di sicurezza. «È così che hanno preso il controllo delle SecUnit di DeltFall? Con un download?»
Bella domanda. «È possibile» risposi. «Ma non spiega perché una delle tre Unità di DeltFall sia stata uccisa fuori dalla sala comune con una trivella mineraria.» Si dava per scontato che non potessimo rifiutare un aggiornamento, e dubitavo che esistessero altre SecUnit che nascondevano un modulo di controllo hackerato. «Se la squadra DeltFall ha rifiutato l’aggiornamento delle loro SecUnit perché stavano registrando il nostro stesso incremento di malfunzionamenti, le due Unità non identificate potrebbero essere state inviate per infettare manualmente le Unità di DeltFall.»
Ratthi aveva lo sguardo perso davanti a sé e, dal feed, vidi che stava studiando le immagini che la mia telecamera aveva ripreso all’interno dell’habitat di DeltFall. Indicò nella mia direzione e annuì. «Concordo, ma significherebbe che la squadra DeltFall ha permesso l’accesso delle Unità sconosciute nel proprio habitat.»
Era probabile. Ci eravamo assicurati che tutti i loro hopper fossero in posizione, ma era stato impossibile stabilire se ne fosse atterrato un altro che poi, a un certo punto, se n’era andato. A tal proposito, feci un rapido controllo del feed della sicurezza per verificare le condizioni del nostro perimetro. I droni erano ancora di pattuglia e i nostri sensori di allarme rispondevano tutti al ping.
«Ma perché?» chiese Overse. «Perché far entrare nel loro habitat una squadra estranea, una squadra di cui avevano nascosto loro l’esistenza?»
«Voi fareste lo stesso» dissi io. Avrei dovuto tenere la bocca chiusa, lasciare che continuassero a pensare a me come alla loro solita, obbediente SecUnit, e smetterla di ricordar loro cosa fossi. Ma volevo che facessero attenzione. «Se una squadra di ricognizione sconosciuta atterrasse qui, comportandosi in modo amichevole, dicendovi che sono appena arrivati sul pianeta e “oh, abbiamo avuto un guasto all’equipaggiamento” o magari “il nostro MedSystem è danneggiato e abbiamo bisogno di aiuto”, voi li lascereste entrare. Quand’anche vi dicessi di non farlo perché sarebbe contrario ai protocolli di sicurezza aziendali, voi li fareste entrare.» Non è che io sia cinica o chissà cosa… Molte delle regole della compagnia sono stupide, o servono solo a incrementare il profitto, ma alcune di queste hanno una loro ragion d’essere. Non lasciar entrare degli sconosciuti nel tuo habitat è una di queste.
Arada e Ratthi si scambiarono un’occhiata divertita. Overse concesse: «È possibile, sì».
Mensah era rimasta in silenzio ad ascoltarci. Disse: «Credo sia stata più semplice di così. Credo che si siano spacciati per noi».
Era talmente semplice che mi voltai e la guardai dritto negli occhi. Aveva la fronte aggrottata, pensierosa. Continuò il ragionamento: «Per cui atterrano, si spacciano per noi, dicono di aver bisogno di aiuto. Se hanno accesso al nostro HubSystem, origliare al nostro canale audio sarebbe facile».
«Quando verranno qui non faranno lo stesso» dissi io. Tutto dipendeva da ciò di cui disponeva l’altra squadra di ricognizione, se erano giunti sul posto pronti a sbarazzarsi delle squadre rivali o se avevano deciso di farlo dopo essere arrivati. Potevano avere mezzi armati, SecUnit da combattimento, droni da battaglia. Presi qualche esempio dal database e li inviai sul feed per mostrarli agli umani.
Il feed del MedSystem m’informò che il battito cardiaco di Ratthi, Overse e Arada aveva subìto una brusca accelerazione. Non così quello di Mensah – lei aveva già preso in considerazione quella possibilità. Ecco perché aveva mandato Pin-Lee e Gurathin a disabilitare l’HubSystem.
«Che possiamo fare quando arriveranno qui?» chiese Ratthi, nervoso.
«Essere altrove» risposi.
Potrà sembrare strano che Mensah fosse l’unica umana che avesse pensato di abbandonare l’habitat mentre aspettavamo che il segnalatore di emergenza ci portasse i soccorsi, ma, come dicevo prima, quelli non erano intrepidi esploratori galattici. Erano persone venute lì per fare un lavoro e che, tutt’a un tratto, si erano ritrovate invischiate in una terribile situazione.
Fin dalle riunioni di orientamento precedenti la partenza, dalle liberatorie che avevano dovuto firmare per la compagnia ai pacchetti perlustrativi con tutte le informative sui rischi, allo stesso briefing in situ della loro SecUnit, gli era stato inculcato nel cervello che si sarebbero trovati in una regione sconosciuta e potenzialmente pericolosa, su un pianeta perlopiù ancora inesplorato. Non dovevamo lasciare l’habitat senza precauzioni di sicurezza, e non facevamo nemmeno prospezioni notturne. L’idea che avrebbero dovuto inzeppare entrambi gli hopper di scorte d’emergenza e darsela a gambe, e che così facendo sarebbero stati più al sicuro che all’interno dell’habitat, era difficile da accettare.
Quando però Pin-Lee e Gurathin disattivarono l’HubSystem e Volescu spacchettò l’aggiornamento che mi era stato inviato dal satellite, l’accettarono piuttosto in fretta.
Bharadwaj ce lo sintetizzò dal canale audio mentre finivo di indossare la mia ultima tuta epidermica di ricambio e la corazza. «L’aggiornamento avrebbe preso il comando della SecUnit, e le istruzioni erano molto specifiche» concluse. «Una volta che la SecUnit fosse stata sotto controllo, avrebbe dovuto dar loro accesso al MedSystem e al SecSystem.»
Infilai il casco e oscurai la visiera. Il sollievo fu intenso, più o meno quanto quello che avevo provato nel rendermi conto che il modulo di combattimento era stato rimosso. Ti amo, corazza mia; non ti lascerò mai più.
Mensah s’inserì nel canale. «Pin-Lee, che mi dici del segnalatore d’emergenza?»
«Ho ricevuto il via libera quando ho avviato il lancio.» Pin-Lee pareva più esasperata del solito, se possibile. «Ma con l’HubSystem disattivato non posso averne conferma.»
Attraverso il feed dissi loro che potevo inviare un drone a controllare la situazione. Un lancio efficace del segnale d’emergenza era di fondamentale importanza. Mensah mi diede ordine di procedere e io inoltrai il comando a uno dei miei droni.
Il nostro segnalatore d’emergenza si trovava a qualche chilometro di distanza dall’habitat, per questioni di sicurezza, ma pensavo che in teoria avremmo dovuto sentirlo partire. O forse no; non mi era mai capitato di lanciarne uno, prima di allora.
Mensah aveva già organizzato e messo in movimento gli umani, e, non appena ebbi caricato le armi e i droni di riserva, anch’io presi un paio di casse. Nel frattempo, continuavo a origliare qualche frammento di conversazione dalle telecamere di sicurezza.
(«Bisogna considerarla come se fosse una persona» diceva Pin-Lee a Gurathin.
«È una persona» insisteva Arada.)
Ratthi e Arada mi superarono di gran carriera, trasportando attrezzature sanitarie e batterie di riserva. Io avevo esteso più che potevo il perimetro dei nostri droni. Non avevamo la certezza che chi aveva aggredito DeltFall sarebbe arrivato da un momento all’altro, ma era molto probabile. Gurathin era uscito a controllare i sistemi di entrambi gli hopper per assicurarsi che nessun altro oltre a noi potesse accedervi e che l’HubSystem non avesse interferito con i codici. Lo tenni d’occhio attraverso uno dei droni. Lui continuava a guardare verso di me – o a cercare di non farlo, il che era anche peggio. In quel momento, l’ultima cosa di cui avevo bisogno era quella distrazione. Quando ci avessero attaccato, sarebbe successo tutto molto in fretta.
(«Ma io la considero una persona» diceva Gurathin. «Una persona arrabbiata e armata fino ai denti, che non ha nessun motivo di fidarsi di noi.»
«E allora smettila di trattarla male» lo redarguiva Ratthi. «Potrebbe non guastare.»)
«Sanno che la loro SecUnit ha impiantato con successo il modulo di combattimento sulla nostra» disse Mensah nel canale audio. «E dobbiamo immaginare che abbiano ricevuto sufficienti informazioni dall’HubSystem da capire che l’abbiamo rimosso. Ma non sanno che abbiamo ipotizzato la loro esistenza. Quando SecUnit ha tagliato fuori l’HubSystem, stavamo ancora ipotizzando che il sabotaggio fosse opera della compagnia. Non possono immaginare che sappiamo del loro arrivo imminente.»
Ecco perché dovevamo darci una mossa. Ratthi e Arada si fermarono per rispondere a una domanda sulle batterie di alimentazione delle attrezzature mediche e io li rispedii con urgenza verso l’habitat per il carico successivo.
Il problema che mi sarei trovata ad affrontare era il modo in cui combattono i murderbot: ci scagliamo addosso al bersaglio per farlo a pezzi, sapendo che il novanta per cento del nostro corpo può rigenerarsi o essere rimpiazzato in un cubicolo. Ecco perché di solito non è richiesta nessuna finezza di sorta.
Lasciando l’habitat non avrei più avuto accesso al cubicolo. Quand’anche avessimo saputo come smontarlo, poi, e non era quello il caso, era comunque troppo grosso per essere caricato sull’hopper e consumava troppa energia.
Ed era possibile che gli altri disponessero di robot da combattimento veri e propri, piuttosto che un semplice costrutto di sicurezza come me. In quel caso, la nostra unica speranza sarebbe stata tenerci alla larga da loro finché non fosse giunta la nave di rientro. Sempre che l’altra squadra non avesse corrotto un funzionario della compagnia per ritardarne l’arrivo. Non avevo ancora ventilato quella possibilità.
Avevamo caricato quasi tutto quando Pin-Lee disse, dal canale audio: «Trovato! Erano riusciti a nascondere un codice d’accesso nell’HubSystem. Non trasmetteva né audio, né video, e non permetteva di vedere il nostro feed, ma riceveva comandi a intervalli regolari. È così che hanno rimosso le informazioni dal nostro pacchetto mappe e che hanno inviato il comando di disconnessione al pilota automatico dell’hopper più piccolo».
«Entrambi gli hopper sono a posto, adesso» aggiunse Gurathin. «Ho avviato i controlli pre-decollo.»
Mensah stava dicendo qualcosa ma avevo appena ricevuto un’allerta dal SecSystem. Un drone mi stava inviando un avviso di emergenza.
Un istante dopo accedetti alla visuale del drone sul campo in cui avevamo collocato il nostro segnalatore. Il tripode di lancio era riverso a terra, accanto ai frammenti sparsi della capsula.
Inoltrai le immagini sul feed generale e tra gli umani calò il silenzio. «Merda» sibilò Ratthi, con voce flebile.
«Non vi fermate» disse roca Mensah sul canale audio.
Con l’HubSystem disattivato non disponevamo più di uno scanner, ma avevo ampliato il più possibile il perimetro dei droni. E il SecSystem aveva appena perso contatto con uno di quelli più a sud. Gettai l’ultima cassa nella baia di carico, impartii i comandi a tutti i droni e gridai nel canale audio: «Stanno arrivando! Dobbiamo decollare, presto!».
Camminare nervosamente avanti e indietro di fronte agli hopper in attesa dei miei umani fu inaspettatamente stressante. Volescu uscì con Bharadwaj, aiutandola a camminare sul terreno sabbioso. Seguirono Overse e Arada, zaini in spalla e gridando a Ratthi, che era rimasto indietro, di darsi una mossa. Gurathin era già a bordo dell’hopper grande. Mensah e Pin-Lee arrivarono per ultime.
Si divisero: Pin-Lee, Volescu e Bharadwaj si diressero all’hopper più piccolo e il resto salì sul grande. Mi assicurai che Bharadwaj riuscisse a salire la rampa senza problemi. Ci fu un intoppo sul portellone dell’hopper grande, dove Mensah voleva essere l’ultima a salire ma anche io volevo essere l’ultima a salire. Come compromesso, la cinsi in vita con un braccio e feci passare entrambe attraverso il portellone mentre la rampa risaliva alle nostre spalle. La posai a terra e lei mi disse: «Grazie, SecUnit» sotto lo sguardo attonito degli altri.
Il casco rendeva le cose un po’ più facili, ma avrei sentito la mancanza dell’effetto cuscinetto che mi garantivano le telecamere di sicurezza.
Rimasi in piedi, reggendomi ai sostegni sul soffitto mentre gli altri si allacciavano le cinture di sicurezza e Mensah si dirigeva verso il sedile del pilota. L’hopper più piccolo decollò per primo e lei gli diede il tempo di sgomberare l’area prima di farci alzare da terra.
Ci muovevamo secondo un assunto: dal momento che Loro, chiunque fossero questi Loro, non sapevano che sapevamo della Loro presenza, avrebbero mandato soltanto una navicella. Si aspettavano di sorprenderci all’interno dell’habitat ed era probabile che arrivassero pronti a distruggere i nostri hopper per intrappolarci e poi togliere di mezzo il personale. Ora che però sapevamo da dove sarebbero arrivati, eravamo liberi di scegliere una direzione di fuga. L’hopper più piccolo deviò verso ovest, e noi ci mettemmo in scia.
Sperai soltanto che i rilevatori dei loro hopper non avessero un raggio d’azione più ampio dei nostri.
Potevo vedere la maggior parte dei miei droni sul feed dell’hopper; insieme, creavano un punto luminoso tridimensionale sulla mappa. Il Gruppo Uno stava eseguendo i miei comandi, radunato in un punto di raccolta vicino all’habitat. Avevo effettuato un calcolo per stimare il momento di arrivo del velivolo nemico. Appena prima di perdere il contatto ordinai ai droni di dirigersi a nordovest. Pochi istanti dopo uscirono dal nostro raggio di comunicazione. Avrebbero continuato a seguire l’ultimo comando ricevuto finché non avessero esaurito le batterie.
Speravo che i nostri nemici li avrebbero individuati e inseguiti. Non appena fossero arrivati in vista del nostro habitat si sarebbero accorti che i nostri hopper erano spariti e avrebbero capito che eravamo fuggiti. Potevano fermarsi per perquisire l’habitat, ma potevano anche cominciare a cercare la nostra rotta di fuga. Era impossibile sapere cosa avrebbero fatto.
Mentre procedevamo, però, allontanandoci velocemente verso le montagne più distanti, nessuno ci inseguì.