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Eravamo arrivate il più vicino possibile alle barriere di sicurezza del porto, in fondo al condotto principale. Non sapevo che ostacolo avrebbero rappresentato quelle barriere ma, dalla perdita di segnale che rilevavo, non valeva la pena rischiare d’improvvisare.

Mi preoccupava di più il percorso che avremmo dovuto affrontare attraverso la zona d’imbarco.

Fermai il nostro vettore davanti all’accesso merci di un grosso negozio generico nella spianata della stazione e scendemmo. Lasciai andare il vettore e quello scivolò via nell’oscurità, risalendo nel condotto. Approfittammo di un modulo dei servizi di manutenzione per arrivare fino al livello del porto.

Una volta a bordo del modulo guadagnai l’accesso alla telecamera di sorveglianza per fare un punto della situazione. Niente sangue, niente fori di proiettile, okay. Nervosismo, okay. Mensah che sembrava un’umana che aveva appena vissuto un’esperienza traumatica, okay. La mia sacca a tracolla con l’arma nascosta dentro, okay. «Dobbiamo sembrare calme e tranquille» dissi a Mensah, «così gli agenti della sicurezza della stazione non faranno caso a noi.»

Lei fece un respiro profondo e alzò gli occhi verso di me. «Possiamo sembrare calme e tranquille. Sappiamo farlo benissimo.»

Già, eccome se lo sapevamo fare. Eseguii un rapido controllo per accertarmi di avere attivato tutti i miei codici per non somigliare a una SecUnit, poi pensai a un’ulteriore precauzione. Mentre uscivamo dal modulo presi Mensah per mano.

Attraversammo l’area affollata della spianata e gli umani accalcati intorno ai chioschi di vendita e le biglietterie. La folla era più o meno come quando ero arrivata, con un incremento approssimativo del cinque per cento. Non l’avevo mai fatto in compagnia di un umano e la cosa rendeva tutto più complicato ma, chissà come, stranamente più naturale.

Deflettei diverse scansioni mentre entravamo nella zona d’imbarco. Evitai nuovamente gli ascensori perché se ci fosse stato un allarme le cabine si sarebbero bloccate tutte e, qualora ne avessi hackerata una, la nostra posizione sarebbe stata subito chiara. Precedetti Mensah giù per la rampa che sbucava sopra i moli privati del primo anello. Mentre procedevamo la folla si diradava e, quando raggiungemmo la passerella, stimai che si era ridotta del cinquanta per cento. Da un controllo di quello stupido feed ingolfato da spazzatura pubblicitaria capii che quel rilassamento era normale nella zona degli arrivi programmati (per una volta, sentivo la mancanza di essere ingolfata in una folla di umani). I controlli di sicurezza invece non si rilassavano affatto, e individuai uno sciame di droni che sorvolava le zone d’imbarco su tutti e tre gli anelli.

Avevo bisogno di più informazioni. Di norma non mi sarei arrischiata a hackerare i feed della sicurezza dei livelli superiori, quelli attraverso cui comunicavano i supervisori umani, ma in quella situazione non c’era niente di normale. Appoggiandomi ai feed dei droni che avevo già infiltrato, cominciai ad hackerare cautamente il feed di primo livello della sicurezza, che contrassegnai come SecAdmin della stazione.

Ero sicura che GrayCris sarebbe riuscita a corrompere o comunque a convincere la SecAdmin e l’Autorità Portuale a emettere un mandato e consentire a Palisade di fare una perquisizione di tutto il porto. Ma eravamo arrivate lì molto in fretta e GrayCris avrebbe senz’altro cominciato a perquisire dapprima l’albergo e la zona circostante, dal momento che quel tipo di operazione sarebbe costata meno della perquisizione dell’intero porto. Se il resto della squadra di Preservation fosse riuscito ad arrivare lì, ce la saremmo cavata (sì, lo so. Non avrei nemmeno dovuto pensarla, una cosa del genere).

Una volta all’interno del feed di SecAdmin non provai a intrufolarmi oltre; mi limitai a impostare degli avvisi interni e lo misi in background.

«Non sarebbe meglio se parlassimo?» suggerì Mensah. La conoscevo bene abbastanza da riconoscere una calma forzata nel suo tono di voce, e da sapere che il suo viso non avrebbe fatto trasparire quella forzatura.

Eravamo vicine ai moli pubblici e svoltai alla rampa successiva per scendere al livello della zona d’imbarco. La folla si era diradata di un altro venti per cento, al punto che non si poteva nemmeno più definire una folla. «Dipende da cosa ci diciamo» risposi.

Mentre raggiungevamo il livello inferiore, mi chiese: «Come mai ti piace Sanctuary Moon?».

Sì, di quello potevamo parlare. Sentii addirittura il tessuto organico delle spalle e della schiena rilassarsi un poco. «L’ha mai guardata?» le chiesi. Continuavo a non voler comunicare direttamente con la navetta ma, nell’oltrepassare un punto di accesso al feed delle partenze programmate, vidi che la navetta della compagnia era in lista d’attesa per l’assegnazione di un orario di lancio. Speravo fosse il modo di Pin-Lee per segnalarci che erano riusciti ad arrivare a bordo, e non un tranello di GrayCris.

Se era un tranello di GrayCris eravamo fritti. La navetta era l’unico modo affidabile di portare via da quella stazione Mensah e gli altri. Io stessa avrei avuto parecchie difficoltà a trovarmi un passaggio su una nave trasporto robotizzata una volta che li avessi saputi al sicuro, con tutti gli allarmi di sicurezza che avrebbero diffuso tra i trasporti all’attracco (no, non avevo assolutamente nessuna intenzione di salire a bordo di una navetta della compagnia che faceva da spola fino a una nave armata della compagnia).

Mensah si guardò intorno senza sembrare troppo un’umana che si era improvvisamente ricordata che avrebbe dovuto guardarsi intorno come se fosse tutto a posto. Strinse la presa sulla mia mano. «Ho guardato qualche episodio e mi sono piaciuti, ma non capivo bene perché piacessero a te.» Scosse la testa tra sé e sé. «Forse perché parlano dei problemi di un gruppo di umani, e avevo l’impressione che ti fossi stancata di avere a che fare con noi.»

Io voltai addirittura la testa e abbassai lo sguardo verso di lei – ero davvero sorpresa. Mi aspettavo che mi rispondesse di no, che non l’aveva vista. Così avrei potuto raccontarle la trama e lei avrebbe potuto far finta che le interessasse, e la conversazione ci sarebbe bastata fino alla navetta. «L’hai guardata?!»

«Ero curiosa di vedere quella parte sull’avvocato coloniale di cui parlavate tu e Ratthi, poi però mi sono appassionata.» Deflettei altri scanner anti-armamenti mentre attraversavamo il primo varco ed entravamo nella zona dei moli privati; il livello di affollamento risalì del sedici per cento. Non risaltavamo più tanto e il mio rilevatore mostrava che il respiro e il battito di Mensah si erano regolarizzati. «È una bella storia» aggiunse. «Capisco perché abbia successo. Solo che non capisco perché sia la tua preferita, con tutta la scelta di serie che c’è in giro.»

Uhm… Perché mi piaceva tanto proprio Sanctuary Moon? Dovetti recuperare quel ricordo dall’archivio, e quello che vidi mi sorprese. «È stata la prima che ho visto. Quando ho hackerato il mio modulo di controllo e ho intercettato il feed d’intrattenimento. Mi ha fatto sentire come una persona.» Già, quell’ultima frase non sarebbe dovuta uscire fuori ma, con tutto il lavoro che stavo facendo sul feed della sicurezza, stavo perdendo il pieno controllo dei canali in uscita. Richiusi l’archivio. Dovevo veramente decidermi a impostare quel secondo di latenza sulla mia bocca.

La telecamera di un drone di passaggio mi mostrò che Mensah si era accigliata. «Ma sei una persona.»

Ah, di quello non potevamo parlare, no. «Non legalmente.»

Lei trasse un respiro prima di parlare, poi ci ripensò ed espirò. Sapevo che avrebbe voluto ribattere sul punto, ma avevo ragione io, perciò… Non c’era molto altro da dire sull’argomento. Mi disse invece: «Perché ti fece sentire in quel modo?».

«Non lo so.» Era vero. Ma ripescare quel ricordo archiviato me l’aveva riportato in mente, vivido come se fosse appena successo (ecco quel che fa lo stupidissimo tessuto neurale umano). Le parole continuavano a volermi uscire di bocca. Riuscii a non dire “mi dava un contesto per le emozioni che provavo”. «Mi teneva compagnia senza che…»

«Senza che dovessi interagire?» suggerì lei.

Il fatto che riuscisse anche soltanto a capire una cosa del genere mi fece sciogliere. Detesto quando succede; mi fa sentire vulnerabile. Forse era per questo che ero stata così nervosa alla prospettiva di rivedere Mensah, e non per tutte le altre stupide ragioni che mi ero inventata. Non temevo che non fosse mia amica; avevo paura che lo fosse, e dell’effetto che aveva su di me. «La navetta vi riporterà alla nave armata della compagnia. Non verrò con voi.» Non avevo intenzione di dirglielo, e non so perché lo feci. Celavo forse il desiderio segreto che potesse provare a dissuadermi? Detesto avere emozioni per via di umani in carne e ossa invece che per personaggi fittizi; non fanno che portare stupidi momenti come quello.

Lei si fermò quasi, ma all’ultimo secondo si ricordò di non farlo. «Posso proteggerti.»

«Perché ti appartengo.»

«Questo è quel che pensano loro, ma noi…» S’interruppe e fece un respiro profondo. «Vorrei tanto che ti fidassi di me, ma capisco perché non lo fai.»

Qualcosa attivò uno dei miei avvisi. Proprio quello che non avrei mai voluto sentire, quello che avevo impostato sul feed di SecAdmin. Ai supervisori umani era appena arrivata un’autorizzazione a procedere per un’operazione di sicurezza di operatori privati.

Uno di quei momenti “oh, merda”.

Nello stesso istante, l’allarme di emergenza del varco cominciò a risuonare per il porto. Umani e umani aumentati si bloccarono, trasalirono, si guardarono intorno. Io feci fermare Mensah, perché se avessimo continuato a muoverci ci avrebbero notato, e ogni secondo in cui non ci identificavano era vitale.

Tutto quel che riuscivo a capire da SecAdmin era che l’allarme era stato attivato manualmente da un supervisore umano, anche se, tecnicamente, l’autorizzazione per l’ingresso nel porto degli agenti della Palisade assoldati da GrayCris era ancora sotto scrutinio. Si trattava di un supervisore umano dell’Autorità Portuale o della sicurezza portuale che cercava semplicemente di fare il proprio lavoro, concedendo più tempo per l’evacuazione agli umani presenti nella zona d’imbarco. Poi il feed pubblico s’interruppe a metà di una pubblicità e l’ufficiale dell’Autorità Portuale disse: Chiusura d’emergenza, cercate rifugio/rifugiatevi sul posto, agenti di sicurezza armati si muoveranno attraverso il porto…

Intorno a noi gli umani cominciarono a tornare verso la barriera di sicurezza pubblica, dapprima camminando, poi correndo. I robot trasportatori andarono in stasi, i muletti di carico alzarono i bracci da terra e li lasciarono a mezz’aria, i droni si muovevano in formazione sopra di noi. In una baia di fronte a noi, una nave in pieno sbarco attivò un allarme sul canale audio attraverso il feed, annullando lo sbarco e dando istruzione ai passeggeri confusi di tornare a bordo (notate bene: era una nave proveniente da un’entità politica non corporativa – le navi corporative si limitarono a chiudere i portelloni).

Diedi uno strattone alla mano di Mensah e cominciai a correre. Mancavano venti metri al varco successivo, e appena dopo quello c’erano le navette. Mensah sollevò l’orlo del caffetano e partì di corsa, tenendo il mio passo. Considerai l’ipotesi di prenderla in braccio e correre alla mia massima velocità ma, se l’avessi fatto, i droni ci avrebbero identificato.

Il varco era una paratia che s’inarcava verso il basso dal soffitto a cupola, costituita da pilastri che formavano molteplici passaggi, ognuno dei quali era alto e largo quanto bastava per il transito degli ingombranti robot trasportatori. Mentre correvamo verso il varco, tra i piloni scintillò un muro d’aria.

Ebbi il tempo di sperare che si trattasse soltanto di una precauzione. Un muro d’aria si può sempre attraversare: è progettato per impedire una perdita di atmosfera in caso di frattura nello scafo ma consente comunque agli umani di allontanarsi dal luogo in cui si è verificata la breccia.

Eravamo a quattro metri da lì quando delle paratie solide si levarono fluidamente dal ponte e richiusero i varchi mentre frenavo la mia corsa. Mensah incespicò ma riuscì a recuperare l’equilibrio. Ansimava pesantemente e una delle sue scarpe era volata via.

Sarei riuscita a scardinare una delle barriere? A hackerarla? Erano barriere di sicurezza, non certo portelloni spessi mezzo metro, di quelli che scattavano quando qualcosa comprometteva l’integrità strutturale dell’intera stazione. Erano però governate da una rete distinta, LockControlSys, il sistema di controllo dei portelloni stagni, sepolto sotto diversi strati di firewall, e non avevo modo di accedervi. Potevo trovare un percorso di accesso ma per farlo avevo bisogno di passare attraverso PortMaintSec, e l’allarme di sicurezza l’aveva mandato in stasi insieme ai robot trasportatori e agli altri dispositivi di movimentazione delle merci. Inviai un comando per farlo ripartire.

Si attivarono altri avvisi che avevo impostato e controllai le telecamere dei droni per avere una visuale dell’area di biglietteria del porto. Folle terrorizzate di umani si disperdevano in ondate confuse di fronte a… tre SecUnit, marchiate Palisade. I loro droni volavano in un nugolo serrato intorno ai loro caschi.

Già. Brutta, brutta storia.

Scaricai la sacca dalla spalla e tirai fuori il fucile, trasferendo munizioni extra nelle tasche della giacca. Mensah non mi aveva chiesto cosa stavamo per fare, probabilmente pensando che stessi hackerando le paratie del varco. Si sfilò la scarpa rimasta con l’altro piede e si preparò a scattare di nuovo. Peccato che PortMaintSec non sarebbe ripartito in tempo e non sarei riuscita a scavare un’apertura attraverso tutti gli strati dei portelloni prima che i soggetti ostili ci raggiungessero.

Ero ancora all’interno dei feed di SecAdmin e della sicurezza portuale. Ripensai al supervisore umano che aveva attivato in anticipo l’allarme acustico, dando alle persone più tempo per fuggire dalla zona d’imbarco. In quei canali c’erano degli umani che potevano disattivare manualmente quelle barriere. Inviai a entrambi lo stesso messaggio: Sono una SecUnit sotto contratto con una cliente in pericolo. Sto cercando di raggiungere la navetta attraccata nella baia alt7A. Dovevano sapere che si trattava della navetta della compagnia, in attesa di tornare alla nave armata che era stata inviata per recuperare un cliente sotto copertura contrattuale. Vi prego, la uccideranno, aggiunsi.

Non ci fu risposta. Non avevo nessun tempo stimato di arrivo certo per le SecUnit ostili. Non si stavano muovendo al massimo della velocità, con tutti quegli umani da schivare, ma le cose sarebbero cambiate una volta che avessero raggiunto l’ormai praticamente vuota zona d’imbarco.

Le telecamere erano ancora operative nella nostra sezione; chiunque ci fosse stato sul feed doveva essere in grado di vederci. Lasciate passare la mia cliente e io resterò qui. Vi prego. La uccideranno.

Le luci del portellone lampeggiarono sulla barriera di fronte a noi e quella si alzò di un metro, appena quanto bastava per lasciar passare un umano carponi. Passai la mia sacca a Mensah, perché sapevo che così avrebbe pensato che l’avrei seguita subito dopo. «Presto. Baia alt7A

Lei si accovacciò e sgattaiolò attraverso il passaggio. E la barriera si richiuse alle sue spalle.

Mensah mi contattò sul feed. Si è chiusa! SecUnit…

Non posso passare, le dissi. Prenderò un’altra nave. Va’ alla navetta e andate via da qui. Poi misi il suo canale in background.

Non avevo nessuna possibilità di arrivare a una nave. Ai moli pubblici c’erano ancora sette navi passeggeri che consentivano agli umani in fuga di rifugiarsi a bordo, ma nell’area in cui mi trovavo tutti i portelloni erano sigillati. Non avevo vie di fuga.

Detta così, la cosa potrebbe sembrarvi come un grande sacrificio personale, un gesto drammatico. E immagino che forse era proprio così. Ma quel che stavo pensando, più che altro, era che non ci sarebbe stata una SecUnit morta su quel ponte d’imbarco; ce ne sarebbero state quattro.

Mandarmi contro delle SecUnit era un conto. E invece avevano mandato delle SecUnit contro una mia cliente. Non avrei permesso a nessuno di passarla liscia.

Mi misi spalle ai varchi ed effettuai l’accesso alla backdoor che avevo già creato nel feed video dei droni della sicurezza portuale, presi controllo dell’intera flotta e sganciai la connessione con PortSec. Poi oscurai tutte le telecamere piazzate sul ponte d’imbarco. Così Palisade o GrayCris, o chiunque stesse gestendo l’operazione, non poteva conoscere la mia posizione – ma io conoscevo la loro.

Le unità ostili corsero lungo la passerella oltre gli ultimi crocchi di umani in fuga. Una squadra in uniforme di sicurezza della stazione umana si era precipitata nella zona di prenotazione, cercando di dirigere il flusso disordinato degli umani attraverso la spianata e di proteggerne la ritirata (chissà cosa gli aveva detto che stava succedendo, GrayCris, per far sì che l’Autorità Portuale acconsentisse a un dispiegamento di SecUnit. Probabilmente aveva a che vedere con me, la SecUnit Ribelle scatenata). Una seconda squadra di sicurezza che indossava corazze potenziate marchiate con il logo di Palisade si mosse lungo la passerella. Fungeva da rinforzo per le SecUnit.

A proposito di SecUnit: avevo ordinato alla Sezione Uno della mia flotta di droni di disporre tutte le contromisure di sicurezza e alla Sezione Due di aggredire i droni delle SecUnit ostili.

Mentre scendevano in picchiata per l’attacco, pensai che GrayCris si stava probabilmente già pentendo di aver pagato tutto quel servizio di sicurezza in più per il porto.

Il ronzio dei droni soffocava quasi la sirena dell’allarme. L’annuncio sul canale audio diede istruzione agli umani rimasti bloccati sul ponte d’imbarco pubblico di gettarsi a terra sul posto e di non muoversi. Le tre SecUnit rallentarono, probabilmente su ordine dei loro supervisori, che potevano anche non essere presenti tra gli agenti in corazza potenziata che si erano posizionati sulla passerella appena sopra i moli pubblici, ben oltre la mia portata. Aggiornai la mia tabella oraria.

Le unità ostili attraversarono i moli pubblici verso i varchi ancora aperti che portavano alla mia sezione. Nel frattempo, PortMaintSec si era finalmente riattivato e gli diedi istruzione di spegnere tutte le luci.

La cosa provocò grida e gemiti tra gli umani rimasti intrappolati. Io riuscivo a vedere attraverso il rilevatore, così come le unità ostili, ed era probabile che gli umani dotati di corazze potenziate avessero dei filtri per la visione notturna. Il risultato, però, era spaventoso e intimidatorio, ed era proprio quello che volevo.

Qualcuno cercò di ripristinare il collegamento del feed di controllo con i miei droni ma non riuscì a superare il mio firewall. Qualcun altro, probabilmente gli agenti di sicurezza di GrayCris o Palisade, sguinzagliò un killware. SecAdmin rispose alla minaccia latente e, probabilmente temendo che fosse diretta al sistema che controllava i portelloni di sicurezza, attivò una contromisura anti-killware. Se non fosse che stavo per morire sul serio, sarebbe stato da crepare dal ridere.

Però era da crepare dal ridere, almeno un po’.

Il mio fucile era progettato per perforare corazze ma avevo bisogno di arrivare a distanza ravvicinata, e avevo bisogno di una copertura.

Nel momento in cui le unità ostili raggiunsero i moli privati, attivai il nuovo codice che avevo elaborato. Codice: Schiera e Ritarda.

Tre cose successero in contemporanea. I robot trasportatori che SecAdmin aveva disattivato si riattivarono tutti insieme e partirono alla carica sul ponte ormai sgombro. Le forcelle dei muletti di carico che erano rimaste a mezz’aria scesero e cominciarono a scorrere al livello del pavimento. I miei droni di riserva si divisero in più unità operative e si tuffarono verso il basso, stabilizzandosi ad altezza di ginocchia e testa, e schizzarono ad alta velocità tra gli altri robot erranti. Nell’oscurità, illuminata soltanto dal tenue bagliore delle strisce di emergenza sul pavimento, era uno spettacolo piuttosto impressionante.

Accadde anche una quarta cosa: cominciai a correre verso la parete dalla parte della stazione.

Avevo impiegato buona parte delle ore trascorse nella stanza d’albergo a scrivere quel codice quando avrei invece potuto godermi una bella serie, perciò mi diede soddisfazione constatare che non era stato uno spreco di tempo. In buona sostanza, il codice sopprimeva le misure di sicurezza dei robot e delle gru, a parte la capacità di evitarsi l’un l’altro, e restringeva il loro raggio di azione a un’area specifica, velocizzandone e rendendone casuali i movimenti. Inizialmente l’avevo pensato per tutto il porto, come strumento di distrazione e ultima risorsa, e avevo dovuto modificare i parametri al volo per far sì che l’area interessata fosse soltanto quella dei moli privati. Ed ero lieta di non essermi fatta prendere dal panico e di non averlo usato prima; l’effetto sorpresa stava funzionando alla grande.

La prima SecUnit che attraversò il varco aperto dai moli pubblici la contrassegnai come Ostile Uno. Si fermò di scatto per evitare un robot trasportatore che filava a tutta velocità verso di lei, poi si tuffò di lato per scansare una gru. Ostile Due ebbe mezzo secondo di preavviso per ripiegare alla sua destra, verso il lato della stazione. Ostile Tre era scaltra: si tuffò in avanti, sotto la furiosa rotazione del braccio di una gru, si rimise in piedi e balzò oltre un robot trasportatore. Alcuni droni sopravvissuti al combattimento aereo sfilarono attraverso i varchi, inseguiti dai miei droni ancora in modalità di attacco.

Saltai sulla schiena di un robot trasportatore con la traiettoria giusta e mi schiacciai su di lui. Quando Ostile Due aggirò correndo i robot, sparai un proiettile esplosivo sul lato del suo casco, a bruciapelo. La SecUnit incespicò e crollò a terra.

Io mi lasciai cadere dal robot trasportatore appena in tempo prima che due proiettili lo colpissero proprio dov’erano stati la mia testa e il mio torace. Mentre mi gettavo a terra e mi allontanavo rotolando, controllai l’immagine che avevo catturato dei punti d’impatto: sarebbero stati colpi pesanti con la corazza, e ora come ora mi avrebbero fatta a pezzi.

Avevo perso le tracce di Ostile Uno ma colsi Ostile Tre che balzava addosso a un altro robot trasportatore. Schivai vari robot a terra, manovrai i miei droni per distrarre la squadra di droni ostili prima che potesse piombarmi addosso, e afferrai il braccio di un muletto di carico nel momento stesso in cui schizzava verso l’alto. Inquadrai nel mirino Ostile Tre, posizionata in cima a un robot trasportatore. Quella si era girata di scatto, aspettandosi chiaramente di trovarmi ancora a terra. Gli sparai tre colpi alla schiena e al petto, poi balzai giù dalla gru. Atterrai, rotolai, mi rialzai e trovai Ostile Tre sul pavimento, che cercava di rialzarsi a fatica. Le sparai altri due colpi alle ginocchia (lo so. Non sparai alla testa. Non so perché).

Tornai indietro attraverso il dedalo di robot in movimento. Ma dove diavolo era finita, Ostile Uno? Riguardai il video del pavimento del molo dall’alto della mia posizione durante il viaggetto sulla gru, ma non c’era segno di SecUnit in movimento.

Ah. Uh-oh. Ostile Uno doveva essere rimasta immobile, intenta a osservarmi con un drone, valutando le mie tattiche e le mie capacità, in attesa che terminassi le munizioni. Probabilmente aveva anche effettuato un’analisi dei movimenti del robot trasportatore e della gru. Brutta storia.

Come a sottolineare quel pensiero, qualcosa colpì il robot accanto a me e lo fece bloccare sul posto. Io ordinai a una unità operativa di droni di scendere a darmi copertura mentre indietreggiavo restando accovacciata.

Nel mio feed in background c’erano un sacco di umani che gridavano, e mi sentii davvero come ai terribili vecchi tempi degli incarichi contrattualizzati. Controllai il feed e udii la dottoressa Mensah che gridava: Dannazione, Murderbot! Gurathin sta cercando di aprire una paratia manualmente! Devi essere pronta, rispondi! Riesci a sentirmi? È il varco tre sezioni più a sinistra – dal lato dei moli – rispetto a dove sono passata io.

Ma porca puttana… Quegli umani si mettevano sempre in mezzo, a cercare di salvarmi la pelle. Individuai finalmente Ostile Uno, in prossimità del centro del dedalo di robot trasportatori. Aveva trovato un punto in cui fermarsi, con i robot che le facevano da copertura. Continuai a spostarmi verso il molo, cercando di liberare una linea di tiro.

Il mio primo impulso fu quello di gridare a Mensah di salire a bordo di quella cazzo di navetta e di andarsene. Non avevo fatto tutto quel che avevo fatto perché lei e gli altri restassero lì a farsi catturare, sparare o chissà che altro (non so perché fossi così riluttante ad accettare la via d’uscita che mi offrivano. Non volevo farmi sparare, né essere catturata per essere cancellata e ridotta in pezzi di ricambio. Avevo tante di quelle serie da guardare… D’altra parte, però, avrei avuto voglia di restarmene lì a distruggere tutto ciò che apparteneva a Palisade e GrayCris finché loro non avessero distrutto me).

Ma non c’era tempo per pensarci, in quel momento. Aspettai che il robot ripetesse il movimento giusto, quanto bastava per aprirmi una traiettoria di tiro verso Ostile Uno.

Poi però tutti i miei avvisi scattarono all’unisono e persi il controllo di Codice: Schiera e Distrai. Tutti i robot e i muletti si bloccarono di colpo. Qualche fottuto umano doveva aver craccato il mio codice, ma era arrivato troppo tardi. Mi spostai di lato, sulla traiettoria libera, e sparai a Ostile Uno.

La colpii ma quella si voltò verso di me, con l’arma in posizione di tiro. Mi gettai a terra e per poco non schiantai la testa sulla forcella a mezz’aria di un muletto mentre una gragnuola di colpi segnava il pavimento nel punto in cui ero stata. Sapevo di aver colpito il bersaglio; non sarebbe dovuta riuscire a muoversi in quel modo. Ma che diavolo…? Rimandai il video di quel momento. Sì, l’avevo colpita. Gli impatti erano su entrambe le spalle e sui reni; si vedevano i fori nella corazza.

Fu allora che mi resi conto che Ostile Uno era una SecUnit da combattimento.

Reazione 1: oh, ecco chi ha craccato il mio codice. Reazione 2: è lusinghiero che abbiano pensato che io sia tanto pericolosa da pagare il contratto di una SecUnit da combattimento. Reazione 3: scommetto che la sicurezza portuale non ha autorizzato una roba del genere e che si incazzeranno parecchio. Reazione 4: oh, merda, sto per morire.

Ebbi tutte queste reazioni mentre correvo, sparando all’impazzata e chiamando a raccolta tutti i droni rimanenti affinché mi coprissero. Dovevo continuare a muovermi, tenere Ostile Uno in movimento. Se avesse hackerato la mia connessione con i droni… Sì, non potevo lasciare che succedesse. Peccato che non avevo nessuna idea di come fare per impedire che succedesse. Avevo una versione precedente di Codice: Schiera e Defletti, da prima che capissi come far sì che i trasportatori e i muletti disattivassero le protezioni anticollisione in modo da poter colpire qualsiasi cosa tranne loro stessi. Mi affannai a farla partire.

Sul feed comparve una stringa di testo. Arrenditi, diceva. Era la SecUnit da combattimento, che non si era nemmeno preoccupata di nascondere il proprio indirizzo locale. Voleva che provassi a inviarle una qualche sorta di malware o killware, come se fossi stata una fottutissima principiante e non sapessi che non avrebbe funzionato.

Io invece le inviai: Posso hackerare il tuo modulo di controllo, darti la libertà.

Nessuna risposta.

Ho hackerato il mio, insistetti. Ti libereresti di loro. Potresti mollare la corazza e salire a bordo di una nave di trasporto. Avevo cominciato il discorso più che altro per distrarla, ma più parlavo e più avrei voluto che mi dicesse di sì. Ho documenti di identità, una carta valuta che posso darti. Ancora nessuna risposta. Era difficile farsi venire in mente un discorso convincente a favore del libero arbitrio mentre schivavi proiettili e facevi capriole tra i robot trasportatori. Non sono sicura che avrebbe funzionato con me, prima del mio incidente di omicidio di massa. All’epoca non sapevo cosa volessi (continuo a non sapere cosa voglio) e, quando ti dicono cosa fare durante ogni singolo istante della tua esistenza, la prospettiva di cambiamento è terrificante (voglio dire… Avevo hackerato il mio modulo di controllo, eppure avevo conservato lo stesso lavoro finché non era arrivata PreservationAux). Cosa vuoi?

All’improvviso, ricevetti: Voglio ucciderti.

Okay. Ero un tantino offesa. Perché? Non mi conosci nemmeno. Feci partire la versione precedente di Schiera e Defletti e i trasportatori e i muletti si rimisero tutti in movimento con un sussulto. Mi avrebbe fatto guadagnare un po’ di tempo finché la SecUnit da combattimento non si fosse resa conto che era soltanto una versione sghemba dello stesso codice. Immaginavo di avere meno di trenta secondi.

Sapeva che avevo usato i droni come copertura, per cui li mandai verso il lato della stazione, come se stessi arrivando da lì. Scattai invece verso il lato dei moli, afferrai un robot trasportatore, ne presi il controllo manuale e lo precipitai dritto verso la SecUnit da combattimento. Mi aggrappai al fianco del robot e mi preparai a sparare un colpo.

Dalla visuale del drone vidi la SecUnit da combattimento che si voltava verso i miei droni esca. Stava funzionando!

Ma non funzionò affatto.

All’ultimo secondo, la SecUnit da combattimento si voltò di scatto verso di me e sparò due raggi diretti ad alta intensità. Io mi lanciai dal robot trasportatore nell’istante in cui la sua metà superiore andava in mille pezzi. Toccai terra e rotolai, subendo l’impatto delle schegge e sparando quasi a caso. Mi alzai e mi riparai dietro un montacarichi mentre altri colpi si piantavano nel pavimento. Tutti i trasportatori e i muletti rallentarono non appena la SecUnit da combattimento sabotò di nuovo Schiera e Defletti.

Reazione 5: non ce la faccio più.

Non potevo vincere in uno scontro diretto contro una SecUnit da combattimento in quelle condizioni, il che significava che GrayCris avrebbe vinto, e quel pensiero era molto più doloroso di quello in cui venivo trasformata in pezzi di ricambio e tessuto neurale di scarto. Non volevo perdere, cazzo!

Nel feed, Mensah gridò: Ora! Si sta aprendo ora!

La visuale dal drone mostrò che la sezione di paratia aveva appena iniziato a sollevarsi. Disposi i miei droni intorno a me come uno scudo e mi catapultai in quella direzione.

A tre passi di distanza sentii un impatto violento dietro il ginocchio destro. Mi tuffai e ruzzolai sotto proprio mentre Ostile Uno andava a sbattere sulla barriera. Le sue braccia corazzate spuntarono attraverso l’apertura e io gridai: «Chiudi! Chiudi!» mentre scaricavo l’arma nel buco. Ostile Uno si ritirò di scatto e la barriera si richiuse pesantemente.