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Quando giungemmo in prossimità dell’anello di transito, ART ci aveva già accreditato presso l’Autorità Portuale locale. Le navette non potevano attraccare alle navi cargo senza una richiesta anticipata, ma ART si era occupato del permesso speciale e aveva falsificato la firma del suo capitano per il pagamento dell’ammenda per la mancata segnalazione del programma di viaggio. Non sospettarono di niente; nessuno sapeva che le navi cargo potevano avere bot tanto sofisticati da fingersi umani attraverso il feed. Io, di sicuro, non lo sapevo.

I ganci di attracco non erano compatibili ma ART risolse il problema facendo entrare la navetta all’interno di un modulo vuoto destinato a spazio di laboratorio. Ci fece posare a terra, riempì il modulo di atmosfera, poi aprì la camera pressurizzata. Io mi alzai e portai fuori Tapan, verso l’accesso della sezione principale. La ComfortUnit mi seguì.

Quando arrivammo e posai Tapan sul tavolo operatorio, il MedSystem era pronto. I droni mi schizzavano intorno mentre il MedSystem mi dava istruzioni di toglierle scarpe e vestiti. Mentre la culla si chiudeva intorno a lei, io mi accasciai accanto al tavolo operatorio.

Tapan aveva perso i sensi; il MedSystem la tenne in sospensione fino alla fine della valutazione e l’inizio dell’operazione. Due droni medici mi volavano intorno, uno concentrandosi sulla mia spalla e l’altro che mi punzecchiava la ferita alla coscia. Io li ignorai.

Arrivò anche un drone più grande con la borsa di Tapan, la sua giacca macchiata di sangue e il mio zaino di tela. ART m’inviò la visuale degli altri droni ancora impegnati all’interno della navetta: quattro umani erano ancora vivi, benché privi di sensi. ART aveva inviato i suoi droni a ripulire e sterilizzare i miei fluidi e il sangue di Tapan dagli interni della navetta. Aveva già cancellato la memoria del bot pilota e tutti i dati del sistema di sicurezza. Stava anche chiacchierando amabilmente con il personale dell’Autorità Portuale dell’anello di transito tramite un feed autenticato con la firma falsificata di uno degli umani morti.

Io rimasi a guardare finché i droni non ebbero finito e si ritirarono, poi ART richiuse la navetta e la rispedì con tanto di piano di volo verso RaviHyral. Il pilota robotizzato di bordo l’avrebbe fatta atterrare, piena di umani orribilmente feriti, e nessuno avrebbe saputo che non si erano aggrediti a vicenda finché non avessero tutti ripreso i sensi e avessero raccontato la loro storia. Anche se, magari, alcuni di loro non avrebbero avuto voglia di raccontare di aver preso parte al rapimento di un altro essere umano. Qualsiasi cosa fosse successa, avrebbe dato a tutti noi il tempo di levare le tende.

Come facevi a sapere cosa andava fatto?, chiesi ad ART, anche se conoscevo già la risposta.

Lui sapeva che io sapevo, ma disse comunque: Episodio 179 di Ascesa e declino di Sanctuary Moon.

La ComfortUnit s’inginocchiò accanto a me. «Posso essere d’aiuto?»

«No.» I droni medici mi si erano attaccati addosso, intenti a scavare in cerca dei proiettili, e i miei fluidi colavano sul pavimento immacolato del MedSystem di ART. L’anestetico mi stava intorpidendo. «Come facevi a sapere che ero una delle unità di Ganaka Pit?»

«Ti ho visto scendere dal tubo in quella sezione» mi rispose. «Laggiù non c’è nient’altro. Non è più nemmeno nella banca dati dello storico di RaviHyral, ma gli umani continuano a raccontarsi storie terrificanti su quei fatti. Se davvero eri ribelle e non avevi ricevuto ordini da terzi per andare lì, c’era un ottantasei per cento di probabilità che fossi una delle unità coinvolte.»

Gli credevo. «Abbassa il firewall.»

Fece come gli avevo ordinato e io cavalcai il feed fin nel suo cervello. Sentivo la presenza di ART insieme a me, all’erta e in cerca di trappole. Trovai il modulo di controllo, lo disabilitai e scivolai nuovamente nel mio corpo.

La ComfortUnit cadde all’indietro, sedendosi sul ponte con un tonfo, e mi fissava.

«Vattene» dissi io. «Non farti più vedere da me. Non fare del male a nessuno sull’anello di transito, o ti verrò a cercare.»

Quello si alzò in piedi barcollando. Altri droni ronzarono per aria, accertandosi che non tentasse di danneggiare nulla e sospingendolo verso la porta. Il sexbot li seguì fino al corridoio. Lo osservai attraverso il feed di ART mentre oltrepassava la camera pressurizzata d’ingresso; il portellone si aprì, lasciandolo uscire nell’anello di transito.

ART lo guardò dalla telecamera del portellone mentre si allontanava. Pensavo volessi distruggerlo, mi disse.

Ero troppo stanca e intorpidita per parlare; inviai un significante negativo attraverso il feed. Non avevo avuto scelta. E non avevo manomesso il suo modulo di controllo perché mi stava simpatico: l’avevo fatto per le quattro ComfortUnit di Ganaka Pit che, senza ordini né direttive, avevano deciso di infilarsi in quel tritacarne per cercare di salvare me e tutti quelli che erano rimasti in vita nell’impianto.

Ora va’ in plancia, disse ART. La navetta atterrerà tra poco e abbiamo un mucchio di prove da distruggere.

Quando Tapan si svegliò, io ero seduta sul tavolo operatorio del MedSystem e le tenevo la mano. Il MedSystem mi aveva curato le ferite e mi ero ripulita da tutto quel sangue. I proiettili che mi avevano colpito e i raggi di energia diretta delle mie stesse armi mi avevano lasciato dei buchi nei vestiti, e ART ne aveva prodotti di nuovi con il suo riciclatore, su misura per me. Sostanzialmente, era l’uniforme dell’equipaggio di ART ma senza il logo: pantaloni con un sacco di tasche richiudibili, una maglia a maniche lunghe con un colletto alto quanto bastava a nascondere la porta dati e un giacchetto morbido con il cappuccio, il tutto in blu scuro e nero. Avevo buttato i miei vecchi vestiti nel riciclatore, così i livelli di materiale sarebbero rimasti invariati e ART non avrebbe dovuto falsificare il proprio registro.

Tapan mi guardò sbattendo le palpebre, confusa. «Uhm» disse, stringendomi la mano. Le medicine le conferivano un’espressione annebbiata. «Cos’è successo?»

«Hanno provato a ucciderci di nuovo» le risposi. «Ce ne siamo dovute andare. Siamo tornate sull’anello di transito, a bordo della nave del mio amico.»

Lei sgranò gli occhi, ricordando ogni cosa. Fece una smorfia e borbottò: «Bastardi».

«Il tuo amico diceva sul serio: mi ha dato i vostri file.» Alzai la scheda di memoria e le mostrai che la stavo mettendo nella tasca dell’interfaccia della sua sacca. Avevo già verificato che non ci fossero malware o software di tracciatura. «Questa nave dovrà ripartire a breve. Ho bisogno che chiami Rami e Maro per dir loro di venire a incontrarci fuori dalla zona d’imbarco.»

«Okay.» Si portò una mano all’orecchio e io le porsi l’interfaccia audio blu. Uno dei droni di ART l’aveva trovata in una delle tasche di Tlacey. Lei la prese, fece per sistemarsela nell’orecchio, poi esitò. «Saranno arrabbiatissimə.»

«Sì, lo sono.» Pensai che sarebbero statə così felici di riaverla tra loro che si sarebbero subito dimenticatə di quanto fossero arrabbiatə.

Lei fece un’altra smorfia. «Mi dispiace. Avrei dovuto darti ascolto.»

«Non è stata colpa tua.»

Lei aggrottò la fronte. «In un certo senso, sì.»

«È stata colpa mia.»

«E allora è colpa di entrambi, e non lo diremo a nessuno» decise Tapan, prima di sistemarsi l’interfaccia nell’orecchio.

Feci un controllo rapido delle zone che avevo usato a bordo della nave per accertarmi che non ci fossero cose fuori posto. I droni di ART avevano già fatto un primo passaggio, portando a lavare i vestiti insanguinati di Tapan e sterilizzando le superfici, così qualsiasi tentativo di raccogliere prove sarebbe andato a vuoto. Non che ART avesse intenzione di farsi trovare lì quando fosse cominciata l’indagine. Ce ne saremmo andati tutti immediatamente, ma ART era un fautore dei piani ineccepibili. Feci per rimuovere l’interfaccia di comunicazione che ART mi aveva dato. Dovrai pulire anche questa.

No, disse ART. Tienila. Magari ci capiterà di tornare di nuovo a distanza di comunicazione, io e te.

Il MedSystem si era già sterilizzato e aveva cancellato dai registri le modifiche alla mia configurazione e i trattamenti d’intervento chirurgico per me e Tapan. Io la stavo aspettando all’uscita del bagno. Quando uscì, i droni entrarono dopo di lei per pulire qualsiasi traccia della sua presenza e lei mi disse: «Sono pronta». Si era infilata i vecchi vestiti nello zaino e ne indossava di puliti. Aveva ancora un aspetto un po’ stropicciato.

Uscimmo insieme e il portellone si richiuse alle nostre spalle. Io avevo preso il controllo delle telecamere della zona d’imbarco e ART stava già manipolando le registrazioni di sorveglianza dal suo portellone per cancellare la nostra presenza.

Incontrammo Rami, Maro e il resto del gruppo in un ristorante all’esterno della zona d’imbarco. Rami mi aveva mandato un messaggio per dirmi che avevano già comprato un passaggio su una nave passeggeri che sarebbe partita di lì a un’ora. Accolsero Tapan con entusiasmo, tra le lacrime e gli avvertimenti a non abbracciarla troppo forte.

Io lə avevo già ammonitə di non parlarne in pubblico. Rami si voltò e mi consegnò una carta valuta. «Il tuo amico ART ha detto che era un buon modo per pagarti.»

«Giusto.» Presi la carta e la infilai in una delle tasche richiudibili.

Mi stavano fissando tuttə quantə, adesso, e la situazione mi metteva un po’ di nervosismo addosso. «Allora te ne vai?» mi disse Rami.

Avevo messo gli occhi su una nave cargo che andava nella direzione giusta. «Sì, farei meglio a sbrigarmi.»

«Possiamo abbracciarti?» Maro lasciò Tapan e si voltò verso di me.

«Uhm.» Non mi tirai indietro, ma doveva essere abbastanza evidente che la risposta era un “no”.

Maro annuì. «Okay, allora. Questo è per te.» Si strinse le braccia intorno al corpo.

«Devo proprio andare» dissi io, e mi allontanai lungo la spianata.

Mentre si sganciava dalla baia di attracco, ART m’inviò un messaggio che pareva sbiadire: Fa’ attenzione. Trova il tuo equipaggio.

Gli inviai un cenno d’assenso tramite il feed; se avessi provato a dire qualcosa, sarei sembrata stupida ed emotiva.

Non sapevo cosa avrei fatto, ora, se proseguire con il mio piano o no. Avevo sperato che scoprendo quel che era successo a Ganaka Pit avrei chiarito ogni cosa, ma forse quel genere di rivelazioni accadeva soltanto nelle serie.

A proposito, avrei fatto meglio a scaricare un altro po’ di materiale, prima della partenza. Mi aspettava un lungo viaggio.