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Gli unici nell'ufficio del CID erano Logan e un calabrone che ronzando continuava a sbattere contro la finestra chiusa; poi s'infilò dietro le veneziane, e il rumore che faceva sembrò amplificato dalle stecche di plastica. Stando a quanto si leggeva sul tabellone bianco nei pressi della porta, non c'era nessuno disponibile: furti, scippi, incendi dolosi, spaccio di droga, aggressioni, prostituzione... il coloratissimo tessuto della vita di una metropoli.
Logan si fece una tazza di tè e si lasciò cadere sulla sedia della sua scrivania. Mentre era stato in malattia, vi si erano ammucchiate una miriade di scartoffie: moduli da compilare, relazioni, stampati vari, statistiche...
tutta roba che necessitava della sua immediata attenzione, affinché qualche idiota del governo in carica potesse far credere che le forze dell'ordine stavano vincendo la loro lotta contro la criminalità.
Ma in realtà Logan era lì solo perché stava cercando di stare alla larga dal commissario Steel.
E poi... possibile che Hilary Brander lo credesse così stupido? Al punto da fargli credere che lei se la faceva con Colin McLeod il Viscido? Ma se sapevano tutti che a quello stronzo gli veniva duro solo con le puttane che si drogavano... la Brander non era neanche una bugiarda convincente.
Bevve un sorso dí tè, guardò di traverso il mucchio di scartoffie, sospirò e cominciò a lavorare.
Mezz'ora dopo gli capitò tra le mani una busta imbottita:
AL SERGENTE CID LOGAN MCRAE
GRAMPIAN POLICE FORCE HEADQUARTERS QUEEN'S STREET
ABERDEEN
SCOZIA
in uno stampatello faticosamente infantile.
Riuscì a liberarla dal nastro adesivo che sembrava una camicia di forza e ne vuotò il contenuto sulla scrivania: tante fotocopie in russo e in polacco. Il materiale di Rafal Gorzkiewcz sull'uomo che lo aveva accecato: Vadim Mikhailovic Kravchenko.
C'era persino una copia di quella fotografia di Kravchenko, fatta quando era nell'esercito russo, che avevano visto all'appartamento di Gorzkiewicz. Logan notò subito che Rory Simpson era stato molto accurato con il suo identikit; Kravchenko era cambiato pochissimo. Era ovviamente più vecchio e aveva qualche ruga in più, ma a parte questi cambiamenti era sempre lo stesso, compresa la cicatrice sul mento.
«Vedo che sei ancora vivo, eh?»
«Hmmm?». Logan si girò sulla sedia.
Il sergente Pirie lo guardava dalla soglia, passandosi una mano tra i rossi capelli ricci. «Hai mica visto Rennie?», gli chiese.
Logan prese un paio di rapporti di furti e li posò sulla cartella di Kravchenko, per nasconderla da occhi indiscreti. «No... no, non l'ho visto. Cioè, non lo vedo da stamattina. Credo che sia in giro a raccogliere dichiarazioni di addetti alla sicurezza... per il commissario Steel. O qualcosa del genere».
«Ah... la cosa non piacerà a Finnie. Già gli girano le palle che tu sia stato assegnato alla Steel a tempo pieno.
Continua a dire che stiamo diventando sempre più vittime del certificato medico. E che dovremmo rimboccarci le maniche, invece di essere coccolati».
«Che carino».
«Se fossimo durante la prima guerra mondiale probabilmente ti avrebbe fatto portare nel parcheggio qui dietro e messo davanti a un plotone di esecuzione», si appoggiò meglio allo stipite della porta. «Scherzi a parte... stai bene?»
«Com'è che tutti continuano a chiedermi come sto?»
«Sarà perché hai l'aspetto di un mucchietto di merda con i postumi di una sbornia».
Logan s'irrigidì. «Ho il raffreddore, ecco cosa ho».
Pirie sbuffò. «Già, e che Dio te la mandi buona. Ma se fossi in te proverei a succhiare un po' di quelle caramelle per la gola, il mentolo forse riuscirebbe a coprire l'odore di alcool». Si raddrizzò.
«Ascolta: sappiamo tutti che Beattie prima o poi farà qualche cazzata; e quando la farà gli daranno un calcio in quelle pelosissime chiappe e lo rimanderanno a fare il sergente. Il posto di commissario sarà di nuovo in palio. E io ho venti sterline che dicono che lo prendo io».
«Trenta».
Pirie annuì. «Accettata. McRae, sarà un piacere prendere i tuoi soldi». E poi se ne andò, tirando fuori il cellulare e cominciando a urlare a qualcuno.
Logan ascoltò fino a quando la voce di Pirie si affievolì lungo il corridoio.
Silenzio.
Tornò a concentrarsi sulla cartella Kravchenko. Era tutta un minestrone di informazioni e di dati, ma in fondo a tutte le fotocopie c'era un foglio di carta da lettere viola pallido, scritto con la stessa calligrafia infantile della busta.
CARO MR SERGENTE,
ZIO RAFAL LUI DISPIACE CHE TU SCOPPIATO CON BOMBA. ZIO RAFAL LUI DICE BOMBA È PER UOMINI CAITIVI CON PISTOLA CHE VUOLE UCCIDERE ZIO RAFAL. LUI È CONTENTO TU ANCORA VIVO. IO ANCHE È
CONTENTO TU ANCORA VIVO. QUESTA È COPIA DI CARTELLA DI KURWA MAC KRAVCHENKO. SE TU TROVA LUI TU PER FAVORE UCCIDE LUI E MANDA ME FOTOGRAFIA GRAZIE.
IO ABBRACCIO TU, ZYTKA X X X
P.S. ZIO RAFAL LUI DICE CHE PESCER PEZCIIECC NAVE VA DOVE TU ABITI CON ASSAI TANTI ARMI PER
KRAVCHENKO. NAVE È BUCKIE BALLAD E VIENE ABERDEEN 15 LUGLIO.
P.P.S. PER FAVORE DI RICORDARE FOTOGRAFIA GRAZIE
Logan si appoggiò allo schienale della sedia e si lasciò sfuggire un fischio. Sta arrivando un bastimento carico, carico di... armi! Ad Aberdeen! Probabilmente per sostituire quelle che McPherson aveva trovato in quella roulotte a Stoneywood. La cosa non sarebbe piaciuta a Finnie, e sarebbe piaciuta ancora meno all'uomo che gli mandava le bustarelle: Wee Hamish Mowat. Era evidente che c'erano persone che si stavano preparando a una guerra senza esclusione di colpi; ed era altrettanto evidente che tante persone innocenti sarebbero rimaste vittime del fuoco incrociato.
Ma l'aspetto peggiore di tutto questo era che Logan adesso sarebbe dovuto andare a parlarne con il commissario Steel.
Quando Logan, con in mano due tazze di caffè dalla mensa e un'offerta di pace, entrò nell'ufficio della Steel, la trovò seduta alla scrivania che guardava accigliata il monitor del computer. «Le ho portato un panino al bacon», le disse entrando.
La Steel guardò lui, e guardò il pacchetto avvolto in carta stagnola. «Ieri sera ti sei comportato da vero stronzo», gli disse. Logan si mise comodo in una delle sedie. «Se lei non ha fame posso sempre darlo a qualcun altro».
Glielo portò via di mano. «Non ho detto questo, ok?».
La osservò mentre mordeva con gusto il panino con il ketchup che cercava di sfuggirle da un angolo della bocca. Poi anche lui tolse dalla stagnola il suo spuntino di mezza mattinata: una piccola bomba di colesterolo puro, costituita da un sandwich con due uova fritte, che minacciava di spruzzare tuorlo d'uovo appena addentato.
Mangiarono in silenzio per un buon minuto, poi Logan tirò fuori il suo taccuino, sfogliandolo fino ad arrivare alla pagina giusta. «Buckie Ballad: un peschereccio registrato a Peterhead, di proprietà di un certo Gerry McKee. È salpato martedì scorso e dovrebbe rientrare venerdì mattina presto».
La Steel ingoiò un boccone e lo accompagnò con un sorso di caffè. «Niente di strano, questa è Aberdeen, e pescherecci vanno e vengono in continuazione».
«Non con la stiva piena di armi dell'ex esercito sovietico!». La Steel interruppe il suo masticare. «Dici davvero?»
«Dico davvero». Le mise davanti una busta di plastica contenente la letterina di Zytka. «Stamattina ho parlato con la capitaneria di porto; a quanto pare la Buckie Ballad arriva sempre quando c'è poca gente in giro. Mi sono fatto mostrare la videocassetta delle telecamere a circuito chiuso del suo ultimo arrivo, e si vede gente che a notte fonda scarica casse di pesce, e le carica su un anonimo Ford Transit».
La Steel prese la lettera e la rilesse. «Una nave con "assai tanti armi", eh? Brutti bastardi pezzi di merda...»; si accigliò e finì quel che restava del suo panino. «La targa del furgone?», chiese a Logan.
«Indecifrabile, immagine troppo sgranata».
«Stai gocciolando tuorlo d'uovo sulla mia scrivania». Per un po' fece andare la sua sedia girevole da una parte e dell'altra, mentre Logan ripuliva le macchie gialle con un pollice. «Ok», disse poi. «Chi è al corrente di questo?»
«Solo noi due. E deve mettere due sterline nella scatola».
«Oh... fottutissima merda!», lo guardò storto. «Ieri non ho fatto altro che bestemmiare... come mai non mi hai multata?» «Ieri non ero in servizio, e adesso siamo a due e cinquanta: il "fottutissima" non glielo conto».
La Steel e Logan passarono i successivi venti minuti pianificando l'Operazione Nassa al tabellone bianco poi, mentre il commissario andava in bagno, Logan copiò tutto ciò che era stato scritto sul tabellone e lo ripulì, per non lasciar alcun indizio. Avevano esaminato ogni aspetto dell'operazione, considerando anche gli eventuali imprevisti; avevano calcolato l'entità dei rischi, e avevano programmato tutto quello di cui avrebbero potuto aver bisogno: moduli per requisizioni, richieste di mandati e quant'altro. La Steel diede un'ultima scartabellata a tutto ciò che avevano preparato e poi andò a cercare il primo dirigente Bain, capo del CID.
Starsene li ad aspettare il commissario non sarebbe servito a nulla, e quindi uscì fuori per fumarsi una sigaretta. Sul retro della Centrale c'era un gruppo di agenti in divisa, che chiacchieravano tra loro, fumando, ridendo e bevendo tè; Logan decise allora di uscire dall'ingresso principale e fare quattro passi lungo Queen Street, accompagnato dal rumore del traffico e dagli striduli richiami dei gabbiani.
Tirò fuori le sigarette, ma le sue dita tremavano a tal punto che gli caddero quasi tutte per terra; mezzo pacchetto buono sparso sul marciapiede. Quelle non erano da fumare, no di certo.
Con cautela tirò fuori l'ultima sigaretta rimasta e se la mise in bocca, poi mise la mano in una tasca della giacca per l'accendino. Con il pollice diede un colpo alla rotellina, ma non successe niente; provò ancora, con lo stesso risultato. Diede poi un colpo secco e questa volta la fiamma si accese in una miriade di scintille.
Improvvisamente le narici di Logan furono aggredite da un odore di piscio che lo fece rabbrividire; chiuse gli occhi, con il sangue che gli pulsava veloce nelle vene.
«Non le vuoi più?», gli chiese una voce.
Logan riaprì gli occhi e si vide davanti un uomo dall'aspetto malmesso e scompigliato; aveva il naso gonfio, gli occhi rossi, un'ispida barba nera e una chierica come la tonsura di un francescano. Indossava un parka dal quale mancava gran parte della pelliccia, un paio di pantaloni che avevano visto tempi migliori e, a giudicare dalle macchie, anche del curry; e ai piedi aveva un paio di luride scarpe da ginnastica. Robert Danavall, alias Bob il Lercio.
«Cosa vuoi, Bob?».
L'amico barbone dell'agente Karim gli sorrise, rivelando un'enorme finestra nella dentatura. «Quelle bionde», disse indicando con un dito sporco le sigarette che erano appena cadute a Logan. «Non le vuoi più?»
«Serviti pure».
«Oh, grazie, tu sì che sei un uomo in gamba!», s'inginocchiò per terra e cominciò a raccoglierle. «Non come quello stronzo grassone che ieri mi ha detto che gli appestavo la reception! A me! Con il mio miglior amico steso all'obitorio...».
Logan lo osservò mentre raccoglieva le sigarette. Non era una gran vita, ma almeno Bob sapeva quali erano le cose che contavano per lui: alcool, sigarette e il solito mezzo hamburger o mezzo kebab che qualcuno aveva buttato in un cestino dei rifiuti... o qualsiasi altro avanzo fosse riuscito a tirarne fuori.
Nessuna decisione di vita o di morte per Bob. Niente paterni d'animo su questioni di etica o di moralità.
Niente crisi d'isterismo, per il solo sentire una canzone alla radio.
Ma si rese anche conto che quando cominciavi a essere invidioso di gente come Bob il Lercio, qualcosa non aveva funzionato nella tua vita.
Bob adesso si era seduto per terra, con una delle sigarette, manna dal cielo, tra le labbra e si rovistava nelle tasche, fino a quando non tirò fuori una scatola di svedesi; ne accese uno e guardò Logan. «Non è che avresti qualche spicciolo per un povero vecchio... per farlo bere alla memoria del suo miglior amico, eh?»
«Povero vecchio? Bob, tu hai quarantadue anni, mica settanta». Bob fece spallucce. «Sì... ma per un barbone quarantadue anni sono tanti. Guarda il povero Richard», tirò su col naso e se lo pulì con la manica, lasciando una striscia di pulito nel sudiciume del parka. «Morto prematuramente...».
Le dieci e mezza... giù al porto, verso il Regent Quay, alcuni pub dovevano essere aperti da ore, per servire i lavoratori notturni e i bevitori mattinieri. Logan mise una mano in tasca e tirò fuori dal portafoglio una banconota da cinque sterline; poi cambiò idea e la sostituì con una da venti. «Ecco a te, Bob».
Bob il Lercio guardò con occhi sospetti la banconota che Logan gli porgeva, poi sorrise e quasi gliela portò via di mano. «Grazie... Richard sarà ben contento». Si tirò su con un grugnito, fece un gesto di saluto a Logan e si allontanò, strascicando per terra le sue luride scarpe.
Per un alcolista come Bob il Lercio venti sterline non erano un granché, specialmente in un pub; ma gli avrebbero garantito comunque un bel po' di alcool.
Si passò una mano sul mento, sentendo la barba ispida: forse Bob faceva bene, seppellendo i suoi guai in una bottiglia. Manda affanculo il resto del mondo. Ubriacati e fai sparire tutto ciò che ti tormenta...
Almeno da ubriaco non avrebbe dovuto soffrire i postumi della sbornia che lo affliggevano adesso. Dopo, forse...
Continuò bighellonando lungo Union Street, attraversò la strada e andò giù per Marischal Street, verso il porto. Il Regents Arms era un pub dall'aspetto poco invitante; le vetrate erano state ricoperte da uno spesso strato di pittura nera. Entrando in quel pub, dallo splendore di una giornata piena di sole, sembrava di passare in una tomba, illuminata da luce artificiale. Dietro il banco erano in mostra tutta una serie di apostrofi, di ogni forma e colore; in cartolina, o in fotografia, oppure di plastica, sottratti probabilmente all'insegna di qualche negozio. Tutti lì per sopperire alla mancanza di apostrofo nel nome del locale.
Il pub era quasi vuoto. In un angolo, vicino al distributore automatico di sigarette, sedevano due vecchietti, con le loro pinte di birra. Una donna dall'aspetto stanco, con una minigonna nera, era appollaiata su uno sgabello al bar, davanti a un bicchiere vuoto, con una sigaretta che le si consumava lentamente tra le dita.
Una carnagione pallidissima, che evidenziava il blu delle vene della sua scollatura. Alzò lo sguardo vedendo Logan che si sedeva all'altra estremità del bar e gli sorrise; grazie al cielo si era ricordata di mettersi la dentiera.
«Tesoro, mi sembri triste e solo».
«Carol, piantala».
La donna strizzò gli occhi, riconoscendo la voce, e rovistò nella borsetta, tirandone fuori un paio di occhiali dalle lenti graffiate. Li inforcò e «Oh, merda!», disse alzando la voce. «Arrivano gli sbirri!». I due vecchietti non fecero caso a lei, per cui salutò Logan con un gesto della mano, facendo cadere la cenere della sigaretta sul banco. «Intendi arrestarmi perché sto fumando in luogo pubblico? Non hai niente di meglio da fare, eh?».
Logan si strinse nelle spalle. «Carol, se tu decidessi di bucarti in pubblico, non me ne fregherebbe un cazzo.
Fa' come ti pare».
Da una stanza sul retro del bar si affacciò un uomo dalla pancia prominente. «Cos'è questo casino...»; vide Logan, lo riconobbe e poi si rivolse all'attempata prostituta. «Ehi, non puoi fumare qui dentro... è vietato dalla legge!».
Carol guardò Logan come se avesse voluto fulminarlo, poi fece cadere la mezza sigaretta nel bicchiere vuoto, girandolo fino a quando si spense tra i cubetti di ghiaccio quasi sciolti. «Contento adesso? Fascisti di merda».
Logan indicò le spine delle varie birre sul banco. «Pinta di Stella, doppio Grouse». Il barista lo guardò per un attimo, poi rispose: «Sì, sergente». Prese il bicchiere da una pinta e lo riempì dalla spina, poi preparò un doppio whisky. Si fermò, poi aggiunse un'altra dose. Mise i due bicchieri davanti a Logan. «La terza dose è omaggio», gli disse.
Logan stese la mano e toccò il bicchiere della birra, freddo sotto le dita, con qualche goccia di condensa che colava lungo il vetro fino a essere assorbita da un sottobicchiere rotondo di cartone. Cristo, se aveva sete...
E pensare che l'ultima volta che era stato lì, appena si erano accorti che era un agente di polizia, qualcuno aveva minacciato di decapitarlo con una stecca da biliardo. E adesso, tutto d'un colpo, gli si offriva da bere.
«Apprezzo il gesto», disse al barista, «ma preferisco pagare». Tirò fuori il portafoglio e mise due banconote da cinque sterline sul banco. Prese in mano il bicchiere di whisky; non erano ancora le undici del suo primo giorno in servizio dopo... dopo la Polonia, e stava per ubriacarsi.
Con mano tremante si portò il bicchiere alle labbra.
Un sergente di polizia che beveva whisky di mattina. Bravo, così si fa. Così ci si comporta, come i classici stereotipi dei fumetti: sergente Logan Stereotipo McRae.
Il tremolio della mano era sempre più intenso, al punto che dovette usare l'altra per tenere fermo il bicchiere.
Chiuse gli occhi, cercando di non pensare alle fiamme, alle pareti che gli crollavano intorno, alle bolle di vernice.
Mise di colpo il bicchiere sul banco e corse verso il bagno, catapultandosi oltre la porta nel fetido odore di urina stantia, che faceva lacrimare gli occhi. Si aggrappò al lavandino e vomitò, sporcando la porcellana maculata dalle bruciature di sigaretta, fino a quando si sentì vuoto. Poi rimase in preda ai brividi.
Sputò, aprì il rubinetto dell'acqua fredda e si lavò la bocca, lasciando scorrere l'acqua fino a quando il lavandino fu pulito. Dopodiché tirò fuori il cellulare, trovò il numero che cercava e fece la telefonata.
La segretaria del dottor Goulding lo fece entrare nello studio dello psicologo, gli disse che il dottor Goulding sarebbe stato lì dopo pochi minuti e gli chiese se gradiva una tazza di tè.
Sì, grazie. Latte, e tre di zucchero.
Quando il tè arrivò era tremendamentre dolce, ma se non altro gli tolse dalla bocca l'amaro sapore della bile. E poi, era quello che consigliavano di bere dopo uno shock: tè, dolce e caldo. La vecchia panacea britannica che aveva reso forti gli inglesi anche sotto le bombe. Stronzate.
Si guardò intorno, nell'ufficio del dottore.
Aveva commesso un errore, uno stupido errore, l'ultimo di una lunga serie di stupidi errori.
No, non avrebbe dovuto trovarsi lì.
Posò la tazza sul tavolinetto da caffè in vetro e cromo e si alzò. Al diavolo tutto questo. Non aveva bisogno di aiuto, di nessun genere. Doveva invece...
La porta si aprì e il dottor Goulding entrò allegramente nello studio. Sembrava Tigro, l'amico di Winnie the Pooh. Un Tigro di Liverpool, con un'orrenda cravatta. «Sergente McRae, Logan, sono felicissimo di rivederla.
Sto lavorando sul nuovo profilo, e sarò ben lieto di avere il suo aiuto». Gli porse la mano. «Come sta?».
Logan tossì. «lo... a dire il vero non posso trattenermi molto, sa com'è... tanto lavoro... ero solo venuto per... per vedere come procedeva la sua valutazione del...».
«Certo, certo... ma si accomodi». Lo psicologo si avvicinò al tabellone e si lanciò in una presentazione delle sue nuove teorie sul caso Edipo, ora che Ricky Gilchrist era fuori dall'equazione. Parlava in un modo così entusiasta che Logan non ebbe il cuore di dirgli che le sue teorie e le sue deduzioni erano sbagliate, e che Edipo era Vadim Mikhailovic Kravchenko, e che lo era sempre stato. Ok, è vero che Logan non aveva la minima idea sul perché un criminale al soldo di chissà quali o quanti malavitosi di Varsavia dovesse torturare e mutilare dei polacchi ad Aberdeen, ma non poteva essere nessun altro; la coincidenza sarebbe stata troppo evidente.
Goulding arrivò alla fine della sua presentazione e fece una pausa, come se si aspettasse un applauso, poi si accomodò nella poltrona in pelle nera che faceva coppia con il divanetto. «Stamattina ho parlato con il procuratore, venerdì rimetteranno in libertà Ricky Gilchrist, ma a condizione che si sottoponga a cure psichiatriche. Ho già presentato richiesta per la sua supervisione, ma...», fece spallucce, «lei non è venuto qui per questo, vero?»
«Cosa? Certo che...».
«Logan, chiedere aiuto non deve farla sentire in imbarazzo. Specialmente dopo quello che ha passato».
«Dottore, non ho bisogno di aiuto. Sto benissimo».
Lo psicologo si appoggiò allo schienale della poltrona, unì la punta delle dita, inclinò la testa da una parte e disse: «Logan, lei non si fida di me. La capisco, molta gente ha paura di iniziare una terapia e...». «Non ho paura, e non ho bisogno di cure...».
«...non è disposta ad aprirsi con una persona che non conosce. Fare il primo passo non è mai facile, quindi...
perché non ci incontriamo a metà strada?». Goulding avvicinò la poltrona a dove Logan era seduto.
«Ammetterà almeno che non dorme bene, vero?».
Quella era una cosa che non avrebbe potuto negare, Logan sapeva benissimo di avere un aspetto di merda.
«E se così fosse?» «Le prescriverò un sedativo leggero, che l'aiuterà a dormire. Non c'è niente di cui preoccuparsi, è solo zopliclone, in pillole; lei ne prenderà una due ore prima di andare a letto, ma cerchi di star lontano dall'alcool. La pillola non la metterà KO, ma le permetterà di dormire, e lei si sentirà molto meglio».
«Non voglio sonniferi, sedativi o cose del genere».
«E poi le insegnerò degli esercizi respiratori, per aiutarla a superare momenti di angoscia o repentini cambiamenti d'umore». Goulding tese una mano, prese il suo Blackberry dalla scrivania e cominciò a toccarne lo schermo. «Intanto cominciamo a stabilire un appuntamento periodico... le va bene il giovedì mattina?»
«Ma allora è sordo? Ho detto NO!».
Goulding rimise il cappuccio sulla penna. «Logan sappiamo entrambi che se lei non avesse bisogno di cure, non sarebbe venuto qui», si strinse nelle spalle, in modo piuttosto teatrale. «Ma evidentemente lei è lieto di questa sua condizione, lieto di sentirsi come si sente, e allora... contento lei...».
A pranzo Logan mangiò un risotto ai funghi cotto al microonde, che sembrava tanto riso scotto, condito con lumaconi tagliati a fettine. Un pasto congelato prét-à-manger, prodotto in uno stabilimento da qualcuno che odiava l'umanità. Logan giocherellò con i chicchi di riso nel contenitore di cartone; non si era neanche preso la briga di mettere il cibo congelato su un piatto. Meno roba da lavare.
L'appartamento sembrava una discarica, con pennelli e barattoli di vernice dappertutto, con tutti i mobili coperti da enormi teli e con tutto un assortimento di stronzate per il fai-da-te. Si era fatto un po' di spazio sul tavolo in cucina, quanto bastava per quella porcheria al microonde e le pillole che aveva preso in farmacia tornando a casa. Prese in mano la scatola di sonnifero e ne lesse i possibili effetti collaterali: confusione mentale, allucinazioni, perdita di memoria, difficoltà respiratorie. Ma forse non erano poi così malvagie: prendile tutte in una volta e innaffiale con la bottiglia di vodka che hai comprato al supermercato...
Si alzò e buttò il risotto nella pattumiera.
E poi prese la vodka dal congelatore.