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La parte peggiore era l'attesa; stare accovacciati poggiati a un muro, strizzando gli occhi contro il sole che tramontava, aspettando il segnale. Il muro di un capannone abbandonato a Torry, una delle aree più povere di Aberdeen, investito dall'odore di uno stabilimento per la lavorazione del pesce, e nei pressi di una lunga linea di enormi pattumiere gialle di plastica, piene zeppe di teste, lische e budella di pesce, che si putrefacevano lentamente nella calda serata di giugno.
Sei agenti di polizia, armati e suddivisi in tre squadre di due uomini ciascuna, vestiti di nero, che sudavano e cercavano di non respirare con il naso. Appostati, ascoltando attentamente nonostante il rauco stridore dei gabbiani che rendevano quell'area simile a Jurassic Park, per captare il suono di qualche movimento.
Niente.
Un omone, con il naso e la bocca coperti da una sciarpa nera, alzò una mano; all'istante gli uomini in nero divennero più tesi. E poi tre, due, uno...
BOOM - l'ariete venne spinto con forza contro la serratura e la porta si aprì, esplodendo verso l'interno in una pioggia di frammenti di legno.
«VAI, VAI, VAI!».
Un corridoio buio, pareti grigie, lise piastrelle blu di moquette. La squadra Uno corse verso il laboratorio sul retro, la Due verso gli uffici sul davanti dell'edificio e i due uomini della Tre corsero su per le scale. Il sergente Logan McRae strisciò fino a fermarsi sul pianerottolo; in piedi e appoggiata a una parete, c'era una scrivania piena di polvere e una pianta rinsecchita in un vaso. Sulle pareti erano visibili dei rettangoli scuri, là dove una volta erano stati appesi dei quadri; e quattro porte aperte. «Libero», dichiarò.
L'agente Guthrie, l'altra metà della squadra Tre, si avvicinò lentamente alla porta più vicina, impugnando la sua pistola mitragliatrice NIP5 e diede un'occhiata all'interno: «Libero», dichiarò. Fece un passo indietro e provò la porta a fianco. «Un enorme spreco di tempo!», imprecò. «Quante ne abbiamo fatte di queste ispezioni, questa settimana?»
«Tieni gli occhi bene aperti».
«Qui non c'è un cazzo di niente», disse varcando la soglia. «È proprio un gran perdita di tem...».
Non completò la frase; la sua testa fece uno scatto all'indietro, e dal naso cominciò a schizzare sangue; l'agente cadde di colpo a terra, con il casco che rimbalzò sulla consunta moquette. Si udì un pesante CRACK
e dalla sua Heclder & Koch partì un colpo, che fece un buco nell'intonaco a un metro da terra.
E poi dall'interno della stanza cominciarono le urla. Alte, stridenti, dolorose. « Prosze, nie zabijaj mnie!».
Logan tolse la sicura all'arma che impugnava e si precipitò nella stanza. Un ufficio: delle sedie girevoli rotte, un armadietto metallico arrugginito, un elenco telefonico... una donna. Era accasciata contro una parete, con una mano stretta su una grossa macchia di sangue all'altezza di un fianco. E nell'altra teneva una grossa spillatrice da imballo, come se fosse stata una clava; l'estremità della spillatrice era intrisa di sangue. Logan le puntò l'MP5 alla testa. «A terra, subito!». « Proszp, nie zabijaj mnie!». La donna era sporca, i lunghi capelli scuri le coprivano la testa; tremava e singhiozzava: « Prosze, nie zabijaj mnie!».
Cosa stava dicendo? "Per favore" e "non fare male"?
« Policja», disse Logan, facendo del suo meglio per pronunciarlo correttamente. «Sono della Policja, capisci?
Policja. Agente di polizia». Dannazione... se solo fosse stato più attento durante le lezioni di polacco alla Centrale!
«Prosze...»; la donna scivolò più giù lungo il muro, lasciando una striscia rossa sulla carta da parati e continuando a ripetere "per favore". « Prosz', prosze... ».
Logan sentì dei passi su per le scale; qualcuno arrivò sul pianerottolo e imprecò. «Centrale, qui è zero-tre-uno-uno, uno dei nostri uomini è ferito! Ripeto, abbiamo un ferito! Voglio un'ambulanza, subito!».
« Proszr...». La spillatrice cadde dalla mano della donna.
Un agente armato entrò correndo nella stanza, con l'MP5 che seni brava puntare dappertutto simultaneamente.
«Cristo, sergente, cosa le ha fatto?»
«Io non le ho fatto niente. È stato Guthrie, ed è stato un incidente». «Cristo». L'agente riprese a parlare nella sua radiolina, chiedendo informazioni sull'ambulanza e Logan cercò di calmare la donna nel suo polacco maccheronico e con dei gesti rassicuranti.
Non funzionava.
L'altro uomo della squadra Due mise la testa oltre lo stipite della porta. «Ce n'è un altro», disse.
Logan sollevò lo sguardo dagli occhi della donna. «Un altro che cosa?», chiese.
«Sarà meglio che venga a vedere».
Il secondo ufficio era leggermente più grande del primo; il soffitto era angolato e con le travi a vista. Un lucernaio pieno di polvere faceva filtrare la luce dorata del tramonto. L'unico mobile nella stanza era una scrivania malridotta, alla quale mancava anche un piede. L'aria era satura del fetore di carne bruciata e di feci umane.
La fonte della gran puzza era dietro la scrivania; un uomo, rannicchiato in posizione fetale, immobile.
«Oh, Cristo...». Logan guardò l'agente. «È stato...?», chiese, senza finire la domanda.
«Sì. Proprio come tutti gli altri».
Logan si accovacciò vicino al cadavere e cercò di sentirgli il polso; non si sa mai.
Ancora vivo.
Gli mise una mano su una spalla e lo girò sulla schiena; l'uomo emise un lamento e lo stomaco di Logan provò a vomitare i maccheroni al formaggio che aveva mangiato a mezzogiorno. Qualcuno aveva picchiato ben bene quel povero cristo; aveva il naso rotto e gli mancavano dei denti, ma questo era il meno. Messe a confronto con quello che gli avevano fatto agli occhi, le altre ferite erano dei semplici graffietti da cerottino.
Proprio come tutti gli altri.