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Quando tornai sulla Stazione di HaveRatton, un mucchio di umani cercarono di ammazzarmi. In fondo mi pareva giusto, considerando il tempo che avevo passato a pensare di ammazzare un mucchio di umani.

Nave era in avvicinamento e io ero ansiosa di collegarmi con il feed di HaveRatton. Dato che Nave era un bot di pilotaggio di basso livello e aveva il cervello e la personalità di un trasformatore, mi ero premurata di monitorare tutti i suoi input e mi accorsi dell’allarme di navigazione nell’istante in cui si accese (so che Nave non mi avrebbe tradito intenzionalmente, ma la possibilità che lo facesse involontariamente era stimata attorno all’ottantaquattro per cento).

La segnalazione proveniva dall’Autorità Portuale di HaveRatton, che intimava a Nave di deviare la rotta dalla sua solita baia di attracco ai moli commerciali privati verso un’altra sezione in fondo alla zona pubblica d’imbarco per i passeggeri.

Io avevo ancora le piantine di HaveRatton, da quando ero salito a bordo di Nave per andare a Milu. Vidi che quella parte della zona d’imbarco era accanto ai moli dell’Autorità Portuale, dove si trovava anche il punto di dispiegamento per la squadra di sicurezza della stazione.

Certo… Per niente sospetto.

Volevano me? Probabilmente sì…? Nave però aveva trasportato anche Wilken e Gerth, che erano state mandate per sabotare il tentativo di rilevare la piattaforma di terraformazione abbandonata di GrayCris da parte della GoodNightLander Independent, per cui poteva darsi che volessero loro. A quel punto, Wilken e/o Gerth dovevano auspicabilmente essere in mano alla GoodNightLander Independent, chissà dove, e quest’ultima poteva aver richiesto a HaveRatton di fare un’indagine di routine in cerca di ulteriori prove.

Non aveva importanza. Se a terra c’era qualcuno in attesa di Nave, non potevo farmi trovare a bordo al momento dell’attracco.

Potevo far dirigere Nave verso un molo diverso ma non mi sembrava una grande idea. L’Autorità Portuale avrebbe capito non soltanto che era stata opera di qualcuno a bordo di Nave, ma che questo qualcuno era a bordo di un trasporto merci robotizzato il cui manifesto feed dichiarava di essere privo di equipaggio o di passeggeri e con le impostazioni di supporto vitale al minimo. Anche le stazioni grandi e pesantemente armate come HaveRatton devono fare attenzione agli avvicinamenti anomali che potrebbero rivelarsi essere un tentativo di aggressione da parte di razziatori (sarebbe stata un’aggressione stupida, dal momento che l’esiguo contingente di razziatori che Nave era in grado di trasportare non avrebbe potuto far altro che farsi massacrare nella zona d’imbarco – ma, del resto, avevo dedicato una vita intera nel campo della sicurezza al tentativo di impedire agli umani la realizzazione di azioni caratterizzate da una simile catastrofica stupidità). Il comando della stazione poteva allarmarsi al punto da abbattere Nave. E poteva anche darsi che Nave fosse apatica, ma faceva del suo meglio e non volevo che le facessero del male.

Era un bene che avessi ancora la tuta di evacuazione.

L’avevo usata per fuggire dalla navetta di Abene dopo l’attacco del robot da combattimento – l’ennesima cosa che avrei desiderato potermi cancellare dalla memoria (non si possono cancellare quel genere di ricordi; posso cancellare dati dalla mia unità di memoria ma non dalle parti organiche della mia testa. La compagnia mi aveva cancellato la memoria un paio di volte, inclusa tutta quella faccenda dell’omicidio di massa, e quelle immagini continuavano ad aggirarsi per la mia testa come fantasmi in un infinito dramma familiare a sfondo storico).

(Mi piacciono le serie familiari a sfondo storico che non finiscono mai, ma nella vita reale i fantasmi sono molto più fastidiosi.)

Poco prima, mentre mi stavo preparando a sbarcare sulla stazione, avevo infilato la tuta di evacuazione in un armadietto. Immaginavo che, dal momento che a Nave capitava raramente di ospitare dei passeggeri a bordo oltre al suo carico commerciale, sarebbe passato un bel po’ di tempo prima che qualcuno arrivasse a notare che non era elencata nell’inventario e che si prendesse il disturbo di controllarne documenti e registrazione. Cominciai a tirarla fuori da lì in tutta fretta.

Non avevo nessuna voglia di farmi acciuffare.

Infilai la sacca sotto la giacca, indossai la tuta e l’attivai. Mentre Nave completava le manovre di attracco e si adagiava nella baia designata, uscii dalla camera stagna della rampa di carico, dalla parte opposta. I droni delle altre navi si accalcarono per guardarmi, chiedendosi perché stessi uscendo dal portellone sbagliato e pigolando tristemente per la mia imperizia. Mentre Nave si agganciava alla stazione, scivolai fuori dal portellone pressurizzato e inviai l’ordine di chiusura. Mi mossi intorno alla scocca esterna di Nave e cancellai gli ultimi rimasugli di me dalla sua memoria.

“Ciao, Nave. Quando ho avuto bisogno di te, tu c’eri.”

Se un rapporto su ciò che era successo a Milu fosse partito da lì con un trasporto più rapido (la velocità di crociera di Nave era rilassata, a dir poco), era molto probabile che mi avesse battuto sul tempo. Potevano essere a conoscenza del fatto che una SecUnit era sbarcata su Milu, aveva salvato una manciata di umani, aveva fallito nel tentativo di salvare un robot umanoide, aveva fatto il mazzo a tre robot da combattimento, e che Nave era l’unico trasporto partito da Milu dopo l’accaduto.

Non farmi trovare a bordo durante la perquisizione, senza lasciare traccia della mia presenza, avrebbe in qualche modo fatto passare la questione in secondo piano. Non che avessi bisogno di cibo o di cestini della spazzatura. Avevo usato un filo di aria in più e la doccia, ma avevo cancellato i registri dei riciclatori. Una perizia forense avrebbe potuto dimostrare che ero stata lì. Sempre che le perizie forensi funzionassero come quelle dei programmi d’intrattenimento, e, a ben pensarci, non avevo idea se fosse così o no (nota personale: fare ricerca su perizie forensi).

Raggiunsi un lato della stazione ed effettuai una scansione fisica in cerca di telecamere di sorveglianza o droni, o qualsiasi altra cosa, mentre andavo a pesca di feed e segnali di canali audio. Le altre navi erano attraccate lì vicino ma non riuscivo a vedere altro che scafi e ingombranti moduli di trasporto merci – nessuna grande vetrata panoramica con tanto di umani affacciati che si chiedessero chi fosse quella SecUnit in fuga con una tuta d’evacuazione indosso. Percepii alcuni segnali ma erano tutti rilevatori di detriti o guide per robot trasportatori. Seguii la fila di giunti magnetici usati da questi ultimi per agganciare i moduli alla stazione e trovai un robot intento a scaricare un modulo da una grande nave cargo. Effettuai l’accesso al feed del robot e controllai i suoi comandi di lavoro. La nave cargo su cui stava lavorando era robotizzata, con l’equipaggio in libera uscita e tutti i passeggeri a terra. Chiesi al robot trasportatore se potevo entrare dalla rampa di carico prima che inserisse il nuovo modulo. Sicuro, mi disse quello (gli umani non pensano mai di dare istruzioni ai loro robot affinché, tipo, non rispondano a richieste di sconosciuti che se ne vanno a zonzo fuori dalla stazione; i robot hanno istruzione di denunciare e respingere i tentativi di furto, ma nessuno dice mai loro di non dar seguito a cortesi richieste da parte di altri bot).

Salii su per l’incasso del modulo vuoto fino al portellone pressurizzato. Inviai un ping al trasporto, che mi rispose. Non avevo tempo per corromperlo, perciò gli inviai direttamente la chiave di sicurezza ufficiale della stazione, che avevo appena estratto dalla memoria del robot trasportatore, chiedendogli il permesso di entrare, di attraversarlo e di uscire poi dalla parte dei moli. Sicuro, disse quello.

Attraversai la camera stagna, mi tolsi la tuta d’evacuazione e trovai un armadietto in cui ficcarla. Giunta al portellone principale, presi in prestito la telecamera di sorveglianza per darmi un’occhiata. Avevo già rimosso il sangue e i fluidi dai vestiti mentre ero su Nave, facendo ricorso all’unità di lavaggio del bagno dei passeggeri, ma a bordo non avevo trovato niente con cui sistemare i fori dei proiettili e delle schegge. Per fortuna, il giubbotto che indossavo era scuro e i fori non erano poi così evidenti – per di più, il colletto della maglia era alto quanto bastava per coprire la porta dati disabilitata che avevo sulla nuca.

Di norma non sarebbe stato un problema, dal momento che molti umani non avevano mai visto una SecUnit senza corazza e avrebbero dato per scontato che la porta fosse un semplice aumento. Se però gli umani che avevano fatto deviare Nave dalla sua traiettoria di attracco fossero stati alla mia ricerca, probabilmente sapevano che una SecUnit priva di corazza aveva tutto l’aspetto di un umano aumentato (era anche possibile che fosse tutta una mia fisima. Ho un po’ questa tendenza; è l’ansia che caratterizza l’essere una macchina assassina parzialmente umana. Il lato positivo era un’attenzione paranoica ai dettagli. Il lato negativo era sempre un’attenzione paranoica ai dettagli).

Mi accertai di aver messo in esecuzione il codice che mi ero scritta per far sembrare il mio incedere e il mio linguaggio corporeo più umani, mi cancellai dal registro del trasporto e attraversai la camera stagna d’ingresso fin sui moli della stazione.

Ero già entrata nel feed, usandolo per hackerare i droni con gli scanner anti-armamenti della stazione e ordinando loro di ignorarmi. Era sempre importante hackerare gli scanner anti-armamenti, dal momento che ho due armi a energia diretta impiantate negli avambracci. Tanto più in quel momento, visto che nella borsa avevo, tra le altre cose, un’arma a proiettili perforanti anti-armatura e relative munizioni.

Era una delle armi di Wilken e Gerth che avevo portato via quando me n’ero andata da Milu. Avevo impiegato un po’ di tempo e gli attrezzi di bordo di Nave, durante il viaggio di ritorno, per smontarla e rimontarla in forma più compatta, affinché fosse più facile da nascondere. E così, ora, non ero più soltanto un’unità ribelle; ero un’unità ribelle con un’arma progettata per abbattere agenti corazzati. Immagino che in fondo non avessi fatto altro che adeguarmi alle aspettative degli umani.

Ingannare gli scanner anti-armamenti, però, adesso era molto più facile di quanto non fosse stato la prima volta che avevo dovuto farlo, quando avevo lasciato Port FreeCommerce. In parte perché avevo imparato le particolarità dei diversi sistemi che avevo incontrato sin lì. Ma quel che era stato realmente d’aiuto era tutto quel lavoro di codifica e la pratica obbligata con diversi sistemi sul campo; in qualche maniera, avevano liberato nuovi collegamenti neurali e ulteriore spazio di calcolo. L’avevo notato su Milu, quando avevo dovuto gestire input multipli senza l’assistenza di nessun HubSystem o SecSystem, al punto tale da credere che mi stesse per implodere il cervello. Lavorare sodo ti migliora per davvero; e chi l’avrebbe mai detto?

Seguendo la piantina, lasciai l’area di attracco sicura (o cosiddetta sicura) e imboccai la passerella verso la spianata della stazione. Superai la fine della zona d’imbarco pubblica e i moli dell’Autorità Portuale, dove avevano deviato Nave.

Ormai ero sufficientemente abituata a mischiarmi con la folla degli umani da non dovermi più sentire in ansia – avevo viaggiato a bordo di un trasporto con un equipaggio completo di umani che, pensando fossi una consulente umana aumentata per la sicurezza, venivano a parlarmi in continuazione per l’intero tragitto. E invece un po’ in ansia lo ero.

E io che pensavo di averla superata.

Nel mischiarmi a un grosso gruppo di passeggeri, ogni nervo delle mie parti organiche era in tensione. Il fatto che in quel genere di stazioni gli umani e gli umani aumentati siano sempre piuttosto distratti è un bene. Sono tutti sconosciuti agli altri, ognuno è intento a controllare il proprio feed in cerca d’informazioni, canali di comunicazione o intrattenimento mentre cammina. Quando la passerella fece il giro dalla parte della baia di attracco di Nave, notai un gruppo nutrito di persone giù al piano di imbarco. Come il resto della folla, mi voltai per dare un’occhiata.

Ventitré agenti, tutti in armatura potenziata e pesantemente armati, si stavano disponendo per un’operazione di abbordaggio. Non c’era nessuna corazza da SecUnit e non rilevavo nessun ping del genere, perciò dovevano essere tutti umani o umani aumentati. Sopra di loro si aggirava uno stormo di quarantasette droni di sorveglianza in assetto da battaglia, di forma e dotazioni belliche variabili. Agganciai un drone e gli feci eseguire uno zoom sul logo dello spallaccio di una tuta. Non lo riconobbi subito, se non che era un logo della Stazione di HaveRatton. Lo misi in memoria per cercarlo in un secondo momento.

C’era anche il personale di sicurezza della Stazione di HaveRatton ma i loro agenti si tenevano a distanza, all’ingresso della zona dell’Autorità Portuale, intenti a osservare l’operazione di abbordaggio. Chiunque fosse, insomma, aveva preso accordi con HaveRatton affinché si facesse ricorso a una squadra di professionisti armati. Una procedura costosa. E preoccupante. Non servono ventitré umani in armatura potenziata e uno stormo di droni di sorveglianza per una perquisizione in cerca di prove.

Le forze di sicurezza della stazione dovevano aver usato i propri droni per tenere d’occhio la squadra armata che se ne andava in giro per la loro zona di attracco. Controllai il buffer con le registrazioni del drone di sicurezza della stazione che avevo catturato e trovai quasi un’ora di traffico intercettato dai canali audio. Scaricai i dati ed effettuai una ricerca nel file audio in cerca della parola SecUnit. Feci subito centro.

SecUnit. Credi che a bordo ci sia davvero un affare del genere?

Le informazioni ci dicono che è possibile. Io…

Con il modulo di controllo?

Niente modulo, pezzo d’idiota, è per questo che le chiamano ribelli.

Oh, sì. Erano lì proprio per me.

Sulla piattaforma di terraformazione/scavi illegali di resti alieni su Milu, Wilken e Gerth mi avevano riconosciuta come SecUnit. In quel momento mi era tornato comodo ma non era una cosa che avrei voluto veder succedere di nuovo.

Mai più.

Il mio amico ART aveva modificato la mia configurazione, accorciandomi le braccia e le gambe di un centimetro pieno per evitare che il mio corpo, sottoposto a scansione, corrispondesse alle dimensioni standard di una SecUnit. Le alterazioni che ART aveva apportato al mio codice avevano fatto sì che su alcune mie parti cominciasse a crescere una peluria rada e morbida, come quella degli umani, e avevano cambiato il modo in cui la pelle si connetteva con le parti inorganiche, per far sì che queste ultime somigliassero maggiormente a degli impianti. Era una cosa discreta, un dettaglio che ART sosteneva avrebbe ridotto la sospettosità degli umani a livello subliminale (già… ART è un vero pallone gonfiato). La modifica del codice aveva anche ispessito sopracciglia e capelli, alterando l’apparenza del mio viso molto più di quel che mi aspettassi con un cambiamento tanto minimo. La cosa non mi piaceva ma era necessaria.

Non era però sufficiente a ingannare umani che avessero una certa familiarità con le SecUnit (ammetto che, correndo lungo la parete di fronte a Wilken e Gerth, avevo fornito loro un’indicazione certa anche prima che potessero osservarmi con più attenzione). Potevo controllare i miei comportamenti (insomma, più o meno, ecco…) ma avevo bisogno di controllare il mio aspetto.

Per cui, mentre ero ancora a bordo di Nave, avevo usato i moduli impostati da ART per alterare temporaneamente il mio codice e far sì che i capelli crescessero a velocità accelerata (accelerata perché, se avessi fatto un casino e avessi cominciato ad avvicinarmi all’aspetto di un mostruoso bipede peloso, avrei ancora avuto tempo di sistemare l’errore). Avevo fatto crescere i capelli un altro paio di centimetri, poi li avevo bloccati quando avevo raggiunto l’obiettivo.

Avevo estratto un’immagine dai miei video in archivio per controllare il risultato, trovando una buona inquadratura della mia faccia dalla telecamera della dottoressa Mensah. Di solito non uso le telecamere per guardare me – perché diavolo dovrei fare una cosa del genere, poi? – ma all’epoca ero ancora sotto contratto e continuavo a raccogliere i feed dei miei clienti. Dal marcatore temporale, l’immagine risaliva al momento in cui eravamo fuori dagli hopper, quando GrayCris ci dava la caccia e lei mi aveva chiesto di mostrare agli altri il mio viso, perché si fidassero di me.

Paragonai quella vecchia immagine di me con quella attuale, attraverso la telecamera di un drone. Dopo tutti quei cambiamenti sembravo diversa, più umana.

La cosa mi piaceva ancora meno.

Ora che ero tornata su HaveRatton, però, con una squadra di sicurezza ancora non identificata sulle mie tracce, si rivelava molto utile. Il passaggio successivo era liberarmi dei miei abiti e dei fori di proiettile che avrebbero subito attirato l’attenzione. Giunta al limitare della spianata principale, mi costrinsi a entrare in uno di quei grandi negozi per viaggiatori.

Per comprare le schede di memoria avevo usato un distributore automatico, ma in un negozio vero e proprio non ci ero mai stata. Benché il processo di vendita fosse completamente automatizzato e io sapessi più o meno cosa fare in base a quel che avevo visto nei programmi d’intrattenimento, mi sentivo comunque strana (e per “strana” intendo soffocata da un’angoscia indicibile). Per fortuna, a quanto pare esistevano umani inesperti quanto me perché, non appena attraversai la soglia, il feed del negozio m’inviò immediatamente un modulo d’istruzioni interattivo.

Quello mi guidò verso uno dei camerini di vendita vuoti, che erano spazi ciechi su tutti i lati. Poter chiudere la porta fu un tale sollievo che la mia affidabilità di sistema crebbe di mezzo punto percentuale. Il camerino eseguì una scansione della mia carta valuta, poi mi offrì una serie di menu disponibili.

Scelsi quello che veniva presentato come di base, pratico e comodo per viaggiare. Esitai un poco davanti a gonne lunghe, pantaloni ampi, caffetani a figura intera, tuniche e giacche a mezza gamba. L’idea di combinarli tutti per avere un cuscinetto di molti strati di abbigliamento tra me e il mondo esterno era allettante, ma non ci ero abituata e avevo paura che si sarebbe notato (ci avevo messo un bel po’ per capire cosa fare con mani e braccia mentre camminavo e stavo ferma; prendere dei vestiti in più significava ulteriori possibilità di commettere errori e di dare nell’occhio). Sciarpe, cappelli e altre coperture per la testa e il viso – alcune delle quali rivestivano anche funzioni culturali per gli umani – erano altrettanto allettanti, ma erano esattamente il genere di oggetti che una SecUnit in fuga avrebbe potuto decidere di usare, e non avrebbero fatto altro che attirarmi addosso scansioni di sorveglianza addizionali.

Ormai avevo indossato due tipi di vestiti umani, per cui mi ero fatta un’idea più precisa di cosa funzionasse meglio per me. Scelsi un paio di stivali da lavoro non molto diversi da quelli che avevo rubato su Port FreeCommerce, auto-calzanti e con un minimo di rinforzo per proteggere i piedi dalla caduta di oggetti pesanti – precauzione che per me non era importante come per un umano. Poi un paio di pantaloni con un mucchio di tasche richiudibili, una maglia a maniche lunghe con il colletto alto per coprire la mia porta dati e un’altra giacca morbida con un cappuccio. In effetti era piuttosto simile a ciò che avevo indossato fino ad allora, ma cambiavano le disposizioni del nero e del blu scuro. Autorizzai il pagamento e i miei pacchetti caddero fuori dalla fessura.

Quando infilai i vestiti nuovi provai qualcosa di strano, una sensazione che di solito associavo alla scoperta di una serie promettente sul feed d’intrattenimento. Quei vestiti mi “piacevano”. Anzi, forse mi piacevano abbastanza da togliere quelle virgolette intorno alla parola “piacevano”. In linea generale, non mi piacciono le cose che non possono essere scaricate dal feed d’intrattenimento.

Forse era perché me li ero scelti.

Forse.

Presi anche un’altra sacca, migliore e con più tasche richiudibili. Mi vestii, ricevetti uno sconto perché ero disposta a buttare i miei vecchi panni nel riciclatore del negozio e uscii dal camerino.

Di ritorno sulla spianata della stazione, mescolandomi alla folla, cominciai a scaricare nuovi programmi d’intrattenimento e tabelle orarie dei trasporti, e avviai una ricerca di notiziari nel feed. Grazie al logo, la ricerca per immagini aveva fatto saltar fuori il nome della compagnia di sicurezza: Palisade. Avviai una ricerca anche su quella.

Dovevo togliere le tende da HaveRatton il prima possibile, e trovare il modo migliore per portare le mie schede di memoria alla dottoressa Mensah.

Le schede che avevo immagazzinato nel braccio contenevano un mucchio di dati, scaricati direttamente dagli escavatori su Milu, riguardanti i materiali sintetici estranei che GrayCris aveva illegalmente estratto con la copertura di un’operazione di terraformazione. E la scheda di memoria che avevo trovato tra la roba di Wilken e Gerth conteneva informazioni ancor più rivelatrici. Era un registro con lo storico dei loro incarichi per GrayCris, attentamente organizzato e sistemato, pronto per essere dato in pasto a qualche giornalista o a una corporazione rivale. Credo fosse una minaccia di ricatto, o forse un tentativo di assicurarsi che GrayCris non provasse a ucciderle. Qualsiasi cosa fosse, ora era in mio possesso.

Portare quella scheda e le altre di persona a Mensah sarebbe stato il modo più sicuro, ed era quel che intendevo fare. Solo, non ero sicura di volerla rivedere (o meglio, non ero sicura di volere che lei rivedesse me).

Ripensare a lei fece tornare a galla un groppo di emozioni confuse che non volevo affrontare in quel momento. Anzi, che non avrei voluto affrontare mai. Comunque, non era una decisione che avrei dovuto prendere subito (anche in questo caso avrei voluto applicare il “mai”). Potevo sempre intrufolarmi dove alloggiava e lasciare le schede tra le sue cose, insieme a un messaggio (avevo pensato molto a quel biglietto; avevo anche altre scelte, ma probabilmente avrei scritto: “Spero che queste prove contro GrayCris vi siano utili. Firmato: Murderbot”). Dovevo impegnarmi per scoprire se fosse ancora su Port FreeCommerce o fosse tornata a Preservation Alliance senza…

La mia ricerca tra i notiziari restituì una serie di risultati, e il marcatore temporale dell’articolo più letto del feed mi fece fermare di colpo. Per fortuna mi trovavo in uno spazio ampio della spianata, dove le grandi compagnie di trasporto avevano i loro uffici e la folla, piuttosto rada, poteva continuare a fluire passandomi intorno. Feci uno sforzo di volontà per spostarmi fino all’ingresso dell’ufficio più vicino e rimasi nel punto in cui il loro feed proprietario mostrava video pubblicitari e informativi. Non era l’ideale, ma avevo bisogno di un punto in cui potessi stare ferma per concentrarmi soltanto sull’articolo.

La dottoressa Mensah era stata accusata di spionaggio intercorporativo da GrayCris.

Come diavolo erano arrivati a quel punto, dall’ultimo notiziario che avevo intercettato a HaveRatton? C’erano diversi procedimenti giudiziari in corso, ma GrayCris emergeva chiaramente come l’aggressore nelle violenze perpetrate ai danni delle squadre di perlustrazione. Oltre a tutte le altre prove, avevamo le registrazioni dai miei feed e il video della telecamera della tuta di Mensah in cui i rappresentanti di GrayCris ammettevano la propria colpevolezza. Nemmeno quella stupida compagnia da quattro soldi a cui ero appartenuta sarebbe riuscita a mandare tutto a puttane in quel modo.

E invece, a quanto pareva, l’aveva fatto eccome. E la dottoressa Mensah era un leader planetario di un’entità politica non corporativa; come poteva essere accusata di spionaggio intercorporativo? Voglio dire… È roba di cui non capisco niente, perché non abbiamo mai ricevuto moduli educativi sugli ordinamenti giuridici umani, però mi sembrava sbagliato.

Superai quell’iniziale indignazione e riuscii a leggere il resto dell’articolo. GrayCris aveva lanciato l’accusa ma nessuno sapeva se era in atto una vera e propria querela (o controquerela? Ma poi che parola sarebbe?) o no. Erano tutte ipotesi, perché i giornalisti non riuscivano a rintracciare Mensah.

Aspetta, aspetta… Cosa?

E dov’era, allora? Dov’erano gli altri? Erano tornati su Preservation e l’avevano lasciata da sola? Da ciò che ero riuscita a trovare, l’atteggiamento di Preservation nei confronti dei propri leader planetari era estremamente rilassato. La dottoressa Mensah non aveva nemmeno delle guardie del corpo, in casa sua. Ma sarebbe stato stupido lasciarla da sola a Port FreeCommerce, dove le sarebbe potuto succedere qualcosa. Anzi, dove le era successo qualcosa.

Avrei voluto prendere a pugni il primo logo corporativo che mi capitava a tiro. Quegli umani imbecilli non sapevano come restare al sicuro; quegli umani imbecilli pensavano che tutti i posti fossero come la loro stupidissima, noiosa Preservation!

Mi servivano più informazioni; dovevo essermi persa qualche sviluppo importante. Risalii lungo lo storico del notiziario, facendo una ricerca approfondita degli argomenti correlati e cercando di non farmi prendere dal panico. Secondo i rapporti che Port FreeCommerce aveva reso disponibili ai giornalisti per toglierseli dalle scatole, Arada, Overse, Bharadwaj e Volescu erano tornati a Preservation una trentina di cicli prima. Mensah avrebbe dovuto raggiungerli insieme agli altri ma non l’aveva fatto. Fin qui, tutto regolare.

Il punto successivo della storia era sepolto così a fondo in un’altra vicenda che per poco non me lo perdevo. GrayCris aveva rilasciato una dichiarazione alla stampa secondo cui Mensah si era recata su TranRollinHyfa per rispondere alla loro querela, ma Port FreeCommerce non ne dava conferma.

Dove cazzo era TranRollinHyfa?!

Da una ricerca frenetica tra i database informativi del feed pubblico appresi che TranRollinHyfa era una stazione – uno snodo importante, anzi – su cui si trovavano gli uffici di quasi duecento compagnie, tra cui GrayCris. Per cui non era esclusivamente territorio nemico. Buffo come la cosa non mi tranquillizzasse affatto.

Un altro articolo rilevante ipotizzava che Mensah fosse andata su TranRollinHyfa per testimoniare a nome di Preservation e DeltFall nell’ambito della causa contro GrayCris. La notizia successiva ipotizzava che avrebbe anche testimoniato nella causa probabilmente illegittima che GrayCris aveva intentato contro di lei. La cosa più terrificante era che le due entità che potevano avere qualche notizia certa, ossia Preservation Alliance e la mia stupidissima, ignobile compagnia ex proprietaria su Port FreeCommerce, non avevano rilasciato altre dichiarazioni se non per dire che Mensah era sicuramente su TranRollinHyfa.

Mensah non era una stupida; non si sarebbe mai avvicinata al territorio di una corporazione ostile senza protezione. Se fosse andata a TranRollinHyfa volontariamente, il contratto di assicurazione per un viaggio fino da GrayCris, che aveva già cercato di ucciderla una volta, sarebbe stato carissimo da stipulare e ancor più costoso da mettere in atto, e la compagnia avrebbe dovuto fare di tutto pur di tirarla fuori dai guai, perfino inviare navi armate. Sarebbe stato più sicuro, e di conseguenza più economico, restare su Port FreeCommerce, il principale centro di smistamento della compagnia, e convocare lì tutte le parti per rendere testimonianza. Ecco ciò per cui avrebbe insistito la compagnia.

Conclusione: Mensah non si era recata volontariamente su TranRollinHyfa.

Qualcuno l’aveva ingannata, l’aveva incastrata o l’aveva costretta ad andare. Ma perché? Se era un piano di GrayCris, perché aspettare tanto, perché dare a tutti i testimoni coinvolti il tempo di organizzare una denuncia, testimoniare e consegnare le prove ai giornalisti? Cos’era successo che aveva mandato GrayCris nel pallone al punto da…?

Oh. Oh, merda.