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Attesi per accertarmi che il portellone si richiudesse del tutto alle mie spalle e che non scattasse nessun allarme dall’interno, poi m’inoltrai nel corridoio di accesso. Dagli schemi disponibili sul feed di bordo, i compartimenti che la nave stava usando come spazio di carico erano di norma spazi modulari di laboratorio. Con il laboratorio impacchettato e sistemato nei magazzini dell’università, c’era un sacco di spazio per le merci. Scaricai l’archivio compresso con il mio materiale multimediale nella rete della nave per permetterle di accedervi liberamente.

Gli altri spazi erano i soliti ambienti: sala macchine, magazzino delle provviste, cabine, infermeria, sala mensa, con l’aggiunta di una zona ricreativa più ampia e qualche aula per l’insegnamento. Il mobilio era rivestito di un’imbottitura bianca e blu ed era stato ripulito di recente, anche se aveva ancora una traccia di quell’odore di calzini sporchi che sembra rimanere attaccato a tutte le abitazioni umane. C’era silenzio, eccezion fatta per il sibilo impercettibile dell’impianto di aerazione, e i miei stivali non facevano nessun rumore sul pavimento del ponte.

Non avevo bisogno di provviste. Il mio sistema è auto-regolante: non ho bisogno di cibo, né di acqua, né di espellere fluidi o solidi, né di molto ossigeno. Mi sarebbe bastato che la nave impostasse il livello di supporto vitale minimo, quello che si usa quando non c’è personale a bordo, ma l’aveva portato a un livello lievemente superiore. Gentile, da parte sua.

Mi aggirai per i ponti, controllando che quel che vedevo corrispondesse ai documenti di bordo e assicurandomi in generale che fosse tutto a posto. Lo feci pur sapendo che quelle routine di perlustrazione erano una vecchia abitudine che avrei dovuto lasciarmi alle spalle. C’erano parecchie cose che avrei dovuto lasciarmi alle spalle.

Quando svilupparono i primi costrutti, in origine dovevano avere un livello di intelligenza presenziente, come la varietà di robot più stupida. Ma non si può assegnare la responsabilità dei servizi di sicurezza a un affare stupido come un robot trasportatore senza mettere in conto di dover spendere ancora più risorse per costosi supervisori umani. E così ci fecero più intelligenti – con ansia e depressione come effetti collaterali.

Nel centro di smistamento, quando me ne stavo lì in piedi mentre la dottoressa Mensah spiegava perché non voleva noleggiarmi come parte integrante di un contratto di garanzia, lei aveva definito quell’incremento delle facoltà mentali un “compromesso infernale”.

La nave su cui mi trovavo non era sotto la mia responsabilità e a bordo non c’erano clienti umani che dovessi proteggere da pericoli esterni, né dovevo impedire che si facessero male da soli o che si aggredissero l’un l’altro. Era però una bella nave, e le poche misure di sicurezza mi sorprendevano; mi chiesi perché i proprietari non lasciassero a bordo qualche umano per tenerla d’occhio. Come la maggior parte delle navi cargo robotizzate, i documenti di bordo confermavano la presenza di droni impiegati per le riparazioni, ma anche così…

Continuai la mia ronda finché non sentii un rimbombo e un tonfo sordo, metallico, che attraversavano il ponte; la nave si era appena sganciata dall’anello e aveva iniziato a muoversi. La tensione che mi aveva fatto scendere al novantasei per cento di rendimento si allentò: la vita di un murderbot è piuttosto stressante, in generale, ma mi ci sarebbe voluto del tempo per abituarmi a muovermi in ambienti umani senza corazza e senza la possibilità di nascondere il volto.

Trovai una zona comune per l’equipaggio al livello inferiore rispetto alla plancia di controllo e mi accomodai su una delle poltrone imbottite. I cubicoli di riparazione e i moduli di trasporto non hanno imbottiture, per cui viaggiare comodi era ancora una novità, per me. Cominciai a scartabellare tra tutti i nuovi file che avevo scaricato sull’anello di transito. Avevo trovato canali d’intrattenimento che non erano disponibili nella porzione di Port FreeCommerce della compagnia, e includevano un sacco di serie nuove.

Non avevo mai trascorso lunghi periodi di tempo libero senza alcun tipo di controllo, prima di allora. L’agio di poter scegliere e organizzare ogni cosa dedicandovi tutta la mia attenzione, senza dover tenere sotto controllo sistemi multipli e feed dei clienti, era ancora qualcosa a cui dovevo abituarmi. Prima di quel momento, avevo conosciuto soltanto il lavoro, gli incarichi, o i periodi di stand-by, bloccata in un cubicolo in attesa di essere attivata per un contratto.

Scelsi una nuova serie che sembrava interessante (le etichette promettevano esplorazione extragalattica, azione e mistero) e feci partire il primo episodio. Ero pronta a mettermi comoda finché non fosse stato il momento di pensare a cosa fare una volta giunta a destinazione – riflessione che avevo intenzione di rinviare fino all’ultimo momento. Poi, usando il mio feed, qualcosa mi disse: Sei stata fortunata.

Mi tirai su. Fu così inatteso che le mie parti organiche rilasciarono una scarica di adrenalina.

Le navi da trasporto non usano parole per comunicare, nemmeno tramite il feed. Fanno ricorso a immagini e stringhe di dati per segnalare un problema ma non sono progettate per conversare. E a me andava bene, visto che neanche io ero stata progettata per conversare. Avevo condiviso i miei file d’intrattenimento con la prima nave cargo e quella mi aveva dato accesso ai suoi flussi audio e feed per permettermi di accertarmi che nessuno sapesse dove fossi, ma la nostra interazione si era limitata a quello.

Sondai cautamente il feed, chiedendomi se non mi avessero incastrata. Avevo la capacità di operare scansioni ma, senza i droni, la mia estensione era limitata e, con tutte le schermature e la strumentazione che avevo intorno, non riuscivo a rilevare nient’altro che scansioni di background dai sistemi della nave. Chiunque fosse stato il proprietario di quella nave l’aveva concepita per consentire ricerche private: le uniche telecamere di sorveglianza si trovavano sui portelloni, mentre negli spazi riservati all’equipaggio non erano state installate. Oppure, se c’erano, io non potevo accedervi. La presenza sul mio feed, però, era troppo imponente e diffusa per essere un umano o un umano aumentato – questo riuscivo a capirlo perfino attraverso il firewall di protezione. E mi era parso un bot. Quando gli umani parlano tramite il feed devono subvocalizzare, e la loro voce mentale tende a somigliare molto alla voce fisica. Lo fanno anche gli umani aumentati dotati di interfacce complete.

Forse stava cercando di essere amichevole ed era soltanto un po’ impacciato a comunicare. «In che senso, sono stata fortunata?»

Che nessuno si sia reso conto di ciò che sei.

Questo era tutt’altro che rassicurante. «E cosa pensi che sia?» chiesi io, cautamente. Se era ostile, non mi rimanevano molte possibilità. I bot di trasporto non hanno un corpo, oltre alla nave. L’equivalente del suo cervello era sopra di me, nella zona della plancia di comando dove prendeva posto il personale di volo umano. E non è che avessi un altro posto in cui andare: ci stavamo allontanando dall’anello e procedevamo senza fretta verso il varco spazio-temporale.

Sei una SecUnit ribelle, un costrutto bot/umano con un modulo di controllo manomesso, mi disse. Poi mi punzecchiò attraverso il feed, facendomi trasalire. Non provare a hackerare i miei sistemi, mi disse, e, per un milionesimo di secondo, abbassò il suo firewall.

Mi bastò per avere un’immagine vivida di ciò con cui avevo a che fare. Parte delle sue funzioni erano dedicate all’analisi astronomica extragalattica, e ora tutta quella potenza di calcolo se ne stava con le mani in mano mentre gli facevano trasportare un carico di merci, in attesa della prossima missione. Avrebbe potuto schiacciarmi come un insetto attraverso il feed, sfondare il firewall e le altre difese e strapparmi via la memoria. Il tutto, probabilmente, mentre eseguiva il calcolo per il salto attraverso il varco, effettuava una stima quantitativa dei bisogni nutritivi di un equipaggio al completo per le prossime sessantaseimila ore, praticava operazioni multiple di neurochirurgia in infermeria e stracciava il capitano a backgammon. Non avevo mai interagito direttamente con qualcosa di così potente prima di allora.

Hai commesso un errore, Murderbot, un brutto errore… Come diavolo facevo a sapere che c’erano navi cargo tanto senzienti da poter essere anche maligne? Certo, nei programmi d’intrattenimento c’erano bot malvagi in continuazione, ma non era la realtà; erano solo storie di paura, fantasie.

Pensavo fossero fantasie.

«Okay» dissi io. Chiusi il feed e mi raggomitolai sulla poltrona.

Di solito non provo paura come gli umani. Mi avevano sparato centinaia di volte, tante di quelle volte che avevo smesso di contarle – tante di quelle volte che anche la compagnia aveva smesso di contarle. Ero stata smangiucchiata da fauna ostile, investita da macchinari pesanti, torturata dai clienti per puro divertimento, privata della memoria, e via discorrendo. Ma la mia mente era ormai soltanto mia da più di trentatremila ore, e ormai mi ci ero abituata. Volevo conservarmi così com’ero.

La nave non replicò. Cercai di pensare alle contromisure per tutti i modi in cui poteva farmi del male, e a come fargli del male. Era più simile a una SecUnit che a un bot, al punto tale che mi chiesi se per caso non fosse un costrutto, se da qualche parte nel profondo dei suoi sistemi non fosse stato inserito del tessuto cerebrale organico clonato. Non avevo mai provato a hackerare un’altra SecUnit. Sarebbe forse stato più prudente andare in stand-by per il resto del viaggio e impostare il risveglio per il momento dell’arrivo. Così facendo, però, sarei stata vulnerabile ai suoi droni.

Osservai scorrere i secondi, aspettando una sua reazione. Ero lieta di aver notato la mancanza di telecamere e di non essermi quindi presa il disturbo di provare a hackerare il sistema di sicurezza della nave. Ora capivo perché gli umani pensavano che la nave non avesse bisogno di ulteriori precauzioni: un bot con quel livello di controllo totale sul proprio ambiente e quella libertà d’iniziativa e di azione poteva respingere senza problemi qualsiasi tentativo di abbordaggio.

Aveva aperto il portellone per farmi entrare. Mi voleva lì.

Uh-oh.

A un tratto, mi disse: Puoi continuare a vedere i tuoi programmi.

Io rimasi raggomitolata, in tensione.

Non fare il muso, aggiunse.

Ero intimorita, ma la cosa mi irritò quanto bastava da volergli mostrare che ciò che mi stava facendo non era esattamente una novità, per me. Le SecUnit non fanno il muso, trasmisi sul feed. Se lo facessero, attiverebbero una reazione punitiva da parte del modulo di controllo. Allegai anche qualche breve registrazione che avevo in memoria di quel che si provava.

I secondi diventarono un minuto, poi un altro, poi altri tre. Agli umani potrà non sembrare molto, ma per una conversazione tra bot – o meglio, perdonatemi, tra un bot/costrutto umanoide e un bot – era un considerevole lasso di tempo.

Scusa se ti ho spaventato, disse finalmente.

Certo, come no. Se pensate che mi fidassi di quelle scuse, non conoscete Murderbot. Con ogni probabilità si stava soltanto divertendo con me. «Non voglio niente da te. Voglio soltanto un passaggio fino alla prossima destinazione» dissi. Gliel’avevo già spiegato prima che aprisse il portellone d’accesso ma valeva la pena ribadirlo.

Lo sentii che si ritirava dietro il suo firewall. Rimasi in attesa e lasciai che il mio sistema circolatorio espellesse le tossine generate dalla paura. Passò altro tempo e cominciai ad annoiarmi. Starsene seduta lì era troppo simile ad aspettare in un cubicolo dopo la disattivazione, in attesa di essere spedita al cliente successivo per l’ennesimo, noioso incarico. Se aveva intenzione di distruggermi, tanto valeva spararmi una serie prima che succedesse. Riavviai il nuovo programma ma ero ancora troppo nervosa per godermelo, per cui lo interruppi e ripresi un vecchio episodio di Ascesa e declino di Sanctuary Moon.

Dopo tre episodi ero più calma e cominciavo, pur con una certa riluttanza, a vedere le cose dal punto di vista della nave. Una SecUnit poteva provocare parecchi danni al suo interno, se non fosse rimasta in guardia, e le SecUnit ribelli non erano propriamente note per la tendenza alla discrezione e all’evitare grane. Non avevo fatto niente di male all’ultimo cargo su cui avevo viaggiato, ma quello non poteva saperlo. Non capivo perché mi avesse fatto salire a bordo, se davvero non voleva farmi del male. Se fossi stata una nave di trasporto, io stessa non mi sarei fidata.

Forse era come me e aveva semplicemente colto un’occasione quando si era presentata, non perché sapesse esattamente cosa voleva.

A ogni modo, quel bot era uno stronzo.

Sei episodi dopo lo percepii di nuovo che si aggirava furtivamente per il feed. Io lo ignorai, anche se doveva sapere che sapevo che era lì. In termini umani, era un po’ come cercare di ignorare un grassone col respiro pesante che ti sbircia lo schermo da sopra la spalla. E che ti si appoggia addosso.

Guardai altri sette episodi di Sanctuary Moon con il bot che girava per il mio feed. Poi mi lanciò un ping, come se avessi potuto ignorare che era rimasto nel mio feed fino a quel momento, chiedendomi di rimettere la nuova serie avventurosa che avevo iniziato a guardare quando mi aveva interrotto (la serie s’intitolava Saltamondi e parlava di esploratori indipendenti che estendevano la rete di varchi spazio-temporali e anelli di transito in sistemi stellari disabitati. Era decisamente irrealistica e inaccurata – proprio come piaceva a me).

«Ti ho dato una copia di tutti i miei file d’intrattenimento quando sono salita a bordo» gli dissi. Non avevo intenzione di parlarci via feed, come se fosse un cliente. «Non li hai nemmeno verificati?»

Li ho esaminati in cerca di malware e altri pericoli.

Ma vaffanculo, pensai io, prima di tornare a Sanctuary Moon.

Due minuti dopo ripeté il ping e la richiesta.

«Guardatela da solo» dissi.

Ci ho provato. Attraverso il tuo filtro mi è più facile processare i file multimediali.

Quello mi fece mettere in pausa. Non capivo quale fosse il problema.

Il bot mi spiegò: Quando il mio equipaggio esegue file multimediali, io non riesco a processare il contesto. Ho molta poca familiarità con le interazioni umane e gli ambienti esterni al mio scafo.

Ora capivo meglio. Per afferrare veramente cosa stesse accadendo, la nave aveva bisogno di osservare le mie reazioni. Gli umani usano il feed in maniera diversa rispetto ai bot (e ai costrutti) per cui, quando i componenti dell’equipaggio guardavano qualche video, la loro reazione non si trasformava in dati leggibili.

Trovavo strano che il bot fosse meno interessato a Sanctuary Moon, che si svolgeva su una colonia, che non a Saltamondi, che narrava dell’equipaggio di una grande nave di ricerca. Mi pareva un tema troppo simile al suo ambito lavorativo – io, per esempio, evitavo le serie sulle squadre di ricognizione e gli impianti minerari – ma forse un argomento familiare gli facilitava le cose.

Ero tentata di rifiutarmi. Però, se avesse avuto davvero bisogno di me per guardare la serie, si sarebbe potuto infuriare e distruggermi il cervello. E poi anch’io avevo voglia di guardare quella serie.

«Non è realistica» gli dissi. «Ma non è pensata per essere realistica. È una storia, non un documentario. Se cominci a lamentarti, smetto di guardarla.»

Mi asterrò dal lamentarmi, disse (immaginate il tono più sarcastico che conoscete, e avrete una vaga idea di come suonava quel commento).

Cominciammo dunque a guardare Saltamondi. Il bot non si lamentò per la mancanza di realismo. In capo a tre episodi, si agitava tutte le volte che veniva ucciso un personaggio secondario. Quando morì uno dei protagonisti, al ventesimo episodio, dovetti mettere in pausa per sette minuti mentre se ne stava lì nel feed a fare quello che per un bot equivaleva a fissare il muro mentre faceva finta di avere una routine diagnostica da eseguire. Poi, quattro episodi dopo, il personaggio tornò in vita e il bot fu talmente rincuorato che dovemmo rivedere quell’episodio altre tre volte prima di poter proseguire.

Sul più bello di uno degli episodi principali, l’intreccio suggeriva che la nave di ricerca sarebbe potuta essere irreparabilmente danneggiata e tutti i membri dell’equipaggio uccisi o gravemente feriti, e il bot era troppo spaventato per continuare a guardare (ovviamente non la pose in quel modo, ma era palesemente troppo spaventato per continuare). Giunti a quel punto mi sentivo molto più comprensiva nei suoi confronti, e accettai di farlo abituare a quel risvolto guardando soltanto un paio di minuti per volta.

Una volta terminata la stagione, il bot ristette, inerte, senza nemmeno far finta di eseguire una diagnostica. Se ne rimase così per dieci minuti buoni – che, per un bot così sofisticato, sono un tempo di elaborazione piuttosto lungo. Poi mi disse: Lo riguardiamo, per favore?

E così ripartimmo dal primo episodio.

Dopo altri due giri di Saltamondi, il bot volle vedere ogni singolo programma con degli umani a bordo di una nave che avevo in memoria. Dopo essere inciampati su un film ispirato a una storia vera, in cui la nave subiva uno squarcio allo scafo e la decompressione uccideva diversi membri dell’equipaggio (stavolta in via definitiva), però, si agitò a tal punto che dovetti creare un filtro per i contenuti. Per farlo staccare un po’, suggerii di passare a Sanctuary Moon. Accettò.

Dopo quattro episodi, mi chiese: Non ci sono SecUnit in questa storia?

Doveva aver pensato che Sanctuary Moon fosse la mia serie preferita per lo stesso motivo per cui a lui piaceva Saltamondi. «No» risposi. «Non ci sono molti programmi con le SecUnit, e di solito fanno la parte dei cattivi o degli sgherri dei cattivi.» Le uniche SecUnit che si vedevano nelle serie erano ribelli con il solo scopo di sterminare gli umani – perché immagino che fosse loro passato di mente chi era che costruiva i cubicoli di riparazione. In alcune delle serie peggiori, capitava che le SecUnit facessero sesso con i personaggi umani. Era una cosa bizzarramente inaccurata e anche anatomicamente complessa. I costrutti con parti umane relative all’atto sessuale sono sexbot, non SecUnit. Un sexbot non dispone di un apparato militare integrato, per cui non è che sia facile confonderlo con una SecUnit (le SecUnit, peraltro, non hanno nessun tipo di interesse per il sesso umano o di altro genere – potete credermi sulla parola).

Certo, sarebbe stato difficile rappresentare una SecUnit in modo realistico in un video: un personaggio che se ne sta impalato sul posto per ore e ore nel suo mondo fatto di noia mortale, mentre il cliente, in preda al nervosismo, cerca di far finta che non sia lì. Ma le SecUnit non comparivano nemmeno nei libri. Immagino che non sia possibile raccontare una storia dal punto di vista di una cosa che si considera non avere un punto di vista.

Non mi sembra realistico, disse.

(Sapete che c’è? Immaginatevi qualsiasi cosa dica questo bot con il tono più sarcastico possibile.)

«Ci sono storie non realistiche che ti fanno fuggire dalla realtà, e storie non realistiche che ti ricordano come tutti quanti abbiano paura di te.» Nei programmi d’intrattenimento, le SecUnit erano ciò che i clienti si aspettavano: spietate macchine assassine che potevano ribellarsi in qualsiasi momento, senza motivo, a prescindere dal modulo di controllo.

Il bot ci rifletté per 1,6 secondi. Con tono meno sarcastico, mi disse: La tua funzione non ti aggrada. Non capisco come sia possibile.

La sua funzione era viaggiare attraverso ciò che considerava essere l’infinitamente affascinante sensazione dello spazio, garantendo la sicurezza di tutti i passeggeri umani (e non) all’interno del suo corpo metallico. Ovvio che non capisse perché qualcuno potesse non essere entusiasta della propria funzione. La sua funzione era fichissima.

«Alcune parti della mia funzione mi aggradano.» Mi piaceva proteggere le persone e le cose. Mi piaceva escogitare modi ingegnosi per farlo. Mi piaceva avere ragione.

E allora perché sei qui? Non sei un ‘bot libero’ alla ricerca del suo tutore, al quale presumibilmente avresti semplicemente potuto inviare un messaggio tramite il trasmettitore pubblico dell’anello di transito da cui siamo recentemente partiti.

Quella domanda mi colse di sorpresa, perché non avevo pensato che potesse essere interessato a qualcosa che non fosse se stesso. Esitai, ma sapeva già che ero una SecUnit e che non esisteva nessuna circostanza possibile per cui quella situazione e la mia presenza lì fossero legali. Tanto valeva che sapesse chi fossi realmente. Immisi sul feed la mia copia del notiziario di Port FreeCommerce. «Quella sono io.»

La dottoressa Mensah di PreservationAux ti ha acquistato e ti ha permesso di andartene?

«Sì. Ti va di rivedere Saltamondi?» Un attimo dopo mi pentii di averglielo chiesto. Sapeva che era un tentativo di distrazione.

Lui però mi disse: Non mi è consentito accettare passeggeri o carichi non autorizzati, e ho dovuto alterare il mio registro di bordo per nascondere qualsiasi prova della tua presenza. Esitò. Quindi ora abbiamo entrambi un segreto.

«Me ne sono andata senza permesso.» Non avevo motivo per non ammetterlo, se non per paura di sembrare stupida. «Mensah mi aveva offerto di andare a vivere a casa sua, su Preservation, ma non ha bisogno di me laggiù. Non hanno bisogno di SecUnit, in quel posto. E poi… Non sapevo cosa volessi – se volevo davvero andare a Preservation o no. Non so se voglio un tutore umano, che in fondo è soltanto una parola diversa per dire padrone. Sapevo che sarebbe stato più facile fuggire dalla stazione di quanto non sarebbe stato farlo da un pianeta. Per cui me ne sono andata. E tu, perché mi hai lasciato salire a bordo?»

Pensavo di riuscire a distrarlo facendolo parlare di sé. Mi sbagliavo di nuovo. M’incuriosivi, rispose. E le tratte di trasporto merci sono tediose, senza passeggeri. Sei andata via per raggiungere la Stazione Mineraria Q di RaviHyral. Perché?

«Me ne sono andata per andarmene da Port FreeCommerce, lontano dalla compagnia.» Quello rimase in attesa. «Dopo aver avuto modo di pensarci, ho deciso di andare a RaviHyral. Sto facendo ricerche su una cosa, e quello è il posto migliore per farlo.»

Pensavo che menzionando una ricerca avrebbe smesso di fare domande, dal momento che capiva cosa fosse una ricerca. E invece niente. Sull’anello di transito c’erano feed di librerie pubbliche, con accesso alle informazioni degli archivi planetari. Perché non fare lì le tue ricerche? I miei archivi di bordo sono vasti. Perché non hai cercato di accedervi?

Non risposi. Il bot rimase in attesa per trenta secondi, poi disse: I sistemi dei costrutti sono per natura inferiori ai bot più avanzati, ma tu non sei una stupida.

Già, be’… ‘Fanculo anche a te, pensai io, e avviai la sequenza di spegnimento.