Capitolo Otto

Quella notte avevo dormito sì e no tre ore in tutto. Ero rimasto sveglio fino a tardi a leggere la Bibbia, a esaminare tutti i brani che conoscevo sul peccato, fino a quando i miei occhi stanchi si erano rifiutati di concentrarsi sulle parole, scorrendo su queste come se occhi e parole fossero due magneti con la stessa carica. Alla fine, mi ero trascinato nel letto con il rosario, farfugliando preghiere, fino a quando non ero stato vinto da un sonno agitato.

Uno strano torpore si era impossessato di me mentre dicevo la messa mattutina e anche più tardi, mentre mi allacciavo le scarpe da corsa. Forse era per la mancanza di sonno, forse per la stanchezza emotiva, forse solo per lo shock per ciò che era accaduto il giorno prima, che si faceva sentire ore dopo. Ma non volevo sentirmi anestetizzato: volevo trovare pace. Volevo essere forte.

Imboccai la strada di campagna fuori città per evitare Poppy, corsi più lontano del solito, mi spinsi oltre il mio limite, più forte e più veloce, finché non ebbi i crampi alle gambe e il respiro non sembrò uscire gridando dal mio petto. Al ritorno, invece di andare dritto a farmi la doccia, entrai in chiesa barcollando, le mani dietro alla nuca, le costole che si spaccavano in due dal dolore. L’interno era in penombra e vuoto, e non sapevo cosa ci facessi lì invece che essere alla casa parrocchiale, non lo capivo nemmeno io, fino a quando non inciampai nel presbiterio e crollai in ginocchio davanti al tabernacolo.

Rimasi con la testa a penzoloni, il mento che toccava il petto, il sudore che scorreva, ma non mi importava, non mi interessava, e non avrei saputo individuare il momento preciso in cui il mio respiro irregolare si trasformò in pianto, e le lacrime si mescolarono al sudore fino a confondersi le une con l’altro.

La luce del sole filtrava attraverso le spesse vetrate colorate e forme brillanti come gioielli si riversavano facendo acrobazie sui banchi, sul mio corpo e sul tabernacolo, mentre le porte scintillavano di tinte più scure, tetre e solenni, minacciose e sacre.

Mi chinai in avanti fino a toccare il pavimento con la fronte, fino a sentire le ciglia che sbattevano contro la moquette sintetica e consumata. San Paolo diceva che non dovevamo per forza mettere in parole le nostre preghiere, che lo Spirito Santo le avrebbe interpretate per noi, ma quella volta l’interpretazione non fu necessaria, non quando bisbigliavo «scusa scusa scusa» come una formula, come un mantra, come un inno senza musica.

A un certo punto, mi resi conto di non essere più solo. Mi vennero i brividi lungo la schiena per la consapevolezza e mi misi a sedere, pieno di imbarazzo al pensiero che un parrocchiano o qualcuno del personale mi avesse visto piangere così, ma lì non c’era nessuno. La chiesa era vuota. Eppure, sentivo ancora una presenza, come un peso, come elettricità statica sulla pelle, e scrutai ogni angolo oscuro, certo di trovare qualcuno, là in piedi.

Il condizionatore si accese con un rumore sordo e un fruscio, e il cambiamento nella pressione dell’aria fece sbattere una porta. Sobbalzai.

È solo l’aria condizionata, mi dissi.

Ma quando riguardai il tabernacolo dorato, spruzzato di colori, all’improvviso non ne fui più così sicuro. C’era qualcosa di senziente in quel silenzio. D’un tratto mi sentii come se Dio stesse ascoltando con molta attenzione quello che dicevo: ascoltava e aspettava, mentre io abbassavo gli occhi sul pavimento.

«Mi dispiace» sussurrai un’ultima volta e la parola rimase sospesa nell’aria come una stella lucente, appesa al cielo, preziosa, luminosa. E poi scomparve senza lasciare traccia, nello stesso momento in cui sentii sparire da me il peso della sofferenza e della vergogna.

Fu un attimo di compiutezza perfetta, un momento in cui mi sentii capace di cogliere ogni singolo atomo nell’aria. Un momento di pura magia, in cui qualcosa di dolce, che andava oltre la comprensione, divenne reale, completamente reale.

E poi tutto finì, tutto quanto, sostituito da un profondo senso di pace.

Espirai nello stesso momento in cui l’edificio sembrò espirare; il formicolio sulla mia pelle scomparve, l’aria di nuovo libera. Avrei potuto trovare migliaia di spiegazioni per quello che avevo appena provato, ma sapevo anche di voler credere solo a una di esse. Mosè ha avuto un roveto ardente, a me è toccata l’aria condizionata, pensai con autoironia, mentre mi rimettevo in piedi, lento e barcollante come un bambino piccolo. Ma non mi lamentai. Ero stato perdonato, rinnovato, liberato dal senso di colpa. Come San Pietro, ero stato messo alla prova, avevo mostrato tutte le mie debolezze e nonostante tutto ero stato perdonato.

Ce la potevo fare. In fin dei conti la vita continuava, anche per uno che, pur non potendo fare sesso, era stato capace di mandare tutto a puttane.

I due giorni successivi trascorsero senza eventi di rilievo. Passai il giovedì a poltrire sul divano guardando le puntate di The Walking Dead su Netflix e mangiando spaghetti di soia in barattolo, che preparai usando l’acqua calda della macchina per il caffè.

Sofisticato, lo so.

E poi arrivò il venerdì. Mi alzai, mi preparai per la messa mattutina, come facevo sempre, ricordai a me stesso per la millesima volta che dovevo riorganizzare la sagrestia e, infine, con qualche minuto di ritardo, feci il mio ingresso in chiesa. Nei giorni feriali le messe erano brevi: niente musica, nessuna seconda lettura, nessuna omelia, una specie di eucarestia “toccata e fuga” per i fedeli più affezionati. Come Rowan e le due nonne e…

Gesù, aiutami.

Poppy Danforth.

Era seduta in seconda fila, indossava un abito di seta azzurro ghiaccio, sobrio, con il colletto alla Peter Pan e un paio di ballerine. Aveva i capelli legati in uno chignon morbido. Appariva seria, composta, riservata… se non fosse stato per quel maledetto rossetto rosso fuoco che supplicava di venire sbavato. Distolsi lo sguardo non appena la vidi e cercai di ritrovare il sacro senso di pace che avevo avvertito quel martedì, la sensazione di poter riuscire a dominare qualsiasi tentazione finché avessi avuto il Signore al mio fianco.

Poppy aveva bisogno di trovare qualcosa in quel luogo, e di trovarlo in me, qualcosa di più importante di quello che avevamo fatto lunedì. Dovevo onorare il mio incarico e trasmetterle ciò che cercava. Mi concentrai sulla messa, sulle parole e sulle preghiere, lieto di vedere Poppy fare del suo meglio per seguirla, pregando soprattutto per lei mentre eseguivo gli antichi riti.

Ti prego, aiutala a trovare una guida e la pace.

Ti prego, aiutala a guarire dal suo passato.

E, per favore, per favore aiutaci a non peccare.

Al momento dell’eucarestia, si mise in fila dietro alle nonnine e a Rowan, con l’aria un po’ incerta.

«Cosa devo fare?» mormorò quando fu il suo turno.

«Incrocia le mani sul petto» risposi con un sussurro.

Lo fece, lo sguardo ancora fisso nel mio, le lunghe dita appoggiate sulle spalle. Quando abbassò gli occhi, era così bella e allo stesso tempo così fragile che ebbi voglia di abbracciarla. Non sessualmente, solo un abbraccio normale. Avrei voluto avvolgere le braccia intorno a lei e sentire il suo respiro sul mio petto, avrei voluto che affondasse il volto nel mio collo mentre la tenevo al sicuro e la proteggevo dal suo passato, e dal suo incerto futuro. Avrei voluto farle sapere, davvero, che sarebbe andato tutto bene, perché c’era amore in lei, tanto amore, che Poppy era destinata a condividere stando là fuori, nel mondo, come aveva fatto ad Haiti. Tutta la gioia che aveva provato là, avrebbe potuto riprovarla ovunque, se solo si fosse aperta a riceverla.

Le appoggiai la mano sulla testa e stavo per recitare la solita benedizione, ma lei sollevò lo sguardo verso il mio e ogni cosa cambiò. Il pavimento, il soffitto, il cordone stretto intorno alla mia vita per favorire i pensieri puri, i suoi capelli così soffici che sembravano piume sotto la punta delle mie dita, la mia pelle sulla sua. Una scossa elettrica mi corse lungo la colonna vertebrale e ogni memoria sensoriale di lei – sapore, tatto, rumori – esplose dentro di me.

La sua bocca si schiuse. L’aveva sentita anche lei.

Riuscii a malapena a pronunciare la benedizione, la mia gola era troppo secca. E, quando si voltò per tornare al suo posto, anche Poppy sembrava sbalordita, come accecata.

Dopo la messa, quasi corsi in sagrestia, senza guardare niente e nessuno. Me la presi comoda mentre mi toglievo le vesti, appesi la preziosa casula ricamata sull’appendiabiti e piegai la tunica bianca in un quadrato netto e preciso. Mi tremavano le mani. I miei pensieri erano frammenti incompleti. Le cose erano andate a gonfie vele durante la settimana. Ed erano andate bene anche durante la Messa, nonostante ci fosse lei, così adorabile, devota e maledettamente vicina, e poi l’avevo toccata…

Rimasi in piedi per un minuto, in pantaloni e camicia, a fissare il crocifisso, sentendomi un po’ tradito, in verità. Se ero stato perdonato, perché Dio non mi aveva liberato anche dalla tentazione? O non mi aveva concesso più forza per sopportarla? Per opporle resistenza? Sapevo che non era giusto sperare che Poppy si trasferisse o diventasse battista o qualcosa del genere, ma perché Dio non poteva cancellare l’attrazione che provavo per lei? Annientare i miei sensi… annebbiare i miei occhi davanti a quelle labbra rosse e quei brillanti occhi color nocciola?

Padre, se vuoi, allontana da me questo calice.

Anche Gesù aveva pronunciato quelle parole. Non che avessero funzionato molto per lui… perché Dio era così disposto a lasciare brutti calici da tutte le parti?

Uscii dalla sagrestia con un umore strano, cercando di evocare quell’eterea tranquillità, squisitamente mistica, ma poi girai l’angolo e, in piedi nella navata centrale, vidi Poppy, unica parrocchiana rimasta.

Non sapevo davvero come comportarmi. Venivamo esortati a fuggire dalle tentazioni, ma che avrei dovuto fare quando il mio lavoro consisteva proprio nell’aiutare la tentatrice? Non era più sbagliato svignarsela, lasciarla senza aiuto pur di evitare la passione e il desiderio? Perché certo, la lussuria era un mio problema, non suo, e non era un buon motivo per essere freddo con lei.

Ma se fossi andato da lei, cos’altro avrei rischiato?

Ancora più importante, stavo rischiando perché volevo rischiare? Stavo dicendo a me stesso che mi importava del suo percorso spirituale, solo per poterle stare vicino?

No, decisi. Di sicuro non era così. La verità era molto peggio. Mi importava di lei come persona e come anima, e volevo anche andare a letto con lei, e quella era la ricetta per qualcosa di molto più grave del peccato carnale.

Era una ricetta per innamorarsi.

Sarei andato da Poppy, ma l’avrei messa in contatto con la referente del gruppo femminile e le avrei consigliato di cercare una guida in lei piuttosto che in me, nella speranza che la messa occasionale diventasse la massima espressione delle nostre interazioni.

Poppy fissava l’altare mentre mi avvicinavo.

«Ci sono ossa là dentro?»

«Preferiamo il termine reliquie.» La mia voce aveva di nuovo quel profondo timbro involontario. Mi schiarii la gola.

«Sembra un po’ macabro.»

Indicai il crocifisso, che ritraeva Gesù sanguinante, distrutto e torturato. «Il cattolicesimo è una religione macabra.»

Poppy si girò verso di me, il volto pensieroso. «Penso che sia proprio ciò che mi piace. È crudo. È reale. Non cerca di mascherare il dolore, la tristezza o il senso di colpa, li mette in evidenza. Nel mondo in cui sono cresciuta io non si affrontava mai niente. Si prendevano pillole, ci si ubriacava, tutto veniva represso fino a farti diventare un costoso guscio. Questo mi piace molto di più. Mi piace affrontare le situazioni.»

«È una religione attiva» concordai. «È una religione del fare: rituali, preghiere, risoluzioni.»

«E questo è quello che ti piace.»

«Che sia attiva? Sì. Ma mi piacciono anche i rituali.» Mi guardai intorno in chiesa. «Mi piacciono l’incenso, il vino e i canti. Sa di antico e sacro. E c’è qualcosa nei rituali che mi riporta a Dio ogni volta, non importa quanto sia di malumore o quanto sia grave il mio peccato. Una volta che comincio, è un po’ come se tutto svanisse, come se non fosse importante. Eppure, non è così. Perché il cattolicesimo può essere macabro, ma è anche una religione di gioia e connessione, che ci ricorda che dolore e peccato non possono bloccarci a lungo.»

Si spostò, urtando la mia scarpa con la ballerina.

«Connessione» ripeté. «Esatto.»

In effetti, sentivo la connessione in quel momento. Mi piaceva parlare di religione con lei; mi piaceva che la comprendesse, che avesse colto ciò che molti fedeli da una vita non avevano mai afferrato. Avrei voluto rimanere tutto il giorno a parlarle, ascoltarla tutto il giorno, sentirle sussurrare parole affannate per addormentarmi di notte…

Noooooo, Tyler. Ragazzaccio.

Mi schiarii la voce: «Come posso aiutarti, Poppy?»

Sventolò il giornalino della chiesa. «Ho visto che per domani è prevista una colazione a base di pancake e vorrei aiutare.»

«Certo.» La colazione era stato uno dei primi progetti che avevo avviato dopo il mio arrivo alla St. Margaret, e il riscontro era stato sorprendente. C’era sufficiente povertà nelle zone rurali e nelle vicine città di Platte e Leavenworth, per garantire un costante bisogno di quel servizio, ma non c’erano mai abbastanza volontari e le due volte al mese che lo organizzavamo eravamo pieni di gente. «Sarebbe davvero gradito.»

«Bene.» Sorrise e l’accenno di una fossetta le comparve sulla guancia. «Ci vediamo domani allora.»

Quella sera, prima di addormentarmi, recitai delle preghiere supplementari. Mi svegliai all’alba e corsi per un tragitto più lungo rispetto al solito, poi crollai in cucina sudato ed esausto, facendo sbuffare Millie che intanto scaricava le padelle per i pancake.

«Ti alleni per una maratona?» mi chiese. «Se è così, non sembra che tu stia facendo un buon lavoro.»

Ero troppo a corto di fiato anche solo per borbottare una protesta. Afferrai una bottiglia d’acqua e me la scolai tutta in poche lunghe sorsate. Poi mi sdraiai prono sul freddo pavimento di piastrelle nel tentativo di abbassare la temperatura corporea.

«Ti rendi conto che è pericoloso correre con questo caldo, anche di mattina? Dovresti comprare un tapis roulant.»

«Mmm…» mormorai dal pavimento.

«Va be’, in ogni caso ti devi fare una doccia prima di colazione. Ieri sera in città mi sono imbattuta in quella deliziosa nuova ragazza, e ha detto che oggi sarebbe venuta ad aiutarci. E di sicuro vuoi essere carino per quella signorina, vero?»

Sollevai la testa e la guardai incredulo.

Mi piantò la punta delle scarpe viola nelle costole prima di scavalcarmi con agilità. «Mi avvio in chiesa per aiutarli a mescolare la pastella. Se la signorina Danforth dovesse arrivare prima di te, la intratterrò in qualche modo.»

Quando se ne andò, mi risollevai dal pavimento e mi presi un minuto per ripulire l’impronta dal mio torace sudato. Poi feci la doccia.

Con mia grande sorpresa, alla fine fu facile rimanere concentrato durante la colazione. Venne un sacco di gente, nell’arco della mattinata mi sedetti a ogni tavolo per fare conoscenza con i nuovi partecipanti. Alcuni avevano con loro dei bambini, ai quali riempii gli zaini di cose per la scuola e burro di arachidi; altri avevano genitori anziani, dei quali avrei potuto parlare ai servizi locali di assistenza agli anziani e agli enti benefici. Altri ancora erano soli e avevano bisogno di qualcuno con cui sfogarsi. E potevo fare anche quello.

Ogni tanto, con la coda dell’occhio, sbirciavo in direzione di Poppy, trovandola a sorridere a un ospite o a portare fuori una pila di vassoi puliti, ed era difficile non notare quanto sembrasse a suo agio in quell’ambiente. Era gentile in modo genuino con gli ospiti, ma anche efficiente, concentrata e in grado di servire le uova strapazzate a un ritmo tale che Millie l’aveva proclamata sua nipote onoraria. Sembrava serena, così diversa dalla donna tormentata che mi aveva confessato i suoi peccati.

Conclusi la mattinata con schizzi di pastella dalla testa ai piedi (era compito mio trasportare le enormi ciotole sulla stufa), con le dita ustionate (idem per la cottura della pancetta) e felice.

Anche se probabilmente non avrei visto nessuna di quelle persone a messa nel breve periodo, le avrei incontrate di nuovo due settimane dopo, ed era questo l’importante. Si trattava di riempire gli stomaci, non di conquistare le loro anime.

Dissi a Millie e alle altre due nonnine di andare a casa a riposare mentre io davo una ripulita; non vedevo Poppy e immaginai che fosse già andata via.

Canticchiavo ripiegando i tavoli, impilando le sedie e passando lo straccio sul pavimento.

«Come posso aiutare?»

Poppy era ai piedi delle scale, e stava rimettendo un pezzo di carta nella borsa. Persino nella luce fioca del seminterrato sembrava irreale, troppo rara e adorabile per fissarla più di pochi secondi senza provare dolore.

«Pensavo che fossi andata via» dissi, spostando nel frattempo lo sguardo sullo spazzolone e sul secchio davanti a me.

«Mi sono avvicinata a una famiglia prima, ho sentito che la madre parlava di un problema relativo a un ritardato pagamento delle tasse e visto che sono una fiscalista, mi sono offerta di aiutarli.»

«È davvero generoso da parte tua» osservai, di nuovo con la stessa sensazione che avevo provato il giorno prima: una frenesia e una morsa, come se avessi perso il mio equilibrio iniziando a flirtare con emozioni più pericolose della pura attrazione fisica.

«Perché ti stupisce che abbia fatto un gesto carino?» mi chiese avvicinandosi.

Le parole erano scherzose, ma il sottinteso mi fu chiaro: Non pensi che sia una brava persona?

Mi misi subito sulla difensiva. Vedevo sempre il meglio delle persone, sempre. E ciò nonostante ero rimasto sorpreso dalla sua profonda sincerità nell’aiutare. Lo ero stato anche quando mi aveva parlato di Haiti.

«È perché pensi che io sia una specie di donna perduta?»

Alzai lo sguardo teso. Mi si era avvicinata al punto che riuscivo a vedere un piccolo alone di farina rimasto sulla sua spalla.

«Non penso che tu lo sia» replicai.

«E adesso stai per dire che siamo tutti peccatori, perduti in un mondo perduto.»

«No» pronunciai con attenzione. «Stavo per dire che le persone intelligenti e attraenti come te di solito non devono coltivare abilità come la gentilezza, a meno che non lo vogliano. Sì, mi sorprende un po’.»

«Tu sei intelligente e attraente» mi fece notare lei.

Mi sfuggì un sorrisetto.

«Smettila, Padre, dico sul serio. Sei sicuro che non sia per il mio essere una donna, nonché intelligente, attraente, privilegiata, che ti senti così?»

Cosa? No! Al college, ero rimasto indietro solo di una lezione al corso secondario di studi di genere. «Io…»

Fece un altro passo avanti. A dividerci c’era solo il secchio, che non mi impediva di notare la curva elegante della sua clavicola sotto al prendisole, e un minimo accenno della scollatura prima del corpetto.

«Voglio essere una brava persona, ma più di questo, voglio essere una brava donna. Esiste un modo per essere sia donna sia completamente buona?»

Merda! Questa conversazione era passata dalle tasse agli angoli più bui della teologia cattolica. «Certo che c’è, Poppy, nella misura in cui chiunque può essere del tutto buono» dissi. «Dimentica la storia di Eva e della mela. Guardati come ti vedo io, una figlia di Dio chiaramente amata.»

«Credo di non sentirmi così amata.»

«Guardami.»

Lo fece.

«Tu sei amata» ribadii con fermezza. «La donna intelligente e attraente che sei, ogni parte di te, buona e cattiva, è amata. E per favore, ignorami quando per errore ti lascio intendere che le cose stiano in un altro modo, okay?»

Lei sbuffò alla mia dichiarazione e mi rivolse un sorriso triste. «Mi dispiace» disse sottovoce. «Non volevo metterti con le spalle al muro.»

«Non l’hai fatto. A dire il vero, sono io quello che deve essere dispiaciuto.»

Fece un passo indietro, come se fosse fisicamente indecisa se proseguire con quello che stava per dire. Finalmente ricominciò a parlare: «Ieri sera Sterling mi ha chiamata. Penso… credo che forse questo mi abbia mandato in confusione.»

«Sterling ti ha chiamata?» chiesi conferma provando un’irritazione che andava ben oltre l’interesse professionale.

«Non ho risposto, ha lasciato un messaggio in segreteria. Avrei dovuto cancellarlo, ma…» la sua voce si spense. «Ha ripetuto tutto ciò che aveva già detto in passato, sul tipo di donna che sono, e qual è il mio posto. Ha detto che verrà di nuovo a cercarmi.»

«Verrà da te? Ha detto così?»

Lei annuì e una furia cieca si impossessò di me.

Poppy lo capì e si mise a ridere, appoggiando le mani sulle mie, che stringevano il manico dello spazzolone con tale forza che mi erano venute le nocche bianche. «Rilassati, Padre. Verrà qui, proverà a conquistarmi con altre favolette su vacanze e vino d’annata e io lo respingerò. Di nuovo.»

Di nuovo… come l’ultima volta? Quando gli hai permesso di farti avere un orgasmo prima di farlo andare via?

«Non mi piace» dissi, non da prete o da amico, ma da uomo che l’aveva assaporata a una rampa di scale da qui. «Non voglio che lo incontri.»

Continuò a sorridere, ma i suoi occhi diventarono due gelidi frammenti verde e marrone. Mi resi conto in quel momento di che arma avrebbe potuto utilizzare, in una sala riunioni o al braccio di un senatore. «Non penso che siano affari tuoi.»

«Poppy, è pericoloso.»

«Non lo conosci nemmeno» aggiunse togliendo la mano dalla mia.

«Ma so quanto può diventare pericoloso un uomo quando vuole una donna che non può avere.»

«Come te?» ribatté lei colpendo nel segno, così spietatamente perfetta che quasi barcollai all’indietro.

Il peso dell’allusione crollò su di noi come un soffitto marcio… Poppy e Sterling, sì, ma anche io e Poppy, e il prete della mia infanzia e Lizzy.

Gli uomini che volevano ciò che non avrebbero dovuto: la storia della mia vita.

Senza aggiungere altro, Poppy si voltò e se ne andò, i sandali alla schiava che ticchettavano sulle scale. Mi costrinsi a fare dei respiri profondi e cercare di capire cosa diavolo fosse appena successo.