5

Lə incontrai nella zona d’imbarco. Avevo portato anche lo zaino di tela, che faceva parte del mio travestimento da umana, ma l’unica cosa importante che avevo addosso era l’interfaccia di comunicazione di ART. Ci avrebbe permesso di rimanere in contatto una volta che fossi giunta a RaviHyral, e avrei potuto continuare ad avere accesso alle banche dati di ART e alle sue opinioni non richieste. Ero abituata ad avere il supporto di un HubSystem e di un SecSystem, e ART avrebbe preso il loro posto (senza la parte in cui i due sistemi fungevano da spia e attivavano eventuali punizioni tramite il modulo di controllo, anche se la libertà di ART di mettere bocca su ogni mio gesto era già una punizione sufficiente). Mi ero inserita l’interfaccia di comunicazione in uno scomparto interno sotto le costole.

Lə mieə tre clienti mi stavano aspettando, ognunə con un piccolo zaino o sacco, dal momento che si sperava saremmo rimastə fuori per non più di un paio di cicli. Mi tenni in disparte finché non finirono il giro di saluti agli altri membri del loro collettivo. Sembravano tutti molto preoccupati. Il collettivo era registrato sul social feed come matrimonio di gruppo, e avevano cinque figli di varie dimensioni. Una volta che gli altri se ne furono andati e Rami, Maro e Tapan furono solə, mi feci avanti.

«Tlacey ci ha comprato un biglietto su una navetta pubblica» disse Rami. «Potrebbe essere un buon segno, no?»

«Certo» dissi io. Era un pessimo segno.

Il voucher mi permise di attraversare la zona d’imbarco, e non c’erano scanner anti-armamenti. RaviHyral consentiva il porto di armi private ed era caratterizzata da una bassa presenza di personale di sicurezza nelle aree pubbliche, motivo per cui i piccoli gruppi di umani sentivano il bisogno di assoldare consulenti privati. Inviai un messaggio ad ART mentre ci avvicinavamo al portellone della navetta: Puoi fare una scansione per anomalie energetiche del mezzo senza che la sicurezza dell’anello ti individui?

No, ma dichiarerò che sto eseguendo una diagnostica degli scanner e un test dei sistemi.

Giunti al portellone, ART confermò: Nessuna anomalia, la navetta corrisponde al novanta per cento alle specifiche di costruzione.

Questo era normale e significava che, se davvero ci fosse stato un congegno esplosivo a bordo, al momento era inerte, nascosto in profondità chissà dove tra le paratie. Altri cinque lavoratori attendevano l’imbarco; il mio scanner non rilevò nessuna traccia energetica. Portavano con sé zaini e borsoni pieni zeppi, a indicare un soggiorno di lunga durata. Li lasciai salire per primi, poi mi misi davanti a Maro e attraversai la camera pressurizzata, scansionandola mentre passavo.

La navetta era robotizzata e per equipaggio aveva soltanto un’umana aumentata il cui unico compito pareva essere controllare i voucher d’impiego e i biglietti per la navetta. Mi guardò e disse: «Dovreste essere soltanto in tre».

Io non risposi, essendo in piena lotta per il controllo del sistema di sicurezza. Era un sistema del tutto svincolato dal bot di pilotaggio – cosa decisamente non comune per le navette cui ero abituato.

Tapan alzò il mento. «È la nostra consulente per la sicurezza.»

Dopo essere riuscita a prendere il controllo del SecSystem della navetta, cancellai il suo tentativo di allertare il bot pilota e il personale di servizio.

La hostess si accigliò, controllò di nuovo il voucher ma non discusse oltre. Entrammo nello scompartimento mentre gli altri passeggeri si stavano ancora accomodando sui sedili, parlando sommessamente e sistemando i bagagli. Non li avevo ancora esclusi dalla lista delle potenziali minacce, ma il loro comportamento stava diminuendo le probabilità che fossero pericolosi con andamento costante.

Mi sedetti accanto a Rami mentre il resto dellə miə clienti si sistemava e inviai un ping ad ART. Sto effettuando un’ulteriore scansione in cerca di anomalie balistiche, disse lui, e la situazione al momento è regolare.

Significava che non c’era niente che ci stesse prendendo di mira, su quella luna. Se fosse stato quello il piano, non sarebbe successo finché non fossimo statə al largo. Del resto, se qualcuno avesse sparato verso l’anello di transito dalla luna, ero piuttosto sicura che avrebbe alzato un polverone e che ne sarebbero conseguite rogne legali, se non addirittura una reazione immediata e violenta da parte della sicurezza dell’anello. Se ci sparano mentre siamo in viaggio, dissi ad ART, non possiamo farci granché.

ART non rispose ma ormai avevo imparato a capire che significava qualcosa. Tu non hai cannoni, vero?, gli chiesi. Sui suoi schemi non era riportato. O, perlomeno, non sugli schemi che ART aveva reso disponibili dal feed con accesso libero. Vero?

Ho un sistema di deflessione anti-detriti, ammise ART.

C’è soltanto un modo per deflettere i detriti. Non ero mai stata a bordo di una nave armata ma sapevo che erano soggette a un livello di licenze e accordi assicurativi completamente diversi (se una di queste sparasse distrattamente a qualcosa cui non dovrebbe, qualcuno sarebbe poi tenuto a risarcire il danno). Quindi hai dei cannoni, conclusi.

Per la deflessione dei detriti, ripeté puntigliosamente ART.

Stavo cominciando a chiedermi a che razza di università potesse appartenere ART.

Rami mi guardò preoccupatə. «Va tutto bene?»

Io annuii e cercai di apparire impassibile.

Tapan si sporse oltre Rami per chiedermi: «Sei nel feed? Non riesco a trovarti».

«Sono su un canale privato con un amico che sta sorvegliando la partenza della navetta» le risposi. «Mi sto solo assicurando che vada tutto bene.»

Annuirono entrambə e tornarono ad appoggiarsi allo schienale.

Lo scossone che attraversò il ponte indicò che la navetta si era sganciata dall’anello e aveva cominciato a muoversi. Mi arruffianai il bot pilota. Era un modello con funzioni limitate, non certo complesso quanto i cargo robotizzati standard. Gli feci dire dal SecSystem della navetta che ero stata autorizzata dalla sicurezza dell’anello, e quello mi rispose con un ping tutto allegro. La hostess era seduta in cabina di pilotaggio insieme a lui, intenta a usare il proprio feed per verificare le indicazioni amministrative e a leggere i download dal proprio social, ma a bordo non c’era nessun pilota umano.

Mi appoggiai allo schienale del sedile e mi rilassai un poco. Ero tentata di aprire qualche file multimediale e, dagli echi che mi giungevano sul feed, capii che era ciò che stava facendo la maggior parte dellə umanə. Ma volevo continuare a tenere d’occhio il bot. Potrebbe sembrarvi un eccesso di zelo, ma mi avevano costruito così.

Poi, a ventiquattro minuti e quarantasette secondi dalla partenza, in piena manovra di avvicinamento, il bot mandò un urlo e si spense mentre un killware invadeva il suo sistema. Era morto prima ancora che il SecSystem della navetta o io potessimo reagire; alzai un firewall intorno a entrambi e il killware rimbalzò via. Lo vidi registrare l’avvenuta operazione e poi autodistruggersi.

Oh, merda. ART! Usai il SecSystem della navetta per prendere i controlli. Avevamo bisogno di una correzione di rotta entro sette secondi e due decimi. La hostess, sbalzata fuori dal suo feed dall’allarme, rimase a fissare la plancia, sbigottita, poi attivò il segnale di emergenza. Non sapeva pilotare la navetta. Io sapevo pilotare hopper e altri velivoli da atmosfera, ma non avevo mai ricevuto il modulo formativo per la guida di navette o altri vettori spaziali. Detti un colpetto al SecSystem, sperando in un suo aiuto, e quello fece scattare tutti gli allarmi della cabina. Bell’aiuto.

Fammi entrare, disse ART, calmo e tranquillo come se stessimo ragionando di quale serie guardare.

Non avevo mai dato ad ART il controllo completo del mio cervello. Gli avevo permesso di modificare il mio corpo, ma non quello. Avevamo ancora tre secondi. Lə miə clienti, gli altri umani a bordo… Lo lasciai entrare.

Fu come quella sensazione che gli umani descrivono nei loro libri, quando ti spingono la testa sott’acqua. Poi la sensazione passò ed ecco che ART era lì con me, usando la mia connessione con il SecSystem della navetta per balzare nel vuoto lasciato dal bot cancellato. ART fluì nei controlli, effettuò la correzione di rotta e adattò la velocità, poi agganciò il segnale di attracco e guidò l’approccio della navetta all’interno del porto principale di RaviHyral. La hostess era appena riuscita ad allertare l’Autorità Portuale ed era ancora in iperventilazione. L’Autorità Portuale poteva caricare la routine di attracco d’emergenza nei sistemi di navigazione in arrivo, ma in quel caso non ci sarebbe stato il tempo di farlo. Non avrebbero potuto fare niente per salvarci.

Rami mi toccò un braccio e disse: «Stai bene?».

Avevo chiuso gli occhi. «Sì» risposi. Ricordando che gli umani pretendevano qualche parola in più dai loro consimili, indicai gli allarmi con un gesto della mano e aggiunsi: «Ho un udito sensibile».

Rami annuì, comprensivə. Gli altri passeggeri sembravano preoccupati ma non c’era stato nessun annuncio specifico e vedevano la nostra rotta sul feed del porto, che continuava a confermare l’orario di arrivo.

La hostess provava a spiegare all’Autorità Portuale che c’era stato un errore fatale, che il bot di pilotaggio era morto e che non sapeva come fosse possibile che la navetta avesse continuato a seguire la rotta abituale anziché schiantarsi sulla superficie della luna. Il SecSystem della navetta cercò di analizzare ART e per poco non si disintegrò da solo. Ne ripresi il controllo, spensi gli allarmi e cancellai l’intero tragitto dalla memoria.

Quando gli allarmi cessarono, dai passeggeri giunsero mormorii di sollievo. Suggerii ad ART di inviare un codice di errore all’Autorità Portuale, che ci assegnò una nuova priorità di sbarco e modificò il sito di attracco dal molo pubblico a quello dei servizi di emergenza. Dal momento che il killware era chiaramente progettato per ucciderci durante il viaggio, era possibile che non ci fosse nessuno ad attenderci alla baia di attracco, ma era meglio essere prudenti.

Il feed ci dava una visuale del porto, che si trovava all’interno di una caverna scavata nel fianco di una montagna circondata dalle torri di una griglia di deflessione anti-detriti (un sistema di deflessione anti-detriti vero, contrariamente al cannone mobile che nascondeva ART, o qualsiasi altra cosa fosse). Le luci dei molti livelli dell’impianto portuale scintillavano nell’oscurità, e altre navette più piccole sfrecciavano tutto intorno a noi mentre scendevamo lentamente seguendo il segnale tracciato dall’Autorità Portuale.

Maro mi guardò di sottecchi. Quando attraverso il feed giunse la notizia della modifica del sito di attracco, si chinò in avanti e disse: «Sai cosa sia successo?».

Per fortuna, mi ricordai che nessuno si aspettava che dovessi rispondere immediatamente a qualsiasi domanda. Uno dei benefici dell’essere una consulente per la sicurezza umana aumentata, piuttosto che un costrutto SecUnit. «Ne parliamo quando saremo scesi dalla navetta» le dissi, e sembrarono tuttə soddisfattə della mia risposta.

ART ci fece attraccare alla baia dell’Autorità Portuale. Lasciammo la hostess che continuava a cercare di spiegare cosa fosse successo ai tecnici per le emergenze, mentre quelli cominciavano a connettere la strumentazione per la diagnostica. ART era già sparito, cancellando ogni traccia del suo passaggio, e il SecSystem della navetta era confuso ma perlomeno ancora intatto, a differenza del povero bot pilota.

La piccola area di sbarco brulicava di personale dei servizi d’emergenza e robot. Riuscii a guidare lə miə clienti e a portarlə fuori, sulla passerella coperta che collegava l’area con il porto principale, prima che a qualcuno venisse in mente di fermarci. Avevo già scaricato una mappa dal feed pubblico ed ero intenta a testare la tenuta del sistema di sicurezza. Dalla passerella si vedeva la caverna, con i suoi molti livelli di baie di attracco e qualche navetta che andava e veniva. Dall’altra parte, più lontano, c’erano gli ingombranti trasporti di raccordo agli impianti minerari.

Il livello di sicurezza pareva intermittente, adeguandosi di volta in volta al livello di paranoia dell’appaltatore che operava nel territorio che si attraversava. La cosa poteva rivelarsi tanto un vantaggio quanto un’interessante sfida. Il feed informativo pubblico dell’anello di transito ci aveva avvertito che, a quanto pareva, parecchi umani giravano armati da quelle parti. E che non c’erano rilevatori selettivi.

Uscimmo in una zona di raccordo centrale dotata di una cupola alta e trasparente che lasciava vedere la volta della caverna che s’inarcava sopra di noi, con le luci puntate in modo da mettere in mostra le variopinte vene minerali. Effettuai una scansione per accertarmi che non ci stessero registrando e fermai Rami. Ləi e le altre mi guardarono e io dissi: «La persona che stiamo andando a incontrare ha appena cercato di uccidervi».

Rami sbatté le palpebre, Maro sgranò gli occhi e Tapan fece un respiro per controbattere. «La navetta è stata infettata con un killware» spiegai. «Ha distrutto il bot pilota. Io ero in contatto con un amico che è stato in grado di usare il mio feed aumentato per scaricare un nuovo modulo di pilotaggio. È l’unico motivo per cui non ci siamo schiantatə.»

Un modulo poteva essere in grado di portare la navetta in orbita, ma non poteva essere sofisticato a tal punto da riuscire a effettuare un atterraggio così difficoltoso con tanta facilità. Speravo che non ne fossero coscienti.

Tapan richiuse la bocca. Maro disse, sconvolta: «Ma gli altri passeggeri… Il personale di bordo… Avrebbero ucciso tutti?».

«Se foste statə le uniche vittime, il movente sarebbe stato troppo palese» risposi.

Vidi che le mie parole cominciavano a far presa. «Dovreste tornare subito all’anello di transito» dissi. Controllai gli orari sul feed pubblico. C’era una navetta che rientrava di lì a undici minuti. Tlacey non avrebbe avuto il tempo di rintracciare lə miə clienti e infettare anche quella, se si fossero mossə in fretta.

Tapan e Maro guardarono Rami. Ləi esitò, poi strinse i denti e disse: «Io resto qui. Voi due andate».

«No» replicò decisa Maro. «Non ti lasciamo.» Tapan aggiunse: «Ci siamo dentro insieme».

Il viso di Rami sembrò afflosciarsi; il loro sostegno l’aveva indebolitə, laddove la prospettiva della morte non ci era riuscita. Tenne a bada la sua reazione e annuì seccamente. Poi mi guardò e disse: «Restiamo».

Non ebbi reazioni palesi, dal momento che sono abituata a vedere i miei clienti prendere decisioni sbagliate e che mi stavo allenando parecchio sul controllo dell’espressione. «Non potete fare questo incontro. Hanno perso le vostre tracce quando la navetta non è attraccata nella baia predefinita. Dovete conservare questo vantaggio.»

«Ma dobbiamo andare all’appuntamento» protestò Tapan. «Altrimenti non potremo recuperare il nostro lavoro.»

Sì, mi capita spesso di aver voglia di dare una bella scrollata ai miei clienti. E no, non lo faccio mai. «Tlacey non ha intenzione di restituirvi il vostro lavoro. Vi ha attirato qui per uccidervi.»

«Sì, ma…» cominciò a dire Tapan.

«Tapan, sta’ zitta e ascolta» la interruppe Maro, chiaramente esasperata.

Rami sembrava decisa a intestardirsi, ma mi chiese: «E allora, che facciamo?».

Tecnicamente, non doveva per forza essere un mio problema. Ero arrivata dove volevo e non avevo più bisogno di loro. Avrei potuto seminarlə tra la folla e lasciare che se la sbrigassero da solə con la loro ex datrice di lavoro omicida.

Ma erano miə clienti. Anche dopo aver hackerato il modulo di controllo, avevo scoperto che non riuscivo ad abbandonare nemmeno i clienti che mi venivano imposti. Con questə clienti avevo scelto di fare un accordo da indipendente. Non potevo andarmene così. Sospirai tra me e me. «Non potete incontrare Tlacey nel suo impianto. Dovete essere voi a scegliere il luogo.»

Non era l’ideale, ma avrei dovuto farmelo andar bene.

Lə miə clienti scelsero un ristorante al centro del porto. Era rialzato su piattaforma, con i tavoli e le sedie sistemati a gruppi e degli schermi che fluttuavano poco sopra con la pubblicità di vari porti, servizi di appalto e informazioni sui diversi impianti minerari. Gli schermi fungevano anche da telecamere e dispositivi di registrazione, per cui era un posto piuttosto popolare per gli incontri di lavoro.

Rami, Tapan e Maro avevano scelto un tavolo e cincischiavano nervosamente con i drink che avevano ordinato a uno dei robot che girava lì intorno. Avevano contattato Tlacey ed erano in attesa di un suo rappresentante.

Il sistema di sicurezza, in quella zona pubblica, era più sofisticato del SecSystem della navetta ma non di molto. Mi ero infiltrata quanto bastava da tenere sotto controllo il canale d’emergenza e le immagini delle telecamere concentrate sulle immediate vicinanze. Mi sentivo piuttosto sicura. Ero in piedi, a tre metri dal tavolo, fingendo di osservare gli schermi e di esaminare le mappe degli impianti che avevo trovato nel feed pubblico. Era pieno di siti di scavo abbandonati, come anche di accessi ai trasporti sotterranei che si addentravano in quello che pareva il nulla. Ganaka Pit doveva essere uno di quelli.

Dev’esserci un archivio pubblico, mi disse ART all’orecchio. Da quello non possono aver cancellato l’esistenza di Ganaka Pit. La sua assenza salterebbe subito all’occhio di eventuali ricercatori.

Dipendeva dal tipo di ricerca. Chi lavorava sui sintetici estranei ovviamente era interessato a conoscerne il sito di rinvenimento, ma non per forza quale compagnia li avesse trovati o perché mai quella compagnia non fosse più in attività. Chiunque avesse rimosso Ganaka Pit dalla mappa, però, l’aveva fatto per sottrarlo all’attenzione dei giornalisti, non per cancellarlo del tutto dalla memoria collettiva.

Le informazioni di ART erano esatte: su quella luna c’erano altre SecUnit. La mappa mostrava i loghi di cinque compagnie assicurative che offrivano i servizi delle loro SecUnit, tra cui anche la mia compagnia, in sette dei più remoti impianti in cui era proseguita l’esplorazione delle vene minerarie. Probabilmente erano lì per difendere le concessioni dai furti e per evitare che i minatori e gli altri impiegati si aggredissero a vicenda, come parte integrante del vincolo di garanzia. Le SecUnit non sarebbero mai passate dal porto se non come merce inerte all’interno di casse di trasporto o di cubicoli di rigenerazione, per cui era una cosa in meno di cui preoccuparsi. La mia configurazione modificata poteva ingannare umani e umani aumentati, ma non altre SecUnit.

Se mi avessero visto, avrebbero allertato i loro SecSystem. Non avrebbero avuto scelta. E non ne avrebbero voluta una. Se c’è qualcuno che sa quanto siano pericolose le SecUnit ribelli, sono le altre SecUnit.

Fu allora che sentii il ping.

Dissi a me stessa che dovevo essermi confusa. Poi successe di nuovo. Momento di panico.

Qualcosa era in cerca di SecUnit. Non genericamente robot, ma specificamente SecUnit, ed era vicina. Il ping non era diretto, ma se avessi avuto un modulo di controllo integro sarei stata costretta a rispondere.

Tre umani si avvicinarono al tavolo a cui erano sedutə lə mieə clienti. Rami sussurrò nel feed: «È Tlacey. Non mi aspettavo che venisse di persona». Due degli umani erano maschi corpulenti; uno di loro allungò il passo per raggiungere il tavolo. Maro l’aveva notato e, dall’espressione che le si dipinse in volto, capii che non stavano per salutarsi. Il rilevatore mostrava che era armato.

M’interposi tra lui e il tavolo. Alzai una mano all’altezza del suo petto e dissi: «Fermo».

Nella maggior parte dei contratti, quello era il massimo che ero autorizzata a fare con un umano finché quest’ultimo non avesse provocato il contatto fisico. Ma sareste sorpresi di sapere quanto possa essere efficace questa semplice mossa, se fatta bene. Anche se in genere, nelle altre occasioni, indossavo la corazza e il casco con la visiera oscurata, starmene lì in piedi con indosso dei normalissimi vestiti umani e con la mia faccia umana ben visibile era tutta un’altra cosa. Ma, del resto, colpendomi non mi avrebbe fatto niente, e non aveva ancora estratto l’arma.

Avrei potuto stracciarlo come un fazzoletto di carta.

Lui questo non lo sapeva, ma dalla mia faccia doveva aver capito che non avevo paura di lui. Controllai le telecamere di sorveglianza per vedere che aspetto avessi, da fuori, e mi accorsi che sembravo annoiata. Non era insolito, dal momento che avevo sempre un aspetto annoiato mentre svolgevo i miei compiti, solo che era impossibile vederlo quando ero in armatura.

Quello si ricompose e disse: «E tu chi cazzo sei?».

Lə mieə clienti avevano spinto via le sedie e si erano alzatə in piedi. «È la nostra consulente per la sicurezza» lo informò Rami.

L’uomo fece un passo indietro e diede un’occhiata incerta agli altri due – la seconda guardia del corpo umana, un maschio, e Tlacey, che era una femmina umana aumentata.

Abbassai il braccio ma non mi mossi da lì. La linea di tiro era sgombra su tutti e tre i bersagli, ma era un’ultima ratio. Quantomeno per me. Gli umani possono farsi sfuggire una miriade di piccoli indizi, ma il fatto che avessi delle armi a energia diretta nelle braccia non sarebbe passato inosservato. Distolsi quel poco di attenzione che bastava per analizzare i feed delle telecamere di sorveglianza e trovare la cosa che aveva emesso il ping – qualsiasi cosa fosse.

Mi concentrai sulla ripresa di una delle telecamere della zona pubblica, accanto a uno dei tunnel d’ingresso. La figura in piedi vicino all’area di riposo non corrispondeva a ciò che mi aspettavo di vedere e dovetti guardarla una seconda volta prima di capire. Non indossava una corazza e la sua configurazione fisica non corrispondeva agli standard delle SecUnit. Aveva molti capelli, color argento con le punte blu e viola, tirati all’indietro e legati in treccine come quelli di Tapan, ma con un’acconciatura molto più complicata. I suoi tratti somatici erano diversi dai miei – ma tutti i tratti delle Unità sono diversi, assegnati casualmente basandosi sul materiale umano clonato che viene usato per realizzare le nostre parti organiche. Aveva le braccia denudate e non vedevo né metallo né scomparti per le armi. Non era una SecUnit.

Quello che avevo davanti agli occhi era un sexbot.

Non è la denominazione ufficiale, mi corresse ART.

Il nome ufficiale è ComfortUnit, ma tutti sanno cosa significhi esattamente.

I sexbot non hanno il permesso di aggirarsi per le zone umane senza ordini precisi, non più dei murderbot. Qualcuno doveva averlo mandato lì.

ART mi punzecchiò con tanta forza da farmi trasalire. Tornai al presente e ripassai rapidamente la registrazione per mettermi in pari con quanto stava accadendo.

Tlacey si era fatta avanti. «E perché mai dovreste aver bisogno di una consulente per la sicurezza?»

Rami trasse un respiro. Io entrai sul suo feed, creai una connessione privata sicura tra ləi, Tapan e Maro e lə dissi: Non rispondere alla domanda. Non parlare dell’attentato alla navetta. Attieniti agli affari. Lo feci d’impulso. Tlacey era venuta lì aspettandosi un confronto rabbioso; ecco perché si era portata appresso delle guardie del corpo armate. Ora avevamo un vantaggio: non eravamo mortə e loro si erano sbilanciati. Volevamo che rimanessero in quella posizione.

Rami fece un sospiro, diede un colpetto al mio feed in cenno d’assenso e poi disse: «Siamo qui per parlare dei nostri file».

Maro, che aveva capito dove volevo arrivare, spronò Rami: Continua così, non farli nemmeno mettere a sedere.

«Cancellare il nostro lavoro personale non faceva parte del contratto d’impiego» proseguì Rami, con più sicurezza. «Ma siamo d’accordo a restituire il nostro bonus d’ingaggio in cambio dei file, come ci hai proposto.»

Dalla telecamera di sicurezza vidi il sexbot voltarsi e lasciare la zona pubblica attraverso il tunnel che aveva alle spalle.

«L’intero bonus?» disse Tlacey. Era chiaro che non si aspettava che fossero d’accordo.

Maro si sporse in avanti. «I fondi sono in fideiussione presso la Umro. Possiamo trasferirli non appena ci restituirete i file.»

La mascella di Tlacey si mosse mentre parlava sul suo feed privato. Le due guardie del corpo si rilassarono. Tlacey venne avanti e si accomodò su una sedia al tavolo dellə miə clienti. Dopo un momento si sedette anche Rami, e Tapan e Maro lə imitarono.

Dedicai parte della mia attenzione alla negoziazione e tornai al feed pubblico. Cominciai a estrarre dati dallo storico, alla ricerca di possibili attività irregolari durante il mio periodo di contratto in quel luogo.

Mentre lə miə clienti discutevano e io scartabellavo tra i dati, con ART che mi sbirciava da sopra la spalla, continuavo a tenere d’occhio le telecamere di sorveglianza. Notai altre due potenziali minacce fare il loro ingresso nell’area. Erano entrambi umani aumentati. Avevo notato anche tre minacce potenziali già sedute ai tavoli vicini (tutte e tre avevano denotato una curiosa mancanza d’interesse per l’alterco al centro della sala; gli altri umani e umani aumentati nelle immediate vicinanze, invece, stavano a guardare con aperta o malcelata curiosità).

ART mi diede un colpetto. Ho visto, gli dissi. La ricerca aveva restituito una serie di avvisi postati più o meno nel periodo che mi interessava. Si trattava di avvisi secondo cui le alterazioni dei piani di spedizione di materiali grezzi e provviste alla volta degli impianti esterni avrebbero provocato deviazioni ai tubi passeggeri (i “tubi” erano un sistema di transito su scala ridotta che trasportava i lavoratori attraverso il porto e i centri di servizio, e c’erano anche linee private che congiungevano gli impianti minerari più vicini). Avvisi successivi parlavano di una tratta alternativa che era stata costruita per ovviare alle deviazioni.

Trovato. Leggendo tra le righe, si capiva che gli appaltatori di servizi avevano dovuto costruire un nuovo percorso per i tubi, onde aggirare i tunnel diretti a un impianto minerario che era stato chiuso all’improvviso. Doveva trattarsi proprio di Ganaka Pit.

La chiusura delle altre cave era stata accompagnata da articoli locali e un grande interesse sui feed sociali per le cause di bancarotta e l’effetto a cascata sulle compagnie di servizio associate. Per quella invece non c’era niente del genere. Qualcuno doveva aver pagato per far rimuovere quelle comunicazioni dal feed pubblico.

Intanto, la conversazione stava volgendo al termine. Tlacey si alzò in piedi, fece un cenno del capo allə miə clienti e si allontanò dal tavolo. L’espressione di Rami era una smorfia dubbiosa. Maro aveva l’aria cupa e Tapan era indecisa tra confusione e rabbia.

Chiusi la ricerca e andai verso il tavolo. Nel guardare Tlacey e le sue guardie del corpo uscire dal ristorante, Rami disse: «Venire qui è stata una pessima idea».

«Ma ha detto che domani…» protestò Tapan.

Maro scosse la testa. «Sono solo altre bugie. Non ci darà i file. Avrebbe potuto farlo qui, se ne avesse avuta l’intenzione. Poteva farlo tramite il canale di comunicazione mentre eravamo sull’anello di transito.» Alzò lo sguardo verso di me. «Non ero sicura di poterti credere, a proposito della navetta, ma adesso…»

Io continuavo a tenere d’occhio la mia lista di potenziali minacce dalle telecamere di sorveglianza. «Dobbiamo andare» dissi. «Ne parliamo da un’altra parte.»

Mentre uscivamo, una minaccia potenziale si alzò per seguirci. Chiesi ad ART di tenere d’occhio gli altri, nel caso in cui non fossero stati semplici passanti innocenti, così addentro ai propri feed da non aver notato niente di strano.

Avevo individuato qualche percorso possibile sulla mappa della stazione, e il mio preferito era attraverso un tunnel pedonale che si allontanava dalle zone residenziali. Lungo quel tunnel c’erano vari accessi che portavano a diverse stazioni del tubo, ma non era una strada frequentata. M’inserii nel feed di Rami e lə dissi di imboccarla verso l’interscambio dove si trovava l’albergo più grande. Dato che era in ascolto, Maro sussurrò: «Non possiamo permettercelo».

Non resterete lì, dissi loro via feed. La brochure che avevo trovato nel feed pubblico prometteva una zona lobby ad alta sicurezza e un accesso rapido via tubo agli attracchi delle navette pubbliche.

Raggiungemmo il tunnel e ci addentrammo al suo interno. Era ampio quasi dieci metri e alto quattro, abbastanza ben illuminato quando si procedeva lungo il centro, mentre i lati erano ammantati da ombre, tra le quali si dipartivano ramificazioni buie. C’erano telecamere di sorveglianza, ma il sistema che le controllava non era sofisticato. La compagnia si sarebbe mangiata le mani per il potenziale pericolo corso dai loro clienti e le opportunità mancate di raccogliere informazioni spiando ogni conversazione.

Nel tunnel c’erano altri umani: alcuni minatori vestiti con tute da lavoro e giacche con il logo dei vari impianti, ma la maggior parte era in abiti da lavoro civili – tecnici e altri impiegati delle compagnie di supporto. Si muovevano frettolosamente e restavano in gruppo.

Dopo aver continuato a camminare per otto minuti, la maggior parte degli altri umani nel tunnel aveva svoltato per raggiungere uno degli accessi al tubo. Voi proseguite, dissi loro nel feed. Ci vediamo alla lobby. Mi ritirai in uno dei tunnel laterali più bui. Lə miə clienti continuarono a camminare e senza seguirmi con lo sguardo, anche se intuivo che Tapan avrebbe voluto farlo.

Dalle telecamere osservai Minaccia Potenziale/Nuovo Bersaglio affrettarsi lungo il tunnel, camminando a passo spedito. Era stato raggiunto da altri due umani, da lì in poi Bersaglio Due e Bersaglio Tre. Quando mi oltrepassarono, uscii dall’imbocco del tunnel laterale e li seguii a distanza. Li scansionai in cerca di armi a energia diretta e non ne trovai. Tutti e tre i Bersagli indossavano giacche e pantaloni con capienti tasche laterali. Individuai sette punti in cui si potevano celare un pugnale o un manganello telescopico.

Quando giunsero in vista dellə mieə clienti, i Bersagli rallentarono un poco l’andatura ma continuarono ad accorciare la distanza. Sapevo che stavano probabilmente facendo rapporto a qualcuno sul loro feed, chiedendo istruzioni. Chiunque fosse, non aveva il controllo delle telecamere di sorveglianza, o perlomeno non ancora.

Li seguii, controllando i Bersagli con i miei occhi e attraverso le telecamere di sorveglianza, osservando anche me stessa per accertarmi che non stessi attirando l’attenzione, che nessuno ci stesse seguendo. ART rimaneva in silenzio, anche se capivo che era interessato a vedere come lavoravo.

Poi l’ultimo gruppo di minatori tra me e i Bersagli svoltò in un accesso del tubo. Eravamo in una curva del tunnel e non c’era nessuno tra lə mieə clienti e la svolta successiva, una cinquantina di metri più avanti; le telecamere di sorveglianza mostravano che il tunnel dietro di me era vuoto. Dovevo sbrigarmi a chiudere la faccenda. Svoltai nell’accesso del tubo alle spalle dei minatori.

Mi fermai all’imbocco, mentre i minatori salivano a bordo della capsula. La porta sibilò, chiudendosi, e la capsula passò oltre. Dalle immagini della telecamera di sorveglianza, si vedeva la mascella di Bersaglio Due muoversi, indicando che stava comunicando subvocalmente sul suo feed. Poi il feed della telecamera s’interruppe.

Imboccai nuovamente il tunnel e cominciai a correre.

Era un rischio calcolato, dal momento che non potevo muovermi al massimo della velocità senza rivelare la mia natura non umana. Ma riuscii ad arrivare nel momento stesso in cui Bersaglio Uno raggiungeva Rami e lə afferrava per una manica della giacca. Gli spezzai il braccio e gli schiantai una gomitata sul mento, poi lo scaraventai addosso a Bersaglio Due, che si era voltato verso di me brandendo il pugnale con cui si era avvicinato a Maro. Bersaglio Due accoltellò per errore (questa è una mia supposizione; magari non aveva a cuore le sorti del collega) Bersaglio Uno, poi incespicò di lato e io lasciai cadere Bersaglio Uno, spaccando la rotula a Bersaglio Due. Nel frattempo, Bersaglio Tre aveva avuto il tempo di alzare il manganello e mi colpì sulla tempia sinistra e sulla spalla – ammetto che m’infastidì un poco, ma mi è capitato di essere colpita per errore da robot trasportatori con molta più violenza. Parai il secondo colpo con il braccio sinistro, gli spezzai la clavicola con un pugno e con un altro gli frantumai l’anca.

Era fortunato che non fossi infastidita più di tanto.

Tutti e tre i Bersagli erano a terra; Due era l’unico ancora cosciente, anche se rannicchiato e piagnucolante. Mi voltai verso lə mieə clienti.

Rami si era portatə una mano alla bocca, Maro era rimasta paralizzata sul posto, sbigottita, e Tapan aveva alzato le mani per aria. Andate all’albergo, dissi loro sul feed. Aspettatemi nella lobby. Non correte, camminate.

Maro si riscosse per prima. Annuì con forza, prese Rami per un braccio e diede un colpetto sulla spalla a Tapan. Rami si voltò per andare ma Tapan chiese: «E la sorveglianza?».

Sapevo cosa intendeva. «Hanno dato istruzioni a qualcuno di escludere le telecamere. Ecco perché dovete andarvene subito.» Il feed pubblico sull’anello di transito diceva che non c’era un servizio di sorveglianza generale, ma le compagnie di sicurezza per i diversi servizi d’impianto e gli appaltatori avevano la responsabilità delle zone pubbliche nelle vicinanze delle loro sedi. Era ovvio che chiunque fosse stato ad aiutare i Bersagli interrompendo il feed delle telecamere avesse anche accuratamente calcolato quel punto affinché fosse abbastanza lontano perché nessuno potesse accorrere in aiuto. Non mi aspettavo una reazione immediata, ma dovevamo comunque muoverci abbastanza in fretta.

Rami sussurrò: «Andiamo» e s’incamminarono, procedendo a passo svelto ma senza correre.

Mi voltai verso il Bersaglio che era ancora cosciente e premetti l’arteria che gli passava nel collo fino a fargli perdere i sensi.

Cominciai ad allontanarmi a passo tranquillo. Ero sufficientemente in profondità nel sistema di sorveglianza da poter cancellare la memoria temporanea delle telecamere che seguivano e precedevano quella che era stata disattivata. Questo avrebbe contribuito a rendere meno chiara la dinamica per chi avesse cercato di capire cosa fosse successo. Tlacey però mi aveva visto, e lei l’avrebbe capito. Speravo che stavolta lə bimbə mi avrebbero dato retta.

Raggiunsi l’interscambio dove s’incontravano diversi tunnel e stazioni dei tubi; era disseminato di bancarelle che vendevano cibo, interfacce feed, articoli da toeletta e altre cose che piacevano agli umani. Non era affollato ma c’era un flusso costante di passanti. L’ingresso dell’albergo era dall’altra parte dello spiazzo.

La lobby occupava diverse piattaforme affacciate sulla scultura olografica di un abisso riempito da una gigantesca struttura cristallina che pareva crescere dalle pareti. Dalle informazioni del feed si supponeva fosse didascalica, ma nutrivo seri dubbi sul fatto che le miniere di RaviHyral avessero davvero quell’aspetto. Soprattutto dopo l’arrivo dei robot da scavo.

Lə mieə clienti si trovavano sulla stessa piattaforma del check-in, accanto alla ringhiera che circondava l’abisso artificiale della scultura, sedutə su un divanetto rotondo senza schienale che pareva più un oggetto decorativo che un mobile vero e proprio.

Mi accovacciai sulle caviglie di fronte a loro.

«Ci avrebbero ucciso» disse Rami.

«Di nuovo» aggiunsi.

Rami si morse il labbro. «Ti credevo, per la navetta. Ti credevo…»

«Ora però l’hai visto coi tuoi occhi» dissi io. Sapevo che intendeva dire. C’era una gran differenza tra il sapere una cosa e toccarla con mano. Perfino per una SecUnit.

Maro si strofinò gli occhi. «Sì, siamo stati dellə idiotə. Tlacey non ci avrebbe mai permesso di scambiare il bonus con i nostri file.»

«No, infatti» concordai.

Rami le diede di gomito. «Avevi ragione.»

Maro sembrò ancora più depressa. «Speravo di no.»

«Siamo rovinatə» disse tristemente Tapan.

Rami le passò un braccio attorno alle spalle. «Siamo vivə.» Poi mi guardò. «E adesso che facciamo?»

«Lasciate che vi porti via da qui» risposi.