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Un ultimo tonfo sulla barriera mi fece capire che la SecUnit da combattimento non sapeva perdere. Le mie parti organiche fremevano, avevo il corpo pieno di schegge di proiettili ma ero ancora all’ottantatré per cento di affidabilità di sistema (meno male che non c’è una statistica dedicata per la mia affidabilità mentale, perché in quel momento penso che perfino io stessa non l’avrei valutata un granché).
Gurathin era inginocchiato accanto a un pannello di manutenzione aperto sul pavimento, vicino al varco, con gli strumenti sparsi tutto intorno, e Ratthi gli teneva una torcia. Il pannello era dipinto con un’etichetta che riportava la scritta Sblocco Manuale in lingue diverse. Non sapevo nemmeno che le mettessero nei porti. Sono una SecUnit, mica un ingegnere.
La nostra navetta era sei baie più avanti, e accanto a quella vedevo Mensah in piedi, nel bagliore delle luci di emergenza, con una piccola arma a raggio diretto tra le mani. Perché diavolo aveva una cosa del genere? Ah, già. Perché, anche se la barriera di sicurezza era calata nell’altro varco alla fine di quella sezione, un piccolo gruppo di umani era comunque rimasto intrappolato lì e si era ammassato verso la paratia dalla parte della stazione.
Dovevamo andarcene da lì prima che qualcuno convincesse la sicurezza portuale a rialzare quelle barriere.
Mi tirai in piedi e il ginocchio cominciò a cedere. Incespicai, e Ratthi corse da me. Esitò, agitando le braccia. «Ti spiace se ti aiutiamo a…?»
Gli afferrai una spalla per restare in piedi e cercai di non crollargli addosso. Ero piuttosto certa che l’articolazione fosse stata colpita dalle schegge di qualche drone distrutto a mezz’aria, dal momento che un colpo diretto mi avrebbe amputato la gamba. Gurathin si affrettò a passarsi sulle spalle l’altro mio braccio e corremmo zoppicando goffamente fino alla navetta.
Mensah ci fece segno con la testa di entrare per primi mentre ci copriva la ritirata. Mettermi a discutere con lei sarebbe stato stupido, ma era difficile ignorare la mia programmazione originale. Attraversammo il portellone e Mensah indietreggiò per raggiungerci. Richiuse la camera stagna e gridò: «Pin-Lee, siamo a posto!».
Il ponte vibrò e mandò colpi secchi mentre la navetta si sganciava dall’attracco. Mi staccai da Ratthi e Gurathin, che liberò lo spazio risalendo un corridoio per consentire a Mensah di oltrepassarci e di salire in cabina di pilotaggio. Era una navetta spola piuttosto piccola, dotata di un unico scompartimento con le sedute lungo le paratie, uno scomparto per la sistemazione di scorte di emergenza e un bagno di servizio. Mi era già capitato di salire a bordo di questo stesso modello di navetta durante un incarico precedente.
L’articolazione del ginocchio cedette del tutto e crollai sul pavimento. Avevo attenuato i ricettori di dolore, forse anche troppo. «Ratthi, ho davvero bisogno che mi tolga quella scheggia dal ginocchio» dissi.
«Non possiamo aspettare?» disse Ratthi, chinandosi su di me. «Sulla nave c’è un MedSystem.»
Riuscivo già a sentire i sistemi della compagnia ai margini del mio feed, che mi riconoscevano e cercavano di accedere. Io intercettai le telecamere di sorveglianza, ingaggiai una breve lotta con il sistema di sicurezza della navetta e cominciai a cancellare tutto ciò che era stato registrato dal momento in cui la squadra di Preservation era salita a bordo. Ratthi era il solito ottimista. Sulla nave della compagnia non ci sarebbe stato un MedSystem, per me, ma un cubicolo. «Non possiamo assolutamente aspettare» replicai.
Ratthi mi si accovacciò accanto e gridò a Gurathin di portare giù il kit di emergenza della navetta.
In cabina di pilotaggio, Pin-Lee controllava il bot di pilotaggio e Mensah le stava accanto. Un avviso dall’Autorità Portuale della stazione innescò un allarme sul canale di comunicazione. «Che succede?» chiese Pin-Lee.
L’espressione di Mensah s’indurì per la rabbia. «Un “residente corporativo anonimo” ha appena lanciato la sua nave ed è in rotta d’intercetto con noi.»
Pin-Lee disse una cosa davvero sporca che non avrei dovuto avere nel mio vocabolario di base. «Indovina chi è il residente corporativo.»
Pensavano che fosse GrayCris, ma ero piuttosto sicura che fosse una nave della Palisade, sotto contratto con GrayCris. Ratthi prese il bisturi e l’estrattore dal kit di emergenza. Con Gurathin che l’assisteva chino sopra la sua spalla, riaprì il materiale organico appena sopra l’articolazione del ginocchio danneggiato per raggiungere la scheggia.
Una nave della Palisade sarebbe stata in grado di raggiungere la navetta e di abbordarla. L’ultima cosa che avrei voluto era chiedere aiuto alla nave armata della compagnia. L’ultima cosa che avrei voluto era che GrayCris ci riacciuffasse. Le due cose erano incompatibili. Era ora di smetterla di cazzeggiare. Accedetti al canale di comunicazione e misi in sicurezza un canale con la nave armata della compagnia.
Trasmisi: Richiesta Sistema.
Ebbi tre secondi per chiedermi se l’interfaccia della compagnia mi avrebbe ancora riconosciuta. In precedenza ero arrivata al bot di pilotaggio, ma era comunque un parziale hackeraggio. Stavolta stavo bussando alla porta d’ingresso. Poi udii: Situazione.
Inviai: Attiva, recupero rischioso in corso, clienti sotto contratto, presto presto presto.
La risposta fu Ricevuto e il bot di pilotaggio della navetta rilevò che la nave armata si era appena girata verso di noi.
Io tenni a bada i sensori mentre Ratthi estraeva il proiettile dall’articolazione del ginocchio.
La nave armata accelerò. Non capivo se stesse comunicando con la nave d’intercetto di GrayCris o no. Poi i sensori della navetta colsero la traccia energetica che significava che la nave armata stava scaldando le armi primarie. Oh, sì, stavano comunicando eccome.
Ratthi cercò di usare un cicatrizzante per richiudere il foro nel mio tessuto organico, ma non faceva presa per via della vicinanza del giunto inorganico. Avrei perso fluidi per un po’. «Stai bene?» mi chiese, guardandomi preoccupato.
«Non proprio» risposi.
I sensori mostravano che la nave di Palisade aveva cambiato rotta e stava rallentando. La visuale vacillò quando la nave armata ci agganciò al volo e virò lontano dalla stazione. La navetta sussultò mentre la chiglia si richiudeva intorno a noi. Mi aggrappai alla panchina e cominciai a rimettermi in piedi.
«Piano, piano» disse Ratthi. Non vorrai riaprire… Ah, sta sanguinando ancora, scusa…»
Ancora accigliato, Gurathin mi disse: «Non possono portarti via da noi. La dottoressa Mensah non lo permetterà».
La camera stagna si stava già aprendo e Mensah tornò in cabina attraversando la navetta a piedi nudi, furiosa. Consegnò l’arma a impulso a Gurathin, che la ficcò di corsa nel kit di emergenza della navetta.
Mentre il portellone si apriva, Mensah si mise di fronte a me.
Sulla soglia comparve una sagoma in armatura potenziata. Era un umano aumentato – non era una SecUnit ma aveva un fucile piuttosto grosso.
Mensah piantò le mani su entrambi i lati del portellone, mettendo bene in chiaro che per entrare sarebbero dovuti passare sul suo corpo. «Siamo clienti contrattualizzati e questa è la mia consulente per la sicurezza personale. C’è qualche problema?»
Un membro dell’equipaggio fece capolino da dietro la corazza e disse: «Dottoressa Mensah, a bordo dei veicoli armati non è ammessa la presenza di SecUnit, salvo casi particolari. È… Troppo pericoloso».
«Questo è un caso particolare» ribatté Mensah. La sua voce si era fatta gelida.
Nessuno mosse un dito. Il feed riservato della nave avvampò per sette minuti che parevano trenta (e, per come vivo io il tempo, sono proprio tanti… Sì, avevo fatto partire una serie in sottofondo). Il pilota robotizzato della nave armata m’inviò un ping, incuriosito. Le SecUnit attive non vengono mai portate a bordo di una nave armata perché – hanno ragione – è troppo pericoloso; di solito veniamo spedite come merce su trasporti non armati. Il bot di pilotaggio aveva già comunicato con delle SecUnit via feed, durante le missioni, ma non ne aveva mai avuta una a bordo prima di allora.
Poi il canale audio si riaccese e una voce disse: «Dottoressa Mensah, sono il supervisore di questa nave armata. Mi è stato chiesto di farvi firmare un contratto per garantire la sicurezza a bordo della nave».
«Cosa?!» protestò Ratthi. «Abbiamo già un contratto.»
«Questo specifico contratto viene richiesto qualora si voglia portare un’arma letale a bordo di una nave di trasporto armata della compagnia.»
Già, parlavano di me. Sarebbe stato più divertente se non avessi perso tutti quei fluidi sul ponte.
La voce di Pin-Lee era a metà strada tra la rabbia e l’incredulità. «Dice sul serio? Bah, lascia perdere, che domanda stupida… Certo che dice sul serio.» Si voltò mentre Gurathin le passava lo zaino. «Quant’è che vogliono, adesso, questi stronzi?» borbottò.
Aveva ragione: erano degli stronzi. Non che non lo sapessi già da tempo, solo che era più difficile da digerire in quel frangente. Accedetti alla mia connessione privata con Mensah e dissi: Posso impossessarmi della nave.
No, non ce n’è bisogno, possiamo pagarli, rispose Mensah.
Non dovremmo. Non dobbiamo. Il pilota robotizzato era curioso e amichevole ma non era ART; non poteva fermarmi. Avrei potuto prendere il controllo del SecSystem della nave e strappare quell’appetitoso fucile a me tanto familiare dalle mani di quell’umano prima ancora che lui riuscisse a sbattere le palpebre. Volevo farlo, e le mie intenzioni filtrarono attraverso il feed.
Mensah si voltò, mi afferrò per il colletto della giacca con entrambe le mani e disse: «No».
Nella cabina scese il silenzio. Ratthi e Gurathin, Pin-Lee che stava ancora rovistando nello zaino alla ricerca delle carte valuta, l’equipaggio fuori dal portellone, la voce nel canale audio. All’improvviso ebbi bisogno di vedere il viso di Mensah e lasciai perdere le visuali dalle telecamere della navetta per abbassare lo sguardo verso di lei.
Aveva l’aria furiosa ed esausta, ed era proprio così che mi sentivo anch’io. Non hai idea di cosa sia io, le trasmisi.
Lei inclinò il capo e sembrò ancor più furiosa. So esattamente cosa sei. Sei spaventata, sei ferita, e hai bisogno di darti una cazzo di calmata così potremo uscire vivi da questa situazione.
Sono calma, replicai. Bisogna essere calmi per prendere il controllo di una nave armata.
Mensah strinse gli occhi. Le consulenti per la sicurezza non precipitano i propri clienti in un’inutile carneficina per prendere il controllo della loro nave di recupero. Poi aggiunse: Perché sarebbe stupido.
Non aveva paura di me. E fui colpita dal pensiero che non volevo che cambiasse idea. Aveva appena vissuto un’esperienza traumatica, e io non facevo che peggiorarla. Qualcosa stava prendendo il sopravvento su di me, e non era quella familiare ondata di menefreghismo.
E va bene, trasmisi. Se sembravo imbronciata, è perché ero imbronciata.
Detesto le emozioni.
«Bene» disse Mensah ad alta voce. «Pin-Lee, abbiamo quanto serve per questo inutile contratto da idioti?»
«Sì.» Pin-Lee agitò una manciata di carte valuta. «Se non dovessero bastare, ho le coordinate del nostro conto e posso trasmettere un’autorizzazione…»
Mensah finì d’indirizzarmi un’occhiataccia e si voltò. L’equipaggio che l’aveva appena vista affrontare a muso duro una SecUnit ribelle, coi propri occhi e attraverso la telecamera del casco della corazza potenziata, la fissava con gli occhi sgranati. Lei disse: «Dal momento che siamo clienti contrattualizzati, vi spiace se saliamo a bordo mentre sistemiamo questo conticino?».
Ci fu un’esitazione, poi la voce nel canale audio disse: «Prego, salite pure a bordo, dottoressa Mensah».
Vi ho parlato di quella faccenda delle SecUnit a cui non è permesso sedersi sul mobilio umano quando sono in servizio (e anche quando non sono in servizio)? La prima cosa che feci, quando l’equipaggio ci condusse attraverso il portellone di accesso e giù per un corridoio fino alla zona passeggeri, fu sedermi sulla panca imbottita (non sono sicura di aver impressionato granché gli umani. Quelli non le notano, certe cose. Io però mi sentii alla grande).
Gurathin si sedette sulla panca della parete di fronte e Ratthi si sedette mollemente vicino a me. Eravamo in uno spazioso scompartimento situato un paio di livelli più in basso rispetto al ponte di comando, che veniva probabilmente usato per le riunioni con il personale non appartenente alla compagnia, dal momento che era isolato dal resto della struttura della nave e che le imbottiture erano relativamente nuove.
La squadra di sicurezza della nave si era posizionata nell’ampio corridoio all’esterno dello scompartimento, anche se il tipo con la corazza potenziata si era ritirato oltre la nostra visuale (l’equipaggio pensava di aver blindato il SecSystem e che non potessi accedervi. Sbagliava di grosso). Un membro dell’equipaggio stava cercando di convincere la dottoressa Mensah ad andare in cabina a riposare ma lei era occupata a controllare il nuovo contratto di servizio mentre Pin-Lee si occupava del pagamento.
Mentre origliavo sul canale audio del SecSystem, udii un membro dell’equipaggio in corridoio che diceva: «Non ne avevo mai vista una senz’armatura. Certo che sembrano proprio umane».
Feci un gestaccio in quella direzione, uno di quelli che avevo visto soltanto nelle serie censurate per eccesso di oscenità. Gurathin mi vide e soffocò una risata.
Poi Mensah diede a Pin-Lee l’approvazione per il pagamento del contratto e venne verso di me per guardarmi in cagnesco. Con un tono di voce basso, mi disse: «Sono incazzata nera con te».
Ratthi si scansò nervosamente (di me Ratthi non aveva paura, ma quando la dottoressa Mensah era arrabbiata era sempre meglio essere da un’altra parte). «Ehm… Se volete parlare in privato…»
«Faresti meglio a sederti» le dissi. «Hai avuto un’esperienza traumatizzante. Di’ loro che hai bisogno del Protocollo di Valutazione per i Clienti Recuperati del MedSystem…»
«Ha ragione, dovresti proprio farti fare un bel controllo…» cominciò a dire Gurathin, con Ratthi e Pin-Lee che si unirono al coro.
«Lascia perdere.» Mensah non aveva intenzione di farsi distrarre. «Sei rimasta indietro per farti ammazzare.»
Okay… A parte il fatto che in quel momento era esattamente la mia intenzione, comunque non era colpa mia. «Non mi avrebbero fatto passare. Ho detto alla sicurezza portuale che, se ti avessero lasciata passare fino alla navetta, io sarei rimasta lì.»
Lei rimase interdetta. Aggrottò la fronte. «È per questo che sei rimasta indietro?»
Avrei potuto mentire, ma non volevo. «In larga parte» risposi. La guardai di nuovo con i miei occhi. «Volevo vincere.»
Ratthi, Gurathin e Pin-Lee mi fissavano. L’equipaggio della compagnia faceva inutilmente finta di non origliare. Il viso della dottoressa Mensah si addolcì un poco. «E allora perché alla fine sei passata» chiese Ratthi, «quando Gurathin ha fatto aprire la barriera?»
«Perché l’ultima rimasta era una SecUnit da combattimento e mi avrebbe fatta a pezzi. Quello non è vincere.» Avrei tanto voluto sapere cosa significava vincere. E poi, una volta che avevo cominciato a dire la verità, era difficile fermarsi. «Non voglio stare qui.»
Pin-Lee si sedette accanto a Ratthi. «Non resteremo qui a lungo. Abbiamo un appuntamento con una nave di Preservation dopo questo varco spazio-temporale, e potremo scendere da questo distributore di bibite volante.» Scoccò un’occhiata in tralice verso l’equipaggio. «È un po’ come se avessero preso tutto quello che detesto dei corporativi e l’avessero impacchettato in una bagnarola pesantemente armata.»
Lo stesso si poteva dire per me. «Quindi ora che si fa?» chiesi alla dottoressa Mensah.
«Questa è una cosa di cui dobbiamo parlare, io e te» rispose lei. Rivolse un’occhiata verso l’equipaggio della compagnia. «Anche se sarà meglio aspettare finché non saremo più registrate da…»
Persi il resto della frase perché intercettai un allarme proveniente dal bot di pilotaggio e diretto al capitano umano della nave armata. Ci stavamo avvicinando al varco spazio-temporale ma la nave ostile ci stava ancora alle calcagna. Il sistema di sicurezza della nave aveva appena deviato un tentativo di stabilire una connessione attraverso il canale audio al suo feed interno.
«Nemico in avvicinamento» dissi. Mi alzai di riflesso ma non c’erano posti in cui ritirarsi. Le cose rischiavano di mettersi male. Non sapevo niente di combattimenti tra navi ma, dai livelli di allerta… Palisade non poteva mica inviare un codice di attacco attraverso il nostro canale audio, no? Fuori, nel corridoio, sull’equipaggio era sceso il silenzio mentre gli agenti ascoltavano attenti il feed del capitano.
«Che c’è?» chiese Ratthi.
«Ci stanno sparando addosso?» chiese Mensah.
«No. È un… Arriva!» Troppo tardi. Il contatto radio era stato effettuato e la nave stava ricevendo. Sopra di noi, sul ponte di comando, il capitano gridò a qualcuno di spegnere manualmente il feed mentre qualcun altro stava strappando via a mani nude i pannelli per arrivare ai fili. Il SecSystem passò in modalità difensiva ed escluse i supporti vitali e le armi. «Sganciatevi subito dal feed!» gridai. Ratthi e Pin-Lee si tolsero freneticamente le interfacce dalle orecchie mentre io interrompevo il collegamento dell’impianto di Mensah e innalzavo un firewall intorno agli aumenti interni di Gurathin. Due umani aumentati in corridoio caddero a terra in preda agli spasmi, e alzai un firewall anche intorno a loro. Avrebbe dovuto pensarci il SecSystem, ma era troppo impegnato a contrastare il comando pirata di aprire i portelloni e consentire la decompressione della nave.
Dal ponte di comando, qualcuno disse: «Come… Come possono…».
«Quei pezzi di merda hanno i nostri codici» rispose qualcun altro. «Hanno scavalcato il sistema di protezione del canale audio…»
Palisade aveva ottenuto una serie di codici di canali audio della compagnia e aveva provato tutta la lista finché non aveva trovato quello che funzionava con noi (come la mia lista di chiavi di controllo per i droni che avevo usato per prendere il controllo dei droni di sorveglianza su Milu e nel porto di TranRollinHyfa). Una volta stabilito il collegamento, avevano inviato un pacchetto cifrato sul feed della nave. Non si trattava di un comune malware o di un killware. Era una cosa che non avevo mai visto prima. Si era infiltrato nella rete della nave e cercava di provocare un crash di sistema che avrebbe abolito ogni supporto vitale e inceppato il sistema di controllo del bot di pilotaggio. Il SecSystem alzò i suoi firewall ma il codice ostile li attraversava come burro. Si stava mangiando il SecSystem.
Il SecSystem perse un’altra difesa e il portellone principale cominciò ad aprire la camera stagna. Scivolai nel feed di controllo della nave e provocai un surriscaldamento in tutti i portelloni delle camere stagne, fondendo ogni cosa tranne i controlli manuali. Cercai di impedire qualsiasi accesso non manuale alla sala motori ma arrivai troppo tardi: il propulsore cominciò a guastarsi, i motori rallentavano. I sensori mostravano la nave della Palisade che si avvicinava. Sul ponte di comando, il capitano aveva dato due volte l’ordine di far fuoco con i cannoni principali ma il bot di pilotaggio non riusciva più ad accedervi. La gravità svanì di colpo in uno dei condotti principali, intrappolando gli umani che cercavano di accedere manualmente ai sistemi. Il capitano stava tentando di formare la squadra armata di soccorso per respingere l’abbordaggio, ma la metà dei componenti erano umani aumentati che erano stati messi fuori combattimento dagli attacchi ai loro aumenti, e l’altra metà era impegnata a lottare contro i portelloni chiusi per riuscire a raggiungere le proprie postazioni difensive.
Mi affannai invano. Cercai di aiutare il SecSystem ma mi si stava sciogliendo tra le mani.
Il bot pilota non poteva esprimersi a parole come ART ma, nella mia testa, percepii il suo terrore. Trasmise: Codice: Richiesta Sistema. Assistenza. In pericolo.
Stava cercando di chiedermi aiuto usando i codici della compagnia, proprio come avevo fatto io per i miei clienti.
Vaffanculo. GrayCris non l’avrà vinta.
Affondai completamente nella nave, nell’hardware del bot di pilotaggio. L’avevo visto fare ad ART (sì, la capacità di calcolo di ART è molto maggiore della mia. Mi occuperò di risolvere la questione quando sarà il momento, ossia molto presto).
Tutt’a un tratto ebbi un corpo differente – il vuoto spinto che premeva sulla pelle di metallo – e vidi la nave in avvicinamento con i miei occhi, non soltanto tramite i sensori. Aveva distaccato una navetta spola che ci stava raggiungendo a tutta velocità, diretta verso il portellone di attracco principale della nave armata. Tornai subito dentro; non c’era tempo per ammirare il paesaggio. Il bot di pilotaggio voleva sapere che fare. Bella domanda.
Coesistendo nello stesso hardware, io e il bot di pilotaggio potevamo comunicare quasi istantaneamente. Estrassi l’analisi dell’aggressore che aveva effettuato il SecSystem per poterla esaminare entrambi. Non era semplicemente una stringa di codice come un malware o un killware. Era un bot pienamente cosciente che si muoveva attraverso il feed come facevo io, come ART, ma che non aveva una struttura fisica a cui tornare; ecco perché era così veloce. Era come un robot da combattimento incorporeo.
Il bot di pilotaggio chiese se l’Aggressore fosse un costrutto generato da tessuto neurale umano piuttosto che un bot, e indicò dei punti nell’analisi che parevano confermare quella teoria.
Gli dissi che era peggio, e meglio. Un costrutto incorporeo sarebbe stato più maligno, ma anche più facile da ingannare.
Mi era venuta un’idea che descrissi sommariamente al bot di pilotaggio. Se fossimo riusciti a intrappolare il pacchetto di codice dell’Aggressore in un’area confinata per poi distruggerla, saremmo riusciti a riprendere il controllo sui sistemi infettati. Ma, per attirare l’Aggressore in un’area confinata, ci serviva un’esca. Dovevamo cercare di scoprire cosa volesse l’Aggressore, cosa fosse stato mandato a fare.
Il bot di pilotaggio disse che voleva distruggere la nave e l’equipaggio.
Io replicai che doveva esserci un motivo. GrayCris non avrebbe tratto profitto dalla nostra morte e avrebbe invece corso parecchi rischi mettendosi contro la compagnia con la distruzione di una nave così costosa.
Riattivai il mio corpo che intanto era rimasto irrigidito nella zona passeggeri. Ratthi era uscita in corridoio, intenta a praticare una respirazione di emergenza agli umani aumentati dell’equipaggio che erano collassati per colpa dell’aggressione ai loro aumenti. C’era anche Gurathin, con le mani affondate nei pannelli di accesso, che teneva aperto il portellone di un corridoio per permettere all’equipaggio di scavalcare il condotto principale e di arrivare al propulsore. Pin-Lee e Mensah erano entrambe sedute a terra insieme ad altri due membri dell’equipaggio. Avevano tutti e quattro estratto delle interfacce manuali portatili, su cui immettevano febbrilmente codice dopo codice nel tentativo di puntellare i firewall del SecSystem. Non erano abbastanza veloci, ma quel che restava del SecSystem probabilmente aveva apprezzato il gesto.
«Dottoressa Mensah» dissi. «Secondo lei perché GrayCris sta facendo tutto questo? Che cosa vogliono?»
Trasalirono tutti. «Cosa sta facendo?» chiese un membro dell’equipaggio. «Potrebbe essere stata sopraffatta dal…»
«Zitto» lo interruppe la dottoressa Mensah. A me disse poi: «Pensiamo che sia per via di Milu. Si vede che pensano che tu abbia con te le informazioni che hai recuperato su Milu».
«Dev’essere così» aggiunse Pin-Lee, senza alzare lo sguardo dal suo schermo. «Avrebbero potuto ucciderci subito, al nostro arrivo su TranRollinHyfa, ma volevano i soldi. Le cose si sono fatte così violente soltanto nel momento in cui si sono resi conto che eri qui.»
Sapete che c’è? Scommetto che era proprio così. E scommetto che aveva qualcosa a che fare con la scheda di memoria che avevo sottratto a Wilken e Gerth. GrayCris doveva sapere della sua esistenza e doveva anche essere convinta che l’avessi io. Erano arrivati tardi, visto che ormai era già entrata nel sistema di Preservation, ma dubito che avrebbero creduto una cosa del genere. Comunque, mi dava un elemento con cui lavorare. «Ho bisogno che qualcuno attivi uno sgancio manuale della navetta con cui siamo arrivati.»
Mensah lasciò cadere l’interfaccia e si alzò in piedi con decisione. «Lo faremo noi. Pin-Lee…»
«Arrivo!»
«Grazie per l’aiuto» disse il mio buffer mentre io mi spegnevo di nuovo e tornavo dal bot di pilotaggio.
All’interno di un tempo accelerato, spiegai al bot cosa avrei provato a fare. Lui stava lottando per riacquisire il controllo del proprio sistema balistico, cercando di eseguire l’ordine di far fuoco del capitano. Mi mostrò un frammento d’informazione sulla navetta spola: il manifesto di carico suggeriva che a bordo ci fosse una SecUnit da combattimento, accompagnata da una squadra di abbordaggio di umani aumentati.
Già. Non potevamo permettere che quella navetta attraccasse allo scafo.
Non avevo fatto una copia della scheda di memoria ma avevo ancora tutti i dati che avevo registrato durante il giro su Milu – tutti quei cicli con Wilken e Gerth che parlavano di niente. Erano stati analizzati e compressi ma potevano avvicinarsi ai parametri di ciò che stava cercando l’Aggressore, abbastanza a lungo da far funzionare il piano.
Non potevo arrischiare telecamere o feed, per cui feci spostare il mio corpo fuori dalla zona passeggeri fin nel corridoio di accesso della navetta. Avevo fatto fondere anche quel portellone, ma Mensah e Pin-Lee avevano aperto il pannello per lo sblocco d’emergenza. «Aspettate il mio segnale» gridai loro.
Dissi al bot di pilotaggio che dovevamo fare una cosa fatta bene. Quello annuì e ripassammo quel che avremmo fatto.
Poi il bot di pilotaggio sganciò il SecSystem.
Sapevo che dovevamo farlo ma essere così vulnerabili era terrificante. Riuscivo a sentire l’Aggressore che si precipitava addosso al bot di pilotaggio, che si precipitava su di me. Dissi al bot di pilotaggio che dovevamo proteggere quell’informazione fondamentale così la compagnia avrebbe potuto recuperarla in un secondo momento e che l’avrei nascosta a bordo della navetta. Il bot di pilotaggio strappò via il bot pilota della navetta, in piena confusione, dal nucleo di memoria, e al suo posto misi il pacchetto dati.
E l’Aggressore si trasferì nel sistema della navetta.
Successero tre cose in contemporanea: (1) il SecSystem della navetta innalzò i firewall del sistema di comunicazione della navetta. (2) Il bot di pilotaggio cancellò i propri codici di accesso al canale di comunicazione e io sovraccaricai il suo hardware, fondendolo. (3) Il mio corpo disse alla dottoressa Mensah e a Pin-Lee: «Ora».
Le mani di Pin-Lee si mossero all’interno del pannello e la dottoressa Mensah azionò i controlli. La navetta si sganciò.
A quel punto la nave armata si stava muovendo lentamente, perciò la navetta non finì molto distante, ma, con i nostri canali di comunicazione fritti, poteva anche essere dall’altra parte del varco spazio-temporale. L’Aggressore era andato, intrappolato nella navetta.
Ah!, pensai. Prendi questa, bastardo.
Il feed della nave e i codici di sistema erano andati, ma il bot di pilotaggio stava già riprendendo il controllo. Il SecSystem fece l’equivalente sistemico di rimettersi in piedi barcollando come un ubriaco. Dal ponte di comando, qualcuno disse: «Oh, madre santa, siamo liberi!».
Il bot di pilotaggio riprese il controllo del sistema balistico e chiese conferma al capitano. Il capitano disse: «Conferma, fuoco».
Rimasi quanto bastava da godermi lo spettacolo della navetta spola che svaniva in un’esplosione silenziosa e i molteplici impatti che sfondavano lo scafo della nave della Palisade, poi raccattai i miei codici sparpagliati un po’ ovunque e mi ributtai nel mio corpo. Che strana sensazione.
Mensah e Pin-Lee erano ancora in piedi nel corridoio e mi guardavano preoccupate. «Siamo liberi» dissi loro.
Pin-Lee emise un grido di esultanza e Mensah l’abbracciò e la fece girare.
Io mi sentivo strana. Molto strana. Brutta storia.
Affidabilità di sistema al 45%, in calo. Errore fatale in…
Sentii il mio corpo che si accartocciava ma non sentii l’urto con il ponte.