Epilogo

POPPY
La tua mano preme sulla mia bocca mentre l’altra scava tra gli strati di pizzo e tulle per cercare la mia fica, nuda come da tua richiesta. Nuda proprio per questo momento.
All’esterno, gli invitati stanno iniziando a entrare in chiesa, una chiesa cattolica nonostante le accese proteste dei miei genitori, e, in cambio del matrimonio cattolico, ci hanno estorto un riluttante consenso a organizzare l’evento sontuoso che hanno sempre voluto per la loro principessa: fuochi d’artificio, litri di champagne e file di luci sotto il cielo stellato di Rhode Island
Ma non sono la principessa di nessuno in questo momento. Sono un agnellino ansimante, che si dimena mentre le tue dita cercano il mio clitoride, già pronto e gonfio, e lo pizzicano delicatamente. Ci sono migliaia di dollari di pizzi raffinati e seta intorno alla mia vita e vorrei che tu li strappassi tutti, mettendo in mostra il reggicalze, i collant e la carne nuda. Ma non lo fai.
Al contrario, mi mormori nell’orecchio: «Hai fatto come ti avevo detto. Bravo, Agnellino.» Lasci cadere la mano dalla mia bocca per afferrarmi il seno.
Mi inclino all’indietro verso di te. «Non dicono qualcosa riguardo al fatto di vedere la sposa prima del matrimonio?»
«Dicono che porti sfortuna, ma credo che iniziare la vita matrimoniale con una scopata sia una gran fortuna, invece, non trovi?»
Siamo in una piccola cappella laterale, con una finestra schermata che dà sulla navata della chiesa. È difficile vedere all’interno e abbiamo bloccato la sottile porta di legno, ma non è sufficiente ad attutire i rumori, e per quanto io sia silenziosa, il fruscio del vestito e il mio respiro affannato, mentre le tue dita si muovono dal clitoride alle mie pieghe umide, sono rumori inconfondibili.
Poi mi fai girare, e mi bevi con i tuoi occhi verdi e avidi. Ti sei fatto la barba questa mattina, la mandibola squadrata è liscia, e anche se so che tua mamma si è occupata dei capelli, qualche ciocca ribelle ti ricade sulla fronte. Mi allungo per spostarla ma mi afferri il polso con la mano prima che ci riesca; non per fermarmi, ma perché così mi puoi attirare più vicino, in modo che la pelle delicata tra le mie gambe vada a sfregare contro i pantaloni dello smoking. Sento la tua erezione, la tua calda, rigida lunghezza, e gemo.
La mano torna sulla mia bocca, e il tuo volto, di solito sorridente, diventa serio. «Ancora un rumore, signora Bell,» mi mormori nell’orecchio «e sarà il tuo culo a essere scopato.»
Dovrebbe essere una punizione? «Non sono ancora la signora Bell» ti provoco.
«Ma appartieni già a me.»
È indubbio. Ti appartengo dalla prima volta che mi sono seduta nel tuo confessionale.
Il vestito, un modello scollato a V con una cintura in vita e uno strato di tulle fine e vaporoso, è una nuvola intorno ai miei fianchi, e mi impedisce di vedere mentre allunghi la mano verso il basso per liberare il tuo uccello. Poi, con il braccio scorri dalla mia vita alle gambe e vengo per metà sollevata e per metà spinta contro il muro.
Sento la punta ampia del tuo pene che si fa strada tra le pieghe, mi penetri senza indugi, e io ce la metto tutta per non gemere, ma è talmente delizioso: tu, in smoking, e io con l’abito da sposa sollevato, come un’adolescente durante il ballo della scuola, e la tua mano che ritorna, ferma e risoluta, contro la mia bocca, mentre mi prendi con colpi rudi e frenetici.
«Tutte quelle persone là fuori» dici con il respiro affannato «non hanno idea che tu ti stia facendo scopare con tanta forza, così vicino a loro. Scopata nel tuo abito da sposa, come una puttanella che non ce la fa proprio a trattenersi.»
Il mio cuore sbatte come un uccellino in gabbia, veloce e svolazzante, le mie cosce sono tese contro la stoffa ruvida dei pantaloni dello smoking. È da tempo che ho smesso di cercare di capire perché mi piaccia così tanto che tu ti rivolga a me così, soprattutto perché, al di fuori della camera da letto, sei sempre rispettoso e adorante. Forse è per quell’aura da prete sexy che la nuova carriera accademica non è riuscita a strapparti, o forse perché sei una persona buona ed è elettrizzante vederti perdere il controllo e comportarti più da peccatore che da santo. Qualsiasi cosa sia, mi fa impazzire, e tu lo sai, e mi sussurri ogni genere di cose sconce nell’orecchio: «Prendilo» e «fottuta ragazzaccia» e «vieni per me, sarà meglio che vieni per me, cazzo.»
Lo faccio, i miei gemiti soffocati dalla tua mano, mentre tu continui a pompare dentro di me, e ogni spinta mi blocca più forte contro il muro, e ogni spinta mi porta sempre più vicina al limite, e poi alzi lo sguardo e incontri il mio. Sei così vicino, e penso a tutte le volte che l’abbiamo fatto, a tutte le volte che mi sono svegliata con la tua bocca calda e umida tra le mie gambe, a tutte le volte che, facendo l’amore, ci è sembrato di uscire dal mondo reale e ordinario, per ritrovarci in un luogo nuovo, scintillante e magico. Anche adesso mi sento così, mentre cerco il tuo sguardo, e ti vedo morderti il labbro nel tentativo di trattenerti.
«Si vis amari, ama» mi dici. “Se vuoi essere amato, ama.”
Sembra passato un milione di anni da quando ci siamo scambiati queste parole.
Il tuo amore ci ha riportati insieme, un amore instancabile che ha resistito nonostante il mio inganno e il mio isolamento. Pensavo che fosse un sacrificio giusto per permetterti di restare con Dio, ma avevo sbagliato del tutto. Ora siamo entrambi con Dio e siamo insieme, e oggi rinunciamo alle nostre vite individuali per fonderle in un’unica anima eterna.
Non c’è amore più grande di questo, penso sognante, mentre perdi del tutto il controllo, e la tua mano si sposta dalla mia bocca all’altra gamba, per sostenermi meglio e tenermi aperta per te, mentre insegui il tuo orgasmo, la tua testa scura, affondata nel mio collo, che bacia e morde.
«Te amo» mi dici in un orecchio, “Ti amo” in latino. «Te amo, te amo, te amo.»
Cazzo, ti amo anch’io, e poi stai venendo così intensamente che il tuo corpo trema tutto e le tue mani scavano nelle mie cosce avvolte dalle calze, e il tuo orgasmo ne provoca in me un secondo, che si ripercuote in tutto il corpo. Pulsiamo insieme, come se condividessimo il battito cardiaco, come le onde potenti di uno stesso oceano, fino a che torniamo giù con un sospiro.
Da qualche parte, in chiesa, un organo inizia a suonare una melodia dolce e allegra, una musica che invita a entrare e accomodarsi. È probabile che le mie damigelle e mia mamma siano nel panico.
Mi metti giù e usi il fazzoletto di seta del taschino dello smoking per ripulire le tue tracce dalle mie gambe. Poi lo ripieghi e lo riponi in tasca.
Dall’esterno sembra perfettamente pulito e piegato, ma sappiamo entrambi cosa nasconde. «Solo un piccolo promemoria» mi dici con un sorriso che mostra le tue fossette, accarezzando il taschino.
«Un trofeo, vorrai dire.»
Non lo neghi, ghignando ancora con quel tuo adorabile sorriso irlandese, mentre mi aiuti a sistemare il vestito e ad aggiustare il velo, lungo quanto tutta la chiesa.
Ti guardi il palmo, macchiato di rossetto, socchiudi le labbra e il tuo sguardo si incupisce. Giuro di vederti di nuovo eccitato. «Dovresti controllare il trucco» dici, mentre i tuoi occhi si soffermano sulle mie labbra. Tuttavia, devo spingerti via, perché, se mi baci di nuovo, non sarò in grado di dire di no e arriveremo in ritardo al nostro matrimonio.
«Cosa dovremmo dire che stavamo facendo?»
Intanto, anche tu ti sei risistemato i vestiti e ricomposto, e sembri perfettamente controllato, se non fosse per il bagliore possessivo negli occhi. «È una cappella. Diremo che stavamo pregando.»
«Pensi che ci crederanno?»
Di nuovo il sorriso irlandese. «Be’, un tempo sono stato un prete, sai.»
Ci penso per il resto della giornata, quando riapplico il rossetto, quando mio padre mi accompagna all’altare, e quando ti vedo ricacciare indietro le lacrime, nel momento in cui papà posa la mia mano nella tua. Quando facciamo la comunione, ed entrambi ricordiamo di aver condiviso una comunione molto diversa. E poi, quando mi baci, un bacio intenso, lungo e profondo, che mi fa bagnare e fa indurire i capezzoli persino nella casa del Signore.
Una volta sei stato un prete.
A volte lo rimpiango ancora, ma ora mi rendo conto che quello che abbiamo insieme è altrettanto sacro, altrettanto profondo. Un giorno, costruiremo una famiglia. Creeremo insieme una nuova vita, che è forse la cosa più simile a Dio che un essere umano possa fare, e, mentre balliamo stretti sotto il mite cielo di maggio, mi chiedo se avremo un maschietto.
Magari anche lui diventerà un prete.