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Il taxi scaricò Logan e la Jaroszewicz davanti a un caseggiato e fece un'inversione di marcia nell'ampia strada alberata, lasciando dietro di sé una gran puzza di olio bruciato. Cinque piani di grigio, con gli infissi delle finestre pitturati di bianco. Sul davanti della palazzina c'era un archetto attraverso il quale si accedeva a un passaggio che portava fino al retro dello stabile, in una specie di piazzetta; su un lato dell'arco qualcuno aveva scritto in rosso la parola "HUTNIK".

«È qui?», chiese Logan.

La polacca controllò il pezzettino di carta che Logan le aveva dato e poi attraversò l'arco. Dall'altra parte della palazzina il passaggio dava in un'area verde con qualche albero qua e là, e in angolo un piccolo parco giochi per bambini che sembrava pronto a crollare da un momento all'altro. Il piccolo spazio verde era circondato sui quattro lati dalle mura di palazzine altrettanto anonime.

Una metà dell'area verde sembrava molto più pulita dell'altra, e quando Logan le chiese da cosa dipendesse, la Jaroszewicz si strinse nelle spalle, borbottando qualcosa in direzione del vento che soffiava dalla fonderia; dopodiché si diresse verso una porticina blu.

Diedero un'occhiata alle finestre vuote che li circondavano. «Vede questi appartamenti? Stalin li fece costruire così, affinché gli inquilini potessero spiarsi l'un l'altro. Da ogni finestra si può spiare in almeno una dozzina dí altre case». Rovistò nel borsone e ne tirò fuori qualcosa avvolto in un fazzoletto a fiori e lo porse a Logan. «Tenga», gli disse.

Logan prese l'oggetto che la Jaroszewicz gli porgeva e lo soppesò: era pesante. E dall'aspetto spiacevolmente familiare. Sollevò un angolo del fazzoletto, e poi lo lasciò ricadere. «Perché crede che io abbia bisogno di un'arma?», le chiese.

«Se la metta in tasca... non si sa mai».

«Agente Jaroszewicz, qui c'è qualcosa di molto strano; mi vuol dire cos'è?»

«Ti prego, chiamami Wiktorja».

«Ok, Wiktorja, o mi dici subito cosa c'è che ti fa agire così oppure io me ne vado».

Per tutta risposta la polacca tirò fuori qualcosa dal borsone e se lo infilò nella tasca della giacca.

«Quest'uomo, Gorzkiewicz... è pericoloso».

«Wiktorja, è cieco!».

«Ma conosce delle persone molto pericolose. E poi ci sono delle altre persone altrettanto pericolose che stanno cercando lui. E io... io non voglio che ti succeda niente, ecco», aggiunse arrossendo.

Lesse i nomi sul citofono, seguendo con un dito tutte le etichette scritte a mano. «Qui non c'è. Nessun Gorzkiewicz».

«Se, come dici, ci sono delle persone pericolose che lo stanno cercando, non credo che Gorzkiewicz metterebbe il suo vero nome sul citofono, no?».

Il dito della polacca si fermò su un nome «Zegarmistrz... Ah!»; e schiacciò il pulsante.

Silenzio; un leggero crepitio, e poi ancora silenzio.

Logan mise una mano sul portoncino d'ingresso e lo spinse, era aperto.

Prima che gli occhi si abituassero alla penombra gli ci volle qualche istante. Sí trovavano in un corridoio corto, nel quale erano visibili un blocco di cassette per la posta su una parete color verde pistacchio, le porte di tre appartamenti e una rampa di scale in cemento con una ringhiera in ferro battuto e una balaustra in legno. La Jaroszewicz, Wiktorja, indicò in su, poi cominciò a salire le scale.

Su ogni pianerottolo c'era una finestrella quadrata inserita nella spessa parete all'altezza del ginocchio, che non faceva altro che evidenziare quanto fosse tetro quell'ambiente. Le porte degli appartamenti erano tutte diverse tra loro, alcune anche piuttosto ricercate, quasi volessero dimostrare una parvenza di individualità in quei grigi e anonimi edifici che costituivano il paradiso dei lavoratori comunisti.

Se non altro la tromba delle scale non puzzava di piscio, come ad Aberdeen.

Logan s'irrigidì. «Aspetta un attimo. Come fai a sapere che ci sono delle persone pericolose che stanno cercando Gorzkiewicz?» «Era scritto nel dossier», rispose lei continuando a salire le scale. «E perché non me ne hai parlato?»

«Al momento non lo ritenevo importante... e poi Gorzkiewicz era roba di tanto tempo fa, lo hai detto tu stesso, ricordi? E noi ci stavamo concentrando su Lòwenthal. Andiamo, su...».

Continuarono a salire, fino al quinto piano, e si fermarono davanti all'unica porta anonima, nera e senza fronzoli. «È qui».

Wiktorja mise una mano in una tasca, quella dove aveva messo la pistola, e bussò.

Dall'interno una voce attutita rispose: «Otwarte».

La polacca provò la maniglia; era aperta e la porta si aprì cigolando, nella miglior tradizione di un film dell'orrore.

Il corridoio oltre la porta era immerso nel buio, e pieno zeppo di cianfrusaglie: cataste di giornali vecchi, una macchina da cucire rotta, scatole di scarpe, mattoni, una vecchia radio con le valvole visibili. Le pareti erano ricoperte di una carta da parati rossa che imitava il velluto, stile anni Settanta, con un disegno che spariva nell'oscurità; l'unica luce veniva da una fila di lucine bianche.

Si sentì la stessa voce di prima, da una stanza in fondo al corridoio; stava dicendo qualcosa a proposito di pierogz?

Wiktorja si mise un dito sulle labbra e andò avanti nella poca luce, facendosi strada lentamente tra gli ostacoli. Logan si chiuse la porta alle spalle, escludendo quel po' di chiarore che dal pianerottolo aveva illuminato il corridoio, e la seguì, imprecando sottovoce. Adesso c'era solo la fioca illuminazione delle lucine natalizie.

Era impossibile camminare in linea retta; le cianfrusaglie accatastate a casaccio nel corridoio creavano come un labirinto; roba da fatti venire la claustrofobia.

Wiktorja alzò una mano e si fermò; diede un'occhiata a una stanza dalla porta aperta e poi vi entrò, facendo segno a Logan di seguirla. Si trovarono in un soggiorno dimenticato dal tempo, e altrettanto buio quanto il corridoio; altre cataste di cianfrusaglie e altre lucine di Natale. Man mano che gli occhi si abituavano alla poca luce, Logan cominciò a distinguere la carta da parati a strisce, il tappeto con un motivo a spirale, una credenza in finto tek, un vecchio telefono di bachelite e, incorniciate alle pareti, le immagini di Gesù, papa Giovanni Paolo II e la Vergine Maria. Poi, le finestre chiuse con delle tavole inchiodate e, in cima a una catasta di scatole, una radiosveglia rotta.

E l'uomo seduto nella poltrona, che puntava una pistola contro di loro.

Era un uomo dai capelli grigi, con macchie cutanee dovute alla vecchiaia. Aveva gli occhi coperti da un paio di occhiali scuri, due enormi spalle rotonde e due mani grandi come piatti: un orso in un cardigan. Su un tavolino al suo fianco c'era una bottiglia di vodka per tre quarti vuota. L'uomo era proprio al centro di questo labirinto: un minotauro con in mano una semiautomatica.

La agitò verso di loro. «Co zrobiliscie Zytka?»

«Non abbiamo fatto niente a Zytka», gli rispose Wiktorja in inglese, tirando fuori lentamente la mano dalla tasca, con la pistola in pugno. «Non siamo...».

«Ferma lì». L'uomo parlava con uno strano accento polacco e americano. Come se avesse imparato l'inglese guardando film di Hollywood. «Fermati o sparo».

La polacca s'irrigidì. «Non sto facendo niente, sono immobile». L'uomo sollevò il braccio e le puntò l'arma al petto. «Mettila a terra». Wiktorja guardò Logan e poi fece come le aveva ordinato l'uomo; posò la pistola sul tappeto liso con un sonoro clunk.

«Bene, adesso siediti. Lì, su quella sedia»; con la pistola le indicò una sedia dall'aspetto malfermo, poggiata contro la parete. Ignorò Logan e tenne la polacca sotto tiro fino a quando lei si sedette. «E di a quel cholernik Ehrlichmann che non sono un idiota. Che tocchi solo un capello a Zytka e io rimando lui e tutta la sua pierdolony famiglia all'età della pietra. Chiaro?»

«Io... io non so chi sia questo Ehrlichmann».

Logan entrò nella stanza. «Dice la verità»; e la pistola adesso era puntata contro di lui. Oh Cristo... Alzò le mani. «Non siamo qui per fare del male. A nessuno».

«Dov'è Zytka?».

Logan diede un'occhiata a Wiktorja, e si fece un po' più vicino. «Non lo sappiamo. Non abbiamo visto nessuno, da quando siamo arrivati».

L'uomo grugnì. «E allora cosa volete?».

Wiktorja: «Siamo agenti di polizia».

Puntò di nuovo la pistola verso di lei. «Pierdolona suka!». Logan gli si lanciò addosso.

Il collezionista di occhi
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